I Milwaukee Bucks e i Los Angeles Lakers ribaltano la serie e si portano avanti sul 2-1 dopo essersi fatti sorprendere in Gara 1. Anche i Rockets conducono la serie 2-1 ma in seguito alla sconfitta in nottata contro OKC; i Miami Heat hanno rischiato anch’essi di perdere la partita contro Indiana ma sono invece riusciti a portare la serie sul 3-0.
HOUSTON ROCKETS – OKLAHOMA CITY THUNDER (2-1)
Analisi a cura di Lorenzo Olivieri
C’è un adagio nel basket secondo cui “una serie di playoff non inizia finché una delle due squadre non vince in trasferta”. Vero o meno che sia, è un adagio particolarmente difficile da declinare in questa iterazione dei Playoff NBA, in cui nessuna squadra gioca in casa e nessuna gioca in trasferta. Nessuno può avvantaggiarsi con un pubblico amico.
La serie fra Houston Rockets e Oklahoma City Thunder, però, sembrava già finita dopo due soli episodi, nei quali Houston si è imposta con autorevolezza sugli avversari nonostante un James Harden tutt’altro che brillante — soprattutto in Gara 2, dove Harden ha tirato 2/11 da 3 e i Rockets hanno avuto un netRTG di +41.5 con la loro stella in panchina.
Dopo Gara 3, invece, nonostante “l’ufficioso” fattore campo sia stato rispettato, la serie potrebbe essere cominciata per davvero, perchè è finalmente arrivata una risposta — soprattutto d’orgoglio — da parte dei Thunder.
119-107 è il punteggio con cui OKC si è imposta davanti al pubblico — virtuale — amico dopo un overtime. Cosa è cambiato, quindi, rispetto alle prime due gare?
Un altro Schröder, un altro Paul
L’idra a tre teste formato da Chris Paul, Dennis Schröder e Shai Gilgeous-Alexander è stata uno dei motivi del successo di OKC in regular season. Finora, però, due delle tre teste, alternativamente, erano sempre mancate all’appello in questa serie di playoff. Gara 3 è stata la prima partita in cui il terzetto ha performato complessivamente in maniera eccellente.
Fra tutti, quello che finora aveva maggiormente deluso era stato Schröder: il tedesco era reduce da due partite da 6 e 13 punti con orrende percentuali dal campo, prestazioni ben lontane da quelle che gli avevano consentito di essere fra i principali candidati al titolo di sesto uomo dell’anno.
Schröder continua ad essere l’uomo designato da Billy Donovan ad avere la palla in mano per creare, anche perché, dei tre esterni, è il meno adatto a giocare lontano dalla palla. In Gara 3, all’Usage più alto della squadra (33%) ha fatto corrispondere una prestazione da 29 punti, 5 rimbalzi e 5 assist. Seppure le sue percentuali siano rimaste mediocri (10/23 complessivo dal campo) ha portato a termine diversi possessi importanti. Le sue scelte continuano ad essere largamente discutibili, ma a livello di produzione, in quest’ultima partita, è stato inattaccabile.
Con tutti quei possessi nelle mani di Schröder, Chris Paul ha giocato molto più da guardia pura che da playmaker e, per una volta, è stato dei suoi quello assistito più volte sul numero di canestri realizzati — oltre il 36% dei suoi canestri è arrivato da un assist dei compagni.
La sua produzione offensiva è stata assolutamente elite: 26 punti, 6 rimbalzi e 5 assist, con 11/19 dal campo e 4/5 da oltre l’arco. Suo è stato anche l’assist per la tripla di Gilgeous-Alexander che ha portato i Thunder avanti a 15″ dal termine dei regolamentari.
SGA si è confermato ancora sugli eccellenti livelli di Gara 2, segnando 23 punti con 7 rimbalzi e 6 assist, mostrando lampi di talento abbacinante e sangue gelido nel segnare la tripla di cui sopra.
Andando avanti nella serie rimarrà fondamentale l’apporto dei tre esterni dei Thunder, anche se è impensabile che tutto l’attacco possa passare esclusivamente da loro. Donovan dovrà fare un lavoro migliore nel mettere tutti nelle migliori condizioni possibili per rendere al massimo.
La difesa dei Thunder, e Luguentz Dort
In gara 2 si è parlato molto della difesa dei Rockets e di come la squadra di D’Antoni abbia vinto la partita nella propria metà campo grazie ad una fase difensiva impeccabile. In Gara 3, invece, è la difesa dei Thunder a prendersi le luci della ribalta.
Nella seconda metà di gara OKC ha girato i classici bulloni, cambiando completamente atteggiamento rispetto ad un primo tempo in cui si sono viste cose come questa:
Nel primo e nel secondo quarto, gli esterni di Houston sono arrivati al ferro come e quando volevano. La minaccia di cinque giocatori perimetrali ha costretto il lato debole della difesa dei Thunder a non stare troppo staccato in aiuto, rendendo il pitturato più libero che mai.
Nella prima metà, infatti, i Rockets hanno segnato 32 punti in the paint dei loro 63 totali, proprio grazie al floor spacing generato dal loro small ball, ma anche da una difesa sulla palla davvero mediocre da parte dei Thunder.
La musica è cambiata negli ultimi due quarti, dove OKC ha concesso agli avversari appena 41 punti in 24 minuti e, soprattutto, solo 14 punti al ferro. Le percentuali dei Rockets sono precipitate anche da oltre l’arco — 27% da 3 contro il 36% della prima metà — e un uomo solo è assurto ad eroe assoluto della metà campo difensiva: Luguentz Dort.
Il rookie da Arizona State è stato assente per infortunio in Gara 1, e certamente è un caso che quella sia stata l’unica partita della serie in cui James Harden ha giocato da James Harden.
Da quando Dort è rientrato in Gara 2, Il Barba ha tirato complessivamente 17/43 dal campo, vale a dire sotto al 40%. E’ vero che in Gara 3 Harden ha realizzato 38 punti con 7 rimbalzi e 8 assist, e che è difficile sostenere che sia stato limitato se si guardano solo questi numeri, ma le sue percentuali e la sua efficienza complessiva sono state ben lontane dalle solite. Dopo aver fatto 2/12 da oltre l’arco in Gara 2, la stella dei Rockets ha tirato con un altrettanto orripilante 3/13 da 3 nell’ultimo episodio della serie, e persino ai tiri liberi la sua efficienza è calata drasticamente: appena il 73% dalla lunetta su 15 tentativi!
Ora, nessuno vuiole affermare che anche le sue percentuali dalla linea della carità siano merito di Dort — e a sua parziale discolpa, pare che Harden avesse la spalla destra dolorante e non fosse al 100% fisicamente — ma il lavoro difensivo che ha fatto il rookie dei Thunder è assolutamente eccezionale.
Questo è un possesso fondamentale negli ultimi cinque minuti di partita. Harden si isola e attacca Dort che però muove perfettamente i piedi, sta con lui, ha la forza per contenere la penetrazione e addirittura strappa il pallone dalle mani di Harden prima che possa anche solo azzardare un tiro. Questo livello di effort difensivo non è quello che abitualmente vedi dal tuo rookie mentre difende in isolamento contro uno degli scorer più prolifici della storia dell’NBA.
Dort ha una stazza fisica molto simile a quella di Harden, ha incredibile forza nella parte inferiore del corpo e nelle spalle e muove i piedi come i migliori difensori della lega. Tutto questo poi lo unisce ad un’intelligenza difensiva e ad un’auto-disciplina nel restare composto e non cercare la palla con le mani che sono veramente rare in un ragazzo di 21 anni, rendendolo un avversario davvero ostico anche per un attaccante di livello assoluto come Harden.
Ovviamente pensare che il Barba continui a tirare così per tutta la serie è da illusi, ma le speranze di OKC di tenere aperta questa serie passano anche — se non soprattutto — dalla difesa di Luguentz Dort. Che sia una difesa su un singolo possesso decisivo, o il logorio continuo causato dalla sua fisicità, Donovan deve sperare che il suo rookie riesca a mettere fuori ritmo Harden quel poco che basta a dare alla sua squadra la speranza di giocarsela.
Cosa ancora non ha funzionato per i Thunder
La vittoria di OKC ha sì riaperto la serie — e, cosa più importante, evitato un 3-0 che sarebbe equivalso ad un K.O. — ma i problemi da risolvere per Billy Donovan restano diversi. In fin dei conti, i Thunder sono sembrati quelli della regular season solo in due quarti sui dodici giocati, cioè negli ultimi due di Gara 3.
Il problema più grande potrebbe essere proprio Billy Donovan, che finora non ha fatto che appiattirsi sullo stile di gioco dei Rockets e non ha mai saputo punire il loro continuo small ball con Adams o Gallinari quando i suoi lunghi erano in campo.
I Thunder hanno iniziato a giocare anche loro per isolamenti, in cui sostanzialmente si alternano Schröder, Paul e Gilgeous-Alexander in fase di creazione. Non che durante la regular season OKC avesse chissà che attacco scoppiettante, ma gli 1vs1 non arrivavano così spesso da situazione statiche in cui un giocatore palleggia e gli altri stanno a guardare. Donovan aveva mostrato un uso molto più esteso di Spain pick and roll, situazioni con Adams in post alto a smistare l’attacco, pick and roll dinamici per i propri esterni, tutte cose che finora si sono viste molto poco, anche nella vittoria in Gara 3. L’azione migliore di tutta la partita, non a caso, è stata la tripla decisiva di SGA, creata da una situazione di gioco fermo, in cui la squadra ha eseguito un’azione che avesse un criterio, portando Harden a difendere su Paul e generando un aiuto difensivo.
Adams finora è stato un peso morto non in grado di giustificare la sua presenza sul parquet. Portato a spasso dagli pseudo-lunghi di Houston, messo all’interno di pick and roll in cui si è trovato a difendere su Harden o Gordon, e mai in grado di punire sull’altro lato del campo. Donovan ha creato pochissime situazioni perchè ricevesse profondo in post basso, e quelle poche occasioni non le ha sfruttate.
Su Noel meglio stendere un velo pietoso: il suo -8 di plus/minus in una serata in cui letteralmente chiunque altro ha avuto un +/- positivo la dice lunga sul suo non-impatto in questa serie.
Neanche Gallinari, però, è mai stato sfruttato davvero per quello che potrebbe fare, nonostante i suoi 22 punti a partita nella serie possano suggerire diversamente. I suoi pick and pop e post up contro giocatori più bassi di lui dovrebbero essere sfruttati molto di più, così come dovrebbero essergli concesse ricezioni profonde in cui la sua altezza e il tocco morbido gli consentirebbero di punire la difesa dei Rockets.
Insomma, Donovan è in nomination per il titolo di miglior allenatore dell’anno e deve dimostrare di esserne all’altezza cercando di imporre il proprio gioco sugli avversari, oppure abbracciando lo small ball a piene mani come fatto nel supplementare, in cui ha giocato con 3 combo guard (Schröder, Paul e SGA), il suo miglior difensore perimetrale (Dort) e Gallinari come unico lungo. In ogni caso, non si può sperare che i tuoi tre creatori di gioco facciano sempre 78 punti in tre anche solo per avere una chance di vittoria. Bisogna fare di meglio.
Cosa non ha funzionato per i Rockets
Sembra il leitmotiv delle ultime post-season degli Houston Rockets, ma ancora una volta il loro tiro da fuori li ha traditi nel momento cruciale. Il 27% da oltre l’arco nella seconda metà di gara è uno dei fattori che hanno tenuto i Thunder in partita e che hanno costituito un appiglio a cui CP3 e i suoi si sono aggrappati.
Anche la difesa dei Rockets, fino a quel momento stellare, è calata leggermente nelle ultime fasi di Gara 3, ma se Houston avesse continuato a tirare anche solo con percentuali accettabili, staremmo parlando di un 3-0.
Onestamente il piano partita di D’Antoni ha portato i Rockets ad un passo dal guadagnare un vantaggio insormontabile per gli avversari, e non c’è alcun motivo per cambiarlo. Houston ha un’identità di gioco molto forte — che può piacere o meno — e sono così polarizzanti da costringere gli avversari ad adattarsi o a fare scelte drastiche a loro volta. Finora il restare fedeli al loro stile di gioco li ha premiati. Devono solo continuare a credere nel loro tiro da fuori, d’altra parte Harden non continuerà a tirare con quelle percentuali per sempre.
Questa vittoria, insomma, ha dato modo ai Thunder di sperare, e forse li ha definitivamente convinti, di poter stare nella serie. L’unico modo che ha OKC per ribaltare il risultato è cercare di capire quale basket vogliono giocare; il basket fatto vedere durante la regular season, che prevedeva ruoli importanti per Adams e Noel, chiaramente non è attuabile perchè i suddetti sono dei non-fattori in questo matchup. “If you can’t beat them, join them”, e forse la soluzione è davvero andare small a propria volta.
D’altronde questa sconfitta è apparsa più come un incidente di percorso per Houston, che come una prova di forza dei Thunder. L’inerzia gonfia ancora le vele della frachigia texana e la serie sembra essere ancora lontana dal diventare il primo turno più combattuto, come pronosticato alla vigilia da alcuni addetti ai lavori. Sulla carta il valore assoluto che divide le due squadre è pochissimo, almeno fino al ritorno di Russell Westbrook. La differenza è che una ha squadra ha le idee chiare, l’altra molto meno.
Tutto ruoterà intorno a Gara 4, comunque. Un 2-2 invertirebbe del tutto l’inerzia della serie, mentre un 3-1 confermerebbe le sensazioni avute finora. Chris Paul ha ancora la possibilità di fare lo sgambetto alla squadra che lo ha dato via ma il tempo stringe.
LOS ANGELES LAKERS – PORTLAND TRAIL BLAZERS (2-1)
Analisi di Davide Torelli
Tra Lakers e Blazers la terza sfida è stata importante per determinare l’inerzia della serie, con le squadre in parità con una vittoria a testa. Per quest’ultimi, Lillard scende regolarmente in campo nonostante la lussazione all’indice sinistro patita in gara 2, che tutto sommato non sembra troppo limitarlo: segna 34 punti con 5 triple, accompagnandoli con 7 assist e 5 rimbalzi. Ancora una volta Rip City si aggrappa al suo uomo più rappresentativo, ben sostenuto da un CJ McCollum da 28 (con 4 triple) ed un Carmelo Anthony con 2 su 3 da dietro l’arco per 20 punti totali.
Le note liete per Portland finiscono sostanzialmente qui, perché Stotts ottiene poco o niente dalla panchina (6 punti per Trent Jr. e 2 per Hezonja), schierando la coppia di lunghi formata da Whiteside e Nurkic nello starting, e soffrendo ancora una volta la poca profondità del roster a disposizione. Anche perché – notizia del giorno – la stagione di Zach Collins si è conclusa nel play-in contro Memphis, a causa di un infortunio alla caviglia per cui sarà necessario un intervento chirurgico. Manca un’ala grande capace di incidere soprattutto in difesa: un problema impossibile da risolvere sul momento, decisamente da considerare nel futuro se la speranza è quella di puntare a far bene.
Dall’altra parte, i Lakers rispondono con McGee in quintetto a fianco di Anthony Davis, poco brillante nei primi due quarti di gara, in ritmo a partire dal terzo. Favorito dall’accoppiamento con Nurkic e da una rinnovata concretezza dal mid range, AD scava il solco decisivo nella seconda metà di partita, chiudendo con 29 punti, 11 rimbalzi, 8 assist, 2 recuperi, 3 stoppate ed un buon 11 su 18 al tiro. Tabellino quasi speculare a quello di un Lebron decisamente con le marce importanti inserite, che attacca da subito gli avversari e chiude con la miglior prestazione della serie (letteralmente trascinando i suoi nei primi due quarti, pur perdendo qualche pallone di troppo).
L’incapacità sostanziale di trovare una soluzione contro le due stelle losangeline, è uno dei problemi conclamati per la non brillante difesa di Portland, ed in gara 3 le cose si complicano considerando le ritrovate percentuali dei due gialloviola. Anche James chiude con 11 su 18 da campo, 8 assist, 12 rimbalzi, 2 recuperi e 38 punti. Soprattutto realizza un 4 su 5 da dietro l’arco nella prima parte di gara (0 su 3 nell’ultima frazione), andando in lunetta spesso e con risultati stavolta dignitosi (12 su 17 ai liberi).
Non si può dire lo stesso del resto della squadra, che ancora una volta si stabilisce su un pessimo 65% totale dalla cosiddetta linea della carità: una storia nota che può creare più di un problema a Vogel, con un Davis che si stanzia su un insufficiente 50%.
Che James avesse in canna una partita da leader era questione piuttosto prevedibile, sfruttando al suo meglio i mismatch a disposizione ed attaccando il ferro. Portland non ha nessun uomo con velleità da “Lebron stopper” e, come al solito, deve accontentarsi di sperare nelle percentuali disastrose degli avversari, questione che ha deciso la prima sfida in programma nella serie.
Dall’altra parte, la forza dei gialloviola sta principalmente nell’applicazione difensiva, laddove in attacco gran parte delle responsabilità passano dalle creazioni delle due stelle sopracitate.
I Blazers vengono tenuti a 41% dal campo, non riuscendo ad incidere in maniera decisiva da dietro l’arco con un 12 su 35 complessivo, frutto degli accorgimenti inseriti da Vogel già nella seconda sfida per neutralizzare i pick and roll spesso opzionati da Lillard. Indubbiamente una delle chiavi per mandar fuori ritmo gli attaccanti di Portland.
Da dietro l’arco i Lakers chiudono con un 10 su 30 che comunque non è il 15% scarso registrato nella partita di avvio, e per quanto sarebbe preferibile riuscir ancora a far meglio, il contributo di Caldwell-Pope (13 punti con 3 triple) e Danny Green (due tiri pesanti a segno, per 8 punti) appare stavolta sufficiente per conquistare il vantaggio nella sfida.
Si, perché con una terza frazione da 40 a 29 di parziale, i gialloviola gestiscono la partita senza mai seriamente rischiare, nonostante i parziali promossi da Portland che più volte riavvicinano le due squadre.
In tutto questo, fondamentale l’apporto di un Alex Caruso aggressivo in entrambi i lati del campo, che offensivamente chiude con 10 punti e 7 assist, oltre che catturare 4 rimbalzi. Grazie a lui e ad un Dwight Howard da 10 rimbalzi in 17 minuti, la panchina di Los Angeles riesce a strappare una promozione più che risicata, per quanto il miraggio di una fluidità in attacco appaia ancora lontano.
Come più volte già analizzato, osservando i singoli valori a disposizione, Portland dispone di una batteria di tiratori di gran talento, con almeno 3 potenziali go to guy, un lungo affidabile ed un buon innesto dalla panchina come Trent Jr. Ma realisticamente, il duo attorno al quale i Lakers sono stati strutturati appare più che sufficiente per presentarli favoriti in una serie al meglio delle 7 partite.
Il vantaggio conquistato con il 116 a 108 finale non rappresenta comunque la fine del pericolo upset per Lebron e compagni, perché Lillard è notoriamente l’ultimo ad arrendersi, e la discreta prestazione portata a termine con il fastidio dell’infortunio patito è lì a dimostrarlo.
Per quanto continui a prediligere le soluzioni fuori dal pitturato, con il Davis visto negli ultimi due quarti di partita si può davvero ben sperare, a maggior ragione se la vena realizzativa regge nei momenti in cui – giocando da centro – si trova accoppiato con un Nurkic costretto a seguirlo lontano dal canestro.
Per Vogel la chiave resta comunque circoscritta alla difesa, laddove in attacco sia logico affidarsi alle creazioni e agli isolamenti di James e AD. Cambi, accenni di raddoppio e rotazioni sui pick and roll avversari sono fondamentali per spezzare il loro ritmo offensivo, soprattutto occupando le spaziature che inevitabilmente il sistema di Stotts crea, basandosi su tiratori perimetrali pericolosi e facendo circolare la palla.
Purtroppo per i Blazers, difensivamente non sembrano esserci accorgimenti contemporaneamente efficaci ed applicabili per limitare lo strapotere fisico dei due All Star gialloviola, e contro un gioco prevedibile (e a tratti macchinoso), per guardare al passaggio del turno è necessario ripiegar speranze in serate di scarsa precisione al tiro, battezzando spesso e volentieri gli avversari in serata poco ispirata.
In tutto questo, il contributo di Jr Smith (0 su 3 dal campo con due falli) e Dion Waiters (non pervenuto in campo) appare ancora interrogativo, mentre Kuzma continua ad alternare prestazioni preziose a serate in cui segnare sembra difficilissimo.
Per quello che abbiamo visto in campo – e quindi a prescindere dai valori assoluti emersi durante tutta la stagione – la serie appare ancora apertissima, e Portland ha comunque legittime speranze di provare a riequilibrarla in gara 4.
INDIANA PACERS – MIAMI HEAT (0-3)
Analisi di Davide Possagno
Grazie al primo tempo più efficiente della storia degli Heat (relativo ai Playoffs), Miami si è portata in vantaggio per 3 a 0 nella serie contro gli Indiana Pacers dopo una partita condotta quasi fin dal primo minuto, ma non senza qualche brivido nel finale.
L’ATTACCO DEI MIAMI HEAT
Questa gara 3 riassume alla perfezione la stagione 2019/20 dei Miami Heat, una squadra profondamente diversa da quelle vista nelle precedenti annate. Per la prima volta negli ultimi 5 anni, la squadra di Spoelstra ha avuto (e sta avendo) successo grazie a una fase offensiva estremamente efficiente, a discapito di una difesa non sempre brillante.
Sabato sera gli Indiana Pacers sono scesi in campo leggermente meno aggressivi e attenti in difesa (nonostante l’inserimento di Justin Holiday in quintetto per cercare di limitare Robinson), e non hanno avuto scampo contro la macchina offensiva messa a punto da Erik Spoelstra: gli Heat hanno segnato 74 punti nei primi due quarti con 11 triple messe a segno (su 20 tentativi), entrambi record di franchigia per una partita di Playoffs. Miami ha sfruttato ogni occasione lasciata dalla difesa per punire ripetutamente la squadra di McMillan grazie a un movimento di palla rapido ed efficiente (68.2% di AST%) che ha portato a tiri aperti da 3 punti, tiri facili vicino al ferro (71.8 % di TS%) o tiri liberi (ben 24 solo nella prima metà di cui 19 convertiti, ci torneremo tra poco).
Nel secondo tempo l’attacco di Miami ha perso di efficienza anche grazie ad una ritrovata aggressività dei Pacers, che hanno portato gli Heat ad affrettare alcune conclusioni (solo 2/13 da 3 nel secondo tempo per una TS% del 54.9%) e a perdere palloni banali derivati da passaggi azzardati o non eseguiti con la giusta attenzione (la AST/TO è passata dal 2.50 del primo tempo a un pessimo 0.73). Tutto ciò però non è bastato a Brogdon e compagni per completare la rimonta, anche a causa delle energie spese per recuperare lo svantaggio del primo tempo.
I TIRI LIBERI
Al coach degli Indiana Pacers Nate McMillan hanno fatto storcere il naso i 52 tiri liberi concessi ai Miami Heat (record nella “bolla” di Orlando) a fronte dei soli 28 tentati dalla sua squadra. Il solo Jimmy Butler ne ha tirati 20 convertendone 17. A un primo impatto quel numero potrebbe sembrare spaventoso a qualcuno ma, guardando la partita, si può benissimo capire da cosa derivi. Nello specifico, i Pacers hanno speso numerosi falli lontano dalla palla per cercare di stare con il giocatore che marcavano e, inoltre, ne hanno commessi almeno altrettanti molto ingenuamente, cercando spesso il pallone o impedendo fallosamente le penetrazioni avversarie.
Tutto questo è andato a vantaggio sia della squadra di Miami, che si è ritrovata in bonus spesso dopo pochi minuti, che soprattutto di Jimmy Butler, il quale in una serata storta al tiro (5/16 con 0/2 da 3) ha sfruttato al massimo la sua abilità di prendere falli per segnare punti facili e veloci (27 totali nella sua serata). Questo aspetto è stato particolarmente evidente nell’ultimo periodo, in cui i Pacers hanno commesso ben 12 falli che hanno consentito agli Heat di raggiungere il bonus dopo poco più di 3 minuti dall’inizio del quarto. Miami ha segnato metà dei suoi punti totali della frazione finale dalla lunetta (15/18), grazie ai quali è riuscita a mantenere Indiana a distanza nonostante una fase offensiva molto meno brillante rispetto a quella vista nella prima metà di partita.
Infine, osservando la shotchart di entrambe le squadre, si può vedere come i Pacers si siano affidati molto di più al midrange rispetto agli Heat, mentre quest’ultimi hanno prediletto l’attacco al ferro che, di conseguenza, ha portato a più tiri liberi.

MALCOLM “ONE MAN BAND” BROGDON
Da questa partita Indiana porta a casa due aspetti positivi: la seconda metà di partita, giocata molto meglio rispetto alla prima, e la career-night di Malcolm Brogdon, spina nel fianco della difesa degli Heat dal primo all’ultimo minuto. L’ex-Bucks, infatti, è stato l’unico giocatore di Indiana capace di creare tiri sia per sé stesso che per gli altri tanto nel primo (13+6+7) quanto nel secondo tempo (21+1+7). Brogdon ha finito con 34 punti (career high, 11/17 dal campo, 4/7 da 3 e 8/8 ai liberi per una TS% dell’82.8%), 14 assist (career-high), 7 rimbalzi e 2 recuperi in quasi 43 minuti nonostante un non elevatissimo USG% di 26.0, secondo dietro al 31.9% di Oladipo.

Per larghi tratti di partita l’attacco a metà campo dei Pacers si è basato quasi esclusivamente sulle capacità di 1vs1 di Brogdon (tutti i canestri da 2 che ha segnato non sono stati assistiti) che, sfruttando la sua fisicità, ha attaccato ripetutamente dal palleggio Dragic, Herro e Robinson con ottimi risultati per poi concludere al ferro (o andare in lunetta)
o scaricare il pallone per un tiro migliore di un suo compagno di squadra, dopo aver fatto collassare la difesa.
Nello specifico, i Pacers hanno usato molto spesso un blocco portato da parte dell’uomo marcato da Herro e Robinson per far scattare uno switch in modo da consentire a Brogdon di isolarsi in 1vs1 lontano dal ferro contro i due difensori peggiori degli Heat.
IL FINALE DI PARTITA
La soluzione descritta in precedenza è stata adottata dai Pacers quasi in ogni possesso nel finale di partita, ma i risultati ottenuti non sono sempre stati buoni. Nonostante il -18 dell’intervallo (74-56), a circa 2 minuti e mezzo dal termine Indiana si è trovata solamente a 2 lunghezze di distanza sul 114-112. Da quel punto in poi la partita è stata decisa da due episodi che alla fine hanno premiato gli Heat, complice anche la stanchezza dei Pacers derivata dalla rimonta: il primo è rappresentato dai 2 rimbalzi offensivi recuperati da Bam Adebayo nella stessa azione che hanno portato a 2 tiri liberi (entrambi convertiti) per il centro i Miami
mentre il secondo è una palla persa di T.J. Warren a 40 secondi dal termine sul -4 Indiana.
Questa azione racconta in parte le difficoltà che i Pacers stanno incontrando nell’attacco a difesa schierata in questa serie: nei finali di partita, con Brogdon marcato molto forte da Iguodala o Crowder (ieri preferito a Herro), né T.J. Warren né soprattutto Victor Oladipo sono stati in grado di segnare nei momenti chiave delle 3 partite finora disputate e coach McMillan non ha ancora saputo trovare giochi in grado di far muovere la difesa di Miami in modo da punirla con tiri aperti, invece di affidarsi alle iniziative dei singoli, soprattutto se due di questi non sono ancora riusciti a sbloccarsi in queste situazioni. Ieri Brogdon ha segnato 13 punti (5/6 dal campo, 3/4 da 3) nel quarto periodo, mentre la coppia Oladipo-Warren he ha messi solo 7 con 2/6 al tiro.
MILWAUKEE BUCKS – ORLANDO MAGIC (2-1)
Analisi di Francesco Cellerino
La sconfitta subita dai Bucks in gara 1 sembra sempre più un incidente di percorso e il 121-107 finale di gara 3 rende solo relativamente l’idea del massacro subito dai malcapitati Magic, sotto per 43-70 all’intervallo.
Coach Clifford prova a riproporre il suo piano che punta a limitare i punti in contropiede dei Bucks, in particolare evitando che Giannis Antetokounmpo possa scatenare tutto il suo atletismo in transizione. Ogni volta che la stella di Milwaukee prova a partire in campo aperto si trova infatti davanti tre giocatori in linea interessati solo a negargli la penetrazione e fargli perdere slancio in campo aperto.
Il piano dei Magic nella serie sta in parte funzionando: Milwaukee è infatti passata dall’essere la terza squadra per fast-break points in stagione regolare con 18 punti a partita, a segnarne appena 10. Questa strategia ha chiaramente degli svantaggi, perché per poterla attuare Orlando deve rinunciare completamente ai rimbalzi offensivi (sono terzultimi nei playoff per rimbalzi offensivi a partita e penultimi per OReb%) e infatti nella seconda parte di gara 3, visto anche il divario di 30 punti, coach Clifford ha variato il suo piano partita. Come mostrato dalla scorsa e dalla prossima clip, appena parte un tiro gli altri quattro giocatori si precipitano nella metà campo difensiva, disinteressandosi completamente dell’azione. In questo caso si può notare “la somma” delle strategie delle due squadre: Milwaukee intasa l’area e decide di scommettere sul tiro aperto di Gary Clark, ma nel ribaltamento di fronte Middleton si trova davanti la difesa schierata e, non essendo ancora entrato in ritmo, sbaglia un layup contestato da Ennis. Tra l’altro proprio l’uscita di quest’ultimo dal campo per la doppia espulsione dovuta alla rissa con Marvin Williams ha decisamente semplificato la vita a Middleton, che in gara 2 aveva particolarmente sofferto la sua marcatura e che anche in questa partita era riuscito a segnare contro di lui solo un tiro molto ben contestato.
Da questo punto di vista, alcune scelte di Clifford hanno lasciato un po’ perplessi: in alcuni frangenti della gara i Magic hanno giocato con Vucevic e Birch contemporaneamente in campo, senza però cambiare “politica” sui rimbalzi. Questo li ha portati a perdere parte del potenziale vantaggio dato dai centimetri dei due lunghi, come evidenziato dalla clip seguente: Birch va a lottare a rimbalzo e riesce a sovrastare Williams, ma i suoi compagni si trovano ormai nell’altra metà campo e non possono ricevere il pallone riciclato.
La sfida difensiva più importante per coach Budenholzer è invece stata quella di contenere Vucevic, per distacco il giocatore più pericoloso dei Magic in questa serie, vista soprattutto la luna storta di Fournier. I suoi 20 punti non devono trarre in inganno: è stato sicuramente tra i più positivi per la sua squadra, ma la sua serata è stata tutt’altro che tranquilla. La scelta dei Bucks è stata quella di lasciargli spazio sul perimetro, invogliandolo a tirare da tre e sganciando il meno possibile Brook Lopez dal centro dell’area. Il centro montenegrino ha ancora una volta tentato ben otto triple, ma come in gara 2 è riuscito a convertirne solo due. La difesa dei Bucks ha inoltre cercato di costruirsi punti in contropiede proprio sfruttando la prevedibilità dei passaggi per Vucevic, sia sul perimetro che, come vedremo tra poco, in post.
Vucevic non ha avuto per niente vita facile in post: la marcatura di Milwaukee un po’ “all’acqua di rose” sul perimetro è stata compensata da una durissima lotta per negargli la ricezione spalle a canestro. I Bucks sono stati inaspettatamente particolarmente bravi in situazioni di small ball, dove gli aiuti immediati non hanno permesso al lungo di sfruttare i mismatch cercati contro avversari di stazza minore.
A tale proposito la prossima clip è emblematica: viste le difficoltà nel segnare del resto della squadra, i Magic provano a sfruttare la differenza di stazza legata al quintetto piccolo degli avversari con passaggi prevedibilissimi. Per due volte l’obiettivo è raggiungere Vucevic in post e per due volte Giannis gli nega la ricezione, fino all’infrazione di 24 secondi.
Come già detto, i Bucks si sono trovati ad affrontare una squadra determinata a non lasciargli segnare punti in contropiede e hanno dovuto faticare per costruirsi occasioni simili. Per farlo hanno cercato di usare proprio Vucevic come esca, leggendo con tempismo perfetto i passaggi dei suoi compagni, ingolositi dagli spazi lasciati ad arte dalla difesa. La strategia ha pagato dividendi sia sul perimetro che in post, come nella clip seguente, dove Brook e Giannis hanno disturbato Fournier sul perimetro, costringendolo a un lento passaggio schiacciato, facile preda di Matthews.
Per il resto la partita non ha avuto molto da dire: i Bucks sono stati avanti anche di oltre 30 punti e il tentativo di rimonta dei Magic non ha prodotto risultati significativi. Gara 1 sembra ormai davvero un lontano ricordo, anche se dalla prossima partita dovrebbe quantomeno rientrare Aaron Gordon, che potrebbe provare a limitare un assolutamente immarcabile Antetokounmpo. Se Fournier continuerà a litigare in questo modo col ferro, la strada sarà probabilmente troppo in salita per la squadra di casa nella bolla, nonostante la splendida prestazione al tiro di Augustin e Ross.
Milwaukee invece sta continuando i suoi “ballottaggi” per rientrare nelle rotazioni ristrette delle prossime serie di playoff: la maggior parte dei minuti della panchina se li sono spartiti Hill, Korver, DiVincenzo e Connaughton, uno dei migliori in questa serie, ma dietro di loro la situazione è nebulosa. Williams è stato usato nei primi minuti come principale cambio di Giannis, ma con la sua espulsione ovviamente le rotazioni sono cambiate. Ilyasova ha avuto solo 4 minuti sul parquet, ma è al rientro da un infortunio al gomito e potrebbe trovare più spazio nelle prossime gare, mentre Robin Lopez ha trovato pochissimo spazio per via della scelta di coach Bud di optare spesso per quintetti piccoli.
L’ultimo spunto in casa Bucks è legato a un Middleton finalmente convincente, che ha ricominciato a prendersi con fiducia e segnare le sue tipiche conclusioni dal midrange. Come già sottolineato, il secondo violino dei Bucks sta patendo la marcatura degli esterni dei Magic e in particolare di Ennis, che riesce spesso a negargli del tutto il tiro, ma col passare dei minuti è riuscito a sbloccarsi e a segnare con continuità e smazzare assist sul perimetro sfruttando il collasso della difesa. Dalla vena realizzativa di Khris passano molte delle fortune dei Bucks, vista anche la sua pericolosità dal perimetro che lo renderà fondamentale in eventuali sfide punto a punto, per via della gestione del pallone non impeccabile nei finali di partita di Antetokounmpo. Budenholzer ha ovviamente dichiarato di essere felice del contributo di Middleton nonostante le difficoltà al tiro, ma non ci sono dubbi sul fatto che tutti si aspettino di più da lui.