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Cosa abbiamo imparato dal secondo giorno di playoff

La Redazione by La Redazione
20 Agosto, 2020
Reading Time: 19 mins read
0
playoff day 2

Copertina a cura di Nicolò Bedaglia

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Tutte le gare inaugurali di questo primo turno di playoff nella bolla di Disney World sono state finalmente giocate. Rispetto alle prime quattro partite però (potete trovare le analisi post partita qui), questa seconda manche di gare 1 ci ha regalato risultati decisamente più inattesi: era dal 2003 che entrambe le teste di serie non perdevano la gara inaugurale del primo turno di playoff, e ovviamente un fatto atipico del genere non poteva che capitare nel contesto più atipico della storia della Lega.

Andiamo pertanto ad analizzare nel dettaglio i matchup delle serie tra Milwaukee e Orlando, Indiana e Miami, Houston e Oklahoma City, per finire con quello tra Los Angeles Lakers e Portland.

 

MILWAUKEE BUCKS – ORLANDO MAGIC (0-1)

analisi di Davide Torelli

Quando detieni il miglior record della lega, ed affronti una squadra apparentemente strutturata per non impensierirti, è decisamente inaspettato uscire sconfitti. Di fatto, la prima vera sorpresa della postseason è la vittoria degli Orlando Magic sui Milwaukee Bucks, piuttosto netta a vantaggio dei “padroni di casa” della bolla.

I ragazzi di coach Budenholzer incassano la bellezza di 122 punti da una squadra in cui l’assenza conclamata di Jonathan Isaac pesa, oltre a quelle di Aaron Gordon e Michael Carter-Williams che restituiscono a coach Steve Clifford una rotazione più corta del solito.

L’atteggiamento iniziale di Milwaukee è prevedibile, ma non paga: concedere liberamente il tiro ad Orlando, venticinquesima squadra nella lega per percentuale da da dietro l’arco. L’idea è quella di creare immediatamente uno strappo, senza sforzarsi troppo, e gestire il vantaggio facendo assaggiare il campo a gran parte dei giocatori a disposizione. Invece l’avvio è più che incoraggiante per i Magic, che al primo time out hanno 7 punti di vantaggio, con l’87% dal campo ed il 75% da tre. Che Vucevic sia in serata di grazia si vede subito, così come la scelta azzeccatissima di schierare Markelle Fultz nello starting five, al posto di D.J. Augustin. L’ex prima scelta assoluta inizia con un 4 su 4 dal campo, che diviene 5 su 6 all’halftime, per 11 punti a referto (chiuderà con 15 punti e 6 assist).

I temi che caratterizzeranno la partita, si manifestano subito, soprattutto guardando al macchinoso attacco di Milwaukee, con un Giannis poco supportato (che comunque non aggredisce l’incontro come ci saremmo potuti aspettare, spesso battezzato al tiro nel finale), un Middleton decisamente in serata no ed un Bledsoe dubbioso in entrambi i lati del campo. I Bucks forzano pochissimo le transizioni, sottomettendosi ad un ritmo ideale per i Magic, che sfruttano la mano caldissima di Vucevic, coinvolgendolo nell’unico gioco efficace in attacco che hanno a disposizione, il pick and roll. Come se non bastasse, la pur corta panchina di Orlando si inserisce perfettamente in partita, con l’ottimo impatto proprio di Augustin ed un super Terrence Ross.

Le defezioni aprono il quintetto ad un Gary Clark da 16 punti e 6 rimbalzi, accompagnato dalla buona prestazione di un James Ennis da due triple: tutto funziona nel modo giusto, tanto che la pessima serata di Evan Fournier (che si sveglia sostanzialmente nel finale), passa quasi inosservata.

Il vero problema per Milwaukee è da cercarsi nella metà campo difensiva, ed i 62 punti subiti nei primi due quarti lo anticipano in modo piuttosto solido. È vero che i Magic vedono il canestro come immenso, chiudendo di poco sotto il 50% dal campo ed il 40% da tre, e l’atteggiamento inadatto con cui Giannis e compagnia si presentano in campo, si conferma di azione in azione. Anche quando i Bucks provano a forzare parziali di rientro, rapidamente ricacciati indietro dal solito Vucevic, che chiude con 35 punti, 14 rimbalzi ed un ottimo 5 su 8 da tre punti, in quella che probabilmente è la miglior partita in carriera. Sicuramente una serata magica, favorita anche da una prestazione pessima di Brook Lopez su entrambi i lati del campo (chiude con un pessimo 0/4 dall’arco, senza trovare risposte convincenti per limitare il serbo). Insomma, quella che sarebbe la miglior squadra della lega (numeri alla mano) è troppo brutta per essere vera.

Anche nell’ultima frazione, la sensazione è che non ci siano margini seri di rientro, quasi mancassero le energie (o gli stimoli) per provarci davvero, come se si trattasse di una gara di regular season. Orlando non ci pensa due volte a sfruttare l’occasione, e per il secondo anno consecutivo pesca il jolly all’esordio in postseason (come i campioni in carica di Toronto ricorderanno bene, all’avvio della loro cavalcata vincente della scorsa stagione).

Certo che, a livello di accorgimenti da compiere in vista di gara 2, per Budenhozer c’è solo l’imbarazzo della scelta. Dopo esser finiti sotto uno a zero, le motivazioni non dovrebbero mancare, e di conseguenza recuperare il supporting cast ad Antetokounmpo non dovrebbe essere impossibile. Middleton in particolare, metronomo conclamato di un attacco che non può dipendere dal solo George Hill a supporto del greco, considerando il 2 su 9 registrato da Lopez e la pessima selezione di scelte di un Bledsoe disastroso.

Per i Magic invece, la situazione ideale sarebbe replicare la prestazione di gara 1 recuperando parte degli assenti, nella speranza di allungare il più possibile una serie troppo presto liquidata in previsione come sweep. Il rientro di Gordon dovrebbe sicuramente aiutare, anche per aggiungere sostanza sotto canestro, dove la batteria di lunghi dei Bucks darà probabilmente un contributo superiore, permettendo al greco di performare in modo più convincente di quanto già visto.

Interessante la potenziale alternanza di Augustin e Fultz nello starting, con quest’ultimo decisamente battezzabile al tiro ma indubbiamente dotato di particolare dinamismo, nell’improvvisare creazioni che spezzino la monotonia del pick and roll per favorire Vucevic.

 

INDIANA PACERS – MIAMI HEAT (0-1)

analisi di Davide Possagno


I Miami Heat vincono gara 1 contro gli Indiana Pacers dopo una partita molto equilibrata, nonostante i Pacers abbiano dovuto fare a meno di Victor Oladipo (uscito a causa di un colpo al volto subito da Jae Crowder) per gran parte della partita. Vediamo nello specifico quali aspetti hanno consentito a Miami di vincere la partita e in che modo Indiana sia riuscita a rimanere a galla nonostante l’infortunio dell’ex-Thunder.

Oladipo gets poked in the eye pic.twitter.com/sGJgTd3p1a

— Main Team (@MainTeamSports) August 18, 2020

 

Indiana, come pronosticato nella preview di qualche giorno fa, ha iniziato a difendere forte dal primo minuto, sporcando numerosi palloni e convertendo le palle perse degli Heat in punti veloci (ben 8 nella sola prima frazione su 33 totali) anche in transizione.

 

Nel primo periodo l’attacco di Miami è risultato poco fluido a causa di un’ottima difesa dei Pacers e gli uomini di Spoelstra hanno spesso rinunciato a buoni tiri per effettuare extra passes complicati e facilmente intercettabili dalla difesa. Gli Heat hanno infatti perso 5 palloni sui 9 totali della partita nei 12 minuti iniziali. Nel corso del match gli “ospiti” sono riusciti a invertire il trend sfruttando la stessa strategia dei Pacers, ovvero difendendo forte e segnando in transizione. Questo è stato possibile anche a causa della rotazione corta di Indiana, la cui efficienza sia offensiva che difensiva è andata inevitabilmente calando nel corso della partita.

Se la partita è stata combattuta fino alla fine, parte del merito va alla panchina dei Pacers che nella prima metà ha contribuito a un primo allungo nel quarto iniziale (33-25 Indiana) mentre nel terzo periodo ha riportato Indiana sul -1 (80-81 con 12’ da giocare) grazie a un parziale di 9-1 negli ultimi tre minuti. Nel corso del match, particolarmente efficaci sono risultati Justin Holiday (11 punti con 4/4 dal campo e 3/3 da 3) e JaKarr Sampson (10 punti con 5/6 dal campo e 3 rimbalzi), aiutati da T.J. McConnell, autore di canestri importanti nel terzo quarto.

 

Se da una parte la prova della second unit di Indiana è stata molto positiva nonostante la sconfitta, il rendimento futuro potrebbe non essere altrettanto buono: nella partita di ieri, infatti, i “panchinari” dei Pacers hanno giocato una partita ai limiti della perfezione e sono stati in grado di punire la second unit di Miami, e talvolta anche i titolari, praticamente in ogni occasione; è difficile, però, pensare che questo rendimento sia sostenibile, specialmente a lungo termine.

Senza Oladipo, la difesa dei Miami Heat ha potuto concentrarsi esclusivamente su Malcolm Brogdon (22 punti con 6/18 al tiro e 10 assist) e T.J. Warren (22 punti con 9/18 dal campo e 4/5 da 3), che, nonostante le attenzioni riservate a loro da parte degli Heat, per quasi tutta la partita sono stati in grado di tenere a contatto i Pacers, specialmente nel terzo quarto. Nello specifico, Brogdon ha sfruttato la scarsa mobilità di Duncan Robinson (accoppiatosi all’ex-Bucks dopo un opportuni cambi difensivi) per attaccarlo costantemente dal palleggio finendo facilmente al ferro o procurandosi liberi.

 

Warren, raddoppiato costantemente nelle situazioni di isolamento, è stato bravo a segnare i tiri aperti creati dall’attacco dei Pacers e a sfruttare le disattenzioni degli Heat.

 

Complice la mancanza di Oladipo, però, entrambi hanno fatto molta fatica nel quarto finale (2/8 complessivo al tiro per 7 punti totali): Brogdon ha sofferto molto la marcatura di Andre Iguodala, preferito ovviamente a Robinson, mentre Warren, come scritto sopra, ha subito numerosi raddoppi dalla linea di fondo che hanno causato palle perse o che hanno costretto l’ex-Suns a scaricare il pallone. Aver avuto Victor Oladipo nell’ultimo quarto avrebbe sicuramente consentito ai Pacers di provare altre soluzioni offensive in modo da costringere la difesa di Miami a operare in modi diversi.

 

Il duello tra Myles Turner e Bam Adebayo, descritto nella preview come una delle chiavi per questa serie, è stato ampiamente vinto da quest’ultimo che ha ripetutamente attaccato il centro degli Indiana Pacers in maniera molto aggressiva finendo con 16 punti, 10 rimbalzi, 6 assist e 3 stoppate.

 

Dall’altra parte Turner non è mai entrato in ritmo e gli unici suoi canestri (4/11 dal campo e 0/3 da tre punti) sono stati a pochi centimetri dal ferro e tutti assistiti. I Pacers dovranno sicuramente cercare di coinvolgerlo maggiormente nelle prossime sfide in modo da impegnare Bam Adebayo in difesa sperando che arrivi meno fresco in attacco.

Per finire, Miami deve parte della vittoria alle prestazioni di Goran Dragic e Jimmy Butler nel quarto periodo, autori rispettivamente di 14 e 10 punti. Nello specifico, gli Heat sono stati bravi a sfruttare la stanchezza degli avversari per muovere molto il pallone in attacco e trovare tiri aperti soprattutto per lo Sloveno (6/10 al tiro e 2/4 dall’arco).

 

A infliggere il colpo di grazia ci ha pensato un Jimmy Butler finalmente clutch che nei 3 minuti finali ha segnato 2 triple (non accadeva da inizio febbraio) e un tiro dal midrange che hanno reso vani gli ultimi tentativi di rimonta di Indiana.

 

HOUSTON ROCKETS – OKLAHOMA CITY THUNDER (1-0)

analisi di Francesco Contran

Nella prima partita della serie playoff forse più attesa del primo turno, abbiamo assistito a un massacro da parte degli Houston Rockets contro gli Oklahoma City Thunder. Il 108-123 finale non rende comunque a pieno l’idea di come la partita sia stata a senso unico da metà primo quarto fino alla fine. Per sopperire all’assenza di Russell Westbrook, i Rockets hanno promosso Eric Gordon in quintetto e il numero 10 non ha deluso, dimostrandosi dominante e completamente ristabilito dagli infortuni che lo hanno fermato durante la stagione.

Per rimpiazzare Dort, invece, i Thunder si sono affidati a Terrance Ferguson nella starting lineup, per poi operare con una staffetta insieme a Diallo e Dennis Schröder. Il piano partita di Billy Donovan però non ha funzionato e a Mike D’Antoni sono bastati un paio di aggiustamenti per mettere in crisi prima l’attacco, e poi anche la difesa dei Thunder. Andiamo ora a vedere quelle che sono state le chiavi tattiche di gara 1.

1) L’assenza di Dort e la difesa su Harden

Come già anticipato nella preview, l’assenza del rookie undrafted Luguentz Dort rischiava di pesare più di quella della superstar Russell Westbrook nel computo totale della serie. Questo perché Oklahoma City ha perso il suo miglior difensore, nonché l’unico in grado di marcare stabilmente James Harden. La scelta di Terrance Ferguson, a mio parere estremamente sbagliata, poteva rivelarsi ancor più disastrosa: basti pensare che il giocatore commette il primo fallo contro il Barba dopo soli 18 secondi. La cosa peggiore è che la sua mancanza di tiro perimetrale, che rifiuta di prendere anche quando smarcato, ha consentito poi agli Houston Rockets di chiudersi in una sorta di zona che ha impedito ai Thunder la loro principale fonte di produzione offensiva.

 

La marcatura di Ferguson su Harden ha concesso un 75% dal campo e un 2/3 dall’arco in 11.4 possessi, decisamente non all’altezza della situazione. Non molto meglio ha fatto Andre Roberson, impiegato per soli tre minuti in cui ha concesso un fallo su tiro da tre e un layup, mentre Shai Gilgeous-Alexander si è dimostrato incapace di reggere nei pochi accoppiamenti. Solo Dennis Schröder, candidato al sesto uomo dell’anno, ha parzialmente contestato il miglior scorer della NBA cercando di non commettere fallo e di fare pressione sul pallone, riuscendo nell’intento di rendere James meno efficiente del solito, ma comunque devastante.

2)La difesa heavy switch di Houston e il muro in area

Sorprendendo i Thunder, Houston ha deciso di attuare una difesa volta alla protezione dell’area per impedire a SGA, che di media ha 16.4 drives a partita, di arrivare al ferro: ciò è stato possibile perché i Thunder hanno quasi sempre avuto in campo un lungo e un non tiratore tra Ferguson, Diallo e Roberson. Cambiando su ogni blocco i Rockets sono poi riusciti ad annullare Chris Paul: non fatevi ingannare dal tabellino, CP3 è stato tra i peggiori in campo.

Non riuscendo a muovere bene la palla e a trovare buchi nella difesa perfetta di Houston, che impediva con raddoppi preventivi di attaccare i mismatch a Steven Adams, la produzione offensiva di Oklahoma City ha avuto effetto praticamente solo ai tiri liberi nei minuti iniziali. Anche in transizione difensiva, lo sforzo di Houston è stato encomiabile, tanto che per trovare un tiro aperto i Thunder ci hanno messo dieci minuti, quando la difesa è collassata su Adams lasciando una comoda tripla a Bazley.

 

Prima di ciò, forzature su forzature in uno contro uno completamente improduttive, con mancanza totale di movimento di uomini senza palla e di movimento di palla. Facendo uscire subito Paul e Shai dalla partita i Rockets hanno iniziato a costruire il loro vantaggio sfruttando gli errori sempre più frequenti della difesa dei Thunder e un ritrovato Eric Gordon.

3) Eric Gordon e la panchina dominante dei Rockets

Il vero mattatore della gara, nonostante la partita pazzesca di un James Harden che non è sembrato nemmeno particolarmente impegnato, è stato Eric Gordon, insieme alla panchina dei Rockets formata da McLemore e Jeff Green. Houston è infatti sorprendentemente scappata via quando Harden è uscito, reggendo in difesa e cominciando a trovare i canestri dall’arco che le erano sfuggiti nei primi sei minuti di gara. Il Barba esce in vantaggio 19-13 e rientra sul 42-28, in un lasso di tempo in cui Houston ha condotto anche di 17 lunghezze. Il motivo è molto semplice, Eric Gordon ha assolto benissimo il compito di sostituire Russell Westbrook, battendo spesso e volentieri il suo uomo dal palleggio e lanciandosi in area, dove il sistema di aiuti dei Thunder o non funzionava bene, o arrivava lasciando esposto il lato debole, su cui Adams e Gallinari si sono rivelati lenti (a tratti in modo imbarazzante) nel recuperare. Il risultato è che i Rockets abbiano tirato sì molte triple (52 in totale convertite col 38%), ma la maggior parte di questi tiri erano ben costruiti e per nulla forzati.

 

Gordon ha poi stupito nel concludere al ferro con facilità, incontenibile per la difesa pessima dei Thunder, mentre Jeff Green e McLemore si sono sempre trovati al posto giusto nel momento giusto per colpire dall’arco. La panchina di OKC, superiore sulla carta, non ha saputo battere la rotazione a otto uomini dei Rockets. Hamidou Diallo è stato tragicomico nelle scelte di tiro, con due airball smarcato dagli angoli, oltre a questo tiro qui sotto grazie a cui potrete capire la sofferenza dei tifosi Thunder.

 

L’unico sostituto all’altezza in attacco è stato Bazley, mai esitante da tre e buon contributo a rimbalzo. A proposito di questo, con Adams e Noel ci si attendeva un dominio sotto i tabelloni: così non è stato e per larga parte della gara i Rockets hanno addirittura condotto nel computo dei rimbalzi. Adams ha preso quattro rimbalzi offensivi, ma i Thunder in generale non hanno sfruttato il loro vantaggio di taglia.

4) I disastrosi (non) aggiustamenti di Donovan

Quando Billy Donovan ha capito che con due giocatori senza tiro non si poteva creare nulla e ha messo in campo Schröder, l’attacco di OKC è migliorato, ma la difesa non è mai riuscita a salire di livello. Billy ha giocato la carta Mike Muscala per allargare il campo, ma il meglio che OKC ha creato è stato con isolamenti di Gallinari, che ha sempre o quasi tirato in testa al marcatore diretto senza problemi. Danilo è stato il migliore dei Thunder con 29 punti e buone percentuali, ma è stato impiegato da 4 in difesa, rivelandosi estremamente lento, dove il lato debole dei Thunder ha fatto acqua da tutte le parti. Abbiamo visto un buon giro palla solo con la death lineup in campo, impiegata però solo a fine secondo quarto e non per più larghi tratti della partita come forse sarebbe stato utile.

Donovan ha insistito a voler giocare sempre con un centro tradizionale tra Adams, Noel e Muscala, ed è stato punito in difesa, non ottenendo nemmeno ciò che voleva in attacco. Con una difesa a murare l’area e le braccia lunghe di Houston, il lungo neozelandese avrà avuto in tutta la gara non più di una ricezione pulita in post, impattando pochissimo. Questa sorta di zona ha poi messo in crisi il midrange game dei Thunder, che hanno preso solo nove tiri, forzati peraltro, da quello spot, quando di norma prendono circa dodici tiri aperti a partita. Messo in crisi Chris Paul e fermato sul nascere Shai Gilgeous-Alexander, per OKC non c’è stata quindi speranza di vincere.

5) Cosa aspettarci dalle prossime gare?

Senza Dort il problema di difendere Harden è rimasto lo stesso, in una partita in cui The Beard ha dominato pur non essendo appariscente. La speranza per OKC è che la panchina dei Rockets non sia sempre così efficace al tiro, ma ciò deriva allo stesso tempo da una difesa troppo impacciata e approssimativa dei Thunder. Importante sarà comunicare meglio e andare forte a chiudere gli angoli, da cui PJ Tucker e Ben McLemore hanno triturato la difesa di OKC. Siccome peggio di Ferguson non si può fare, fossi in Donovan giocherei la carta Abdel Nader, che sa tirare e mettere palla a terra, ma in generale bisogna organizzare un attacco con maggior movimento di uomini e palla. La difesa di Houston è stata molto efficace perché quattro giocatori dell’attacco di OKC stavano costantemente fermi. Cosa ancor più importante è difendere senza commettere fallo, soprattutto sul tiro dall’arco, cosa che i Thunder sono riusciti a mettere in pratica solo nel secondo tempo.

Shai Gilgeous-Alexander, Chris Paul e Dennis Schröder devono giocare maggiormente insieme, e se Adams non riesce a segnare punti veloci all’inizio Donovan dovrebbe avere il coraggio di osare e utilizzare uno small five con Bazley da 4 e Gallinari da 5. Aggiustare la difesa e muovere di più il pallone in attacco sono le chiavi per i Thunder, ma onestamente non regna l’ottimismo: Houston ha dimostrato di essere nettamente favorita anche senza Westbrook e se il game plan non cambia il rischio di una figuraccia epocale è dietro l’angolo.

In quel caso Billy Donovan avrebbe dimostrato l’ennesima incapacità di gestire gli aggiustamenti di un altro coach in postseason, cosa evidente sin dall’inizio della partita: con i giocatori spaesati di fronte a una squadra fatta apposta per contrastarli, il coach dei Thunder non è riuscito a trovare contromisure.

OKC può sperare di vincere una partita? Probabilmente sì. Ma la serie, senza il rientro di Dort e un cambiamento netto nel gioco difensivo potrebbe finire molto presto.

 

LOS ANGELES LAKERS – PORTLAND TRAIL BLAZERS (0-1)

analisi di Andrea Poggi

Il ritorno ai playoff dopo sette anni non poteva essere più amaro di così: Lillard e compagni entrano in campo carichissimi mentre i Lakers in maniera molto più soft e tutto questo si tramuta in pessime difese e tiri aperti sbagliati.

La principale fonte di attacco di Portland è il pick and roll. Lillard in stagione ne gioca 13.7 a partita (circa il 51% delle sue azioni, fonte NBA.com) realizzando 15.8 punti con il 46.8% dal campo. Questo utilizzo spropositato del pick and roll dovrebbe mettere in allarme qualsiasi squadra che gioca contro Portland, ieri sera però non è successo per la maggior parte della gara.

I Lakers durante la stagione hanno limitato il pick and roll (grazie anche a Bradley) utilizzando l’ICE e l’hanno riproposta anche in gara 1. L’ICE forza il portatore di palla ad andare lungo la linea laterale, cercando di togliere il centro. Il lungo in difesa, invece, agirà in modo da contenere (in gergo drop) la penetrazione del playmaker avversario lungo la linea di fondo.

 

Come è possibile vedere l’ICE ha i suoi pregi e difetti. Il primo gioco a due tra Lillard e Gabriel viene contenuto egregiamente dalla difesa dei Lakers: Davis (anche se in drop) esce abbastanza aggressivo su Damian e non si deve preoccupare di Gabriel poiché non è una minaccia credibile dall’arco. Dopo il ribaltamento del lato però possiamo notare i difetti. Anthony viene ingabbiato tra James e McGee ma Nurkic rimane libero da 3 punti, il close-out di LeBron è un po’ fiacco ed i Blazers segnano. La seconda clip propone lo stesso schema difensivo solo a portare il blocco questa volta è un tiratore, Melo infatti si trova libero da tre e pronto a ricevere il passaggio: questo avviene poiché Morris è concentrato sul portatore di palla. Ottima intuizione di Portland che riconosce lo schema difensivo ed esegue il gioco con due tiratori.

L’altro problema della difesa su pick and roll di questi Lakers è il ‘’droppare’’. I difensori del bloccante si staccano dal pick and roll in modo da contenere la penetrazione, tenere sotto controllo il rollante e permettere al difensore sulla palla di recuperare. Questo tipo di difesa però concede spazio al palleggiatore: spazio che può essere fatale se giochi contro Lillard e McCollum. Damian in stagione ha tirato con una frequenza del 37% in pull-up da tre, convertendo 3.1 triple su 7.6 a partita (40.4%, via NBA.com), mentre CJ ha fatto peggio (e meno) con 1.2 triple tentate su 3.8, tutt’altro che élite ma rimane un giocatore che non esita a tirare che sia dal palleggio o in altre situazioni.

 

 In entrambe le clip possiamo vedere la stessa situazione: pick and roll centrale con il lungo Lakers in drop pronto a difendere l’area noncurante del fatto che entrambe le guardie di Portland siano in grado di tirare in questo genere di situazioni. Nella seconda clip in particolare possiamo notare come Davis difenda sulla linea dei tre punti non rendendosi conto che: 1. KCP non riesce a passare sopra al blocco e Lillard lo semina, 2. Whiteside all’altezza di centro campo non è una minaccia e 3. Lillard ha le gambe per tirare da metà campo.

Un modo per arginare questo tipo di offensiva potrebbe essere quello di ricorrere al ‘’blitz’’ o all’hard hedge. Il primo metodo consiste nel raddoppiare il portatore di palla, un metodo ottimo per mettere pressione e levare la palla dalle mani del pericolo principale. L’idea è quindi quella di mettere pressione a Lillard (che non eccelle in situazioni di raddoppio) quindi fargli scaricare la palla e far gestire il possesso ad un giocatore meno capace (o comunque rallentare l’azione). Qui possiamo vedere tre diversi raddoppi. Il primo viene portato da Morris e Caruso ma non abbastanza velocemente, difatti Lillard passa nel mezzo ad entrambi e arriva ad appoggiare al ferro. Il secondo e il terzo blitz invece sono eseguiti in modo molto migliore rispetto al primo: Damian e CJ vengono costretti a scarichi difficili e ad affidarsi a comprimari per prendere le decisioni. C’è da dire che in tutte e due le clip dove il ‘’blitz’’ è riuscito la rotazione non è stata sempre perfetta (nella clip finale Trent viene lasciato libero da dietro l’arco).

 

Il tema di far prendere decisioni ai compagni di Lillard e CJ dovrebbe essere accentuato di piu, specialmente quando colui che deve decidere è whiteside. Nel video sottostante possiamo vedere come Whiteside non si accorga della rotazione di Morris (complice anche una cattiva ricezione) e del seguente recupero di AD. I Lakers dovrebbero mettere più in luce questo neo dell’attacco di Portland.

 

Passando invece alla metà campo di attacco possiamo dire che è stato un disastro per i Lakers. LeBron&co hanno tirato 5/32 da tre punti (15,6% seconda peggiore prestazione di sempre) nonostante i tiri generati fossero aperti. I quintetti proposti da Vogel, inoltre, non sempre sono ottimi. Giocare con il doppio centro si rivela inutile dato che McGee e Howard intasano l’area e non c’è nessun beneficio in difesa poiché questi ultimi due non hanno la mobilità necessaria per reggere su un cambio o un hard hedge.

 

Tags: Houston RocketsIndiana PacersLos Angeles LakersMiami HeatMilwaukee BucksOklahoma City ThunderOrlando MagicplayoffPortland Trail Blazers
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