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I Jelly Fam hanno davvero rivoluzionato la NBA?

Riccardo Aliprandi by Riccardo Aliprandi
24 Ottobre, 2020
Reading Time: 14 mins read
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Jelly Fam, la rivoluzione

Copertina a cura di Sebastiano Barban

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Negli ultimi tempi gli appassionati NBA hanno visto le homepage dei propri account social riempirsi sempre più spesso con video di ragazzi di 16 o 17 anni mentre eseguono giocate fantastiche, che raramente si vedono sui campi professionistici.

È innegabile che l’avvento di piattaforme di condivisione come Facebook, YouTube o Instagram abbia totalmente rivoluzionato l’approccio degli appassionati sportivi a tutti i livelli. La possibilità di accedere a qualsiasi contenuto (video e news) quasi in tempo reale ha infatti permesso da un lato di essere sempre aggiornati sui propri idoli, dall’altro di venire a conoscenza di fenomeni del basket giovanile che proprio grazie a questi mezzi di condivisione possono farsi notare dal “grande pubblico”.

Ed è proprio dei cambiamenti nel mondo relativo a questi ultimi di cui oggi si parlerà. Un’analisi che ritrarrà la nascita, la crescita e (troppo spesso) il declino di alcuni dei più interessanti giocatori e movimenti legati al mondo liceale a stelle e strisce, cercando di capire quali siano i caratteri comuni e soprattutto come possano aver influenzato le dinamiche del basket professionistico.

 

L’influenza dei social sul basket dell’High School: Jelly Fam e altre storie

Si può senza dubbio affermare che Lebron James sia stato il primo (e con il senno di poi potremmo aggiungere “di tanti”) giocatore liceale in grado di creare tanto hype da raggiungere la grande fama ben prima dell’approdo sui parquet professionistici o della NCAA, grazie a una copertura mediatica e ad highlights che hanno fatto il giro del mondo. Dal 2003 in poi i video di giovani prospetti impegnati in campionati di High School o AAU crebbero esponenzialmente sia in numero che in popolarità, basti pensare ai mixtape di John Wall, Seventh Woods, Demar Derozan o in tempi più recenti Zion Williamson, Jordan McCabe, Trevon Duval e Isaiah Washington.

Alcuni dei nomi sopracitati sono noti ai più in quanto star NBA, ma non tutti questi fenomeni mediatici sono poi riusciti a confermare le aspettative iniziali. In molti casi, infatti, questa popolarità “social” ha portato alla creazione di una sottocultura nel panorama sportivo americano riguardante i giocatori non professionisti, non derivante da prestazioni in ambito NCAA, ma piuttosto da giocate realizzate nei playground o durante campionati AAU.

Proprio Isaiah Washington, l’ultimo ragazzo tra i precedentemente elencati, ne risulta essere la massima espressione. Nato ad Harlem nel 1998 e nominato Mr. New York Basketball nel 2017, ottenne molta fama nel panorama cestistico NewYorkese al punto da fondare, insieme all’amico e compagno Ja’Quaye James (celebre soprattutto per le proprie connessioni con il mondo hip-hop NewYorkese), un vero e proprio movimento chiamato “Jelly Fam”.

Il nome deriva dal Jelly, signature move inventata dallo stesso Isaiah nel 2012, che consiste nell’esecuzione originale ed in un certo senso innovativa di un fondamentale apparentemente semplice della pallacanestro, ovvero il layup. In particolare, la sfida di Washington e degli altri membri era quella di eseguire un cosiddetto finger roll dando un’estrema rotazione alla palla che permettesse di segnare anche con angoli impossibili o appoggiandola nella parte più alta del tabellone.

 

La diffusione del movimento fu immediata nel mondo dei playground di New York e permise di attirare numerosi giocatori (tra i più noti Jahvon Quinerly, All-American, nonché 26esimo prospetto della ESPN top 100 nel 2018), tutti accomunati da grande creatività e, at the end of the day, amore per il gioco. Il gesto diventò quindi un simbolo della libertà sul campo, dell’eleganza, della voglia di mostrare il proprio lato “artistico” e di condividerlo con gli altri grazie anche all’utilizzo dei social network, che scatenarono dovunque un forte spirito di emulazione, arrivando addirittura a far parte del gergo delle star NBA.

Per un paio d’anni il fenomeno Jelly Fam potè godere di una importanza nella Grande Mela tale da creare una folta e costante presenza di pubblico nei tornei a Rucker Park, il più famoso playground al mondo, paragonabile all’afflusso generato dalla presenza di una star NBA. Un vero fenomeno mediatico che nel 2016 portò addirittura il magazine online Bleacher Report ad iniziare a scrivere articoli e girare video su questi ragazzi, che ad oggi contano milioni di visualizzazioni.

JellyFam però non è stato l’unico brand legato al mondo delle High School a stelle e strisce, infatti anche nomi come Big Baller Brand e Prodigy affondano le loro radici nel basket liceale. Il primo, come probabilmente noto a molti, è il brand fondato nel 2016 da Lavar Ball, ex-giocatore NFL nonché padre di Lonzo, Liangelo e Lamelo, quando il figlio maggiore si trovava ancora a UCLA e i figli minori presso il liceo di Chino Hills.

Il secondo invece è il brand nato attorno al giovane fenomeno liceale Julian Newman. Julian, nato ad Orlando nel 2001, arrivò alle luci della ribalta nel 2012 quando, all’età di 11 anni, ancora al primo anno di Middle School, a seguito di una partita da 91 punti contro i suoi coetanei, venne reclutato per giocare nel varsity team (ovvero ciò che in Italia chiameremmo la “Prima Squadra”) dal liceo locale.

Il giovane prodigio portò la squadra ad un record di 21-6 e fu il primo per assist nello stato della Florida, nonostante giocasse contro avversari talvolta più grandi di lui di 7 anni e fosse alto solo 1.35m per 32 Kg. Tali risultati portarono immediatamente MaxPreps (sito di sport liceale di proprietà di CBS) a scrivere articoli su di lui e i suoi video su YouTube ad avere milioni di visualizzazioni; in seguito perfino magazine come Sports Illustrated e The New York Times e importanti programmi televisivi quali The Ellen DeGeneres Show o Good Morning America rivolsero le loro attenzioni su di lui.

Nel 2014 Julian fu definito dal Tampa Bay Times “the most marketed 12-year-old basketball player in the world” (“il più commercializzato giocatore di basket dodicenne nel mondo”), nel 2015 fu protagonista della serie documentario “Born Ready” e nel 2019 insieme alla sorella Jaden (anch’essa nota per aver iniziato a giocare a basket nel varsity team del liceo locale a soli 9 anni) e al resto della famiglia partecipò al reality “Hello Newmans”. Julian, inoltre, grazie alla sua lunga permanenza e ai risultati raggiunti nella sua High School, riuscì a superare molti record liceali nello stato della Florida, tra cui, nella sua stagione da sophomore, quello di miglior scorer, che durava da ben 20 anni.

Come spesso accade, soprattutto quando si parla di ragazzi così giovani, non è tutto oro quel che luccica; capita, infatti, di frequente che la fama creatasi attorno ai prospetti durante l’High School spesso non corrisponda alle potenzialità cestistiche poi espresse nel corso della carriera. Sebbene alcuni dei “fenomeni social” liceali come Lebron James, John Wall, Demar Derozan o Zion Williamson abbiano poi rispettato le attese, la maggior parte di essi ha faticato molto negli anni seguenti. I Jelly Fam e Newman infatti si trovano oggi lontani da un futuro nel basket professionistico.

Isaiah Washington, uscito dal liceo come prospetto 4 stelle e 68esimo nel ranking ESPN della classe 2017, dopo due anni deludenti presso la University of Minnesota (4.3 punti per partita con 31.1 FG% e 21.3 3P% nella sua seconda stagione) si è trasferito presso Iona College dove ha viaggiato a 11.4 punti a partita, rimanendo però ancora ben lontano dai radar NBA.

 

Jahvon Quinerly, anch’egli membro di JellyFam, prospetto 5 stelle, classificato 26esimo in tutti gli Stati Uniti nel ranking ESPN, considerato al punto tale da essere invitato al SC30 select camp (ovvero il camp organizzato ogni anno da Stephen Curry per i migliori liceali scuola USA), ha viaggiato a soli 3.2 punti nella sua prima stagione a Villanova per poi trasferirsi presso la University of Alabama dove è dovuto rimanere un anno lontano dai campi da basket a causa delle regole di trasferimento NCAA.

Newman, invece, nonostante sia al suo ultimo anno di liceo, non ha ricevuto alcuna offerta da college di Division 1 per via del suo fisico (1.70m per 64Kg) e ciò potrebbe segnare la fine della carriera del prospetto da Orlando.

 

Il sogno e l’illusione della NBA

Nel corso degli anni ci sono stati molti casi di giocatori anche meno iconici di quelli analizzati in precedenza, ma che singolarmente presentano storie simili. La costante è, ancora una volta, la popolarità raggiunta in giovane età grazie a giocate che in tempo record fanno il giro degli Stati Uniti, e non solo, rendendo automaticamente questi prospetti i più attesi e i più chiacchierati di tutta la nazione.

Pensiamo ad esempio a Seventh Woods, protagonista del Mixtape di High School più popolare di YouTube con 15 milioni di visualizzazioni, nonché prospetto 4 stelle e secondo ESPN miglior prospetto della South Carolina.

Noto soprattutto per il suo atletismo straripante e le schiacciate spettacolari, nel 2016 decise di lasciare il suo stato d’origine per trasferirsi a Chapel Hill presso la University of North Carolina. Qui però non riuscì mai a trovare spazio, vedendosi preferito nel ruolo di point guard prima Joel Berry II e nel suo junior year Coby White. A seguito di tre stagioni pressoché nulle dove viaggiò complessivamente a 1.8 punti a partita decise quindi di trasferirsi presso la University of South Carolina con l’obiettivo di rilanciarsi nel suo ultimo anno al college, nella speranza, ormai remota, del Draft 2021.

Si potrebbe poi nominare Jordan McCabe, soprannominato “The Next White Chocolate” e paragonato all’ex-playmaker NBA Jason Williams per via alle sue capacità di ball-handling. Ottenne per la prima volta le attenzioni da parte dei media quando a 12 anni si esibì insieme agli Harlem Globetrotters, mettendo in mostra abilità inimmaginabili per un ragazzo di quell’età.

In seguito grazie alla combinazione delle sue prestazioni presso la Kaukauna High School e della spettacolarità del suo stile di gioco, ottenne nuovamente grande fama tramite i video caricati su YouTube di cui era protagonista, al punto da essere invitato al SC30 select camp.

Inoltre venne classificato come prospetto 4 stelle e terzo miglior giocatore della sua classe nello stato del Wisconsin. Passato al basket NCAA, ha negli ultimi anni faticato parecchio, riuscendo a racimolare solamente 4.5 punti di media nelle sue prime 2 stagioni a West Virginia e risultando ben lontano da quelle che erano le aspettative in uscita dal liceo.

 

Ancora diversa fu la storia di Josh Selby, che per tutta la stagione 2009-2010 fu soggetto, insieme al futuro campione NBA Kyrie Irving, della discussione riguardante la miglior point guard liceale della nazione. Alla fine di quell’anno, dopo essere stato classificato da parte di Rivals miglior prospetto in uscita dalla High School, al di sopra di futuri giocatori NBA del calibro di Victor Oladipo, Tobias Harris e lo stesso Kyrie Irving, accettò in diretta nazionale su ESPN2 la borsa di studio offertagli dalla University of Kansas di coach Bill Self per giocare in uno dei più rinomati programmi collegiali negli Stati Uniti.

La prima stagione NCAA non andò però secondo le aspettative: Josh riuscì a totalizzare solamente 7.9 punti a partita con il 37.3% al tiro in 26 partite, ma nonostante ciò decise comunque di rendersi eleggibile per il Draft 2011, sicuro che il suo talento e la sua fama gli avrebbero assicurato una chiamata. Così fu, ma sfortunatamente questa arrivò solo a fine secondo giro da parte dei Memphis Grizzlies, i quali lo assegnarono in G-League nel febbraio della stessa stagione.

L’estate successiva fu nominato co-MVP della Summer League 2012 assieme alla futura star Damian Lillard. Questo però rappresentò il vero picco della carriera di Selby, il quale in seguito iniziò un’odissea tra varie squadre di NBA e G-League, finché nel settembre del 2013 concluse la sua deludente carriera NBA a 2.2 punti di media in 38 partite. Ormai privo di stimoli andò a giocare in Cina, dove rimase una stagione prima di iniziare a vagare per le diverse leghe nazionali europee, rassegnato all’impossibilità di realizzare il suo sogno di successo NBA.

 

L’ultimo prospetto di cui vogliamo parlare è Trevon Duval, nato a Brooklyn nel 1998, i cui famosissimi highlights liceali e lo straripante atletismo hanno fatto, fin da subito, pensare a paragoni con star NBA come Russell Westbrook o Derrick Rose. Prospetto 5 stelle, sesto nel ranking ESPN della sua classe in tutti gli Stati Uniti e primo nel ruolo di point guard, venne considerato addirittura superiore a suoi coetanei del calibro di Ja Morant, Jaren Jackson Jr. e Trae Young.

Nel 2017 dopo essersi diplomato presso la nota IMG Academy decise di accettare la borsa di studio offertagli da Duke, garantendosi la possibilità di essere allenato dal leggendario coach Mike Krzyzewski. Concluso il suo primo anno di college a soli 10.3 punti a partita (42.8 FG% e 29.0 3P%), si rese eleggibile per il Draft 2018 e finì undrafted. Accettata l’offerta del two-way contract da parte dei Milwaukee Bucks, fu assegnato immediatamente ai Wisconsin Herd, squadra di G-League, e in seguito nel marzo 2019 venne tagliato. Il prodotto dello stato di New York fu quindi firmato dagli Houston Rockets che lo assegnarono a loro volta alla G-League, dove gioca tutt’ora.

Potremmo andare avanti e nominare giocatori come Isaiah Briscoe, Marquis Teague, Kasey Hill, Jaylen Hands e tanti altri, ma si tratterebbe di un lungo elenco di nomi ormai dimenticati, presenti solo in qualche video di YouTube e nelle menti di pochi tifosi che un tempo credettero in loro e nelle loro potenzialità.

 

La rivoluzione parte dal basso

Ora dopo aver riportato alla luce tutti questi personaggi tanto simbolici quanto, al tempo stesso, incompiuti, è giusto provare a chiedersi le ragioni del repentino e precoce tramonto dei sogni di questi ragazzi e dell’effetto che essi hanno avuto sul basket professionistico.

Ad un primo approccio potrebbe sembrare scontato e nell’ordine delle cose pensare che per un Lebron James e uno Zion Williamson che hanno impatto immediato nella NBA, ci siano migliaia di giovani che con il crescere del livello di gioco e delle pressioni extra campo rischiano di perdersi e di scomparire alla stessa velocità con cui sono divenuti popolari.

È veramente così? Abbiamo davvero fatto questo lungo discorso per poi rassegnarci al fatto che sia stato tutto inutile? Per certi versi sì, ma abbiamo ragione di credere che in minima parte il “sacrificio” di questi ragazzi abbia in realtà avuto effetti indiretti sulla percezione dei nuovi giocatori che si ha anche nei nobili uffici della NBA.

Nell’era dei social media nulla è fine a se stesso: qualsiasi contenuto può essere infatti fonte di ispirazione per altre persone che si trovino in condizioni simili e il potere della condivisione fa nascere spesso, come nel caso della Jelly Fam, delle vere e proprie “famiglie allargate” di ragazzi che hanno le stesse passioni, gli stessi sogni. Il potere dei social è, tuttavia, anche quello di mettere in evidenza ciò che viene ritenuto più meritevole di attenzione da parte di chi crea e carica il contenuto a discapito di chi, per caratteristiche, personalità, attitudini, sia destinato a rimanere lontano dai riflettori.

Si tratta quindi di un filtro sulla realtà apposto da chi di quella realtà è narratore e promotore interessato, e non da chi volesse, con le sue competenze e preferenze, osservare e in seguito giudicare in prima persona.

Il discorso è estremamente complesso e articolato, ma proviamo ad entrare nei dettagli cercando dei riferimenti reali. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rapida evoluzione del ruolo di point guard, sia a livello di compiti sia soprattutto dal punto di vista fisico e atletico. L’immagine del playmaker tradizionale dedito alla creazione del flow offensivo e al miglioramento dei compagni, è stata ormai definitivamente e brutalmente soppiantata da giocatori “all around” (a tutto tondo, per i meno anglofoni) in grado di prendersi interamente carico della produzione offensiva della squadra, grazie anche a uno sviluppo atletico che in passato era sconosciuto o, più semplicemente, non richiesto.

Le ragioni di questa rivoluzione (perché di tale si tratta) sono senz’altro legate al cambiamento del gioco, sempre più orientato ad una fluida e poco vincolante divisione dei ruoli. I fini sono molteplici, dalla necessità di sopperire alla mancanza di creation di molte delle guardie moderne, alla possibilità di switchare costantemente in difesa. Ma non divaghiamo, cerchiamo piuttosto di capire come i campi delle high school e dei playground possano aver influenzato questo cambiamento e come i social network siano stati il tramite per trasmettere il messaggio.

Possiamo finalmente identificare, dopo giri immensi, la caratteristica che unisce tutti i nostri eroi, oltre all’infausto e ingeneroso destino. PG. Point Guard. La maggior parte di coloro che hanno avuto un successo mediatico, sia esso duraturo o effimero, erano indicati sulla carta nel ruolo di point guard. Questo vuole forse dire che tutte le point guard con quelle caratteristiche in uscita dal liceo cadranno poi nel dimenticatoio? No, anzi l’esatto contrario. Significa semplicemente che al giorno d’oggi i giocatori che si mettono più in evidenza nei campionati liceali spiccano soprattutto per le abilità fisiche e atletiche, che permettono loro di creare un divario con chi non può pareggiare minimamente quello strapotere.

Queste capacità straordinarie portano gli stessi ragazzi ad avere molto spesso la palla in mano e ad essere classificati formalmente nel ruolo di PG. È dunque da qui che nelle high school vengono in qualche modo accantonate le peculiarità caratteristiche dei playmaker, ritenute superflue nel momento in cui un giocatore ne abbia già altre che sono sufficienti a renderlo incontrastabile dai pari età.

Tutto ciò si ripercuote con un effetto a cascata dapprima sul mondo NCAA ed in seguito su quello NBA, causando una netta riduzione del numero di point guard in grado di costruire una manovra offensiva efficace e costringendo le squadre ad adottare molto spesso sistemi incentrati sulla propria star “all around” per sopperire alla mancanza di flow offensivo. In tutto questo entra in gioco anche la componente social che, come accennato in precedenza, contribuisce non solo ad accrescere la popolarità attorno a questa nuova categoria di giocatori, ma allo stesso tempo può oscurare altri possibili talenti con altri ruoli (o forse sarebbe meglio dire, altri compiti), e altre caratteristiche non altrettanto spettacolari. Si tratta naturalmente di una sorta di prima selezione, in quanto è poi sempre il campo e non le views a decretare il valore di un giocatore, ma la direzione appare ormai abbastanza delineata.

Ritorniamo quindi alla domanda che ci ha motivato: “i Jelly Fam hanno realmente rivoluzionato la NBA?”. Di certo non è la rivoluzione che si aspettavano e speravano Isaiah Washington e tutti gli altri prospetti, ma è qualcosa di forse ancora più grande, un qualcosa che, molto probabilmente, nessun giocatore da solo sarebbe mai riuscito a fare. Il cambiamento delle dinamiche di squadra a livello liceale ha infatti lasciato un segno decisivo nella pallacanestro mondiale.

Staremo a vedere se questa tendenza verrà confermata negli anni a venire ma i presupposti lasciano assolutamente intendere che sarà così. La cosa certa è che bisogna tenersi sempre pronti e attenti agli input che arrivano dai campi delle high school in attesa che magari possa nascere una nuova ondata, un nuovo movimento, una nuova rivoluzione. Perché le rivoluzioni, come la storia insegna, partono sempre dal basso.


Articolo a cura di Riccardo Aliprandi e Lorenzo Biglione.

Tags: DeMar DeRozanIsaiah WashingtonJelly FamJohn WallJordan McCabeSeventh WoodsTrevon DuvalZion Williamson
Riccardo Aliprandi

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