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Cosa abbiamo imparato dal decimo giorno di playoff

La Redazione by La Redazione
31 Agosto, 2020
Reading Time: 14 mins read
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decimo giorno

Copertina a cura di Niccolò Bedaglia

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Nel decimo giorno di playoff si è completato il quadro ad Est: i Milwaukee Bucks, vittoriosi sugli Orlando Magic, completano il quadro delle semifinali ad Est. Ad Ovest i Lakers sono invece i primi ad accedere al secondo turno, i Thunder hanno perso malamente Gara 5 contro i Rockets e ora non possono più sbagliare.

 

HOUSTON ROCKETS – OKLAHOMA CITY THUNDER (3-2)

Analisi di Francesco Contran

Il pivotal game della serie tra Oklahoma City Thunder e Houston Rockets è stato un massacro. La squadra allenata da coach D’Antoni ha umiliato dei Thunder troppo brutti per essere veri. Russell Westbrook ha esordito nella sua postseason, ma non è stato la chiave del trionfo. Andiamo ad analizzare come è stata possibile una sconfitta così netta.

Houston arrivava troppo facilmente al ferro

In una serata in cui i Rockets non hanno brillato per precisione nel tiro dalla lunga distanza, Houston ha deciso di utilizzare la sua gravity sul perimetro per attaccare l’area. Con un Gallinari in difficoltà difensivamente e degli aiuti in ritardo per contenere a tutti i costi le triple, Harden e compagni ne hanno approfittato per andare al ferro con efficacia, sfruttando i problemi difensivi di OKC. In un primo quarto in cui hanno tirato 3/11 dalla lunga, i Rockets si sono trovati sopra di ben 10 punti alla prima sirena. Sfruttando con dei blocchi opportuni il gameplan difensivo di Donovan, che non prevedeva switch per mantenere Dort su Harden, Houston è riuscita a creare i vantaggi che voleva trovando Gallinari come rim protector, e ha segnato i 8 dei primi 10 punti in penetrazione.

 

Dort è stato IL problema offensivo di OKC

Abbiamo già parlato delle eccellenti doti difensive di Luguentz Dort e di come abbia saputo rallentare la macchina col numero 13. I problemi nella metà campo offensiva sono stati però enormi. Molto opportunamente, Mike D’Antoni ha studiato un gameplan difensivo in cui Houston lasciasse sempre libero il rookie sul perimetro per impedire alle guardie e Gallinari di prendere ritmo. Il risultato è che nel primo quarto Dort ha tirato 0/6 da 3, 1/9 dal campo e costretto i suoi compagni ad un orripilante 5/26. Si è preso 16 tiri nella gara, meno solamente di Eric Gordon, e ha reso insostenibile con la sua presenza in campo l’attacco di Oklahoma City. Il problema è che con lui fuori James Harden si è rivelato immarcabile, e ciò ha costretto Donovan a tenere in campo sempre due non tiratori, improponibile per vincere nel 2020. Ogni singolo tiro di OKC è stato ben contestato, salvo ovviamente i mattoni di Luguentz.

 

Quando Donovan ha provato il quintetto piccolo con Gallinari da 5 sono emersi tutti i problemi di un Danilo sempre più spaesato in questa serie, trovato ogni volta di meno in attacco e assolutamente non in grado di difendere il ferro. Billy, non a caso, l’ha fatto giocare 14 minuti nel primo tempo, allungando i minutaggi di un positivo Adams, di Noel e del rookie Bazley. Gallo ha chiuso la peggior partita della sua stagione, incapace di farsi coinvolgere offensivamente e di sfruttare i vantaggi di taglia sui mismatch, chiudendo la gara con 1 punto a referto dalla lunetta su un fallo tecnico.

Shai Gilgeous-Alexander, Chris Paul e la loro pessima partita

Shai Gilgeous-Alexander, futuro della franchigia dell’Oklahoma, ha giocato una partita pessima come in gara 1. Incapace di trovare la via del ferro, si è intestardito con stepback e tiri difficili che lo hanno portato ad un misero 2/8 dal campo per 4 punti totali. Non solo, è stato anche costantemente nel mirino dell’attacco di Houston perché anello debole della difesa dei Thunder, regalando a James Harden e ai Rockets molto della loro produzione offensiva. Shai dovrà sicuramente fare un passo in avanti nella propria metà campo per dimostrare di poter competere ai massimi livelli. Da lui si attende una reazione in gara 6 dopo la peggior partita della carriera.

Inutile anche CP3, con soli due tiri presi nella prima metà di gara, prima di iniziare a inanellare i suoi jumper dalla media a partita finita nel terzo quarto.

L’unica delle tre guardie che ha fatto bene è stato Schroeder, che ha tenuto in piedi la baracca con 18 punti uno più difficile dell’altro nel secondo quarto, oltre a una buona difesa.

Incredibilmente, nonostante la grande fatica, OKC chiude il primo tempo sotto 45-48, prima di sprofondare nell’ecatombe del terzo quarto

Il terzo quarto ha chiuso la partita

Uscita dagli spogliatoi, la squadra allenata dal co-coach of The Year Billy Donovan e guidata sul campo dalla Point God pensa bene di proporre per tre volte lo stesso gioco per dare palla a Dort nell’angolo. Il risultato è più che prevedibile, perché per circa 10 azioni consecutive i Thunder si sono buttati in area lanciando poi il pallone a caso a un uomo sul perimetro. I Rockets, vedendo sempre la stessa azione svilupparsi e sapendo dove arrivava il pallone, ne hanno approfittato per rubarlo e correre in transizione. Sono 9 i palloni persi nel quarto che hanno spinto Houston in transizione al ferro e portato in 5 minuti a un 67-49 per i Rockets. Se avete voglia di soffrire, guardate la gestione dell’attacco di Oklahoma CIty in quei minuti. Vi lascio solo le clip di un paio di azioni identiche a inizio del terzo quarto, per farvi percepire il disagio che ho provato a vedere tutto ciò.

 

L’espulsione di Schroeder e Tucker e la fine della partita

Nel momento peggiore per Oklahoma City, a 6:51 dalla fine del terzo quarto, avviene un contatto tra Schroeder e Tucker che porta a un flagrant 2 ad entrambi con conseguente doppia espulsione.

Dalla ricostruzione e dalla decisione degli arbitri risulta evidente quanto successo: Schroeder supera il blocco di Tucker subendo il fallo di PJ che si muove, generando un moving screen: Dennis, nel superare Tucker, lo urta con il braccio proprio in mezzo alle gambe, generando un contatto non necessario. P.J, arrabbiatissimo per essersi visto fischiato un fallo e per le mancate conseguenze del gesto di Schroeder, va a muso duro sul tedesco girato di spalle e gli tira una piccola testata. Immediatamente Steven Adams separa i due colpevoli, compiendo la giocata difensiva migliore della sua serie. Dennis Schroeder viene espulso dopo un’attenta visione al replay, così come Tucker, che ha avuto una reazione eccessiva secondo la terna. Senza il suo miglior giocatore della serie, dei Thunder visibilmente in confusione escono totalmente dalla partita, dando via ad un lunghissimo garbage time che chiude la gara. Non si sa ancora se Schroeder verrà sospeso anche per gara 6: se così fosse, i Rockets saranno certi del passaggio del turno.

Conclusioni: la serie è finita?

Nonostante un Russell Westbrook da 3/13 e ancora in fase di rodaggio, i Rockets hanno dominato una partita fondamentale per la serie. In attacco andare nel pitturato è risultato più produttivo della buona costruzione dei tiri dall’arco, convertiti col 35% prima del garbage time, di cui non considererò le statistiche. Il pallone gira bene per Houston, e se ci sono Gallinari e Adams contemporaneamente in campo risulta difficile per OKC contrastare l’attacco al ferro e difendere la linea dei tre punti. Il neozelandese ha giocato in modo accettabile, segnando 12 punti e collezionando 8 rimbalzi offensivi, ma i compagni hanno spesso sprecato le seconde chanche. Il dato preoccupante per OKC è che in 3 quarti 8 sono gli assist a fronte di 16 palle perse: con una circolazione di palla così farraginosa è impensabile restare in partita. La difesa dei Rockets ha sfruttato molto bene la presenza dei due non tiratori in campo, quasi sempre Adams e Dort, per impedire agli altri tre giocatori di mettersi in ritmo.

Abbiamo rivisto in peggio i blackout offensivi delle prime due gare, e sembra che i Thunder abbiano dimenticato il loro piano offensivo, attaccando senza cercare il penetra e scarica o i mismatch. Inoltre un pessimo Donovan non ha saputo adeguarsi a D’Antoni. Dal momento che Dort e Adams non possono coesistere è vitale aprire il campo con un lungo tiratore, magari proprio Darius Bazley che sogniamo di vedere in quel ruolo e che presumo non vedremo mai. Con il solo Luguentz non in grado di tirare si può convivere, soprattutto perché un buon allenatore lo utilizzerebbe per portare dei blocchi, in modo da forzare il suo difensore a un coinvolgimento e lasciare così le guardie libere di creare. Un adeguamento ovvio e semplice che però non è stato nemmeno preso in considerazione dal coach di Oklahoma City, come sempre rigido nelle sue convinzioni e rotazioni, anche quando è evidente che urge cambiare qualcosa. Lasciatemi poi dire che James Harden è stato eccezionale in gara 5 e che i giorni di riposo gli hanno fatto bene, con un 11/15 dal campo e un 4/8 dall’arco per 31 punti in 28 minuti, immarcabile da chiunque non fosse Dort ed efficiente anche contro il canadese.

Houston si presenta a gara 6 con un match point e tutte le carte in regola per chiudere la serie. Oklahoma City si trova con le spalle al muro e deve necessariamente reagire. Sul banco degli imputati Chris Paul, Shai Gilgeous-Alexander e Danilo Gallinari, chiamati a tutt’altra prestazione dopo questa umiliazione. Sarà fondamentale che Donovan trovi un modo per mantenere efficiente Dort in campo, magari proprio utilizzandolo come screener, e che consideri l’ipotesi di andare small 5. OKC poi deve attaccare con un buon pace, cercando la semitransizione perenne di gara 4, e gestire il pallone decisamente meglio. L’avevo già detto nella preview, perdere tanti palloni contro Houston equivale a suicidarsi, e ne abbiamo avuto la prova in gara 5. Non sono ottimista per gara 6, e credo che i Thunder non riusciranno a forzare gara 7, ma i ragazzi mi hanno spesso stupito. Da tifoso di Oklahoma City, spero che lo facciano ancora.

 

LOS ANGELES LAKERS – PORTLAND TRAIL BLAZERS (4-1)

Analisi di Davide Torelli

L’ultima vittoria al primo turno di playoff per i Los Angeles Lakers, risale ad otto anni fa. Era il 2012, in squadra c’erano Kobe Bryant, Marc Gasol e Andrew Bynum, e le partite necessarie a sconfiggere i Nuggets di Danilo Gallinari furono sette.

Tutto inutile considerando il 4 a 1 subito nelle semifinali di Conference, a vantaggio dei Thunder di Westbrook, Durant e Harden, destinati a scontrarsi con LeBron James ed i suoi Miami Heat nelle Finals (e perdere).

Oggi, Lebron si trova con la canotta gialloviola a fianco di Anthony Davis, ed il ruolo dell’eventuale outsider lo recita una Portland senza Damian Lillard per gara 5: il primo elimination game della serie dopo la clamorosa vittoria dei Blazers nella sfida d’esordio.

Insomma, sulla carta sembra tutto molto semplice per i losangelini, con gli avversari privati dall’uomo franchigia, l’inerzia a proprio favore, in una situazione facile da gestire.

Peccato che tra gara 5 ed il suo effettivo svolgimento, ci sia lo strike dei giocatori ed il rischio di sospensione definitiva della stagione, rientrato nonostante i Lakers stessi (per voce del proprio leader in campo e fuori), si fossero dichiarati favorevoli a lasciare la bolla, in nome delle proteste per i diritti civili.

Si scende in campo con tre giorni di ritardo, quindi, con Portland ulteriormente toccata dalla scomparsa di Cliff Robinson, giocatore amatissimo durante i primi anni 90 in Oregon, protagonista in quella squadra capace di raggiungere le Finals con Chicago nel 1992.

La partita si stanzia da subito su ritmi piuttosto blandi, che ricordano più i seeding games che una sfida playoff, per intensità.

Nella prima frazione si inseriscono immediatamente i temi principali della partita: la sostanziale incapacità di Portland nel limitare James e Davis, la centralità offensiva di McCollum in versione go to guy, una serata non particolarmente ispirata in difesa per i Lakers, che, come consuetudine, non iniziano benissimo neanche da dietro l’arco.

Lo spazio lasciato vuoto da Dame Dolla nello starting five viene occupato da un buon Gary Trent Jr. (16 punti con 3 triple per lui, nella gara), coadiuvato dal sophomore Anfernee Simons, che imita il compagno assente con un gioco da quattro punti in conclusione di quarto (per chiudere con 13 punti e 3 triple), mantenendo la sfida in equilibrio.

Anzi, il secondo periodo di Portland frutta la bellezza di 37 punti totali, con il miglior Carmelo Anthony della serie (27 punti finali con 9 su 16 dal campo) ed un CJ più che ispirato.

Stotts si gode una ennesima serata ispirata da dietro l’arco per i suoi (saranno 8 le triple a segno nella seconda frazione), mentre la totale omissione dell’applicazione difensiva per i Lakers, fa decisamente temere il peggio. Per quanto la sensazione sia quella di un consapevole “turno di riposo”, con i due All Stars che quando rientrano in campo favoriscono rapidamente parziali favorevoli.

L’avvio di terzo periodo vede stavolta una concentrazione diversa nella metà campo dei Blazers, con un Davis stellare che prova a scavare il solco decisivo in attacco ed un Caldwell-Pope che inizia a centrare il bersaglio dalla distanza. Con una tripla di LeBron, Los Angeles si porta addirittura sul + 14, ma il supporting cast ancora una volta latita nel favorire il definitivo KO avversario, grazie anche ad un Kuzma impreciso ed un Howard che difensivamente non ci prova nemmeno.

A questo proposito, la prestazione da doppia doppia di Nurkic è esemplificativa: anche grazie ai 16 punti, 10 rimbalzi, 6 assist e 5 recuperi (!) del bosniaco, Portland si mantiene ampiamente in scia. E non è assolutamente poco, considerando che la terza frazione di Davis produce 20 punti e 3 triple per i Lakers.

Nel decisivo quarto periodo, ancora un calo di concentrazione dei ragazzi di Vogel favorisce la sostanziale parità a poco meno di 7 minuti dal termine, quando Portland sembra definitivamente cedere.

LeBron James gioca l’ennesima gara strepitosa, con 36 punti, 10 rimbalzi e 10 assist, ben sostenuto da un Davis da 43 punti, 9 rimbalzi e 4 assist.
Ma soprattutto, oltre a rappresentare la soluzione ad ogni problema in campo per i Lakers, i due mettono a segno rispettivamente 4 canestri pesanti a testa, sollevando decisamente la statistica di squadra che si attesta sul 14 su 36 (pari al 38,9%). Partecipando con un ottimo 8 su 13 complessivo.

Le note positive per i gialloviola riguardano principalmente loro due, ancora una volta capaci di trascinare la squadra sollevandola anche nei momenti più bui. Riuscendo comunque a gestire un avversaria ispiratissima da dietro l’arco (48,1% complessivo), ma assolutamente latitante in difesa, stavolta menomata dall’assenza di un Lillard che avrebbe potuto contribuire ad evidenziare le lacune losangeline proprio nella metà campo difensiva.

La serie di chiude con un 131 a 122 per il seed numero 1 ad ovest, sottolineando ulteriormente quanto poco si sia difeso nei 48 minuti: una condizione comunque sufficiente per Los Angeles, che adesso aspetta la vincente tra Houston e Oklahoma City per organizzare il prosieguo di postseason.

Per quanto riguarda Portland, la rinnovata promessa è quella di costruire una squadra ambiziosa ripartendo da Lillard come perno. Del resto, con la rincorsa a ritmi vertiginosi per raggiungere i play-in e l’accesso alla postseason, era difficile chiedere di più ai ragazzi allenati da Stotts, comunque in grado di far gridare al potenziale upset, dopo la prima partita. Un apparente fuoco di paglia, che in realtà ha mostrato tutte le positività di un roster ad alto valore offensivo, rappresentante (come da regular season) una delle peggiori difese della lega.

 

MILWAUKEE BUCKS – ORLANDO MAGIC (4-1)

Analisi di Davide Tumiati

L’ultima serie a concludersi ad Est è inaspettatamente proprio quella che sembrava la più scontata di tutte, ovvero quella tra i Milwaukee Bucks, assoluta dominatrice della Regular Season, e gli Orlando Magic, che si approcciavano ai playoff con assenze cruciali, quali Isaac e Gordon.

Tutte le altre serie nella parte destra del tabellone si sono concluse con uno sweep, mentre i Magic sono riuscita a portarla a 5 con una formidabile prestazione in gara 1, che non sono però riusciti a replicare in pieno nelle partite successive.

La partita di ieri notte, che si sarebbe originariamente dovuta giocare già 4 giorni fa ma che fu boicottata dai Bucks a causa della questione Jacob Blake, non è stata altro che un inevitabile conferma di ciò che avevamo visto nelle 3 precedenti, ovvero un dominio di Giannis e compagni per quasi l’intero arco dei 48 minuti.

Come è spesso successo nel corso di queste 5 partite, i Bucks sono riusciti piuttosto facilmente ad allungare il proprio vantaggio oltre i 20 punti e, dopo averlo visto recuperare dai Magic fino al -3 con un’ottima prestazione nel 4° quarto, hanno ancora una volta accelerato il ritmo e chiuso la partita in meno di 2 minuti, soprattutto grazie ad un particolarmente ispirato Marvin Williams, dando l’ennesima dimostrazione del divario immenso presente tra le due squadre.

 

 

Giannis mostra ancora una volta a tutto il mondo quanto sarà difficile contenerlo da qui alla fine dei Playoffs, mettendo con estrema facilità 28 punti e 17 rimbalzi, e mostrando anche una continua crescita nel suo tiro da 3 punti. Ha tirato infatti il 38% su 5.2 tentativi nella serie contro Orlando: se le percentuali dovessero rimanere queste, Miami potrebbe avere un serio problema.

Non sono nemmeno lontanamente bastati i continui double team su di lui da parte di Gary Clark e James Ennis, due difensori sopra la media, per poter pensare di contenerlo: Antetokounmpo ha giocato tutte e 5 le partite sul proprio ritmo, ed ogni volta che accelera diventa un’impresa quasi impossibile fermarlo.

 

 

Orlando ha fornito una buona prestazione nel complesso, con 5 giocatori in doppia cifra, ma così come in gara 2 ciò che è davvero mancato alla squadra di Clifford sono state ancora una volta le percentuali, considerato un misero 39% dal campo ed un negativo 71% dalla lunetta, statistica decisamente atipica per i Magic che prima di ieri erano la squadra con la più alta percentuale ai tiri liberi di tutti i playoff.

Una partita leggermente sottotono è stata quella di Nikola Vucevic, a cui però è davvero difficile addossare colpe dopo aver trascinato la squadra per tutta la durata della serie, concludendo con dei numeri assolutamente incredibili: 28 punti, 11 rimbalzi e 4 assist tirando con il 50% dal campo, il 41% da 3 punti ed il 91% ai tiri liberi, cifre da non credere per un giocatore di cui pensavamo di aver già visto il peak durante la scorsa stagione, ma che potrebbe stupire ancora più di quanto non abbia già fatto.

Si conclude anche la prima serie playoff di Markelle Fultz, che tra alti e bassi regala ai tifosi dei Magic molte speranze riguardo alle stagioni a venire: in particolar modo se Jonathan Isaac, che ha sofferto da poco un grave infortunio al ginocchio, dovesse tornare senza problemi per la prossima postseason, i due potrebbero dare ad Orlando quella spinta definitiva che aspetta da quasi 10 anni.

 

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