La prima impressione derivata dall’avvio di gara 4 Lakers e Rockets, ricorda di più l’intensità vista nei seeding games di Orlando, rispetto a quella che ti aspetti in una gara decisiva. Anche perché l’occasione è ghiottissima per Harden e compagni, con l’opportunità di impattare la serie sul 2 a 2 e rendere tipicamente “pivotal” il quinto episodio, previsto per la notte tra sabato e domenica (ovviamente rispetto all’orario italiano).
In realtà sono diversi i punti di interesse che determinano il 110 a 100 con cui si conclude la sfida, a vantaggio di LeBron e compagni. Malgrado questa si svolga spesso al piccolo trotto, e nonostante l’abbassamento di concentrazione dei gialloviola che permette ai Rockets di riportarsi fino al meno 5, nell’ultimo quarto di gioco.
Andiamo ad analizzarli per punti, rendendo più schematico il racconto della partita.
1) Il sacrificio definitivo dei lunghi
Dopo i soli 7 minuti in campo di McGee in gara 3, la tendenza al quintetto small da parte di Vogel era più che attesa, e in gara 4 la metamorfosi si completa definitivamente. Con Howard ormai relegato al ruolo di spettatore da inizio serie, accanto al quale si accomoda il già citato Javale, che non metterà piede in campo per tutti i 48 minuti previsti.
Il suo posto in quintetto viene occupato da Markieff Morris – insieme ai soliti Green, Caldwell-Pope, James e Davis – e quello che molti rivendicavano dopo la sconfitta in gara 1, ottiene applicazione continua dal primo minuto. Cioè la necessità di contrastare Houston sfruttando i mismatch evidenti a rimbalzo, mantenendosi più piccoli per agevolare i raddoppi su Harden, in fase di impostazione offensiva.
Da questo punto di vista, l’aggressività difensiva dei Lakers è visibile da subito, con Caldwell-Pope e Danny Green che raddoppiano spesso e volentieri sul principale terminale offensivo dei Rockets, costringendolo a scaricare subito il pallone, magari in ritardo e favorendo indirettamente le rotazioni sugli altri.
In gara 3 il sistema dei raddoppi aveva fruttato tanti recuperi ed altrettanti punti di riflesso, generando il parziale che aveva deciso la partita nella seconda frazione. Nella gara in questione, Houston appare decisamente spaesata fin da subito, trovandosi obbligata a soluzioni improvvisate a bassa percentuale, conseguenza anche di una serata poco ispirata dell’ex MVP.
Perché diciamolo subito, James Harden gioca la sua peggior partita di questa post season, probabilmente infastidito dalle eccessive attenzioni difensive, ma indubbiamente vittima di una pessima serata. Chiude con un 2 su 11 dal tiro (1 su 6 dall’arco), realizzando 16 dei suoi 21 punti dalla lunetta (su 20 tentativi totali). Perde anche 5 palloni, collezionando comunque 10 assist, anche perché Houston tira comunque con il 42% complessivo da tre punti (14 su 33 totali), pur non riuscendo a portare a casa la partita.
Appare comunque evidente quanto l’opzione del tiro pesante da parte dei Rockets sia diminuita rispetto alla serie con i Thunder (38.7 tentativi a sera di media contro i Lakers, contro i 51 registrati con OKC). Ed il merito non può che essere del successo nell’approccio difensivo di Vogel, abbracciato progressivamente a partire da gara 2, con un buon sistema di raddoppi e rotazioni attuabile solo liberando il campo dal doppio centro, altrimenti funzionante come zavorra.
Contemporaneamente a tutto questo, la coppia formata da James e Davis contribuisce alla cattura di 27 rimbalzi su un totale di 52 (anche Rondo in doppia cifra, con 10), sottolineando un dominio sul quale si decide la partita, alla lunga. I Rockets nella loro totalità ne catturano meno del duo gialloviola, chiudendo la sfida con 26.
Se puoi permetterti un 12 a 1 in materia di secondi possessi – e sei i Lakers, con tiratori non sempre ispiratissimi dall’arco – è molto facile che riesci a mettere una pezza su quella mancanza vista da molti come tallone d’Achille stagionale. E non è poco. Anche perché Houston raddoppia ormai sistematicamente LeBron e AD quando si trovano in post, e la possibilità di una seconda chance sullo scarico (in caso il tiro non vada a buon fine), appare una neutralizzazione efficace.
2) A sorpresa…Talen Horton-Tucker
A tutela dell’uscita ufficiale dei due centri losangelini dalle rotazioni, c’è l’esordio playoff di Talen Horton-Tucker, assoluta sorpresa nella partita.
Il diciannovenne selezionato con la quarantaseiesima pick del Draft 2019, deve farsi trovare pronto dopo aver disputato appena 6 gare in stagione prima di gara 4. Lanciato letteralmente nella mischia a metà della seconda frazione, e subito battezzato dalle pigre rotazioni dei Rockets.
Dopo aver collezionato la prima tripla in carriera durante la postseason, THT si rende protagonista di alcune buone giocate che permettono ai Lakers di sfuggire definitivamente, già forti della doppia cifra di vantaggio dopo un avvio minimamente più convincente di quarto, almeno rispetto alla conclusione della prima frazione (chiusa in vantaggio per 26 a 22).
Il rookie conclude con successo una penetrazione in traffico, prima di recuperare un pallone servito e finalizzato da Denny Green, che con una tripla inchioda il punteggio sul 49 a 36 con poco più di due minuti da giocare prima dell’half time.
Il primo tempo si concluderà sul 57 a 41 per i Lakers, grazie anche al vero protagonista inaspettato della notte, salito in cattedra come terzo violino occasionale:
3) Carushow
Rispetto agli standard offensivi abituali, l’importanza di Alex Caruso nello scacchiere di gara 4 viene fotografata dalle cifre: 16 punti in 30 minuti di impiego, con 5 su 9 dal campo con 2 triple.
Il perfetto esempio di come da ottime giocate difensive, l’entusiasmo contagi i ragazzi di Vogel anche in attacco, una parte del gioco in cui solitamente non si chiedono miracoli al buon Alex.
È da un paio di suo recuperi (e conseguente gestione della transizione) che si delinea il primo strappo della partita, premiato anche da un assist di LeBron (9 totali, accompagnati da 16 punti e 15 rimbalzi) per finalizzare il 37 a 27 dopo meno di 5 minuti di gioco nel secondo quarto. Lo stesso che conclude siglando il nono punto personale, con una tripla preziosissima per garantire sicurezza ai suoi.
Per la verità lo strapotere dei Lakers nella prima metà di gara è rappresentato proprio dal canestro e fallo di James, che tutto sommato sfrutterà ampiamente il ritmo blando (ed il punteggio a favore) per prendersi più di qualche minuto di riposo nel prosieguo della sfida.
Anche perché nel terzo quarto Anthony Davis sale decisamente in cattedra, sfoderando una serie di giocate che portano i gialloviola sul più 22, trasformando un canestro e fallo in transizione su assist chirurgico (e a tutto campo) di James.
La panchina di Houston prova a questo punto a reagire, con Ben McLemore, Austin Rivers e Eric Gordon che trovano il successo da dietro l’arco, ma la pressione difensiva di Los Angeles forza una discreta serie di palle perse, rendendo inefficaci i tentativi di rientro.
Si arriva all’ultima frazione con un parziale da 29 pari, ma la partita appare incanalata in un ottimo binario per i Lakers.
4) Cali di tensione e brividi Lakers
In tutto questo Rajon Rondo non replica la prestazione brillante di gara 3, pur rendendosi efficace anche livello direttamente offensivo. Ancora una volta battezzato spesso e volentieri, mette dapprima una tripla e poi chiude indisturbato al ferro, e ancora una volta la gara sembra avviarsi verso il garbage time.
In realtà dobbiamo considerare quanto la neutralizzazione dell’attacco di Houston – e lo spaesamento offensivo consequenziale – generi nell’arco dei primi tre quarti quell’intensità da seeding game di cui parlavamo in avvio. E questo, se vogliamo, è pure comprensibile se lo guardiamo sotto l’ottica dei Lakers: con un dispendio energetico dedicato al lato difensivo, prendersi delle pause in attacco durante una gara facilmente condotta, ci sta ampiamente.
Purtroppo i cali di tensione in circostanze simili, sono dietro l’angolo, e l’NBA moderna vive di parziali che si aprono in modo inaspettato, soprattutto guardando allo storico delle gare disputate dalla ripresa nella Bubble.
A 5.30 dalla fine delle ostilità, i Rockets sono sotto per 101 a 86, grazie alla presenza ad intermittenza di Davis e Caruso. Poi un LeBron che aveva già tirato i remi in barca, si rende protagonista di due palle perse di una banalità disarmante, figlie indubbiamente del rilassamento di cui sopra (una per infrazione di 24 secondi).
Houston riprende così vigore ed anche Harden torna a farsi vedere, forte di quattro palle perse consecutive dei gialloviola da aggiungersi a tre tentativi di James da dietro l’arco non andati a buon fine (chiuderà con un pessimo 0 su 5). Con poco meno di un minuto sul cronometro, i Rockets si riportano a meno di due possessi di distanza, e stavolta servono due miracoli di Caruso per mettere definitivamente la sfida al sicuro.
Il primo è con una tripla messa a segno al limite dello shot clock, sfruttando lo spazio lasciato dall’impostazione di James, che attira tutte le attenzioni avversarie su di sé.
La seconda è una stoppata sull’ultimo tentativo di Gordon, che da il la alla giocata vintage tra Rondo e LeBron, con quest’ultimo che inchioda l’alley-oop in contropiede:
In vista di gara 5 – primo match point per i gialloviola – D’Antoni deve recuperare la fiducia di Harden, sollevandolo in parte dal carico di responsabilità neutralizzato attraverso i raddoppi su di lui.
La prova più che sufficiente di Russell Westbrook a supporto (25 punti con 8 su 16 al tiro e 3 triple), se messa in paragone con il risultato finale dimostra ancora una volta quanto Houston dipenda dal suo giocatore più rappresentativo.
Servono quindi soluzioni per togliere il Barba dagli impicci, permettendo una fluidità superiore nella rotazione di palla, che in teoria aiuterebbe i Rockets a tirare di più da dietro l’arco. Una questione quantitativa fondamentale, per sperare di elevare il numero di realizzazioni (e quindi di punti a tabellone).
Difensivamente, non riescono ad esserci risposte efficaci a Davis e LeBron (cosa che sapevamo ampiamente), e contemporaneamente Houston non può permettersi di battezzare troppo il supporting ai due. Anche perché – Rondo e Caruso insegnano, ma anche il Kuzma di gara 3 – per quanto balisticamente poco in forma, Green e Caldwell-Pope sanno come far male (due triple a testa per 10 punti ciascuno, in questa partita).