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Vince Carter non sarà facile da dimenticare

Matteo Lugli by Matteo Lugli
5 Agosto, 2020
Reading Time: 14 mins read
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Vincer Carter

Copertina a cura di Nicolò Bedaglia

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State Farm Arena, 11/03/2020. Dopo tre quarti di sofferenza con i Knicks, gli Hawks con un quarto da 40-22 ottengono un insperato overtime. Quando il cronometro recita 19,5 secondi alla fine, con il risultato fermo sul 135-128 per gli ospiti, fa il suo ingresso in campo con la maglia n.15 di Atlanta, Vince Carter.

Passa la metà campo, riceve la palla sull’arco da Young e fa partire il pallone che si deposita docilmente in fondo alla retina. Dopo 1.541 partite Vince Carter, complice il blocco della NBA per gli effetti della pandemia Covid-19, dice addio al basket giocato.

 

Vince Carter è stato un’ala estremamente versatile ed atletica con un salto verticale eccezionale, un gran primo passo e una più che buona wingspan: tutte doti fisiche che una superstar dovrebbe avere. Carter era un eccellente realizzatore grazie sia alla capacità di arrivare facilmente al ferro, che alla sua capacità di punire dal perimetro. Nel suo arsenale offensivo troviamo crossover e spin moves, potendo contare su una sorprendente capacità di assorbire i contatti, ma anche giochi in isolamento e pick & roll.

Grande shot creator con una propensione al passaggio superiore alla media, se rapportata al ruolo. Non hai mai disdegnato il gioco drive & kicks ed era sorprendentemente efficace anche off the ball. Dal punto di vista difensivo è stato un più che buon difensore in uno contro uno, grazie anche ad un’innata velocità laterale. Nonostante un buon senso della posizione, non eccelleva, però, nella difesa di squadra e, soprattutto, non era sempre in grado di chiudere in maniera ottimale la linea di fondo.

 

Ai tempi della Mainland High, Carter mosse i suoi primi passi sul parquet facendosi subito notare per la grande elevazione e per l’innata capacità di puntare il canestro. Ben presto le sue qualità vennero notate da Dean Smith, allenatore storico di North Carolina che gli propose una borsa di studio, vestendo i colori bianco celeste e formando assieme ad Antawn Jamison una coppia formidabile.

L’anno da Freshman per lui fu tutto in salita: costretto ad un minutaggio risicato (meno di 18 minuti ad allacciata di scarpe) collezionò una media di 7,5 punti, 3,8 rimbalzi e 1,3 assist. Più volte Carter prese in considerazione la possibilità di fare le valige, cambiare College e tornare in Florida. La perseveranza, però, alla fine premiò Carter che nell’anno seguente, complice un maggior minutaggio, con i suoi 13 punti, 2.4 assists, 4.5 rimbalzi aiutò la squadra a raggiungere le Final Four NCAA. Nell’anno da Junior beneficiò del cambio di coach, imponendosi come vera star e riportando (15,6 punti, 5,1 rimbalzi e 1.9 assist) i Tar Heels alle Final Four, fatto per cui venne nominato nel primo quintetto della ACC.

Dal suo ingresso in NBA, abbiamo voluto riassumere la sua storia in sei momenti chiave che ne hanno contraddistinto la carriera e la percezione del pubblico.

 

1) IL PASSAGGIO AI RAPTORS

I Raptors si apprestavano ad iniziare la stagione 1998-1999 dopo aver concluso la precedente con meno del 20% di vittorie stagionali (16-66) e senza una vera stella in squadra. Damon Stoudemire si era da tempo accasato nel Maine vestendo la maglia dei Blazers e il primo proprietario J.Bitove ed il vice presidente Isiah Thomas avevano rassegnato le loro dimissioni.

Nonostante la giovane età della franchigia, l’interesse e la partecipazione attorno ai Raptors erano ai minimi storici. Una svolta era quantomeno necessaria. Anche il movimento non se la passava meglio: la NBA aveva perso tre mesi a causa del lockout ed era rimasta orfana della sua figura più carismatica, dopo il secondo ritiro di Jordan. L’Executive di allora, Glen Grunwald, mise nel mirino il giovane Carter nella speranza che potesse essere l’uomo giusto per la svolta.

Carter venne scelto con la n.5 in uno scambio con i Warriors che coinvolse l’ex compagno alla North Carolina Antawn Jamison. In Canada Vince trovò suo cugino Tracy McGrady ed insieme conclusero la stagione con 23 vittorie, mancando però l’accesso ai playoff. Nonostante un record pessimo, Carter quello stesso anno vinse il ROY con 18,3 punti, 3 assist e 5,7 rimbalzi di media a partita.

La stagione successiva i Raptors con un record di 45-37 ottennero l’accesso ai playoff, guidati da Carter (25,7 punti, 5,8 rimbalzi e 3,9 assist) e McGrady (15,4 punti, 6,3 rimbalzi e 3,3 assist), dove vennero letteralmente spazzati via dai Knicks, sicuramente più esperti, per 3-0. In tutta la serie Vince non riuscì a trovare un buon ritmo al tiro, chiudendola con una percentuale dal campo pesantemente sotto media.

L’anno successivo fu segnato dall’addio di McGrady, intenzionato a prendersi la ribalta accasandosi ai Magic, facendo così ritorno in Florida. Sentendo il peso dell’intera franchigia su di sé, Carter regalò una stagione che ancora oggi resta la sua migliore di sempre. I numeri parlarono per lui: 27,6 punti, 5,5 rimbalzi, 3,9 assist con una TS% del 55,1 e una WS di 12,9. I Raptors chiusero la stagione al secondo posto della Central Division con un record di 47-35 tornando finalmente a respirare aria di playoff ed ottenendo uno storico passaggio del turno proprio a discapito dei Knicks, fatali solo un anno prima.

Toronto arrivò ad un tiro dalle finali di conference in una bellissima serie contro i 76ers di Iverson.

I successivi due anni furono fallimentari per i Raptors: arrivò il licenziamento del GM Glen Grunwald insieme a tutto lo staff tecnico e Carter fu scambiato nel tentativo di gettare le basi per una concreta rinascita. Vince finì ai Nets in cambio di Alonzo Mourning (tagliato), Aaron Williams, Eric Williams e due future chiamate al primo giro.

 

2) SLAM DUNK CONTEST 2000

Vince Carter ha saputo sfidare la gravità e, spesso, l’immaginazione. Lo Slam Dunk Contest del 2000 rimarrà a futura memoria come uno dei più belli di sempre e lo si deve senza alcun dubbio al futuro hall of famer.

Gara che Carter rischiò seriamente di dover saltare dal momento che l’auto che avrebbe dovuto portare lui e T.McGrady all’arena non si presentò: stipati assieme ad altri tre accompagnatori, si diressero con mezzi propri all’evento. Dopo mesi di prove a margine degli allenamenti, Carter era riuscito finalmente a mettere a punto una mezza dozzina di schiacciate tra cui scegliere al momento dell’esibizione. Qualcosa, però, non lo convinceva del tutto: decise così all’ultimo di dare forma alle sue schiacciate in modo del tutto improvvisato.

Al Dunk Contest, oltre a Carter, ci furono Tracy McGrady (Raptors), Steve Francis (Rockets), Jerry Stackhouse (Pistons), Larry Hughes (76ers) e Antawn Jamison (Warriors), infortunatosi al ginocchio prima della gara, sostituito da Ricky Davis (Hornets). Con la prima schiacciata Carter mise in scena una reverse-360-windmill flush prendendosi per la realizzazione tutto il tempo a sua disposizione, calcolando distanze e passi di esecuzione.

 

Credo sia impossibile descrivere a parole il gesto tecnico di Carter: un misto di eleganza e potenza, coordinazione e determinazione che ottenne uno scontatissimo 50.

Per la seconda schiacciata Carter decise di cambiare prospettiva, partendo da dietro il tabellone ed eseguendo una fully-extended windmil producendosi in un avvitamento al momento dello stacco ed inchiodando al ferro la sua schiacciata. Tutti i giudici attribuirono un 10 tranne Kenny Smith per un 49 finale.

 

Per la sua terza schiacciata Carter si servì di McGrady: una schiacciata difficile anche solo a descriverla, una schiacciata che portò al famoso “IT’S OVEEEEEER”.

 

La quarta schiacciata all’apparenza sembra una classica schiacciata di potenza ad una mano realizzata dopo uno stacco verticale poderoso, non fosse altro che Carter decide di entrare con tutto il braccio nel canestro dando una chiara dimostrazione dell’entità del salto, lasciando il pubblico tra il basito e l’incredulo.

 

Il punteggio fin qui acquisito da Carter gli permise di “amministrare” il vantaggio, potendo eseguire una schiacciata da 42 per portare in Canada il titolo. Carter prende una notevole rincorsa eseguendo una schiacciata a due mani staccando a pochi passi dalla linea del tiro libero: un volo vero e proprio.

 

Con questa performance, la stella dei Raptors, di fatto, contribuì a salvare la competizione dalla probabile cancellazione. Fu senza dubbio uno dei momenti più iconici della carriera di Carter.

 

3) LE OLIMPIADI DI SIDNEY 2000

Team USA si presentò all’appuntamento forte dell’oro conquistato ad Atlanta 4 anni prima. Inizialmente escluso dalla lista in favore di Ray Allen, Carter riuscì a entrare nella squadra sfruttando l’infortunio al ginocchio sofferto da Tom Gugliotta a marzo. Inserito nel Gruppo A assieme a Cina, Francia, Italia, Lituania e Nuova Zelanda, Team USA ottenne cinque facili successi concedendo agli avversari una media di 72 punti con un disavanzo medio di 29. In poco più di venti minuti Carter mise a referto 14 punti, 3,4 rimbalzi e 1,4 assist.

Il 25 settembre 2000, nel corso dell’ultima partita della fase a gironi del torneo contro la Francia, Carter intercettò un passaggio lanciandosi in contropiede puntando il canestro e sfruttando il ribaltamento. Chi si frappose tra lui ed il canestro fu Frederic Weis, centro di 218 cm in grado quell’anno di fare incetta di trofei: campionato, coppa di Francia e Coppa Korac, non proprio un esordiente.

All’altezza dell’ultima tacca dell’area piccola si produsse in un arresto di potenza a due tempi spiccando letteralmente il volo, appoggiando una mano sulla spalla di Weis rimasto immobile sotto canestro. Il risultato fu senza dubbio la schiacciata di gioco più bella della storia. Una schiacciata che, per ammissione dello stesso Carter, non fu più in grado di riprodurre neanche in allenamento, nonostante i ripetuti tentativi.

Nel cammino verso l’oro, Team USA riuscì poi ad avere la meglio rispettivamente su Russia, Lituania e la stessa Francia, trovando resistenza solamente in semi finale. Carter chiuse quella spedizione da miglior marcatore, aggiudicandosi in poco tempo il ROY, lo Slam Dunk Contest 2000 ed appunto l’oro olimpico.

 

4) TOR@NJN: 104-105 (08/01/2006)

Quando i Nets, in striscia positiva da nove partite, si presentarono all’Air Canada Centre di Toronto l’8 gennaio del 2006, il pubblico di casa non era ancora disposto a tributare a Carter un’adeguata accoglienza (nella sua prima partita da avversario, Carter aveva messo a referto 39 punti con 15/26 dal campo contribuendo in modo fondamentale alla vittoria per 101-80).

Carter iniziò la partita in modo disastroso. In transizione, giunto a rimorchio di Kidd, ricevette da questo il pallone sul perimetro con un elegante passaggio dietro la schiena, facendo partire un tiro che, sorvolando il canestro, andò ad infrangersi sul tabellone. Pochi istanti più tardi, prendendo la linea di fondo, anticipò il difensore facendo partire un jumper che non trovò neanche il ferro.

 

Sembrerebbe il preludio di una partita disastrosa, ma sfruttando al meglio i blocchi dei compagni, Carter riuscì a trovare la via del canestro chiudendo il primo quarto con 8 punti (4/10 da 2 0/1 da 3), 2 rimbalzi e 3 assist consentendo ai Nets di chiudere in vantaggio di 6.

Il secondo quarto fu a totale appannaggio dei Raptors che trascinati da Bosh e Mike James, 5 punti a testa, girarono la partita a loro favore ottenendo un prezioso contributo dalla panchina con i 9 punti nel solo quarto di Jalen Rose e i 4 di Matt Bonner, giungendo a fine quarto in vantaggio di 3 punti. Il secondo quarto di Carter risultò ancora condizionato da una scarsa precisione al tiro.

La ripresa iniziò sotto il segno di Kidd: 13 dei 28 punti dei Nets furono realizzati dal californiano conditi, come sempre, da 4 assist di cui uno in alley oop a Carter in azione di palla a due. Sei punti a testa per Carter e Krstic, centro serbo di 2.13, invertirono per l’ennesima volta l’inerzia della partita, portandosi su 76-73 sui Raptors tenuti in partita dalla coppia M.James-Bosh.

L’ultimo quarto della partita iscrisse di diritto Carter tra i giocatori con il maggior numero di punti segnati in un quarto. Con i suoi 24 Carter figura a poche lunghezze di distacco da W.Chamberlain (31), D.Thomson (32), C.Anthony (33), K.Love (34) e ovviamente K.Thompson (37). Le cifre sono eloquenti: 6/11 da 2, 3/4 da 3 e 3/3 dalla lunetta. La visione del quarto permette di avere una chiara idea del talento di Carter e delle sue doti realizzative.

In sequenza possiamo notare un giro e tiro con fallo subito, un Alley oop in avvitamento, una tripla centrale in uscita dai blocchi, un floater centrale puntando canestro, un rimbalzo offensivo con facile appoggi, una tripla in transizione e, infine, un game winner da otto metri con due secondi a cronometro.

Con il risultato fermo sul 102-103 per i Raptors, a 7.2 secondi dal termine si presentò in lunetta Calderon (2 punti in poco meno di 23 minuti di impiego con 0/2 dal campo e 0/1 da 3). Il piano partita impostato da L.Frank, dichiarerà Carter, prevedeva in caso di errore ai liberi di puntare ai supplementari con un veloce gioco da due punti. Soluzione subito scartata da Vince: “Vado per la pugnalata. Se sbaglio, sbaglio, se la metto torniamo a casa da eroi“. Andò decisamente bene:

 

5) SAS@DAL: 108-109 (26/04/2014)

Il 12/12/2011 Carter si accasò ai Mavs dopo brevi esperienze in Florida sponda Magic ed in Arizona ai Suns, entrambe avare di successi ma che gli permisero di affinare il proprio gioco consolidando le percentuali al tiro e trasformandolo in un utile elemento da inserire a partita in corso. In regular season i Mavs giunsero settimi ad Ovest con un record di 36-30. Carter in 25 minuti di gioco produsse 10,1 punti di media 3,4 rimbalzi e 2,3 assist con il 41% dal campo e 36% da 3 punti.

I playoff si conclusero in modo disastroso con una roboante sconfitta per 4-0 al primo turno ad opera dei Thunder, piuttosto pesante per essere i campioni in carica. L’anno seguente fu perfino peggio: con l’addio di Jason Terry la squadra non arrivò neanche a giocarsi i playoff, giungendo decima ad Ovest con 41-41. L’annata 2013-2014 fu coronata con il ritorno ai playoff grazie all’ottavo posto con 49-33. Al primo turno si trovarono a fronteggiare gli Spurs, futuri campioni, una squadra che in regular season aveva dimostrato di girare molto bene grazie alla profondità della panchina ed ad un quintetto molto duttile.

Il 26/04/2014 i Mavs giocarono in casa gara 3 dopo essere usciti con un incoraggiante 1-1 dalla doppia trasferta a San Antonio, culminata con un +21 in gara 2 con cinque uomini in doppia cifra. La partita risultò essere oltremodo avvincente ed equilibrata soprattutto nella seconda frazione di gioco

I Mavs spinti da un sorprendente Monta Ellis da 29 punti con 12/22 dal campo, 3/7 da tre (di cui almeno un paio dal peso specifico notevole) da Nowitzki (18) e da Calderon (16) tennero testa ai nero argento del trio Duncan (22), Parker (19) e Leonard (17) per tutta la partita. Carter in 22 minuti di utilizzo produsse 11 punti con 3/8 dal campo, 1/3 da 3, 4/4 ai liberi infarciti da 3 rimbalzi e 1 assist ma ancora una volta, come in precedenza, fu lui a dare il colpo di grazia.

Con il tabellone dell’American Airlines Center fermo a 1,7 secondi dal termine di gara 3 con il punteggio fermo sul 108-106 per gli Spurs, Calderon ha tra le mani la palla dell’ultima rimessa di gioco. Il posizionamento dei giocatori fa intuire che, in uscita dai blocchi, verranno affidate le speranze di vittoria alla mano di Ellis vero e proprio mattatore dell’incontro. Ellis si libera di Danny Green che, vistosi battuto, riempie l’aria a copertura di un tiro a più alta percentuale; Carter, inseguito da Ginobili prende la posizione in angolo; Nowitzki sale all’altezza del tiro libero. La palla, assieme alle speranze del popolo Mavs, viene affidata a Carter che la riceve, con una finta fa saltare Ginobili e in posizione scomposta fa partire il tiro del KO Spurs.

Vedendo e rivedendo questa azione non può che tornare alla mente un altro tiro allo scadere già citato in precedenza. Dopo 4.724 giorni, lavorando ad ogni allenamento, senza farsi consumare dai fantasmi del 2001, Carter si è preso la sua rivincita.

 

6) I 25.000 PUNTI

Una schiacciata, una delle tante della carriera ventennale di Carter. Questa schiacciata, però, non è come le altre: prima cosa perché è stata realizzata contro i suoi Raptors, ma soprattutto perché gli permette di entrare, a pieno titolo, in un club esclusivo: il 25.000 point club.

Vince Carter è il ventiduesimo a toccare quota 25.000 punti in carriera. Ora siede accanto a gente del calibro di Kareem Abdul-Jabbar, Karl Malone, LeBron James, Kobe Bryant, Michael Jordan, Dirk Nowitzki, Wilt Chamberlain, Shaquille O’Neal, Moses Malone e Elvin Hayes, solo per citare i primi dieci.

 

Grazie di tutto Vince

Il quarantatreenne Carter è giunto quindi all’epilogo della sua lunghissima carriera NBA, cominciata col Draft del 1998. In questi anni ci ha regalato tante giocate emozionanti e tanti lampi del suo grande talento. È difficile commentare il ritiro di un giocatore che ci ha accompagnati per tutto questo tempo, qualcuno che eravamo abituati a pensare ai blocchi di partenza ogni anno, che in qualche modo rappresentava una certezza. Possiamo solo dirti grazie di tutto Vince, è stato veramente incredibile, anzi, “Vincredible”.

Tags: Atlanta Hawksslam dunk contesttoronto raptorsVince Carter
Matteo Lugli

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