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Žalgiris Kaunas, la fabbrica dei miracoli

Francesco Cellerino by Francesco Cellerino
5 Ottobre, 2020
Reading Time: 16 mins read
0
Zalgiris feels devotion

Copertina a cura di Francesco Ricciardi

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Nel settembre del 1986 migliaia di tifosi si riversano all’aeroporto di Kaunas per accogliere lo Žalgiris Kaunas di Arvydas Sabonis, fresco vincitore della Coppa Intercontinentale a Buenos Aires. Il loro entusiasmo è travolgente e il fatto di aver battuto in semifinale i rivali del Cibona Zagabria di Dražen Petrović, vendicando la sconfitta di pochi mesi prima nella finale di Coppa dei Campioni, li rende ancora più euforici.

Ancora non si può parlare apertamente di Lituania, nonostante l’Unione Sovietica stia iniziando a vacillare, ma la squadra appena scesa dall’aereo per quei tifosi è ben più che un semplice club: rappresenta una terra innamorata della palla a spicchi, che di lì a poco sarà la prima tra le repubbliche sovietiche a dichiarare la propria indipendenza nel 1990. In mezzo alla folla c’è anche un bambino ammaliato dai suoi beniamini in maglia biancoverde, maglia che sogna di indossare un giorno: il suo nome è Šarūnas Jasikevičius, e nel giro di pochi anni diventerà uno dei simboli della generazione di cestisti lituani che incanterà il mondo.

Ottenuta l’indipendenza, la piccola repubblica baltica si trova a dover ricostruire un Paese e un’unità nazionale da zero, in condizioni disperate. La storia recente insegna che spesso lo sport è riuscito a unire le persone spontaneamente sotto alla stessa bandiera molto più efficacemente di quanto la politica non sia riuscita a fare: l’esempio più celebre è forse la cavalcata trionfale degli Springboks al Mondiale sudafricano di rugby del 1995, ma anche la Lituania non fa eccezione.

L’attenzione mediatica alle Olimpiadi di Barcellona del 1992 viene cannibalizzata dal leggendario Dream Team, ma tra le sorprese della competizione compare proprio la Lituania di Sabonis, Marčiulionis e Kurtinaitis, fermata solo dagli imbattibili Stati Uniti in semifinale. Ironia della sorte, la neonata repubblica si troverà a dover sfidare ciò che resta dell’Unione Sovietica nella finale per il terzo posto, portando a casa la medaglia di bronzo dopo una partita combattutissima.

La storia dello Zalgiris naturalmente non si ferma con l’indipendenza del paese, di cui continua ad essere un simbolo: nei primi vent’anni dopo la caduta dell’URSS vive di alti e bassi, arrivando a vincere a livello europeo una Coppa dei Campioni contro la Virtus Bologna e un’Eurocoppa contro Milano, prima di sprofondare nei debiti e rischiare il tracollo.

Nel 2009 il club sembra compromesso, tanto che alcuni dei giocatori più rappresentativi vengono svincolati e la squadra rischia di perdere le partite a tavolino. La situazione si sblocca con l’ingresso in società di Vladimir Romanov, contestato dai tifosi per le sue scelte impopolari, che portano tra l’altro al temporaneo allontanamento della bandiera Jankūnas. Nel 2013 la banca di Romanov va incontro a un disastroso crack a seguito di vari scandali, e la squadra di Kaunas si ritrova nuovamente in condizioni critiche, trovando comunque le forze per restare a galla anche grazie al lavoro del nuovo GM Paulius Motiejunas.

Proprio quest’ultimo riuscirà finalmente a portare al lieto fine la lunga storia d’amore apparentemente maledetta tra Šarūnas Jasikevičius e lo Zalgiris, convincendolo a firmare in patria per la sua ultima vittoriosa stagione.

 

Caduta e ritorno tra i giganti

Al termine della disastrosa presidenza Romanov lo Zalgiris si è trovato a un passo dal fallimento, ma la società ha fatto un lavoro incredibile per darsi una struttura anche e soprattutto commerciale di altissimo livello, che le permette di essere competitiva fuori dal campo di gioco coi top team europei. La squadra vola in charter grazie a un importante accordo con uno degli sponsor, e anche quando giocano in trasferta (a meno di situazioni particolari) la sera stessa i giocatori dormono nel loro letto e con le loro famiglie.

L’organizzazione si sforza il più possibile di infondere nei propri tesserati una sensazione di comfort e tranquillità e questo, unito alle splendide strutture d’allenamento, può essere misurato con tre o quattro vittorie in più all’anno.

Uno dei principali punti di forza è sicuramente rappresentato dalla Zalgirio Arena, uno dei campi in assoluto più caldi dell’intera Eurolega e con la più alta media spettatori, ma soprattutto una vera e propria attrazione turistica: l’arena ha dei servizi incredibili e attira appassionati anche dalle vicine Estonia e Lettonia, disposti a macinare centinaia di chilometri per assistere allo spettacolo delle notti europee.

In quelle notti lo Žalgiris rappresenta non solo Kaunas, ma un intero popolo innamorato della pallacanestro: i tifosi sugli spalti urlano “Lietuva! Lietuva!” e provano a spingere i propri beniamini verso vittorie sulla carta spesso proibitive, senza però imporre pressioni esagerate tipiche di altre piazze.

Un assaggio dell’atmosfera della Zalgirio Arena

 

Il settore in cui però lo Žalgiris eccelle è lo scouting internazionale: non potendosi permettere di mantenere unito lo stesso gruppo per due o tre anni in modo da aprire un ciclo, è fondamentale scovare ogni anno i giocatori giusti da affiancare al solidissimo e insostituibile nucleo lituano. La reale forza dello staff è l’essere composto da persone che sono pienamente parte della cultura del club, che l’hanno sempre respirata e che sanno perfettamente cosa serva alla squadra. Non sono semplici professionisti, ma gente che ha lo Žalgiris “dentro” e che vive visceralmente la passione per quei colori.

Lo stesso discorso vale a maggior ragione per il coaching staff, che fino a quest’anno è stato composto da ex giocatori del club come Maskoliūnas, attuale allenatore della nazionale lituana, e Masiulis, eroi dell’unica Eurolega vinta finora dal club. Queste leggende dello Žalgiris hanno sposato in pieno il progetto e vi si sono dedicati anima e corpo, lavorando sullo sviluppo di giocatori che non si sarebbero fermati a lungo e che quindi andavano stimolati in modo tale da essere al massimo delle loro potenzialità entro l’inizio della fase calda di ogni stagione.

La bontà del lavoro dello staff risulta evidente comparando il rendimento di molti dei trascinatori dello Žalgiris nelle stagioni in biancoverde e in quelle successive in altre squadre europee: se tre indizi fanno una prova, in questo caso di prove ce ne sono davvero tante. È il caso di Aaron White, che dopo due anni in Lituania ha clamorosamente fallito a Milano, di Kevin Pangos al Barcellona, che a onor del vero non ha avuto l’opportunità di riscattarsi nella sua seconda stagione in terra catalana per via di un grave infortunio, e di tanti altri.

Allo stesso modo, molti giocatori sono rinati o sbocciati nel sistema di coach Jasikevičius: per fare un nome su tutti, Vasilije Micić, uno dei migliori playmaker dell’Eurolega e in odore di NBA, o il caso di Nate Wolters, che in Lituania si è rilanciato ed è nuovamente calato quest’anno al Maccabi.

 

Le radici del successo

Poche squadre di Eurolega possono vantare un nucleo di giocatori nazionali forte e unito come quello dello Žalgiris: il sogno di ogni ragazzo lituano che prende in mano un pallone da basket è quello di poter difendere in Europa i colori biancoverdi e, se arriva la chiamata, è impossibile dire di no. Il compito non è semplice e la concorrenza è tanta, e lo stesso Jasikevičius ha parlato di result-driven business: nelle competizioni locali il fallimento è inconcepibile, una sconfitta in coppa equivale a un disastro.

D’altronde lo stesso GM Paulius Motiejunas lo ha confermato più volte: i tifosi conoscono la situazione del club e accettano il continuo addio dei loro beniamini perché sanno che la società lavora sempre con l’obiettivo di vincere, ma un peggioramento dei risultati potrebbe mettere a rischio i loro collaudati ingranaggi. Chi non riesce a mantenere gli ambiziosi standard richiesti dalla società ha principalmente due strade: trasferirsi in un’altra squadra del paese per provare a spodestare la corazzata di Kaunas dal vertice o cercare una vetrina in un’altra squadra europea, magari sperando di far colpo sullo Žalgiris e convincere la società a concedergli un’altra occasione.

È il caso ad esempio del figliol prodigo Marius Grigonis, emigrato in Spagna non ancora ventenne e tornato a casa cinque anni dopo dalla porta principale, con una Champions League vinta da MVP delle Final Four nel palmarès. Non è raro che alcuni dei pilastri lituani della squadra decidano di tentare il grande salto in una big europea, ma nella maggior parte dei casi queste esperienze durano davvero poco e sono caratterizzate da risultati deludenti, come nel caso di Lekavičius, appena rientrato da un biennio decisamente sottotono al Panathinaikos, o di Jankūnas e Milaknis, che dopo un anno rispettivamente al Khimki e a Kazan sono tornati alla base.

Proprio Jankūnas ha legato indissolubilmente la sua carriera allo Zalgiris, diventando il simbolo delle fondamenta lituane del club: entrato in pianta stabile in prima squadra nel 2003, ha sempre difeso i colori biancoverdi ad eccezione della parentesi al Khimki nel 2009/2010. Dopo un solo anno del biennale firmato con la squadra russa, il lungo classe ‘84 ha deciso di seguire il suo cuore, rinunciando a ingaggi potenzialmente più ricchi per tornare a Kaunas e portare con orgoglio i galloni da capitano.

 

Vincere aiuta a vincere

In patria lo Žalgiris non ha praticamente rivali: basti pensare che negli ultimi cinque anni i biancoverdi hanno perso complessivamente solo quattro partite ai playoff e che, nelle 27 edizioni del campionato lituano, solo cinque volte il trofeo non è stato esposto a Kaunas. Nella coppa nazionale si è vista qualche sorpresa in più, ma lo Žalgiris è sempre stata senza ombra di dubbio la squadra da battere. Il panorama nazionale vede come uniche squadre in grado di avvicinarsi lontanamente ai livelli della prima della classe il Rytas Vilnius (precedentemente nota con il nome di Lietuvos Rytas), il Neptūnas Klaipėda e il Lietkabelis, ma solo la prima è stata realmente in grado di competere nel passato con lo Žalgiris.

Per anni la squadra della capitale, dove Jasikevičius ha mosso i suoi primi passi da giocatore professionista, è stata anche sul punto di conquistare il primato nel basket lituano a scapito dei rivali, soprattutto nei momenti di drammatica crisi economica e societaria dei biancoverdi, ma questi ultimi sono stati fenomenali a darsi una struttura solida e nel soppiantare definitivamente i compatrioti. In ogni caso la squadra di Vilnius non è stata a guardare e ha provato anch’essa a costruire un’organizzazione sulla scia dei rivali, affidandosi a grandi personaggi dello sport come l’ormai ex GM Linas Kleiza, ma gli è mancato tutto il contorno necessario per fare il grande salto e poter crescere fino ai livelli raggiunti dallo Žalgiris. 

Questa supremazia indiscussa in patria ovviamente non si riflette in Europa, dove invece i biancoverdi si trovano a battagliare contro squadre nettamente più quotate e attrezzate: per poter competere ai massimi livelli, i lituani devono sfruttare tutte le armi a loro disposizione. Ecco che allora le competizioni locali assumono un’importanza capitale a livello psicologico, permettendo alla squadra di iniziare a portare a casa qualche trofeo nel corso della stagione, mantenendo al massimo la concentrazione dei giocatori e tenendo alto il morale.

Il tasso tecnico nettamente superiore gli permette di vincere anche non giocando al massimo delle proprie potenzialità e senza doversi spremere troppo a livello fisico, nonostante tutti gli avversari trovino grandissimi stimoli negli scontri diretti, considerandoli la squadra da battere.

Chiudendo il cerchio, vincere aiuta a vincere: nelle notti europee lo Žalgiris si presenta come una squadra sfavorita sulla carta, ma spesso molto più carica a livello fisico e mentale degli avversari, guidata da un genio della panchina e con un tifo infuocato a sospingerla. La compagine di Kaunas è sempre senza paura, e quando un gruppo crede veramente di potercela fare, in qualche modo ha già vinto in partenza e può puntare a risultati insperati.

 

Do you believe in miracles?

Da quando Šarūnas Jasikevičius ha sostituito coach Krapikas nel gennaio 2016, lo Žalgiris in Eurolega ha sempre giocato al di sopra delle proprie potenzialità, mancando la qualificazione ai playoff solo nella stagione 2016-17. Poco male, perché l’anno dopo i lituani hanno scritto una delle favole più belle degli ultimi anni della massima competizione europea: dopo essersi presentati ai nastri di partenza col secondo budget più basso in assoluto, sono riusciti a stupire tutti raggiungendo il sesto posto in stagione regolare, a una sola vittoria da Real Madrid, Panathinaikos e Olympiakos.

Probabilmente sarebbe bastato già questo piazzamento a rendere estremamente positiva la stagione, anche perché in pochi pensavano che lo Zalgiris avesse vere chance di passare il turno dei playoff contro l’Olympiakos di Vasilīs Spanoulīs, ex compagno di Jasikevičius al Panathinaikos, soprattutto col fattore campo avverso. Nella Gara 1 del Pireo arriva però la prima sorpresa: dopo un inizio difficilissimo, i biancoverdi riescono a rimontare fino all’overtime, dove strappano la vittoria, ammutolendo gli oltre 11.000 tifosi dello Stadio della Pace e dell’Amicizia.

In Gara 2 i greci reagiscono e fanno valere il fattore campo, spostandosi quindi a Kaunas con la necessità di espugnare almeno una volta la Zalgirio Arena per tenere viva la serie; le due gare in terra lituana però non sono mai in discussione e, anche grazie alle prestazioni irreali di Brandon Davies e Kevin Pangos, l’intera Lituania può esultare insieme ai propri beniamini per l’impresa realizzata.

Si spalancano quindi contro ogni pronostico le porte delle Final Four di Belgrado, e coach Jasikevičius si ritrova per la prima volta a vivere la fase finale dell’Eurolega dalla panchina, dopo avere alzato per quattro volte il trofeo da giocatore. L’avversario stavolta è il Fenerbahce, guidato dal leggendario Željko Obradović, al quale Jasikevičius è molto legato e col quale ha vinto l’Eurolega nel 2009. La partita è più combattuta del previsto e lo Žalgiris vende cara la pelle, ma stavolta Davide non riesce ad abbattere Golia e i turchi volano in finale con un sudato 76-67, trascinati dall’immarcabile folletto Ali Muhammed.

Rimane ancora solo una gara da giocare e, come ormai da copione, sulla carta è davvero proibitiva: la finale per il terzo posto vede come antagonista il CSKA, squadra che aveva letteralmente dominato la stagione regolare, ma che in semifinale si era dovuto inchinare al Real Madrid dell’astro nascente del basket europeo Luka Dončić. Ancora una volta però i lituani non ci stanno a mollare sul più bello, giocano senza pressioni e dominano per lunghi tratti la gara, salvo poi rischiare di vanificare tutti gli sforzi con la rabbiosa reazione nell’ultimo quarto dei russi. La favola però stavolta ha un lieto fine: la rimonta si ferma sul -2 e lo Žalgiris vince 79-77, portando a casa un terzo posto che vale come un trofeo.

La gioia incontenibile dei tifosi dello Zalgiris per la conquista del terzo posto

 

Pur non essendo riuscito a ripetere il miracolo della stagione precedente, nell’annata 2018-19 lo Žalgiris riesce comunque a rendersi protagonista di un’impresa che sembrava ormai possibile solamente secondo la matematica, la qualificazione ai playoff. Facciamo un passo indietro: a otto giornate dal termine della regular season i lituani si trovano al quartultimo posto, con un record di sole 8 vittorie a fronte di 14 sconfitte. Il calendario poi sembra proibitivo, con una serie infernale di scontri diretti da giocare perlopiù in trasferta, senza margine di errore.

Impresa impossibile? In otto giornate, i biancoverdi capitolano solo in casa del Baskonia, vincendo incredibilmente le restanti sette partite: nelle ultime tre trasferte espugnano i parquet di Maccabi, Olympiakos e Real Madrid, completando una rimonta inimmaginabile.

Purtroppo quest’anno il Covid-19 ha costretto anche l’Eurolega a chiudere la stagione in anticipo con sei turni da giocare, ma ancora una volta lo Žalgiris si trovava sulla buona strada per compiere l’ennesima impresa degli ultimi anni. Alla quindicesima giornata la truppa di coach Jasikevičius occupava in solitaria l’ultimo posto in classifica, con tre sole vittorie a referto e la stagione apparentemente compromessa; come se non bastasse, a peggiorare le cose ci aveva pensato il grave infortunio patito dalla stella Grigonis, leader tecnico designato in campo. Nelle successive 13 partite però la squadra si è portata a ridosso della zona playoff grazie a un record di 9-4, a una sola vittoria di distacco dall’ultimo posto utile per accedere alla postseason: non sapremo mai come sarebbe andata a finire, ma ve la sareste sentita di scommettere ancora una volta contro lo Zalgiris?

 

Fuori dagli schemi

Il deus ex machina di questi miracoli non è e non può essere un allenatore qualunque, e in effetti Šarūnas “Saras” Jasikevičius è sempre stato tutto tranne che ordinario. A proposito di ordinario, il suo fisico a prima vista potrebbe sembrare abbastanza nella norma, non certo il fisico che ci si aspetterebbe da un quattro volte campione dell’Eurolega, con un titolo di MVP delle Final Four in bella vista in bacheca.

Proprio questa presunta debolezza è forse stata la più grande forza di Saras in carriera: è stato capace di trasformare i suoi dubbi e i suoi problemi in domande e stimoli, è stato allenato dai migliori allenatori e li ha tartassati di domande per potersi migliorare giorno dopo giorno. In campo non riusciva a tacere, il suo bisogno di trasmettere la sua carica agonistica era irresistibile, ma alla fine ha avuto ragione lui. 

“Per vincere sono stato disposto a essere anche un gran rompipalle, senza risparmiare nessuno: compagni, allenatori, arbitri, avversari. Tutto quello che ho detto e che ho fatto aveva solamente quell’unico scopo e, sinceramente, non me ne importava molto di come la pensassero su di me. Rompevo troppo? Pazienza, tra adulti può succedere. Volevo vincere, punto. E per fortuna l’ho fatto, tanto.”

Šarūnas Jasikevičius, “Vincere non basta”

La sua splendida carriera però ha sempre avuto una grande mancanza, almeno fino all’ultimo anno: tra le varie Barcellona, Maccabi, Panathinaikos, Fenerbahce e le franchigie NBA dei Pacers e degli Warriors, non figurava la sua squadra del cuore. Aveva già avuto modo di giocare in Lituania, poiché la sua carriera era cominciata nel 1998 proprio dai rivali del Rytas Vilnius, e con loro aveva giocato di nuovo nel 2010. Aveva soprattutto avuto modo di giocare per la Lituania, facendo parte della generazione d’oro che vinse l’Europeo del 2003, in cui lui fu premiato come MVP della competizione e che ad Atene 2004 si arrese solo in semifinale contro i nostri Azzurri.

Non aveva però ancora avuto modo di indossare la maglia dello Žalgiris Kaunas, col quale si era a lungo inseguito, apparentemente senza un lieto fine. La sorte ha voluto invece che il suo sogno di vestire il biancoverde combaciasse con quello del GM Paulius Motiejunas di riportarlo a casa: nel 2013 il sogno si avvera e Jasikevičius firma il suo ultimo contratto della carriera con lo Žalgiris.

Il destino non si è limitato a regalare un lieto fine a questa storia, anzi: ha deciso che più che una lieta fine, sarebbe potuto essere un inizio. Per risollevare la deludente stagione 2013-2014, lo Žalgiris esonera due allenatori, affidandosi infine a Gintaras Krapikas. Il nuovo coach, visto il poco tempo a disposizione, decide di lasciare più liberi di esprimersi i giocatori, ma soprattutto inizia a confrontarsi regolarmente con Jasikevičius per discutere di tattica e di basket in generale. Tra i due si instaura un rapporto molto proficuo e la compagine biancoverde riesce a risollevare la stagione, fino alla vittoria del titolo. A fine anno arriva la fatidica proposta di appendere definitivamente le scarpe al chiodo e di diventare vice di Krapikas: Saras, che ormai sente di aver chiuso un cerchio, accetta.

Dopo un anno e mezzo da vice allenatore i tempi sono maturi: la società dopo l’esonero di Krapikas gli affida la panchina ad interim, ma ci vuole poco perché si convinca a mettergli in mano definitivamente le chiavi della squadra. Comincia quindi la sua carriera in giacca e cravatta, nella quale i ruoli si ribaltano: non c’è più un coach a cui chiedere consigli e spiegazioni, stavolta tutto passa da lui.

Non è però minimamente cambiata la sua carica agonistica e, guardando distrattamente una partita dello Žalgiris, i suoi modi potrebbero sembrare forse troppo duri. Eppure tutti i suoi giocatori lo amano e si butterebbero nel fuoco per lui se glielo chiedesse: la spiegazione sta proprio nel motivo della sua durezza, la sua insaziabile voglia di vincere a tutti i costi. Dopo aver vinto così tanto da giocatore, ha dovuto imparare a tollerare gli errori dei suoi giocatori: non può pretendere che tutti abbiano la sua stessa capacità di leggere le situazioni e di apprendere quasi ossessivamente. Non potendo più influire in prima persona in campo, sente quindi il bisogno di spingere i suoi ragazzi a dare il massimo, dandogli sempre l’idea di stare allenando per vincere e per fargli fare il salto di qualità a livello mentale.

Ecco perché la società lo ha sempre considerato il proprio principale asset, anche a livello di immagine, più importante ancora del parco giocatori: tolto qualche veterano che ormai gioca col pilota automatico come Jankūnas, Milaknis o Ulanovas, ogni anno la squadra va ricostruita da capo e portata a competere con le big europee. In Europa pochi allenatori hanno la sua stessa capacità di tirare fuori il massimo dai propri giocatori e la difesa tenace che riesce a proporre con le sue squadre – unita alla sua capacità di sfruttare i pick and roll, la sua arma preferita da giocatore – lo rendono un allenatore estremamente interessante per il basket moderno, e non è un caso che venga considerato l’erede naturale di un mostro sacro come Obradović.

Saras è stato un giocatore straordinario e si è trasformato in un allenatore talmente speciale che lo Žalgiris ha deciso di metterlo al centro del progetto. La squadra lituana ha sperato fino all’ultimo infatti che il coach decidesse di seguire il suo cuore, resistendo ancora una volta alle sirene dei colossi del Vecchio Continente, ma ha dovuto accettare infine la dura realtà. A onor del vero le speranze di trattenerlo erano letteralmente appese a un filo, soprattutto per via delle ingenti perdite dovute al coronavirus subite dalla società di Kaunas, che ricava buona parte dei propri fondi dal botteghino.

D’altronde la chiamata non è arrivata da un posto qualunque, ma da quel Barcellona che Jasikevicius ha tanto amato da giocatore, dove ha vinto la sua prima Eurolega al fianco di Bodiroga e che aveva dovuto abbandonare (suo malgrado) troppo presto. Le strade dello Zalgiris e di Saras infine si sono separate di nuovo, ma le bellissime pagine che hanno scritto insieme rimarranno per sempre. Nell’andarsene ha ribadito per l’ennesima volta la sua passione viscerale per lo Žalgiris, che come tutti i primi amori ha un qualcosa di magico e inspiegabile, che segna per tutta la vita. E poi chissà, certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano…

Il toccante addio dello Zalgiris al suo condottiero


Un ringraziamento speciale va a Pietro Scibetta, team manager di Casale Monferrato, giornalista ex caporedattore della Rivista NBA e soprattutto autore dell’autobiografia di Šarūnas Jasikevičius “Vincere non basta”, dalla quale è estratta la citazione sulla mentalità del coach. Con grande disponibilità mi ha concesso il suo tempo e la sua preziosissima conoscenza personale di Saras, senza la quale questo pezzo non avrebbe potuto prendere forma.

Tags: BarcellonaEurolegaJasikeviciusLituaniaZalgiris
Francesco Cellerino

Francesco Cellerino

Tifoso sfegatatissimo della Virtus Roma e dei Bucks per amore di Brandon Jennings (di cui custodisce gelosamente l'autografo), con la pessima abitudine di simpatizzare le squadre più scarse e rimanerci male per le loro sconfitte. Gli amici si chiedono da anni se sia masochista o se semplicemente porti una sfiga tremenda...

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