Quarto giorno di playoff, come sta andando?
Bucks e Lakers dopo gli scivoloni di gara 1 (qui le nostre analisi dopo le prime gare) sembrano usciti dal proprio torpore, anche se ancora non convincono a pieno. Gli Heat e i Rockets allungano invece sui Pacers e i Thunder rispettivamente, come si comporteranno le due squadre nelle prossime gare?
MILWAUKEE BUCKS – ORLANDO MAGIC (1-1)
analisi di Davide Tumiati
Dopo la vittoria a sorpresa dei Magic in gara 1, esattamente come l’anno scorso in Canada, era più che legittimo aspettarsi una reazione di Giannis e compagni, che seppur non in modo brillantissimo è comunque arrivata.
La partita comincia molto lentamente da entrambe le parti, tutte e due le squadre partono tirando molto male e costruendo decisamente poco, fino a che non arriva il primo allungo di Milwaukee nella seconda parte del primo quarto, in coincidenza con l’ingresso sul parquet delle second unit, grazie alla quale i Bucks riescono a chiudere la prima frazione di gioco sul +12. Il copione rimarrà lo stesso per tutto il resto del primo tempo, con i Magic che sbaglieranno innumerevoli tiri, la maggior parte dei quali anche costruiti in modo notevole e tutt’altro che impossibili, cosa che ha permesso alla squadra “di casa” di riuscire a mantenere ed addirittura estendere il vantaggio, nonostante una prestazione non impeccabile su entrambi i lati del campo.
Il secondo tempo offre degli spunti un po’ meno interessanti, in quanto tutto ciò che vedremo non sarà altro che svariati tentativi di Orlando di rientrare in partita, andandoci anche abbastanza vicino in alcuni momenti, facendo passare la lead dei Bucks da 23 a soli 8 punti, ma non riducendo mai a dare quella spinta decisiva per impensierire eccessivamente Coach Bud.
Cosa ci resta dunque di questa gara 2?
Ci resta indubbiamente una miglior performance di Antetokounmpo, che chiude la partita con 28+20 ed anche 5 assist a dimostrare la completezza della sua prestazione, soprattutto se confrontata a quella della partita precedente. È sembrato in assoluto controllo per quasi tutta la partita, risultando molto spesso un assoluto incubo per la difesa dei Magic che ha provato in tutti i modi a limitarlo sia con Gary Clark che con James Ennis, ma nonostante l’impegno e le buone capacità difensive di entrambi, per poter pensare di fermare Giannis servirà molto più di questo.
La più grande delusione per i Bucks è invece senza alcun dubbio Khris Middleton, che dopo una prima partita della serie tutt’altro che impressionante, è riuscito a fare ancora di peggio nella gara di oggi, molto di peggio. 2 soli punti con 1/8 al tiro, e non bastano i 6 assist a salvare, nemmeno parzialmente, una prestazione che potrebbe far nascere ulteriori dubbi ai tifosi di Milwaukee riguardo al futuro del numero 22, che per ora sembra essere molto lontano dal fenomenale giocatore di Regular Season che abbiamo imparato a conoscere in questi anni.
Passando dall’altra parte, c’è ben poco da salvare nella partita dei Magic se non un dominante Nikola Vucevic, che mantiene il livello del suo gioco offensivo altissimo concludendo gara 2 con 32 punti e 10 rimbalzi, ma non è stato altrettanto decisivo nell’altra metà campo, permettendo a Brook Lopez di giocare esattamente nel modo che preferisce: tiro da 3 punti e movimenti in post.
Prestazioni opache di quasi tutto il resto dei giocatori scesi in campo per Orlando, a partire da un Fultz in difficoltà, finendo con le percentuali disastrose di Fournier e Ross. Ad Orlando non è mancata l’organizzazione e nemmeno la voglia di ripetersi, sono mancate soprattutto le percentuali dal campo, ed è per questo che Milwaukee non può assolutamente rilassarsi per il resto della serie, se i Magic dovessero ritrovare il proprio tiro, potrebbero ancora riservare molte sorprese nelle prossime gare.
INDIANA PACERS – MIAMI HEAT (0-2)
analisi di Luca Bagni
Dopo aver battuto Indiana in gara 1, gli Heat replicano in gara 2 per contro avversari che questa volta hanno a disposizione Victor Oladipo, il loro uomo teoricamente più pericoloso offensivamente. Questa volta gli Heat però danno una dimostrazione di forza molto più precisa e definita rispetto al primo episodio della serie.
Impossibile non partire dalla prestazione monstre di Duncan Robinson: dopo una gara 1 da 6 punti, con 2/8 (e alcuni inspiegabili airball) in 24 minuti, il prodotto di Michigan sfodera una gara da 7/8 da 3 punti per 24 punti in 25 minuti.

L’impatto è subito senza alcun freno dopo la pessima gara 1 e l’aiuto troppo pronunciato di Oladipo fa il resto.
Sospinti da un inizio sfolgorante di Robinson, gli Heat sembrano poter subito prendere il largo, ma Indiana ricuce lo strappo affidandosi a una delle pochissime linee tattiche efficaci fino ad ora: palle recuperata e contropiede.
In questo modo Indiana può anche evitare che Miami possa schierare la propria difesa a metà campo, vera e propria spina nel fianco per i Pacers.
Ogni volta che gli Heat accelerano, Indiana si spegne senza reagire, se non tardivamente: i Pacers non danno mai l’idea di poterla vincere.
Warren chiude a 14 ma con 7/15 totale e 0/5 da 3 punti, non apparendo mai aggressivo, Oladipo è ancora lontano da una condizione sufficiente a mostrare tutto il suo potenziale, mentre Brogdon eccede in palleggi.
Contro una difesa fisica ed organizzata come quella degli Heat, molto bravi a passare a zona ad azione in corso, serve qualcosa di molto di diverso.
In questa serie il quarto quarto è il regno di Dragic: lo sloveno non è contenibile neanche da McConell (Brogdon non si iscrive neanche alla competizione…): 8 punti il suo bottino nell’ultima frazione, mentre non è spiegabile la scelta di Indiana di continuare a flottare in modo cosi standard con l’uomo di Robinson.
Se McMilan e il suo staff non troveranno una contromisura al play avversario, i Pacers non potranno mai impensierire gli Heat nei finali. Tra tutti i dati che sicuramente si staranno esaminando, uno dei più preoccupanti è il confronto nel plus/minus con Turner On/Off the Court: -20 con il lungo in campo, +10 con lui fuori.
Il terzo episodio della serie sarà quindi l’ultima spiaggia per Indiana e il primo match point per Miami.
Gli Heat dovranno semplicemente a fare quello che di ottimo hanno fatto fino ad ora, mostrando anche una aggressività mai pareggiata dai Pacers: il dato di 41 rimbalzi a 38 la dice lunga, dato che quello doveva essere un punto a favore di Indiana.
Indiana dovrà affidarsi gioco forza al contropiede e stimolare un approccio più “cattivo” di un Myles Turner che, come detto, non sta avendo alcun impatto significativo sulla serie.
HOUSTON ROCKETS – OKLAHOMA CITY THUNDER (2-0)
analisi di Francesco Contran
Nonostante il risultato di gara 2 sia pressoché identico a quello del primo scontro tra Oklahoma City Thunder e Houston Rockets, con una vittoria della squadra allenata da Mike D’Antoni di 13 lunghezze, la partita è stata parecchio differente. Abbiamo assistito infatti ad un match in equilibrio per almeno 40 minuti, quando la fuga di Houston si è rivelata decisiva. Andiamo quindi a vedere le chiavi di gara 2.
1) Luguentz Dort vs James Harden
Il rookie canadese undrafted Luguentz Dort è tornato dall’infortunio al ginocchio rimediato contro Miami, e lo ha fatto in grande stile. Con l’obiettivo di marcare e limitare il più possibile James Harden, la giovane guardia dei Thunder si è esibita in una difesa esemplare sul miglior scorer della lega, limitandolo a un 1/7 da tre punti nei minuti in cui sono stati accoppiati, e regalando 6 tiri liberi solamente nelle fasi finali della partita. In effetti, The Beard ha fatto molta fatica a trovare il canestro, e per merito di Dort e anche parzialmente di Schroeder, ha concluso con un poco lusinghiero 5-16 dal campo, con 2-11 dall’arco. Solamente grazie ai 9 tiri liberi convertiti e guadagnati nelle ultime battute della gara, Harden ha superato quota 20, fermandosi a 21 punti. Ciò non significa che il numero 13 non abbia impattato la gara. Forte della gravity generata dalla sua sola presenza, ha passato il pallone divinamente per creare molte opportunità aperte dall’arco dei tre punti per i compagni, opportunità che solo in alcuni casi sono state convertite. In questo video possiamo apprezzare alcuni highlights difensivi di Dort, ma vi consiglio di recuperare la partita perché era da anni che non si vedeva una difesa del genere su James Harden, costretto più volte a passare il pallone perché non riusciva a costruire il suo tiro.
Il problema di Luguentz è però la sua discontinuità al tiro: ha infatti concluso con 2-8 da tre punti, compromettendo le spaziature dei Thunder con la sua, fondamentale, presenza in campo. In ogni caso l’importante è che l’ex Sun Devil continui a prendersi questi tiri, o le spaziature peggiorerebbero in modo ancora peggiore.
Vorrei però soffermarmi sull’abilità di creazione di James Harden, che ha sfruttato il pericolo generato dalle sue penetrazioni, pur difese benissimo da Dort, per attirare aiuti dei Thunder che hanno lasciato liberi uomini sul perimetro, cosa che ha nutrito l’attacco dei Rockets. The Beard è stato eccezionale nell’attaccare i mismatch generati in transizione con Gallinari e Adams, incapaci di tenerlo, per servire Tucker, House e Covington. Le attenzioni delle difese sul numero 13 hanno consentito anche la creazione di ottimi tiri tramite hockey pass, che non vanno a referto come assist, ma producono ugualmente un attacco di qualità. Quando poi Dort è uscito, per Harden è stato più facile creare per i compagni. In ogni caso, ignorando il fatto che la tripla fosse segnata o meno, la sola presenza di James ha creato opportunità enormi per i compagni.
2) Il buon inizio dei Thunder e le percentuali dei Rockets
Rispetto a gara 1, il game plan di Billy Donovan è stato molto più chiaro. Se Steven Adams deve stare in campo, va servito in attacco per compensare le sue lacune difensive contro una squadra di small five. All’inizio tutto ciò ha funzionato, e Steve-O ha cominciato con un 4-4 dal campo e 3 rimbalzi, pagando però molto in difesa.
I Rockets, infatti, sono stati letteralmente infuocati nel primo quarto, in cui hanno segnato 8 triple sulle 16 tentate, e nella maggior parte dei casi difese discretamente da OKC. L’attacco più aggressivo dei Thunder deve aver funzionato, se si trovavano sotto 35-30 con gli avversari tanto precisi. In effetti, uno spaesato Shai Gilgeous-Alexander in gara 1 si è dimostrato molto più spavaldo in gara 2, dove ha attaccato senza timore, prendendosi tiri da tre, stepback dal palleggio e tiri al ferro con potenza ed eleganza. Anche Danilo Gallinari è stato molto presente nel primo quarto, in cui ha sfruttato i mismatch per tirare in testa al diretto marcatore e per prendersi i tiri dalla lunetta.
Con un miglior movimento di uomini e pallone, i Thunder hanno ritrovato lo smalto offensivo e la freschezza della regular season, evitando di consumare il cronometro per incaponirsi in sterili isolamenti che non portavano a nulla. Purtroppo ciò non è accaduto in tutta la partita, merito anche della difesa di Houston. Dopo l’8 su 16 del primo quarto, Houston è andata a riposo con un 10-35 da tre punti, con bene 13 errori consecutivi, su opportunità nel complesso accettabili per una squadra come la loro. Questa sterilità al tiro ha permesso ai Thunder di sorpassare i Rockets e chiudere il primo tempo sul 59-53. Houston d’altra parte è riuscita a restare in partita anche perché non ha perso un pallone per l’intero primo tempo.
3) A cosa servono i lunghi se perdo a rimbalzo offensivo?
Andiamo ora ad analizzare quello che secondo me è stato l’errore principale della gestione di Donovan nella pertita. Come in gara 1 non abbiamo mai avuto lineup ultra small, ma sempre uno tra Adams e Noel schierato in campo, presumibilmente per far valere la superiorità a rimbalzo. Il problema è che quando un giocatore dei Thunder scoccava un tiro, gli altri 4 difensori dei Rockets si chiudevano a riccio attorno al lungo neozelandese per impedirgli di catturare il rimbalzo. Se consideriamo poi il fatto che D’Antoni in attacco ha sapientemente spostato Tucker dagli angoli per portare Adams lontano da canestro, Houston è riuscita a catturare diversi rimbalzi offensivi sui numerosissimi errori sui tiri da tre. Il computo finale è di 11 a 8 per i Rockets a rimbalzo offensivo, e viene da chiedersi perché allora tenere il lungo in campo, dal momento che poi offensivamente, dopo il primo quarto, non è più stato servito in post. L’avevo già proposto dopo gara 1, ma ne sono ancora più convinto dopo gara 2: Billy Donovan deve provare ad andare small contro Houston, perché la scelta di tenere sempre Adams o Noel non sta pagando. Un quintetto con tre guardie, Bazley e Gallinari avrebbe al più un non tiratore, e consentirebbe di attaccare con più facilità, muovendo meglio la palla e trovando più tiri aperti.
4) La difesa di Houston ha bloccato i Thunder
Al ritorno dalla pausa, Houston è tornata a colpire, e i Thunder si sono ritrovati incapaci di rispondere: la palla non riusciva ad arrivare a Steven Adams in post, ma non si sono create nemmeno opportunità per Gallinari. Shai Gilgeous-Alexander ha trovato un muro invalicabile anche con le sue abilità e Chris Paul non è riuscito a creare nessuna opportunità. Da 11 minuti al termine del terzo quarto a 4:56 i Thunder non hanno segnato un singolo canestro dal campo e dalla lunetta, eseguendo una serie di attacchi orripilanti e preparando il suicidio che poi ultimeranno nell’ultimo quarto. La difesa di Houston non ha concesso nulla con la sua sorta di zona perfetta, e le guardie dei Thunder hanno a turno attaccato per dieci secondi senza creare nulla, passato la palla a un compagno e ripetuto per bene 6 minuti e 4 secondi, non trovando un’opportunità che fosse una. Il posizionamento difensivo della squadra di D’antoni è stato esemplare, costringendo a forzature su forzature, palle perse e guadagnando anche falli di sfondamento.
I Rockets non sono mai saltati sulle finte di tiro, preferendo contestare con una mano in faccia, piuttosto che rischiare una penetrazione. L’insistenza in pick-and-roll di Chrs Paul, eccellentemente contrastata dagli switch dei Rockets, non ha portato niente all’attacco di Okc, che non appena Paul è uscito per Schroeder ha trovato tre triple in fila, riportandosi sul 70-69. Il tedesco non ha giocato una partita brillante nel secondo tempo, ma è bastata la sua presenza per dare la carica ai compagni: in questo senso i progressi di Dennis per diventare un leader sono stati molti. Poco dopo la fine del terzo quarto, a 11 minuti e 48 secondi dal termine, Chris Paul segna l’80-77. Cinque minuti dopo Houston è sopra 93-80 e non si volterà indietro fino alla fine della gara. Va dato merito alla difesa dei Rockets, ma Chris Paul è l’imputato principale della sconfitta.
La stella della squadra non è riuscita a creare alcunché per i compagni per circa 10 minuti, e questa sterilità offensiva ha portato i Thunder a perdere una gara che dovevano assolutamente vincere. Il plus minus di -36 di Paul, per quanto a me non piaccia come statistica, è estremamente eloquente. Senza un lungo da attaccare sul pick and roll e senza la possibilità di colpire dal suo spot dalla media distanza, Chris è stato semplicemente perso e pressoché inutile per la sua squadra. Sono emersi i motivi per cui i Rockets hanno voluto a tutti i costi mettere le mani sulla freschezza atletica di Russell Westbrook. Ma il problema non è solo Paul, per andare al ferro contro una difesa di quel genere serve uno slasher e i Thunder non ce l’hanno più. Shai Gilgeous-Alexander ha forse il miglior controllo del corpo della lega, ma non la potenza atletica di un Westbrook o di un Morant per andare al ferro.
5) Considerazioni finali
OKC ha perso di 13 una partita in cui Harden ha segnato solo 21 punti con percentuali ridicole, in cui Houston ha tirato col 33.9% dall’arco e in cui Eric Gordon soprattutto ha fatto 0 su 10 da tre prendendo buonissimi tiri. Ha perso cioè l’unica gara che non poteva permettersi di perdere, e il contraccolpo psicologico potrebbe essere devastante sulla squadra allenata da coach Billy Donovan. Rimane evidente come i Rockets e la loro difesa fossero stati sottovalutati, perché senza il secondo miglior giocatore stanno giocando un’ottima pallacanestro in attacco, pur dipendente dal tiro da tre senza Westbrook, ma hanno messo in mostra una difesa elitaria.
Di positivo c’è la buona prova di Shai Gilgeous-Alexander, che ha reagito come ci si aspettava dopo una gara 1 impalpabile, ma non molto altro.
Billy Donovan deve avere il coraggio di cambiare il suo game plan, perché se Adams gioca più di 20 minuti e non prende tutti i rimbalzi disponibili per OKC sono dolori. Gara 3 ci dirà se questa serie può riaprirsi, personalmente, conoscendo la rigidità di Billy Donovan, ho i miei dubbi. È però evidente che i Rockets hanno cambiato decisamente marcia, mentre i Thunder non ci sono riusciti, e il rischio di uno sweep c’è.
LOS ANGELES LAKERS – PORTLAND TRAILBLAZERS (1 – 1)
analisi di Andrea Poggi
Ogni partita ai PO è una storia diversa, questa non fa eccezione. Dopo lo scivolone di gara 1, i Lakers si sono decisamente ripresi andando a vincere di 23 per riportare la serie in parità. Partita solida della franchigia Californiana che si è portata addirittura sul +30 a fine terzo quarto.
Come da pronostico il game plan difensivo dei Lakers è cambiato, in situazioni di pick and roll infatti Vogel ha deciso di adottare una strategia diversa rispetto alla drop coverage classica.
Il coach dei Lakers ha optato per una difesa più aggressiva sul pick and roll, il difensore del bloccante non si è limitato ad aspettare il portatore di palla in area ma al contrario è uscito alto in modo da togliere la prima opzione all’attaccante avversario. Nel video possiamo vedere come dopo il consegnato da parte di CJ, Lillard cerchi subito il pick and roll con Nurkic, ma il lungo lakers esegue quanto precedentemente detto: rimanere molto alto anche a costo di subire uno slip-screen da Nurkic (come accade, ottima intuizione del bosniaco). Bisogna dar credito anche a Green che prontamente cambia e si incolla a Lillard. Questo tipo di difesa più aggressiva ha condotto anche ad alcune situazione di switch, soluzione ottima soprattutto se a cambiare sono Davis e/o James dato che il ball handler non può sfruttare a pieno il vantaggio acquisito dal blocco.
Una delle azioni che Portland esegue di più è il double fist, in gara 1 non è stata usata spesso mentre in gara 2 si. Il double fist è un doppio blocco sulla palla, questo tipo di giocata, seppur semplice, riesce ad esaltare le qualità di giocatori come Lillard. Dunque, visto il game plan difensivo dei Lakers in gara 1, Stotts ha deciso giustamente di aumentare possessi del genere. I risultati sono stati alterni. Partiamo analizzando dove Portland ha fatto bene o meglio, ha prodotto punti.
Nella prima clip vediamo McCollum come handler, Nurkic e Whiteside come bloccanti. CJ parte dall’ala sinistra e sfrutta i due blocchi per cercare di costruirsi un tiro. Whiteside rolla e Nurkic si allarga. I Lakers però si erano preparati bene a difendere questo tipo di giocate: Green passa sopra entrambi i blocchi, McGee si prepara a chiudere la strada a McCollum e Davis aiuta (tag) il rollante. Le prime due opzioni dell’attacco sono state tolte (pull-up di CJ e Roll di Hassan), rimane la terza ovvero il tiro di Nurkic. I Lakers dunque qui hanno concesso all’attacco il male minore. Bene Portland che ha convertito, non male anche i gialloviola. La seconda clip invece mostra il double fist in una situazione di semi-transizione. Kuzma si trova accoppiato con Lillard che, invece di giocare il set, attacca il canestro ‘’splittando’’ la difesa.
I risultati, però, sono stati alternanti. Lillard e i due lunghi si mettono in posizione ma Melo prende posizione sotto canestro andando ad occupare una zona che doveva essere lasciata libera per lo schema. Nel frattempo, Green, Davis e Kuzma sono alti e pronti a difendere il set. Questa serie di circostanze costringe Dame a servire Melo in post basso. La difesa quindi ha già ‘’vinto’’ (anche se indirettamente) dato che è riuscita a togliere la palla dalle mani del giocatore più pericoloso. Melo in seguito commetterà fallo di sfondamento. Proseguendo possiamo vedere invece un tipo di diverso di difesa: Kcp pressa Lillard dalla rimessa e cerca di spingerlo verso il lato (dove c’è LeBron, una sorta di ICE), il numero 0 è quindi costretto ad effettuare uno skip pass per Nurkic. Ancora una volta è stata tolta la palla dalle mani del giocatore più pericoloso. Jusuf quindi è costretto a prendere una decisione e sceglie di servire Whiteside. Il risultato ve lo potete immaginare anche da soli.
Un altro adattamento che è stato fatto da coach Vogel riguarda la difesa in isolamento contro Lillard. In gara 1 avevamo visto sprazzi di ‘’blitz’’ e difese cercando di chiudere i vari ‘’gap’’, questa notte Vogel ha definitivamente indirizzato la squadra verso il raddoppiare e, quindi ancora una volta, cercare di levare la palla dalle mani del numero 0 o di McCollum.
Ad inizio clip vediamo Dame chiamare l’ISO, di conseguenza Kuzma sale e si mette in una posizione tale da occupare il gap lasciato libero dalle spaziature. Si posiziona per la “zona” anche LeBron in modo da riuscire a difendere sia su Trent che su Hezonja. Davis e Morris rimangono invece in single coverage. Lillard viene quindi costretto al passaggio e James intercetta. A fine secondo quarto viene chiamato lo stesso isolamento, cambiano gli interpreti ma la sostanza rimane la stessa: Lillard è costretto a passarla a C.J., questo permette alla difesa di ruotare e tornare in posizione di vantaggio. Il risultato è un tiro contestato di Melo senza aver costruito nessun vantaggio. Anche qui l’obbiettivo primario è stato realizzato: togliere la prima opzione offensiva dai giochi.
Dulcis in fundo parliamo dell’attacco dei Lakers. La situazione dall’arco è nettamente migliore di gara 1, non che ci volesse tanto. Davis e KCP, combinati, hanno realizzato 7 delle 14 triple messe a segno dai Lakers (Davis ¾ da 3, KCP 4/6 da tre), un segnale che fa ben sperare. I giocatori a cui son richieste alte percentuali al tiro però non sono solo loro due, Green, Morris e Caruso hanno ancora una volta deluso le aspettative tirando con un complessivo 2 su 12 dalla lunga distanza.
L’attacco in generale dei Lakers mi è piaciuto a tratti, ma quando hanno spinto sull’acceleratore si è vista la differenza. LeBron per esempio quando gioca in post-up diventa un ‘’pick your poison’’: tre ricezioni in post, tre risultati uguali. 1. Trent raddoppia su James, quest’ultimo scarica. Giro palla fino all’angolo dove Davis attacca il close-out. Il post qui ha mosso tutta la difesa. 2. Non arriva nessun raddoppio e James può ‘’bullizzare’’ Trent fino a sotto canestro. 3. Viene raddoppiato sul fondo dal lungo, scarico ‘’facile’’ per la bimane di Davis.