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Il futuro della NBA

Giorgio Di Maio by Giorgio Di Maio
14 Agosto, 2020
Reading Time: 6 mins read
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Futuro NBA

Copertina a cura di Sebastiano Barban

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La storia ormai è nota, se non trita e ritrita. Il coronavirus ha scombussolato gli equilibri del mondo sportivo e non, lasciando ben poche certezze dopo il suo passaggio. Persino la NBA, una delle leghe più potenti e forti economicamente del mondo, sembra dover scendere a patti con l’incertezza generale, avendo dovuto rivedere i piani per quest’anno e quasi sicuramente anche per la prossima stagione.

La “toppa” quest’anno è stata rappresentata dalla Bolla, l’ambiente super controllato e protetto deciso dalla NBA per proseguire dalla stagione. Finora l’esperimento sembra star funzionando, con i casi di Coronavirus ridotti a zero e una buona qualità delle partite della ripresa. Confrontata con gli altri sport americani la Bolla è stata sicuramente un successo, visti i casi della MLB, falcidiata dalle positività al coronavirus dei Marlins, e quello della MLS e della NFL, che tra giocatori che decidono di non giocare e i problemi logistici sembrano non poter ripartire efficacemente.

Nel prossimo futuro sembra che, almeno in paesi colpiti duramente come l’America, lo sport non possa che riprendere tramite delle bolle sportive, ma è un opzione sopportabile sul lungo termine? La risposta è sicuramente no.

La MLS e la MLB hanno provato a riprendere quasi come se nulla fosse successo, in una maniera simile a quella della nostra Serie A. Il tentativo del baseball è comicamente deragliato con una partita annullata all’ultimo a causa dei ben 14 positivi in casa Marlins. Non è andata meglio in MLS, dove l’FC Dallas non prenderà parte alla ripresa del campionato a causa di 10 positivi. L’unica soluzione quindi resta la Bolla, che continua ad essere presa in considerazione dalla NBA ma che potrebbe avere degli impatti pesanti sul lungo termine.

È notizia recente che Adam Silver stia valutando il sistema delle Bolle regionali. Le Bolle avrebbero la durata di un mese con una/due settimane di riposo tra una Bolla regionale e l’altra. L’obiettivo della NBA è chiaro, giocare 82 partite iniziando da dicembre e finendo a giugno. Le 82 partite sono cruciali sia a livello economico che a livello di calendario, con una stagione troppo lunga che andrebbe a sovrapporsi con le prossime Olimpiadi.

Già, proprio le Olimpiadi. La massima manifestazione sportiva del mondo è essa stessa a serissimo rischio a causa del coronavirus, e ad oggi sembra praticamente impossibile ospitare atleti da 150 paesi diversi senza incorrere in problemi. In ogni caso la speranza del CIO è quella di disputare delle Olimpiadi regolari a Tokyo la prossima estate ed è giusto che la lega si ponga il problema della convivenza. La sovrapposizione con la manifestazione olimpica potrebbe essere semplicemente risolta stoppando la NBA per le due settimane olimpiche come fatto dalla WNBA, ma al momento le Olimpiadi non sembrano essere la priorità numero uno dal punto di vista del calendario.

Discorso diverso per la data della ripartenza. Per ora quella ipotizzata è del 1 dicembre, ma anche su questo bisognerà vedere se l’emergenza coronavirus tornerà a dare tregua all’America. Senza dubbio sarà molto complicato rivedere spettatori nelle arene, con la NBA che probabilmente giocherà nelle strutture di allenamento, più semplici da sistemare per la televisione. Non è da escludere l’utilizzo, oltre che delle Bolle regionali, anche di sedi neutrali che possono permettere la presenza di tifosi, in modo da massimizzare il profitto e di portare la NBA in zone che sono state commercialmente meno battute come Las Vegas. Una delle ipotesi sul tavolo di Adam Silver è il far iniziare la stagione a marzo sulla falsariga di quella che si sta svolgendo adesso, nella speranza che per quel periodo possa essere disponibile un vaccino e quindi le persone possano tornare sugli spalti, limitando i danni economici.

Il quadro economico resta difficile anche per le franchigie stesse. I Golden State Warriors hanno chiesto un prestito di 250 milioni a Goldman Sachs da utilizzare per coprire le perdite, e i Warriors sono la terza franchigia per valore nella NBA. Molte franchigie NBA, in mercati non floridi come quello di San Francisco, si sono visti costretti a licenziare dipendenti o addirittura a mettere la stessa franchigia in vendita, come nel caso dei Minnesota Timberwolves. Tutto questo avrà un forte impatto anche sul lato tecnico, con le squadre che hanno sofferto di più della crisi economica che saranno praticamente obbligate a dare via i loro contratti più pesanti attaccando anche scelte del primo giro, uno scenario che non si presenta dal 2013 (la cessione di Rudy Gobert).

Non è una situazione rosea nemmeno per i giocatori. Quest’estate era prevista una FA piuttosto povera di grandi nomi e con tanti giocatori non di prima fascia pronti a ricevere dei buoni contratti. La crisi ha azzerato tutto. Con le perdite attuali difficilmente le squadre si getteranno in maniera aggressiva sul mercato dei free agent. Il salary cap verrà rivisto ad un leggero ribasso secondo le stime attuali, per il calo degli introiti, sostanzialmente posticipando la FA all’anno prossimo.

Anche a livello “sindacale” la situazione non è rosea per i giocatori. Con l’attuale CBA, che prevede la divisione degli introiti in un 50-50 con i proprietari, i giocatori sono obbligati a condividere le perdite con le franchigie, restituendo i soldi guadagnati col proprio stipendio in caso di perdite. Da questo punto di vista è probabile che ne vedremo delle belle, dato che l’attuale CBA può essere terminato per una causa di forza maggiore come una pandemia. Va però considerato che se già ora le perdite per i giocatori sono pesanti (hanno dovuto rinunciare al 25% degli stipendi a causa della pandemia) un braccio di ferro tra la NBPA e la NBA potrebbe essere doloroso per entrambe le parti.

Dolorosa è stata e sarà l’offseason delle cosiddette “Delete 8”, le otto squadre che non ce l’hanno fatta a qualificarsi per Orlando. Si è parlato per un periodo di una bolla di allenamento che coinvolgesse queste otto squadre, ma come riportato dai vari media americani le discussioni si sono praticamente azzerate. La prospettiva attuale per queste squadre, come i Chicago Bulls e i Minnesota Timberwolves, è di un’estate priva di basket anche nelle loro arene di allenamento.

Al momento non sono previsti e permessi allenamenti di squadra e probabilmente sarà così per l’intera estate. Queste otto squadre rischiano, in caso la NBA riprendesse per davvero a marzo come paventato poco sopra, di dover passare praticamente un anno intero senza allenamenti di squadra. Una prospettiva che sarebbe assurda a livelli dilettantistici, figuriamoci nella migliore lega di basket del mondo. Una cosa è certa, se la NBA vuole tutelare la salute e la sua stessa esistenza dovrà occuparsi al più presto del problema delle squadre che non ce l’hanno fatta ad esserci ad Orlando, che sia organizzando bolle regionali o che sia lavorando per fare in modo che gli siano permessi allenamenti di squadra.

Ci sono stati sicuramente degli aspetti positivi nella Bolla ed uno di questi, a parer mio, è il meccanismo del play-in. Abbiamo già avuto l’esempio qualche anno fa con un Nuggets-TWolves spareggio playoff all’ultima partita, ma il play-in ha dimostrato di poter ravvivare il finale di stagione e di poter rendere la lotta per l’ultimo posto ai playoff molto più avvincente, ad esempio con la cavalcata di Suns e Trail Blazers. L’emergenza può essere un occasione per provare nuove idee come il torneo di metà stagione ipotizzato da Silver lo scorso anno, sulla falsariga del calcio, ma al momento non sembra essere un idea particolarmente battuta dagli uffici della NBA. Discorso diverso per il play-in che sembra possa essere tenuto e addirittura ampliato a più squadre, ma al momento nella NBA regna molta incertezza.

Ad oggi non sappiamo nemmeno se la prossima stagione avrà 82 partite, ma in questo caso sarà la pandemia a fare da giudice. Molti dirigenti continuano ad essere scettici della possibilità di una stagione NBA regolare di 82 partite l’anno prossimo, e l’argomento sarà uno dei nodi cruciali di cui si discuterà nell’offseason: il vincolo attuale delle 70 partite per i diritti TV, però, mette con le spalle al muro la lega. Riuscirà la NBA a superare la crisi più pesante dal suo concepimento? La lega più creativa e progressista del mondo si è già messa al lavoro con la Bolla, tra gli occhi puntati del mondo. Chiunque abbia visto almeno una volta nella sua vita una palla a spicchi rotolare in una nottata di playoff non può non sperare che Adam Silver e compagnia riescano a passare oltre l’ennesimo ostacolo.

Tags: adam silvernbaPlay-in
Giorgio Di Maio

Giorgio Di Maio

Giorgio Di Maio vive a Roma dove è nato nel 1997. Lavora per Ubitennis e in passato ha collaborato con Dude Mag ed NBA Revolution. Tifa Roma e Chicago Bulls.

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