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The Answer, ep. 5: il progetto Jazz, Aaron Gordon e tanto altro

La Redazione by La Redazione
5 Agosto, 2020
Reading Time: 12 mins read
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The Answer episodio 5

Copertina a cura di Francesco Ricciardi

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Siamo giunti alla quinta puntata di The Answer, la rubrica in cui rispondiamo alle vostre domande. Ogni settimana vengono raccolti via mail (redazionetheshot@gmail.com) e sui nostri canali social i vostri quesiti, vengono scelti i più interessanti e un membro (o anche più di uno, come vedremo oggi) della redazione di The Shot vi darà la sua opinione.

Sotto con le domande quindi, buona lettura!

 

1) Come pensate che possa essere la rotazione dei lunghi di Boston ai playoff? Mi sembra evidente che ci sia un tradeoff tra rim protection e pericolosità offensiva, e da queste scelte a mio parere passano le possibilità di arrivare alle Finals.

Domanda di Lorenzo Biglione, risponde Federico Peschiera

Ciao Lorenzo,

hai centrato esattamente uno dei punti fondamentali delle problematiche nel roster dei Celtics: la mancanza in contemporanea di rim protection e pericolosità offensiva del reparto lunghi, che perseguita la squadra ormai da qualche anno.

Kanter in primis è un giocatore quasi esclusivamente offensivo e poco solido in difesa: è il prototipo di giocatore ideale da isolare, per la squadra avversaria, in 1 vs 1 contro il miglior attaccante, cosicché questi possa sfruttare la poca mobilità del turco per arrivare facilmente a canestro. Robert Williams è invece un rim runner acerbo, con eccellenti doti atletiche ma molto carente tecnicamente a livello offensivo. Difensivamente invece è un ottimo stoppatore e un buon giocatore in aiuto (nonostante possa ancora migliorare in questo aspetto) e fa ovviamente registrare il miglior dato di DBPM della squadra.

A metà tra i due si colloca Theis, che sta registrando attualmente la migliore stagione in carriera coi Celtics, dando sicurezza e pericolosità dalla media nella metà campo offensiva e sopperendo in parte ad una piccola stazza nella metà campo difensiva con tempi di stoppata ottimi e discreti istinti in aiuto. Non contando Poirier – che vedrà il campo solo in caso di infortuni o problemi di falli – e Tacko Fall, il talento di cui dispone Brad Stevens è acerbo o non così straripante. Questo si ha e questo si usa.

Per quanto riguarda le rotazioni, anche queste prime due partite della bolla sembrano confermare la classica tendenza di Stevens (che si manterrà a mio avviso anche nei playoff) di far giocare un lungo alla volta, mantenendo i quintetti relativamente piccoli: ciò è possibile anche perché tutti i lunghi dei Celtics sono comunque ottimi rimbalzisti, così come anche Haywar, Tatum e Smart. Si alterneranno verosimilmente Theis come centro titolare e Kanter e Williams come riserve, adattando poi comunque le lineup all’avversario e al momento di ogni singolo giocatore (i lunghi troveranno sicuramente più spazio contro Philadelphia rispetto a Milwaukee). Kanter sta giocando una delle migliori stagioni difensive degli ultimi anni, benché ancora Stevens faccia fatica a tenerlo in campo nei minuti finali (4.5 minuti in media nell’ultimo quarto), nei quali gli preferisce Theis (che ne gioca 6 e che chiude sistematicamente le partite).

Concludo dicendo che la mancanza di rim protection può essere pagata di più contro penetratori di grossa stazza – come LeBron James e tuttora Antetokounmpo – piuttosto che contro centri avversari con un buon skillset offensivo, contro i quali si riesce meglio a difendere di squadra, forzando le ricezioni lontano da canestro ed essendo pronti in aiuto (ogni riferimento ad Embiid è puramente casuale). In quest’ottica sarà interessante valutare la perdita di Horford in un contesto di playoff, che garantiva una discreta intimidazione al ferro associata alla possibilità di tenere e seguire le penetrazioni, sia sulla palla sia in aiuto, risultando complessivamente molto più utile.

In sintesi, l’assenza di un giocatore che possa garantire protezione difensiva e al contempo pericolosità offensiva ovviamente risulta un minus nell’arsenale di Boston, nonostante la squadra di Brad Stevens abbia giocato parecchie stagioni senza questo tipo di giocatori. I Celtics dovranno cercare di ottenere il massimo da colui che più si avvicina all’archetipo precedentemente descritto, ovvero Daniel Theis, e al contempo dovranno mantenere la vera arma difensiva che possiedono – la difesa perimetrale – al livello più alto possibile se vogliono avere speranza di contrastare Milwaukee o Philadelphia, contro cui sono in svantaggio negli scontri diretti in regular season.

 

2) Se voi foste un giovane ragazzo in uscita dall’high school con offerte da college importanti e dalla G League, dove preferireste andare? Quale credete sia l’esperienza migliore per un prospetto importante? Infine, siete d’accordo col la proposta di riaprire il draft in futuro ai prospetti dell’high school?

Domanda di Andrea Lo Giudice, risponde Emiliano Naiaretti

Ciao Andrea,

con le informazioni che abbiamo ad oggi è molto complicato rispondere ad una domanda del genere. Sappiamo molto poco di tutto ciò che riguarda il Select Team della G League: non conosciamo quali veterani completeranno il roster, non sappiamo come sarà organizzato il loro calendario, non sappiamo come si evolverà il progetto e via dicendo. L’unica informazione certa è stata fornita da Shams Charania proprio in questi giorni, e riguarda il luogo: la squadra avrà sede in California, e più precisamente a Walnut Creek. Nonostante ciò possiamo provare ad ipotizzare in quali scenari sarebbe bene optare per la G League o meno.

Ad esempio, se fossi un top prospect come Jalen Green, il quale difficilmente vedrebbe il suo stock crollare a picco in ogni caso, propenderei per la G League. Se fossi un prospetto internazionale, amatissimo in patria e simbolo di una nazione, come nel caso di Kai Sotto, sceglierei la G League potendo così guadagnare sulla mia immagine il prima possibile. Un discorso simile può essere fatto anche per l’ultima aggiunta del Select Team, Princepal Singh, nativo dell’India.

Nel caso di prospetti meno importanti, senza l’appeal di un international e la certezza di essere uno one&done, la scelta dipende moltissimo da ragioni personali e dalle offerte di scholarship ricevute. Certo è che, anche per un giocatore non da one&done, la possibilità di avere una scholarship garantita (perché ricordiamo che il Select Team offre anche questo) e un anno di preparazione professionale “su misura” è molto attraente. Già dal prossimo anno avremo un quadro più completo e molte più indicazioni sulla situazione, sia per quanto riguarda i top prospect sia per quanto riguarda i prospetti meno importanti. Per ora, dobbiamo accontentarci della speculazione e di quello che ci suggerisce la logica.

Infine, parlando dell’abolizione della one&done rule, si sia d’accordo o meno, a questo punto diventa molto difficile vederla realizzata nel breve e medio periodo, dato che probabilmente ora tutte le parti coinvolte hanno l’interesse a mantenerla in vigore. La NBA stessa avrà interesse a mantenerla in vigore per testare ed implementare il progetto del Select Team, il quale altrimenti perderebbe il suo perché di esistere.

 

3) Con Keldon Johnson, Lonnie Walker, DeJounte Murray e Derrick White, mi pare di riconoscere un piccolo affollamento nel reparto esterni in quel di San Antonio. Tenendo conto che è difficile avere un’opinione precisa dato che i primi due quasi non hanno giocato e gli altri due non sono mai stati schierati assieme, chi rimarrà con la pagliuzza corta e andrà verso altri lidi?

Domanda di Alexandros Moussas, risponde Stefano Gaiera

Ciao Sasso,

innanzitutto grazie per avermi dato lavoro da fare ad agosto, sicuramente lo preferisco a vedere la NBA ora che è ricominciata. Ciò che dici sulla sovrapposizione di ruoli è vero, ma se pensiamo che Keldon giocherà sempre presumibilmente da 4 e che gli altri tre giocatori sono altamente versatili, più che di ruoli in senso classico la sovrapposizione è di bagagli tecnici simili, con preponderanza di penetrazioni palla in mano e penuria di triple wide open. L’aumento del numero di triple tentate da parte di White e Keldon però, se unite ad un aumento anche da parte di Lonnie e DeJounte, potrebbe trasformare la convivenza tra i nomi in tutt’altro che una fantasia.

Dando per scontato che White rifirmerà il prossimo anno, le possibilità di testare lo young core possono proseguire senza intoppi per altri 2/3 anni, permettendo così di valutare meglio i giocatori, la loro crescita e le sinergie che possono creare coi compagni. Dal canto mio mi piacerebbe molto vedere crescere questo young core assieme in maglia Spurs.

Se proprio dovesse dirti il nome di un giovane NBA-ready che probabilmente avrà futuro prossimo in altri lidi, quello è Quinndary Weatherspoon. A Orlando si è presentato molto carico e attento, ma avendo anche lui una grande riluttanza verso il tiro da tre e trovandosi coperto davanti da pari ruolo quali i già citati White e Murray, potrebbe rischiare di vedere minuti sempre limitati in maglia nero-argento e di dover aspettare la prossima squadra per tentare di far partire ufficialmente la propria carriera da giocatore NBA.

 

4) Il progetto dei Jazz è a un punto morto? Dovrebbero iniziare a pensare di rivoluzionare la squadra da qui a un anno date la varie situazioni (convivenza tra Mitchell e Gobert, Gobert in scadenza che chiederà un supermax, Conley che non si capisce se sia ancora un giocatore di basket, mancanza di un vero go to guy ecc.)?

Domanda di Valerio Di Ciero, risponde Alexandros Moussas

Ciao Valerio,

questa è una questione delicata, esistono molti scenari e per me dipende dalla visione che si vuole avere di quale debba essere l’obiettivo di questa franchigia. La base da cui partire e ragionare deve essere il rapporto tra Gobert e Mitchell e quello che rappresentano come coppia a livello tecnico per i Jazz: è impossibile pensare di vincere, ed è difficile passare più di un turno se rimangono come cardini di questo core.

Nella prima ipotesi, quella in cui gli screzi tra i due si possano alleviare, è difficile che Utah scelga di separarsi da uno dei due. Il francese è un floor raiser, il tipo di giocatore che garantisce un numero di vittorie sufficienti per arrivare ai PO, ma troppo limitato per ambire all’argenteria. Mitchell non è solo lo scorer, ma soprattutto il volto giovane, fresco e accattivante di cui ha bisogno uno small market come Utah. A loro modo, entrambi portano qualcosa d’imprescindibile per i Jazz, e se loro vorranno proseguire insieme sono sicuro che la dirigenza darà continuità a questa coppia.

E se non fosse così? I limiti di entrambi li rendono poco appetibili in fase di trattative, ed è difficile avere una contropartita che possa rappresentare una buona base da cui ripartire, soprattutto sapendo che la prima scelta 2022 è destinata a finire a Memphis e che le speranze dei Jazz passano forzatamente per il draft. Il rischio di non avere i pezzi per ripartire rimanendo bloccati nella mediocrità assoluta è concreto, e credo debba essere il primo timore per Utah. Cedere i comprimari porterebbe degli asset relativamente utili, forse Bogdanovic potrebbe fruttare una prima ma avendo 3 anni di contratto e più di 30 anni non credo ci sia la fila per offrire una prima scelta per i suoi servizi (nel caso ci fosse, lo spedirei senza fronzoli). Forse cedere Conley per un contratto “tossico” potrebbe portare a una prima, ma il gioco è rischioso e Lindsey sembra essere un GM alquanto prudente. Difficile uscire da questo impasse.

Nel mio piccolo, essendo un fermo credente dell’high risk-high reward, cercherei di cedere entrambi, partendo da Mitchell. La sensazione è che l’immagine di Donovan e la sua età lo rendano intoccabile agli occhi della dirigenza, ma credo che per poter massimizzare il valore dei due dovrebbe essere questo l’ordine con cui effettuare la rifondazione. Il motivo di questa visione è che se Gobert si sente responsabilizzato, potrebbe portare i Jazz, a quel punto centrati al 100% su di lui, al primo turno e aumentare un po’ il suo valore. Fare l’opposto vorrebbe dire svendere il francese e rischiare di deprezzare Mitchell in una futura vendita, dato che difficilmente sarebbe in grado di guidare il team alla postseason.

Probabilmente la cosa migliore è ripartire il prossimo anno con lo stesso roster attuale, e attendere l’offerta giusta. Non arrivasse, non vedrei come una disfatta rimanere con il core attuale, e magari sperare che ci sia una congiunzione astrale favorevole come quella che ha portato i Blazers lo scorso anno alle finali di conference.

Per una franchigia come Utah non si può mettere l’asticella troppo in alto, bisogna vedere con un po’ di realismo la situazione e accettare che il successo di una franchigia può avere diverse sfumature. Toronto deve essere l’esempio da seguire, ma non sempre si ha l’opportunità di prendere Leonard l’anno in cui agli Warriors si infortunano sia Durant sia Thompson. Bisogna però imitare la loro struttura organizzativa e il loro coraggio nell’agire quando si presenta la giusta possibilità; Conley ha parzialmente deluso, ma l’idea alla base dello scambio rimane inoppugnabile.

 

5) Se foste i GM di una franchigia NBA, investireste nel futuro di Aaron Gordon?

Domanda di Alberto Minero, rispondono Davide Tumiati e Daniele Sorato

Ciao Alberto,

la risposta alla tua domanda si può riassumere con un banalissimo “dipende”: dipende dalla franchigia in questione, dalle caratteristiche dei futuri compagni di squadra e soprattutto da quanto si è disposti a sacrificare per arrivare a Gordon. Come si sarà potuto capire da quest’ultima frase, il futuro di Gordon sembra non poter coincidere con quello degli Orlando Magic, che dopo avergli fatto firmare un ricco contratto da 80 milioni in quattro anni hanno visto le quotazioni del proprio #00 colare a picco.

Al termine della stagione 2017-18 l’accordo sembrava vantaggioso per entrambe le parti, con AG fresco uscente dalla migliore annata in carriera e Orlando che pensava di aver trovato il frontcourt definitivo, con Nikola Vučević e il rookie Jonathan Isaac ad affiancarlo. Quell’anno Gordon era migliorato esponenzialmente, registrando career high in qualsiasi voce statistica e facendo intravedere l’aggiunta di una dimensione perimetrale al suo gioco che faceva ben sperare per il futuro (33.6% su 5.9 tentativi contro il 28.8% su 3.3 tentativi dell’anno prima).

Dall’anno successivo però è arrivato un calo lento ma inesorabile, con l’unica nota positiva rappresentata dall’aumento degli assist per partita che facevano sperare in un possibile sviluppo à la (con tutte le dovutissime proporzioni del caso) Draymond Green nella metà campo offensiva; durante questa stagione Gordon è calato ulteriormente, facendo registrare una regressione preoccupante sotto qualsiasi punto di vista. I Magic hanno visto il proprio gioiellino passare da pietra angolare del rebuilding a giocatore che probabilmente saranno costretti a cedere finché avrà valore, anche se un contratto di quel tipo può essere difficile da muovere, visto che stiamo parlando di un giocatore che probabilmente non può essere il titolare di una squadra che punta a superare il secondo turno dei playoff.

Qui entra di nuovo in gioco quel famoso “dipende”: chi è che potrebbe prendersi il rischio di puntare su Gordon, visto che negli ultimi lo abbiamo visto dare sostanzialmente il peggio di sé? A differenza di quanto si possa pensare, le squadre interessate non sono poche e su tutte ne risaltano due, i San Antonio Spurs e i Minnesota Timberwolves (che secondo Kevin O’Connor avevano manifestato il proprio interesse attorno alla trade deadline). I primi potrebbero fare gola ai Magic con un pacchetto contenente DeMar DeRozan, che a Orlando porterebbe la sua capacità di crearsi un tiro da solo e di mettere a referto punti con discreta facilità, una caratteristica di cui la squadra di Clifford ha grande necessità; i secondi invece stanno cercando incessantemente il 4 da affiancare a Karl-Anthony Towns, e il profilo di Gordon potrebbe essere quello giusto per il basket che coach Ryan Saunders vuole proporre.

Entrambe le squadre inserirebbero AG in un sistema molto più funzionale alle sue caratteristiche, visto che Orlando non sembra essere il posto per lui: avendo un 4 migliore di lui, i Magic lo hanno costretto a giocare minuti da 3 e spesso lo hanno relegato a un ruolo da spot-up shooter che – oltre a stargli stretto – non appartiene al suo skillset; non è un caso che nella stagione 2017-18, la migliore in carriera, Gordon abbia giocato più del 90% dei suoi minuti da 4, ossia quello che è indubbiamente il suo ruolo.

Condividendo il campo con giocatori più dotati di lui offensivamente e senza il bisogno di doversi creare un tiro da solo, qualcosa che non è mai stato in grado di fare e che non gli si può chiedere, il #00 potrebbe giocare principalmente da tagliante (situazione in cui è tra i migliori giocatori della lega, quest’anno nel 93esimo percentile con 1.58 punti per possesso) e da bloccante nel pick and roll, sfruttando le sue discrete abilità da passatore in situazioni di short roll. A questo proposito, lascio qui un ottimo articolo di Dane Moore che analizza come Gordon potrebbe inserirsi nel sistema dei Timberwolves.

Quindi, in linea di massima, la risposta alla tua domanda varia molto in base a chi chiedi e soprattutto a che squadra ti riferisci: se parliamo dei Magic probabilmente la risposta è no, se parliamo di altre squadre la risposta è un grandissimo sì, e la speranza è di vedere un giocatore elettrizzante come Gordon esprimersi al massimo del suo potenziale, anche se dovesse essere lontano dalla franchigia che lo ha scelto.

Tags: Aaron GordonBoston CelticsG-LeagueOrlando MagicSan Antonio SpursThe Answer
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