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Com’è giocare senza pubblico?

Cesare Russo by Cesare Russo
6 Agosto, 2020
Reading Time: 10 mins read
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Com'è giocare senza pubblico?

Copertina a cura di Edoardo Celli

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L’NBA è ormai entrata a pieno regime nella bolla e Adam Silver può festeggiare la riuscita di un esperimento che ha restituito al mondo il miglior basket del pianeta, pur con degli ovvi compromessi.

Il più ovvio è stato ovviamente la totale assenza di pubblico e, insieme ad esso, tutto ciò che rende una partita NBA lo spettacolo che amiamo. Oggi proveremo a capire quali sono le implicazioni che questo cambiamento porta con sé e quali sono gli sforzi della Lega per compensarle.

La prima cosa da dire è che l’eventualità di giocare in silenzio era assolutamente da scartare per diversi motivi e così è stato. La musica, per esempio, ha un effetto straordinario sulle prestazioni sportive, effetto dimostrato da diversi studi scientifici (come questo ad esempio, che descrive in maniera precisa quando e come influisce sui risultati della pratica sportiva) e riconosciuto dai giocatori stessi più volte. La musica, quindi, ci deve essere. Ma non basta.

Per quanto l’idea di 48 minuti di basket NBA con un sottofondo costante di The Notorious B.I.G., Kendrick Lamar, Lil Wayne e A$AP Rocky sia estremamente affascinante e renderebbe la realtà un passo più vicino ad un film di Spike Lee (migliorandola esponenzialmente), offrirebbe un’esperienza troppo lontana da quella delle normali partite NBA e questo colpirebbe gli atleti più del pubblico.

Il tentativo di restituire lo stesso feeling dei match che abbiamo sempre visto ha infatti un fine tanto commerciale quanto sportivo.

È difficile per noi capire quanto rutinaria sia la vita di un atleta del livello di un giocatore NBA; non solo a livello di azioni praticate e time-tables da rispettare ma anche delle varie “forme mentis” assunte nel corso di una giornata per performare al meglio negli allenamenti e, ovviamente, nelle partite, che compongono una situazione specifica in cui questi processi diventano ancora più influenti e specifici.

È dunque essenziale riprodurre il più possibile il contesto abituale, anche in una situazione così anomala: da qui l’introduzione di elementi come le presentazioni ufficiali della squadra “di casa” ed il tifo registrato, oltre che della musica dei vari jingles e suoni classici di ogni squadra nei vari momenti della gara (liberi, palla persa… li conoscete).

Proprio il tifo sembra essere, comprensibilmente, l’elemento più ostico da riprodurre artificialmente ma anche il fattore più importante, quello che amplia maggiormente il divario tra il giocare in trasferta o in casa. L’importanza del fattore campo è al centro di uno dei dibattiti più amati dello sport: quanto influisce sul risultato finale? Quali sono gli elementi che lo determinano tra tifosi, conoscenza del campo, non aver viaggiato rispetto agli avversari, arbitri sotto pressione? Un dibattito che certamente si arricchirà grazie a queste esperienze così atipiche. In particolare, la “bolla” sembra decisamente essere la kryptonite del giocare in casa: non solo si gioca senza tifosi, ma lo si fa anche in un ambiente neutro e uguale per tutte le squadre.

Per questo motivo, alcuni General Manager delle squadre meglio posizionate in classifica avrebbero, a ridosso della ripresa della stagione, inviato alcune proposte per sostituire il fattore campo con vantaggi alternativi.

A fare da contraltare ci sono le quotazioni dei bookmaker, che invece sembrano favorire le squadre migliori in questo ambiente “asettico”. L’idea alla base è che, togliendo tutto ciò che è aggiunto rispetto al puro basket giocato, quest’ultimo sarà un fattore ancora più decisivo nel determinare la vittoria e dunque la squadra più forte ha ancora più probabilità di vittoria.

Un’argomentazione forse troppo semplicistica e a “compartimenti stagni”, ma che illustra bene quanto questo sia un discorso tutt’altro che semplice e univoco così come lo dimostrano le diverse reazioni di alcuni giocatori e soprattutto allenatori che si sono espressi a riguardo.

J.J. Redick, per esempio, ha parlato di come il suo mindset all’ingresso nella bolla fosse quello di non poter più fare affidamento sulla sua vecchia routine, fondamentale per lui che è uno dei giocatori più meticolosi della Lega. LeBron James si era invece dimostrato molto contrario all’idea, parlando addirittura di un rifiuto di giocare “a porte chiuse” (poi rettificato, rimanendo comunque legato all’importanza dei fan e della loro influenza nelle partite). Brandon Ingram è stato un po’ più positivo: “È diverso dal solito. È come tornato a giocare all’high school. In ogni caso a noi piace giocare a basket, indipendentemente da tutto, è questo che facciamo“.

Riflettendo sui giocatori che hanno detto queste parole è facile realizzare che l’influenza dei tifosi ha molto a che fare con la personalità dei singoli: c’è chi, come James e Draymond Green (interrogato a riguardo da The Ringer), si “nutrono” della carica agonistica e adrenalinica dell’avere la propria città alle spalle in casa e l’idea di essere “soli contro il mondo” in trasferta e ciò gli permette di caricarsi durante la partita e di alzare il livello delle loro prestazioni e c’è chi, come Brandon Ingram, ha un’attitudine più “chill”, che non sembra gradire molto le pressioni ambientali (pensiamo al grande miglioramento che c’è stato col passaggio da un ambiente estremamente pressante e carico di aspettative come quello dei Lakers a quello più leggero e ottimista dei Pelicans) e che forse apprezzerebbe l’idea di giocare senza pubblico anche senza la pandemia.

Un altro caso simile potrebbe essere Ben Simmons: non è affatto strano che l’unica partita della sua carriera con due tiri da 3 tentati sia arrivata in un’amichevole senza pubblico. C’è un’evidente fragilità psicologica legata al suo tiro e alla risposta negativa generata dal suo eventuale sbaglio che gli provoca una totale repulsione dell’idea di tirare.

Non vuol dire che senza tifosi tirerebbe spesso e con buone percentuali, nelle due gare ufficiali finora disputate non ha tentato neanche un tiro dalla media e anzi, è apparso estremamente fiacco (e avrebbe forse gradito il sostegno “casalingo” nella partita contro i Pacers, dove ha giocato la sua peggior partita difensiva in carriera nel duello contro T.J. Warren), ma sembra sicuramente un giocatore che apprezzerebbe un calo delle pressioni a cui è sottoposto.

Gli allenatori, invece, sembrano essere generalmente più positivi. Per loro, questa situazione porta nuove sfide e possibilità forse in quantità maggiore che per i giocatori.

Partiamo dalla più banale: la struttura delle panchine. Come avete potuto vedere, le panchine sono adesso strutturate su più livelli e i posti per giocatori e staff sono fissi e prestabiliti. Questo modifica la comunicazione e comporta delle scelte sui giocatori che si vogliono più vicini perché molto vocali a loro volta in campo o perché più soggetti a cali di concentrazione, gli assistenti più utili da avere sempre al fianco durante una partita, in particolare se molto preparati in aree specifiche del gioco.

Interesting to hear Brett Brown say he gave a lot of thought when it came to assigned seating on bench to get most of assistants, players from a coaching, cheering standpoint.

— Jon Johnson (@jonjohnsonwip) July 27, 2020

 

L’elemento principale però è ovviamente legato all’assenza di rumori. Si sente tutto.

Se da una parte questo porta grandi vantaggi, la comunicazione tra panca e campo è molto più facile, dall’altra è naturale pensare allo svantaggio massimo in uno sport di schemi e letture raffinati come il basket ovvero quello di essere ascoltati dagli avversari.

Un altro grande aspetto positivo dell’assenza di pubblico per i coach è che i giocatori non hanno mai parlato così tanto. La maggioranza degli allenatori ha chiesto ai giocatori di essere molto vocali, spingendoli ad essere sostanzialmente gli unici tifosi della propria squadra.

Di fatto, l’unico punto in comune sempre presente nelle parole di giocatori e allenatori riguardo le conseguenze del giocare a porte chiuse è legato alla mancanza di energia apportata dal pubblico e di come spetti ai giocatori stessi esserne i nuovi generatori.

All’ingresso nella bolla, tra i fan figurava senz’altro Mike D’Antoni, il quale ha apertamente sostenuto che alcuni giocatori avrebbero giocato meglio senza il pubblico

Mike D’Antoni on no fans: “I think it’s a big deal..Some guys I think will perform even better without the pressure of fans. Is there home-court advantage now, no. If you’re not the higher seed maybe that’s an advantage for the lower seed…Definitely interesting.” pic.twitter.com/Jaq7lRAe4u

— Mark Berman (@MarkBermanFox26) June 7, 2020

 

Anche Nick Nurse sembrava essere positivo a riguardo: “In questa atmosfera di gioco i ragazzi dovrebbero essere in grado di giocare alla grande (…) Basta solo farci l’abitudine.”

Non mancavano le posizioni meno ottimiste, come quella di Scott Brooks: “È diverso. Non è lo stesso ma ci adatteremo”.

In realtà, l’adattamento alla bolla è stato più rapido ed indolore di quanto molti si aspettassero: alla ripresa della regular season la condizione fisica non sembra particolarmente arretrata e le squadre non sembrano avvertire troppo la mancanza dei tifosi nell’arena, avendoci già regalato un grande numero di partite di grande intensità decise nei minuti finali (19 incontri su 31 disputati con uno scarto minore di 5 punti nell’ultimo minuto di gioco, stats via NBA.com). Parliamo di una NBA composta solo dalle migliori squadre (e dove le meno talentuose sono spronate da una nuova possibilità di accedere ai playoff), è normale quindi assistere a partite più bilanciate.

C’è qualche possibilità che questa normalità “precoce” sia stata aiutata da quella che probabilmente è la feature più anomala e distopica vista finora: i fan virtuali.

Forte di una collaborazione siglata proprio durante questa stagione con Microsoft, la NBA ha arricchito l’esperienza nella bolla con un intenso lavoro di integrazione tecnologica.
In particolare, avrete certamente notato le tribune virtuali presenti ai lati del campo, “popolate” da tifosi connessi via webcam sulla piattaforma Teams.

L’effetto è abbastanza simile a qualcosa uscito da una nuova stagione di Black Mirror (o, per certi versi, ad una riunione della Seele di Neon Genesis Evangelion SPOILER ALERT sul link), ma ha il pregio di portare effettivi esseri umani all’interno dell’arena, con le loro reazioni sincere e imprevedibili (ma regolate da una serie di norme da rispettare, pena un cartellino rosso virtuale).

The Pelicans’ virtual fans react as Brandon Ingram’s potential game-winner rimmed out in NBA Bubble opening loss to Jazz pic.twitter.com/AkK5EBhLiL

— Ben Golliver (@BenGolliver) July 31, 2020

 

L’idea può senza dubbio essere migliorata, chi l’ha provata segnala un ritardo di un minuto tra stream di Microsoft e stream ufficiale, ma ha già regalato dei bei momenti come la presenza del figlio di Jayson Tatum durante la partita contro i Trail Blazers (c’era anche Paul Pierce “sugli spalti”) e della famiglia di Chris Paul durante Jazz-Thunder.

Non è l’unica innovazione tecnologica che permette un reale tifo a distanza. Tramite l’app ufficiale della NBA è possibile “tifare” tramite il sistema “tap-to-cheer”, si può dunque premere un pulsante e questo dovrebbe riprodurre dei suoni registrati nell’arena durante la partita.

In ultimo, anche Twitter si è aggiunto ai partner della Lega e contribuirà con una serie di iniziative sulla piattaforma (sondaggi riguardo le partite sui profili ufficiali e selezione dei tweets migliori mostrati sugli schermi) ma anche da Orlando, con videocamere e coperture come l’iso cam in live stream su un giocatore scelto precedentemente via sondaggio, feature già presente all’inizio della stagione.

Follow an iso-cam of James Harden for the 2nd half on #NBATwitterLive NOW! ??

➡️ https://t.co/YOz96W3NDo pic.twitter.com/LjxrAn6Md1

— NBA on TNT (@NBAonTNT) April 18, 2019

 

In conclusione, con il progetto della bolla, la NBA si pone in una posizione pionieristica come già tante volte ha fatto nella storia dello sport professionistico. Quello che vediamo e vedremo in questa situazione è certamente frutto dell’adattamento ad una situazione straordinaria e, si spera, irripetibile, ma c’è anche la possibilità che fornisca un ambiente privilegiato per sperimentare nuove modalità di fruizione e partecipazione alle partite, ampliando l’esperienza e ridefinendo la nostra visione sul tema.

Per mantenere il presente, stiamo entrando nel futuro.

Tags: Ben SimmonsBolla NBABrandon IngramJayson TatumLeBron James
Cesare Russo

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