Siamo giunti alla quarta puntata di The Answer, la rubrica in cui rispondiamo ai vostri quesiti. Ogni settimana vengono raccolte via mail (redazionetheshot@gmail.com) e sui nostri canali social le vostre domande, vengono scelte le più interessati e un membro (o anche più di uno, come vedremo oggi) della redazione di The Shot vi darà la sua opinione.
Sotto con le domande quindi, buona lettura!
1) Credete che Anthony Davis uscirà dal contratto o si accontenterà della player option? Può sembrare una domanda stupida, però non sapendo quale sarà il cap per il 20/21 potrebbe perdere molti soldi se diventasse free agent.
Domanda di Tommaso Inserra, risponde Andrea Poggi
Ciao Tommaso,
iniziamo con il dire che la risposta non è scontata, ci possono essere svariati scenari. Il 7 gennaio Davis ha rifiutato un’estensione contrattuale: i Lakers potevano offrire al massimo un contratto quadriennale (e non quinquennale) con un 20% in più sul suo attuale contratto da 27.1 milioni, quindi in definitiva ha rinunciato a 146 milioni di dollari. Perché rinunciare quindi? Ha dei benefici uscire dal contratto e testare la free agency?

Tra due stagioni AD potrà richiedere il massimo salariale occupando il 35% del cap, 5% in più rispetto al normale. Quindi, se lui decidesse di non esercitare la player option – la data entro cui deve decidere è il 14 ottobre – potrebbe firmare un contratto breve (1+1 o 2+1) per poi firmare un supermax al 35% del cap una volta raggiunti i 10 anni di militanza nella lega. Un esempio (fornito dal commissioner Astarita, le stime del cap sono pre-Covid): Davis firma un 2+1 da 112 milioni, non esercita la player option e ri-firma un quinquennale al 35%, cioè 266 milioni. In totale ha guadagnato 339 milioni.
Un fattore da non sottovalutare per quanto riguarda la scelta del contratto breve è LeBron James. Il Re ha una player option da esercitare nel 2021, e questo potrebbe spingere Davis a voler firmare un 1+1 così da poter uscire dal contratto in concomitanza con James.

In definitiva, per Davis è meglio uscire dal suo attuale contratto: innanzitutto garantisce a se stesso e alla franchigia una maggiore flessibilità nelle scelte, e poi ha la possibilità di guadagnare di più dato che il cap dovrebbe tornare ad aumentare e ora, con la ripresa della stagione, non dovrebbe calare di troppo. Rimanere nel contratto attuale avrebbe senso nel momento in cui il salary cap si abbassasse drasticamente, così da avere una “assicurazione” qualsiasi cosa accada.
2) Come spendereste la trade exception di Iguodala se foste il GM degli Warriors? Su che giocatori puntereste?
Domanda di Samuele D. Golfetto, risponde Michele Laffranchi
Ciao Samuele,
lo scorso anno, con l’addio di Kevin Durant, la dirigenza di Golden State ha optato per uno snellimento di rosa e costi, nell’ottica di abbassare un payroll comunque parecchio ingolfato. In questa direzione si spiega l’addio ad una delle bandiere e delle chiavi principali delle vittorie Warriors degli ultimi anni, Andre Iguodala. Spedito a Memphis come salary dump, Iguodala ha indirettamente regalato un ultimo favore alla squadra che l’ha visto diventare MVP delle Finals nel 2015: gli Warriors, infatti, potranno utilizzare una trade exception pari all’ultimo stipendio percepito da Iguodala nell’annata 19-20 (+100.000 dollari). Il totale fa quindi 17.2 milioni di dollari, una cifra bella sostanziosa: in una stagione “classica”, la TPE sarebbe stata valida per un anno, scadendo dunque in estate.
A causa delle problematiche legate al dilagare della pandemia, la NBA ha prorogato i tempi per usufruirne: la trade exception non scadrà dunque prima del 24 ottobre prossimo. La TPE però non è cumulabile: gli Warriors potranno dunque acquistare un unico giocatore con la trade exception.
Perciò Bob Myers e soci hanno un’unica cartuccia da sparare, e devono centrare il bersaglio migliore possibile. Anthony Slater, giornalista di The Athletic che segue da vicino il mondo Warriors, ha stilato una lista di dieci papabili nomi da cui Golden State potrebbe essere stuzzicata.
Tra questi, il mio preferito personalmente sarebbe Marcus Smart: è un difensore eccelso sulla palla, un mastino che, con le dovute differenze fisiche, ricorda lo stesso Iguodala. Quest’anno ha viaggiato a 13.5 PPG con il 34.8 % da 3, e negli ultimi due anni è migliorato proprio nel tiro dall’arco, cruciale nella NBA contemporanea, andando a colmare l’unica grande lacuna del suo gioco. Con 4.8 assist di media può offrire inoltre anche quel playmaking aggiuntivo di cui la squadra avrà sicuramente bisogno (e anche per quest’aspetto ricorda Andre Iguodala).
Nel caso, non essendo Smart free agent, potrebbe essere necessario mettere in gioco anche l’eventuale pregiata scelta al Draft: per Smart, però, sarebbe un rischio secondo me da correre.
3) Come vedete questo cambio ruolo di Simmons, e come potrebbe influenzare positivamente gli altri giocatori della squadra. E chi dovrebbe prendere Phila come PG ora che Simmons verrà provato da 4?
Domanda di Edoardo Rodriquenz e Dominic De Chiara, risponde Cesare Russo
Ciao Edoardo e Dominic,
la prima cosa da fare ragionando su questa notizia è provare a comprendere le ragioni che vi stanno dietro. Milton è migliorato a un livello tale da aver fornito “in casa” quello che i 76ers cercano in realtà da sempre (vedi trade per Markelle Fultz), o è una decisione nata principalmente dal bisogno di riscattare una stagione ormai giudicata definitivamente fallimentare?
Il passaggio successivo consiste nel cercare di capire quanto sarà radicale questa nuova soluzione. I toni con cui staff e giornalisti ne parlano fanno pensare ad una rivoluzione copernicana (Brown ha dichiarato che ora Simmons ha la palla in mano “at times”, lasciando pensare ad una grossa cessione dei possessi a Milton). Anche perché l’utilizzo off the ball di Simmons ha visto una crescita esponenziale questa stagione (Simmons è attualmente tra i primi 15 nella Lega per tagli a canestro ad esempio) senza troppi squilli di tromba.
D’altro canto, è difficile immaginare che i 76ers affideranno il grosso dei possessi ad un giocatore con la scarsissima esperienza di Milton, specialmente ai playoff. Un ulteriore motivo per dubitare di una trasformazione radicale è la questione del sostituto di Simmons, prevedibilmente lo stesso Milton, che quindi dovrà giocare una parte considerevole del suo minutaggio senza Simmons in campo (Simmons gioca intorno ai 36 minuti a partita, è abbastanza probabile che almeno 8/9 di quei 12 minuti saranno coperti da Milton).
Passiamo ora a considerare quali potrebbero essere i vantaggi nell’usare Simmons off the ball. Su tutti, e questo dipenderà più dal rendimento dei vari portatori di palla, è il potenziale da rollante nei pick and roll. Attualmente Simmons assume questo ruolo per 0.6 possessi a partita, ma è evidente possa diventare una vera potenza in queste situazioni essendo un mismatch ambulante. Starà appunto ai ball handler dimostrarsi capaci e sicuri in campo per poter attuare spesso questa giocata che avrebbe risvolti positivi per tutta la squadra, poiché porterebbe una migliore mobilità complessiva e toglierebbe alla difesa l’opzione di staccarsi da Simmons per andare in aiuto altrove.
Un ulteriore vantaggio è quello, molto semplicemente, di avere un altro giocatore capace di creare vantaggio e giocate dal palleggio, fondamentale viste le fasi di stallo che il gioco offensivo dei 76ers incontra spesso. Una point guard aggiuntiva può significare un canestro o un assist in una situazione che prima si sarebbe conclusa con un tiro forzato o una palla persa a causa di una lettura troppo rischiosa.
In ultimo, c’è ovviamente la situazione specifica, ovvero sostituire Horford con un ottimo tiratore off the ball, fondamentale per sfruttare al meglio Embiid. Passando alla questione successiva, che abbiamo toccato nella prima puntata della rubrica, possiamo qui provare a immaginare una soluzione più realistica, considerando per esempio la situazione salariale dei 76ers.
Innanzitutto, l’opzione migliore potrebbe effettivamente essere Milton. Se Shake dimostrasse di reggere la pressione da titolare di una contender ai playoff, potremmo effettivamente assolvere Elton Brand da ogni peccato, visto il quadriennale estremamente vantaggioso firmato da Milton l’estate scorsa. Se ciò non dovesse accadere, è evidente che la nuova point guard possa arrivare solo ed esclusivamente via trade, probabilmente in cambio del contrattone di Al Horford. Questo restringe di molto le opzioni disponibili fino a quasi eliminarle.
Per cercare dei giocatori mi sono concentrato sulla capacità di sfruttare il pick and roll da ball handler. Ho cercato giocatori che giocano almeno 4 pick and roll a partita e risultano dal 50esimo percentile in su in questa specialità (dati NBA.com). Giocatori per si potrebbe realisticamente intavolare una discussione a riguardo sono: Buddy Hield (trade intorno alla quale ci sono effettivamente molti rumors), Evan Fournier, Terry Rozier, Goran Dragic e delle improbabili sign&trade per Spencer Dinwiddie o Fred Van Vleet. Certo che se quei rumors di una trade per Chris Paul circolati prima dell’interruzione avessero qualche fondo di verità…
4) I Knicks chi devono puntare al Draft? O meglio, quale sarebbe il fit migliore e con meno incognite? Io penso sia Cole Anthony, ma vorrei più pareri.
Domanda di Alberto Mammoliti, risponde Francesco Semprucci
Ciao Alberto,
la tua è una domanda interessante, che però presenta due grossissimi “ma”: il draft 2020 (e gli enormi punti di domanda che si porta dietro, sia logistici sia per i giocatori) e il fit coi Knicks (con la loro inesistente pazienza nell’aspettare i giovani e la loro ridicola capacità di svilupparli). Andando a vedere la situazione salariale, il roster e il draft, è chiaro che NY dovrà orientarsi verso un esterno, meglio ancora se una guardia o uno swingman che sappiano tirare, vista la presenza a roster (tra gli altri) di Randle, Mitchell Robinson, Barrett, Payton e Smith Jr.
Il discorso swingman si chiude ancor prima di iniziare, gli unici che potrebbero finire così in alto sono Isaac Okoro, il quale però ha enormi problemi al tiro e ha bisogno del giusto staff tecnico per svilupparsi e crescere appieno (ergo non NY) e Deni Avdija, il quale però è tremendamente acerbo, quindi ha bisogno di tempo e spazio per crescere.
Quindi si ripiega sulle G dove la scelta è molto più ampia: Ball, Hayes, Haliburton, Anthony, Edwards ma anche Maxey. Tra questi il nome potenzialmente più intrigante, sia da un punto di vista marketing sia di talento puro è LaMelo Ball, il quale però presenta mille incognite legate alla sua attitudine, al tiro, al suo stile di gioco, alla necessità di un ambiente solido alle spalle: tutte cose che in un rapporto ‘Melo-NY sarebbero complicate. Cole Anthony, altro nome che stando ai rumors piace molto a NY, ha mostrato limiti enormi come shot selection e decision making e non sembra il profilo adatto per svoltare una franchigia; Edwards andrebbe a cozzare con Barrett, altro giocatore che vuole molto la palla con limiti di efficienza e che non legge troppo bene il gioco.
Maxey e Haliburton sarebbero due pick abbastanza safe, ma non sono il tipo di giocatore che serve a NY, non sembrano avere il talento per cercare quantomeno di risollevare il morale dei tifosi e le sorti della franchigia, sono più degli ottimi giocatori di contorno, potenziali ottimi secondi/terzi violini. L’unica alternativa rimasta risponde al nome di Killian Hayes: Hayes viene da una stagione estremamente positiva, ha tiro (39% da 3 in eurocup su oltre 4 tentativi, 88% ai liberi), sa passare bene la palla (magari senza letture flashy alla Lamelo ma comunque efficaci), fisicamente è già ben messo (196cm per 100kg) e ha saputo mettersi in gioco lasciando la Francia per cercare (e ottenere) successo in Germania. Insomma, combinando upside, prontezza e contesto, Hayes sembra essere la scelta più adatta.
Proprio per questo motivo preparatevi, in caso di selezione, alla classica bordata di fischi dei tifosi che avrebbero preferito il classico giocatore USA pubblicizzato e pompato, incuranti dei loro limiti (sia dei giocatori, sia dei tifosi e dello staff, oltre che della franchigia).
5) Qual è secondo voi l’elemento più importante nella valutazione del lavoro di un GM in un periodo, diciamo, quinquennale? Scelte al draft, scelta dell’allenatore, trade, rinnovo giocatori scelti al draft, ecc. Ovviamente la risposta è una combinazione di queste, però volevo sapere se secondo voi c’è qualcosa che conta di più proprio nell’operato del General Manager.
Domanda di Lorenzo Biglione, risponde Filippo Barresi
Ciao Lorenzo,
proprio come specificato nel corso della domanda, non è possibile avere un indicatore che possa permetterci di valutare a tutto tondo l’operato di un General Manager in un periodo prestabilito. Tuttavia, si possono fare alcune considerazioni.
La figura del GM in NBA è di fondamentale importanza per quelle che sono le sorti di una franchigia. Questa figura è cruciale per la costruzione di una squadra perché è il nodo finale di tutte le decisioni prese in ambito sportivo (e non). Possiamo dividere le aree operazionali di un General Manager in tre macro-categorie: scelta del coaching staff, free agency & trade, draft & scouting. Determinare quale sia il più importante tra questi tre compartimenti è impossibile, per avere successo una franchigia NBA deve cercare di eccellere in tutte queste direzioni.
Si può però cercare di capire in che modo le varie “dinastie” sono arrivate ad affermarsi per molto tempo nella lega e osservare quali siano stati i focus principali al livello delle decisioni. A mio parere, un elemento che contraddistingue le squadre di successo è quello dell’omogeneità decisionale tra i vari compartimenti di una franchigia. Gli Spurs sono il caso più evidente e attuale di questo tipo di comportamento: il General Manager, al fine di gestire al meglio quelle che sono le possibilità della sua squadra, deve cercare di creare compattezza e omogeneità con i vari dipartimenti che compongono il suo team.
Per esempio, è necessario che vi sia una direzione condivisa tra il coaching staff e chi si occupa della free agency o degli eventuali scambi per costruire il roster nella maniera più consona a quelle che sono le idee tecnico-tattiche dell’allenatore. Lo stesso discorso vale per il Draft e per tutti i processi di scouting. L’impronta del GM sulla squadra è evidente, e si può riconoscere in qualsiasi ramo della franchigia stessa.
Per raggiungere questo obiettivo di coerenza a qualsiasi livello decisionale è opportuno che il General Manager sappia gestire quelle che sono le sue personali idee a livello di team building. Questa figura deve saper mettere in mostra spiccate doti di mediazione con tutte le parti della franchigia, solo in questo modo gli sarà possibile comprendere le necessità di ognuno e capire se la direzione della squadra sia quella giusta.
Gli elementi a cui darei più importanza nella valutazione di un General Manager sono quindi legati agli aspetti decisionali presi in coerenza con quelle che sono le idee e le capacità di tutti i componenti del team. L’attenzione quindi non scende nel particolare ma è più trasversale tra le infinite possibilità di movimento nelle mani di questa figura.
Per concludere è importante sottolineare come oggi nella lega la differenza tra gli small market teams e le squadre più “attraenti” ha un importante impatto sulla valutazione dei GM. Appartenere a una di queste due categorie spesso fornisce una scusante ad alcuni General Manager, che evitano di concentrarsi su determinati aspetti della gestione per via di eventuali status o posizioni sfavorevoli nella lega.