Nel ventesimo giorno di playoff i Miami Heat hanno chiuso la serie contro i Bucks qualificandosi alle finali di Conference, mentre i Los Angeles Lakers hanno battuto i Rockets portandosi sul 2 a 1 nella serie.
MIAMI HEAT – MILWAUKEE BUCKS (4-1)
Analisi di Davide Possagno
I Miami Heat sfruttano il secondo match point a loro disposizione per infliggere il colpo di grazia ai Milwaukee Bucks e accedere alle Eastern Conference Finals in cui sfideranno una tra Boston e Toronto. La squadra della Florida ha la meglio su dei mai arrendevoli Bucks che, privi di Giannis Antetokounmpo, provano a strappare un’altra vittoria agli Heat fino agli ultimi minuti.
1) Come sono riusciti i Bucks a rimanere in partita…
Questa gara 5 ha offerto meno spunti tecnici e tattici su cui poter discutere, ma un punto molto importante è sicuramente rappresentato dal modo di giocare di Milwaukee senza l’MVP della lega Giannis Antetokounmpo. I Bucks sono rimasti aggrappati alla partita per tutta la sua durata soprattutto grazie a una difesa molto più aggressiva e dinamica rispetto a quella vista nelle prime 4 gare (a esclusione forse di gara 3), che ha permesso loro di sfruttare le diverse disattenzioni degli Heat (soprattutto nel primo e terzo quarto), rei di voler chiudere con troppa fretta il match.
La squadra di coach Budenholzer ha applicato diverse strategie difensive a seconda dei giocatori avversari coinvolti nell’azione, come si può vedere nella clip seguente: Miami gioca un pick and roll con Butler da bloccante e Dragic da portatore di palla, difesi rispettivamente da Bledsoe e Matthews che, invece di optare per il classico drop, cambiano, forzando la palla persa.
In quest’altro caso, invece, i Bucks eseguono un ottimo lavoro lontano dalla palla per negare la ricezione sia a Herro che a Robinson; dopo un tentativo di 1-vs-1, Adebayo cerca disperatamente uno dei suoi tiratori invano, finendo per sbagliare completamente passaggio.
Anche i ben più utilizzati drop specialmente di Lopez, sono stati eseguiti in maniera diversa: in questa azione Lopez tiene talmente bene la penetrazione di Dragic da far scattare il cambio, con Bledsoe che si accoppia ad Adebayo; non avendo alcun vantaggio, e complice la stazza di Lopez, Dragic non può servire Bam nel mismatch ed è costretto a forzare un improbabile scarico per Crowder che viene facilmente intercettato da Middleton.
Se si parla di difesa un paragrafo a parte lo meritano sia Donte DiVincenzo che Wesley Matthews. L’ex-Villanova ha giocato un’eccellente partita dal punto di vista difensivo in marcatura su Duncan Robinson, impedendogli di entrare in ritmo nel primo quarto (gli Heat cercano sempre di creare tiri puliti nei primi minuti per Robinson) e limitandolo anche nel terzo, periodo in cui realizza gli unici due punti della sua partita.
Il tiratore di Miami è stato in campo poco meno di 14 minuti (di solito ne gioca oltre 26) senza segnare da 3 punti (0/2) e commettendo 4 falli. In particolare, DiVincenzo ha difeso molto bene lontano dalla palla, negando la ricezione a Robinson sia dal perimetro che nei tagli dopo i classici giochi a 2 tra lui e Adebayo.
Wesley Matthews, autore di un’eccellente serie dal punto di vista difensivo, specialmente in marcatura su Butler, è stato ancora una volta la spina nel fianco dell’attacco dei Miami Heat, soprattutto nella difesa sulla palla, grazie alla sua capacità di passare sopra ai blocchi e di sporcare palloni.
Sia DiVincenzo che Matthews hanno anche contribuito in attacco, soprattutto nel primo quarto, sfruttando sia i vantaggi creati dal movimento di palla dei Bucks (più fluido vista l’assenza di Giannis) che alcune disattenzioni dei Miami Heat.
Alcuni dei canestri visti nei due precedenti video, sono chiari esempi del tipo di strategia offensiva utilizzata dai Milwaukee Bucks: senza un giocatore del calibro di Antetokounmpo (che per quanto abbia faticato garantiva quasi 22 punti, 11 rimbalzi e oltre 5 assist) la squadra del Wisconsin ma mosso molto di più il pallone, rinunciando anche a buoni tiri per prenderne (e metterne) di migliori.
Questo piano, aiutato da una difesa che ha prodotto 9 punti da 6 palle perse di Miami, ha permesso ai Bucks di mettere la testa avanti fin dal primo quarto, finito 28-19 per Middleton e soci (dopo aver toccato anche il +13, sul 28-15).
2) …e perché alla fine non sono riusciti a vincere
Dopo i primi 12′ brillanti minuti in cui i Bucks hanno tirato con il 52.6% dal campo (10/19 con 4/9 a 3), l’assenza di Giannis Antetokounmpo si è fatta sentire non poco. Nei successivi tre periodi, infatti, i Bucks hanno tirato con un pessimo 31.9% dal campo (frutto di un 23/72 al tiro) e se fino all’intervallo la squadra di coach Budenholzer è rimasta attaccata agli Heat grazie al vantaggio accumulato nel primo quarto, la situazione nella terza frazione ha condannato i Bucks alla sconfitta.
Dopo un canestro di DiVincenzo, Milwaukee si trova sul -1 (57-56) con 9:27 da giocare nel terzo quarto; da questo momento si assiste al peggior basket mai visto finora in questa serie: gli Heat non segnano per 4 minuti e 39 secondi, perdono 5 palloni e sbagliano 4 tiri, ma i Bucks falliscono ripetutamente i tiri del sorpasso a causa di scelte poco intelligenti e di forzature senza senso.
Dopo quasi 5 minuti Miami si sblocca e piazza addirittura un parziale di 11-0 nei successivi 3 minuti fino a toccare il +12. Dopo ben 6 minuti e 30 secondi di agonia (0/11 al tiro e 4 palle perse) tornano a segnare i Bucks con una tripla di Pat Connaughton che improvvisamente rimette in moto l’attacco di Milwaukee.
In quei minuti Milwaukee ha sentito la mancanza di Antetokounmpo come non mai: per quanto talvolta possa risultare offensivamente limitato, anche la sola presenza in campo di Giannis avrebbe costantemente tenuto impegnata la difesa dei Miami Heat, che avrebbe formato il classico “muro” da poco sotto al tiro libero per contenere le penetrazioni del Greco, concedendo automaticamente spazio ai tiratori dei Bucks che molto probabilmente avrebbero sbloccato il punteggio prima. Tutto questo a prescindere dall’abilità dell’MVP di correre in transizione chiudendo al ferro o di andare in lunetta.
3) La panchina degli Heat
Sul finale del quarto periodo la partita è stata decisa ancora una volta da Jimmy Butler, autore di 6 punti (tutti dalla lunetta) e un assist decisivo a Dragic negli ultimi 2 minuti.
Ma nei due quarti centrali è stata la panchina di Miami a scavare il solco decisivo per vincere la partita. Nel secondo periodo Nunn, Herro e Olynyk completano un parziale di 13-2 in poco meno di 4 minuti che impatta il match a quota 32. In realtà la panchina degli Heat non ha dovuto ricorrere a canestri particolarmente difficili o a iniziative personali dei singoli, ha semplicemente segnato ogni volta che i Bucks sbagliavano un tiro: dal 19-30 Bucks, infatti, gli Heat hanno tirato 5/7 dal campo mentre Milwaukee con 1/7. Successivamente, grazie a una ritrovata fluidità di gioco, gli Heat hanno potuto completare la rimonta anche con il ritorno in campo dei titolari.
Nel terzo quarto è proprio un canestro di Tyler Herro che sblocca Miami dopo oltre 4 minuti di digiuno e che apre il parziale che risulterà poi decisivo:
La panchina dei Miami Heat ha segnato 38 punti contro i 19 di quella dei Bucks ed è stato per merito suo se la fase offensiva degli Heat ha riacquistato fluidità e compattezza dopo un inizio molto confuso e un terzo quarto a dir poco stagnante.
Infine, il rookie ex-Kentucky è risultato decisivo anche a cavallo tra il terzo e il quarto periodo, contribuendo in maniera sostanziale all’allungo che ha condannato i Milwaukee Bucks.
Conclusione
I Miami Heat ora attendono alle Eastern Conference Finals la vincitrice della serie tra Toronto Raptors e Boston Celtics; per la composizione del roster, l’avversario meno insidioso tra le due squadre sarebbero molto probabilmente i Raptors, a causa soprattutto delle loro difficoltà nell’attaccare a difesa schierata e del pessimo periodo di forma di Pascal Siakam. I Celtics, invece, rappresenterebbero un ostacolo molto più ostico per gli Heat a causa del talento di Walker, Brown, Tatum e del rientrante Hayward.
Per quanto riguarda Milwaukee, se ci si sforza di guardare il bicchiere mezzo pieno, l’uscita contro gli Heat potrebbe non essere un fallimento totale; Miami è stata la squadra che per tutto l’anno ha evidenziato maggiormente i problemi sia del gioco che del roster di Milwaukee, sfruttandone continuamente le debolezze. Proprio per questo motivo il coaching staff dei Bucks dovrebbe sfruttare queste cinque partite per capire come migliorare il proprio gioco in entrambe le metà campo e per decidere su che giocatori puntare in futuro da affiancare nuovamente a Giannis, dato che il Greco ha dichiarato di non voler richiedere una trade nel suo ultimo anno di contratto.
LOS ANGELES LAKERS – HOUSTON ROCKETS (3-2)
Analisi di Davide Torelli
Gara 3 non sarà la partita che determina l’inerzia nella sera tra Houston Rockets e Los Angeles Lakers, ma sicuramente fornisce una indicazione su quale delle due squadre potrà provare a fuggire nella prossima sfida, con l’obiettivo delle Conference Finals.
Si tratta di una partita più che godibile, in cui i protagonisti più attesi rispondono tutti presente, avviata con una discreta concentrazione (vantaggio texano per 33 a 32 al termine della prima frazione). Inoltre emergono – ancora una volta – pregi e difetti dei due roster, anche rispetto agli stili di gioco proposti (e conseguenti accorgimenti) visti nei primi due episodi della serie, in parità su una vittoria a testa al momento della palla a due.
1) Al passo di Houston
Frank Vogel è costretto dalla circostanze ad abbracciare lo small ball imposto dai Rockets, iniziando comunque con McGee in quintetto a fianco di Davis, ma destinandolo al parquet per appena 7 minuti totali. Come in gara 2, Dwight Howard viene lasciato fuori dalle rotazioni, utilizzando AD come unico lungo canonico in campo, in grado di sfruttare potenziali mismatch.
Ma la partita dell’ex Pelicans – nonostante numeri finali di tutto rispetto che narrano di 26 punti, 5 rimbalzi, 6 assist e 9 su 13 dal campo – non appare ispiratissima, evidenziando un linguaggio del corpo che suggerisce momentanee assenze dal gioco, come si può notare da alcune arrendevoli palle perse nel secondo quarto (saranno 4 in totale).
Dall’altra parte, un Russell Westbrook tarantolato parte fortissimo con 6 su 8 al tiro nei primi 8 minuti di impiego, chiudendo la prima porzione di gara a quota 13 punti, sfruttando quella grinta consueta che lo caratterizza nelle sfide in cui deve farsi perdonare qualcosa. Ed infatti il registro cambia diametralmente rispetto a gara 2, sostenuto dal solito James Harden che attacca spesso e volentieri un Kuzma inizialmente spaesato, producendo un’altra prestazione di alto livello, come consuetudine in gran parte di questa post season (per lui ci saranno 33 punti, 9 rimbalzi e 9 assist a fine partita).
La prima metà di gara è caratterizzata da una prova difensiva piuttosto insufficiente per i Lakers, spesso battuti sul primo palleggio senza rotazioni sufficienti a proporre gli aiuti del caso. In questo Robert Covington e Jeff Green sono fondamentali per portare i Rockets in vantaggio, nonostante la lineup small con cui Vogel avvia il secondo quarto.
Anche perché i Lakers – come spesso succede – segnano raramente da dietro l’arco, eccezion fatta per un LeBron che letteralmente trascina i suoi all’half time riducendo al minimo lo svantaggio grazie ad una prova da annali.
Produce 29 punti in due quarti, sbagliando pochissimo al tiro (10 su 14 dal campo con 4 su 5 dall’arco e 5 su 8 dalla lunetta) e dominando le gerarchie offensive, nelle quali riesce timidamente ad inserirsi il solo Davis, con un Rajon Rondo partito in modo dignitoso nella prima frazione, ma capace di sprecare un paio di possessi che danno il la al parziale di Houston.
Nonostante un Harden che si accende definitivamente, la prima metà di gara di chiude con appena tre punti di vantaggio per i Texani, con il quantitativo di punti incassati (64 quasi equamente distribuiti in due quarti) che evidenzia il principale problema dei gialloviola giunti alla pausa: la difesa.
E il limitato utilizzo dei raddoppi sugli attaccanti di Houston (che se avvengono raramente, hanno poca incisività), favorisce quest’ultimi nella costruzione di un notevole volume di punti nel pitturato. Ai punti, sul momento, la spuntano i Rockets piuttosto nettamente. Anche perché capaci di imporre il ritmo alla gara, costringendo Vogel e James ad inseguirli non solo nel punteggio, ma soprattutto attraverso accorgimenti tattici che poco producono, minando la tenuta di squadra.
2) Le stoppate di LeBron
Alla ripresa delle ostilità Vogel ripropone il quintetto piccolo, intenzionato a sfruttare al meglio quelle spaziature che teoricamente dovrebbero crearsi di conseguenza. Non cambiano però i risultati in materia di precisione balistica, con Danny Green che non riesce a centrare il canestro (con notevoli difficoltà anche da pochi metri) ed un contorno che continua a faticare.
La prova di Morris è stavolta più che incolore, mentre né Caldwell-Pope né Kuzma riescono ad incidere particolarmente, con quest’ultimo che in ogni caso esegue il compitino richiesto in modo egregio. Considerando la confusione nella manovra offensiva con cui si avvia il secondo tempo, pur non eccellendo in acuti, la sufficienza per Kuz è quasi un successo. Anche perché difensivamente la squadra prova a raddoppiare Harden, pur senza successo, manifestando comunque la volontà di correggere le falle evidenziate nella prima frazione.
James appare determinato ad inserire i compagni in partita con le buone o con le cattive, cercandoli spesso e provando ad ergersi come esempio senza monopolizzare troppo le gerarchie offensive. Anche perché di tempo per ricucire, ce ne sarebbe a sufficienza.
Il contributo sotto i tabelloni di Anthony Davis (in particolare in materia di extra possessi) rappresenta un valore importante in questa fase, ma contro Harden e lo sblocco di Eric Gordon al tiro pesante, serve una virata difensiva immediata. Non solo percentuali al tiro migliori.
La scossa arriva ancora una volta dal numero 23 dei gialloviola, che rispedendo al mittente due tiri consecutivi suona letteralmente la carica per i suoi. La seconda stoppata su Harden (un tiro bloccato al limite della sua parabola ascendente) cambia gli equilibri mentali della sfida, con Houston che inizia a sporcare le percentuali e che chiuderà il quarto con appena 18 punti realizzati.
Non è che i Lakers facciano troppo meglio (21 punti totali nella frazione), ma la chase down con cui LeBron inchioda sul tabellone l’ultimo contropiede dei Rockets a pochi secondi della sirena, funziona da ennesima iniezione di fiducia nel suo supporting cast.
La sensazione è che i primi minuti dell’ultimo periodo risulteranno decisivi, e l’inerzia con cui si avvia non può che pendere verso gli incerti gialloviola, sempre comunque costretti in affannoso inseguimento, nonostante tutto.
3) Playoff Rondo
Ed infatti il parziale arriva subito, con D’Antoni costretto al time out dopo appena 3 minuti dalla ripresa, alla vista dei suoi sorpassati di quattro lunghezze. A tratti sembra che la partita sia tornata sui valori espressi in gara 2, e Rajon Rondo emerge come vero mattatore del momento. La sua manovra statica serve per aprire la difesa di Houston anche attraverso due assistenze nel pitturato a Kuzma e il solito James, entrambe ben finalizzate.
Come se non bastasse, dopo una tripla a segno scaturita da una condizione obbligata a seguito della solita manovra incerta, Rondo continua ad essere battezzato dagli avversari, sbagliando praticamente niente da dietro l’arco e punendoli anche in penetrazione.
Con una tripla di un redivivo Caruso, i Lakers forzano un altro time out sul più dieci, ed al rientrare di Anthony Davis l’efficacia difensiva si innalza ulteriormente, forzando una serie di palle perse che sembrano seppellire gli increduli Rockets. Anche perché stavolta i raddoppi funzionano, generando una serie di recuperi prontamente finalizzati dai gialloviola.
Westbrook e Harden provano in tutti i modi a rientrare in partita, ma Kyle Kuzma finalizza gran parte delle occasioni favorite dai passaggi di Rondo (muovendosi in modo impeccabile lontano dalla palla, con un timing perfetto nei tagli a canestro), e l’incontro appare incanalato nel binario più favorevole sperato per i Lakers. Un brutto scontro tra Davis e Covington (che ha decisamente la peggio, costretto ad abbandonare il campo) anticipa i titoli di coda.
Nonostante una Houston partita in modo concreto, chirurgico e determinato – in grado di imporre il proprio gioco per tutta la prima frazione – i Los Angeles Lakers riscoprono la difesa come traino del loro attacco negli ultimi due quarti di gara. Soprattutto mettendosi nelle mani di un Rondo finalmente produttivo per il risultato finale, che lo mette al sicuro addormentando letteralmente gli ultimi possessi e giocando con il cronometro.
La prova strepitosa di un James trascinatore – prima in attacco e poi in difesa, pur finalizzando di forza i possessi chiave nel finale – occulta le consuete mancanze a supporto, dove la coppia formata da Green e KCP deve decisamente darsi una svegliata, soprattutto al tiro.
I 36 punti con 7 rimbalzi, 5 assist e 4 stoppate di Lebron non appaiono quasi sufficienti a descrivere il suo impatto sulla gara, così come quelli di Davis occultano una partita vissuta sotto tono, recuperata con preziose giocate difensive nel finale (e catturando comunque una caterva di rimbalzi). I 26 punti a corredo, comunque, risultano preziosi.
Nel gioco delle coppie, la miglior prova di Westbrook nella serie si somma alla conferma di Harden: entrambi producono 63 punti totali (contro i 62 del duo avversario), ma subiscono la sparizione sostanziale del supporting cast con la rinascita difensiva dei Lakers.
Numeri che impreziosiscono ulteriormente le prove solide di Rondo (21 punti con 9 assist e 3 su 5 dall’arco) e Kuzma (14 punti con 7 su 10 dal campo), soprattutto se osservate nello scacchiere della sfida.
Per D’Antoni sarà necessario ripartire dal buon primo quarto per impattare la serie in gara 4, che diviene un crocevia per le speranze di successo dei Texani. Di contro, Vogel dovrà lavorare sulla conferma di quanto visto nell’ultimo quarto, mantenendo alta la concentrazione dei suoi nella metà campo difensiva, dalla quale dipendono evidentemente anche le finalizzazioni offensive di Los Angeles.