Ormai la stagione in casa Cavs è ufficialmente conclusa. Nonostante non sia stata positiva come si sperava tra i tifosi ai nastri di partenza, si può dire con un po’ di rammarico, che sia terminata nel momento esatto in cui le cose stavano iniziando a farsi interessanti in Ohio.
L’aggiunta di Drummond e il cambio di coach aprivano tra gli interessati nuovi scenari rimandati per ora alla stagione successiva. Ma quali sono le tre domande sui Cavs che rimarranno ormai senza risposta a causa della chiusura anticipata della stagione regolare?
1. Garland è valso la quinta scelta?
Senza girarci intorno, dopo la deludentissima stagione 2018-2019, la dirigenza dei Cavs approcciava la successiva con la speranza di poter mettere le mani su quel Zion Williamson riconosciuto all’unisono come The Next Big Thing della NBA.
Così non è stato ed oltre al danno di una stagione che ha visto cadere la franchigia dalle stelle alle stalle, è arrivata la beffa di una quinta scelta assoluta, nonostante il 2° peggior record di squadra. La notte del draft è stato “chiamato” il prodotto di Vanderbilt, Darius Garland.
Outift firmato da Jerry Lorenzo, fondatore del marchio “Fear of God”
Il prospetto veniva si da una stagione breve, avendo giocato solamente cinque partite fino all’infortunio al menisco (optando per saltare la stagione collegiale per prepararsi al meglio per il draft), ma interessante.
Il cliente della Klutch Sports girava a 16.2 punti (TS% .657), con una efficienza in tutti e tre i livelli di scoring: 83esimo percentile come scorer (con dati fantascientifici come il 97esimo percentile da 3 ed il 99esimo percentile nel jumper dal palleggio), un ball-handling disarmante, buoni flash come passatore (nonostante un alto numero di TO) soprattutto nei pick n roll, ma una serie di lacune difensive (dettate anche da un fisico e da un atletismo limitanti) che si riscontravano facilmente all’eye-test. Sin da subito, quindi, è stato facile dedurre il fit del ragazzo con il roster dei Cavs.
Se difensivamente, i deficit non sono stati colmati (contro di lui gli avversari tirano con il 7% in più rispetto alle loro medie, 3° peggior dato tra le guardie della lega con almeno 40 partite disputate) complice una squadra incapace di offrire prestazioni difensive solide con continuità, è sulla metà campo offensiva che ci si aspettava di più da un rookie con il suo potenziale.
I problemi di turnover che si portava dietro già dal college (TO% del .197 e AS/TO 0.87) si sono confermati anche al piano superiore (rispettivamente TO% .136 e AS/TO 1.52), dati che diventano sanguinosi in un roster dove il fondamentale risulta deficitario (i Cavs sono nei bassifondi della Lega in quasi tutte statistiche di squadra inerenti il “passing”).
Non a caso, Garland, nonostante un misero dato di 3.9 assist a partita, risulta esser statisticamente il miglior passatore di Cleveland, rischiando, per larga parte della stagione, di infrangere il poco onorevole record (da quando son stati inseriti i 24 secondi) di peggior miglior assistman: peggio solo dei 3.4 assist di Marcelo Huertas, registrato in maglia Lakers nella stagione 2013-2014.
Garland, dopo il blocco, invece di provare a scaricare in angolo per Osman che, forte dell’aiuto di TJ Warren sotto canestro, si era liberato, decide di forzare una linea di passaggio per Drummond, causando 2 punti in contropiede per Indiana.
Anche le percentuali al tiro, che tanto avevano fatto innamorare gli scout durante la sua esperienza al college, hanno subito un tracollo. Durante questa sua prima stagione, si è attestato su una TS% del .498, uno dei dati peggiori tra le guardie del draft 2019, ben lontano da quella efficienza che aveva lasciato intravedere nelle 5 partite con Vanderbilt.
È stato quindi un fallimento scegliere Garland al draft?
Personalmente, nonostante i dati portino ad una conclusione non molto dissimile, continuo a credere nel ragazzo, ma per capire il mio punto di vista bisogna fare alcuni passi indietro.
Darius nelle ultime due stagioni ha giocato a malapena 64 partite, restando fuori dai campi da gioco dal 23 novembre 2018, giorno del suo infortunio, al 7 ottobre 2019, data di esordio in pre-season con i Cavs. È facile dedurre che una situazione simile non lo abbia aiutato a ritrovare il ritmo, con le ripercussioni che si sono trascinate per l’intera stagione. La pandemia da Coronavirus è stata, infine, la pietra tombale sulla sua prima stagione da professionista.
Arrivando ai Cavs, non si è ritrovato di certo nella situazione migliore per il suo sviluppo. Il roster era strutturato, paradossalmente, per offuscarne le qualità ed evidenziarne i difetti: l’esatto opposto rispetto a Vanderbilt. I deficit difensivi lo faranno essere, molto probabilmente, un difensore sotto la sufficienza per la sua intera carriera, ma ritrovarsi a giocare in un quintetto dove l’unico difensore “positivo” era Tristan Thompson, non è stato di certo d’aiuto e ha fatto sì che le sue difficoltà venissero ulteriormente messe in luce.
Situazione simile per la questione playmaking. La nuova PG dei Cavs ha giocato fino ai 16 anni come SG, nonostante un fisico minuto, sviluppando molto della sua produzione offensiva off the ball. Solo negli ultimi anni, causa caratteristiche fisiche, si è dovuto riadattare ad un ruolo non suo. A Cleveland ha dovuto svolgere il ruolo di playmaker per il quale non è ancora del tutto portato, a causa di un roster che, dalla partenza di Lebron James, palesa una evidente lacuna a livello di shot creation. Nonostante le difficoltà palesate, non ha mancato di dimostrare flash di talento anche in questo fondamentale:
Garland dimostra la sua capacità di palleggio nonostante gli spazi stretti a disposizione, trovando una linea di passaggio che libera Thompson per una facile schiacciata
Il talento nel suo caso è lampante e anche nel corso della sua prima stagione ha mostrato cosa sarebbe in grado di fare in un campo da basket. La shot chart mostra una intelligenza cestistica che lo ha sempre contraddistinto: difatti, il 75% dei suoi tiri si dividono tra pitturato e tiri da 3); potenzialmente potrebbe essere perfetto visto l’indirizzo preso dalla lega negli ultimi anni, anche se vanno decisamente migliorate le percentuali di realizzazione.

Molto del suo successo futuro passerà dallo sviluppo fisico-atletico, che potrebbe aiutarlo nelle conclusioni nei pressi del canestro (FG% 0.468), nella conquista dei tiri liberi (FTr% 0.103), vista l’ottima percentuale con la quale li realizza (% .875) e dalla squadra che la dirigenza riuscirà a costruirgli intorno.
Il 10 dei Cavs sfrutta il blocco di Thompson per andare a concludere nei pressi del canestro con un floater con la mano debole mandando fuori tempo la difesa di Zion
Darius non sarà la pietra fondante del rebuilding dei Cavs, sarebbe pretenzioso, ma mettere da parte un giocatore che ha mostrato un certo “feel for the game” potrebbe rilevarsi uno spreco, vista le lacune di talento che la squadra mostra al momento.
Darius Garland sets up Larry Nance Jr. for the strong @cavs slam. pic.twitter.com/7UchpsJvhz
— NBA (@NBA) January 31, 2020
Se poi firme importanti come Brian Windhorst, Mike Schmitz e Kevin Pelton meno di un mese fa son state concordi nel ri-prenderlo con la quinta in un eventuale re-draft della edizione 2020, validi motivi per farlo ci sono sicuramente.
2. J.B. Bickerstaff è la scelta giusta per i Cavs del futuro?
Il 19 febbraio, dopo una serie di eventi che avevano creato non pochi attriti all’interno dello spogliatoio, la dirigenza Wine and Gold ha deciso di sollevare dal ruolo di head coach John Beilein, alla prima (e probabilmente unica) esperienza tra i professionisti dopo 12 anni di onorata carriera ai Michigan Wolverines, riconvertendolo in ruolo non specificato all’interno dell’organigramma (in modo da giustificare anche quei 20 milioni che gli son garantiti da un contratto di 5 anni firmato solo qualche mese prima?).
Il ruolo di capo allenatore è stato assegnato a J.B. Bickerstaff, che in estate era stato “rubato” ad una folta schiera di squadre (Boston Celtics, Philadelphia 76ers, Los Angeles Lakers e Sacramento Kings) disposte ad offrirgli il ruolo di assistant coach.
Bickerstaff had talked with Sixers, Celtics, Lakers and Kings about lead assistant roles, but Beilein and GM Koby Altman helped convince him to play a central role in helping ex-Michigan coach transition to NBA. Bickerstaff was HC with Grizzlies and Rockets. https://t.co/7EOWBfCmhf
— Adrian Wojnarowski (@wojespn) May 19, 2019
I Cavs, che gli offrirono uno dei contratti più remunerativi tra gli assistant coach della lega, vedevano per il figlio di Bernie (attuale Senior Basketball Advisor degli stessi Cavs, vengono da sé delle legittime domande) un ruolo di tutor nella transizione di Beilein alla NBA e, probabilmente, un salvagente nel momento in cui la stagione avesse preso una piega inaspettata. Destino ha voluto che le peggiori aspettative si concretizzassero ed eccoci qui a parlare dell’ex head coach di Houston e Memphis e del suo impatto nella stagione di Cleveland.
JB ha guidato Love e compagni solamente per 11 partite fino al lockdown imposto dalla pandemia. Il record di 5-6 (0.455 W/L%), campione esiguo per dare conclusioni certe. Dà però adito a speranze tra i tifosi Cavs (basti pensare che il 26% delle W stagionali siano arrivate sotto la sua guida) viste anche le vittorie (Heat, 76ers e Nuggets) ed in generale le buone prestazioni offerte contro squadre (Celtics e Pacers) con ambizioni superiori rispetto a quelle della squadra dell’Ohio.
Statistiche alla mano, Cleveland con Bickerstaff ha visto migliorare il suo Offensive Rating, passando dal 106.9 stagionale (26esimo dato nella lega) ad un più che onorevole 109.9 (che varrebbe il 17° posto stagionale), con una media di 26.6 assist/partita (6°) ed una FG% del 48.1 (5°). Anche il Defensive Rating ha visto un lieve miglioramento (114.8 a 113.1) nonostante in questa run di 11 partite i Cavs abbiano dovuto affrontare anche squadre di un livello nettamente superiore.
A questi dati, si aggiungono le dichiarazioni di diversi membri del roster su come sia cambiata l’aria all’interno dello spogliatoio. Collin Sexton (top scorer dei Cavs 2019-2020 e probabilmente il giocatore che più ha giovato del cambio allenatore) ha speso parole al miele per il nuovo HC parlando con Sport Illustrated:
“Direi che l’energia è diversa. Adesso stiamo tutti provando a giocare per qualcosa. Siamo molto più uniti e abbiamo più libertà di parola […] Possiamo parlare con l’allenatore ed avere una discussione, il che è davvero bello”
Anche Chris Fedor, firma di cleveland.com, ha riportato le parole di un membro del roster che, in questo caso, ha preferito mantenere l’anonimato:
“È come la notte ed il giorno”
“(Beilein) Non sapeva come parlare con le persone. Non sapeva comunicare. “
Sul campo anche il gioco sembrava stesse cambiando, nonostante le poche occasioni per constatarlo. Le differenza più evidenti si son viste dalla prima partita contro i Wizards (W 113-108). Bickerstaff ha deciso di cavalcare i giocatori più “caldi”, nonostante questo volesse dire escludere Love e Drummond (starter e rispettivamente 1° e 2° per monte ingaggi a roster) per lasciare il campo alle loro riserve, Nance e Thompson. Situazioni simili sin son ripresentate anche nelle vittorie contro Miami e Denver. Quella che potrebbe apparire come normalità nella maggior parte delle squadre NBA, in Ohio risultava invece impensabile sino a poco tempo prima, vista la rigidità con la quale si rispettava il minutaggio prestabilito.
Sul campo, Beilein cercava di adattare i giocatori agli schemi, componente che ha fatto sì che l’ex coach di Michigan perdesse il controllo dello spogliatoio e li costringesse sin da prima a rivolgersi allo stesso Bickerstaff. Quest’ultimo ha cercato di disegnare un gioco su misura delle qualità a disposizione (pick-and-roll heavy offense) che si è da subito tramutato in un maggior impegno anche nella metà campo difensiva, rendendo le partite dei Cavs sicuramente più gradevoli per il proprio pubblico.
È curioso anche l’esperimento provato con i tre lunghi atipici in campo in alcune fasi delle ultime partite. In particolare nella vittoria all’overtime contro i Miami Heat, per l’intero tempo supplementare è stato proposto un quintetto che prevedeva Garland – Porter Jr – Love – Nance -Thomspon, con l’ex Lakers come vero e proprio jolly, capace, con le sue qualità fisico-atletiche, di avere un evidente vantaggio nel pitturato quando accoppiato con giocatori più piccoli, senza pagare eccessivo dazio, nella propria metà campo, quando portato sul perimetro.
Tra il 4° quarto e l’overtime, Nance più volte si trova “accoppiato” con Duncan Robinson, riuscendo a trarne vantaggio in ogni occasione
In tutto questo, il 10 marzo, la dirigenza Cavs ha deciso di prolungare il contratto di Bickerstaff con un rinnovo pluriennale, con scadenza nel 2024.
Cleveland and coach JB Bickerstaff's new contract extends four years — through the 2023-2024 season, sources tell ESPN.
— Adrian Wojnarowski (@wojespn) March 10, 2020
Capisco la volontà della dirigenza di premiarlo sia per quanto di buono dimostrato in queste 11 partite, sia per lo scarso ventaglio di coach liberi a fine stagione capaci di lavorare nel contesto di ricostruzione (con Kenny Atkinson come potenziale identikit). Per quanto possa essere d’accordo con la scelta, ho trovato eccessivo legarsi per così tanto tempo ad un allenatore che ha ancora molto da dimostrare, viste anche le non entusiasmanti esperienze passate come a Houston e Memphis.
A questo punto, vista la conclusione della regular season, non ci resta che rimanere in attesa della prossima stagione, nella speranza che quanto di buono visto nelle ultime apparizioni dei Cavs sotto la guida di Bickerstaff possa aver seguito.
3. Cosa fare con Tristan Thompson?
La 4° scelta assoluta del draft 2011 e campione NBA 2016, veniva da diverse annate non particolarmente felici. Tra infortuni e vicende extra-cestistiche (Kardashian curse coff coff), in questa stagione era riuscito a ritrovare continuità sul parquet, rispetto alle due precedenti stagioni dove aveva saltato quasi 70 partite (dato insolito essendo stato indisponibile per sole 4 occasioni dal 2012 al 2017) e con il clamore mediatico ed il gossip che sembravano essersi placati.
Statistiche alla mano, è stata la sua miglior stagione offensiva, alla quale non ha fatto mancare la tenacia e le qualità difensive che lo hanno sempre contraddistinto sul campo da basket. Thompson ha fatto registrare il record personale alle varie voci per media-punti (12), media-assist (2.1) media FGA e FG (9.9 e 5.1) e 3P% (.391 anche se su solamente 23 tentativi in stagione), alle quali si vanno a sommare il career high in punti (35) assist (6) rimbalzi (22) e blocchi (5). Senza contare il ruolo di vero e proprio leader dello spogliatoio, anche nei momenti più bui della stagione.
Notte da ricordare per TT, contro il suo futuro compagno Drummond
Infatti, a differenza di altri membri del roster, Thompson non ha mai rilasciato dichiarazioni che potevano minare in qualche maniera la stabilità della squadra e ha anche difeso pubblicamente l’ex headcoach Beilein nei momenti di difficoltà, continuando a lavorare in silenzio come suo solito. In poche parole, la stagione dell’ex Longhorn è stata ineccepibile.
La situazione sembrava quindi una delle migliori per provare a metterlo sul mercato e cercare di ricavarne il più possibile visto il contratto in scadenza, un po’ come era stato fatto qualche mese prima con Jordan Clarkson. Le voci su di una possibile trade con TT in uscita da Cleveland ci sono state (Mavericks, Clippers Wizards e Hakws tra le possibili destinazioni), ma mai niente di approfondito.
In questa situazione di stallo, come un fulmine a ciel sereno, il giorno della trade deadline i Cavs hanno acquisito Andre Drummond da Detroit (che chiamerà 28mln di player option la prossima stagione). Nel giro di pochi giorni, Thompson, si è ritrovato dall’essere un possibile partente forte della buona stagione che stava giocando ad essere “panchinato” per fare spazio al nuovo arrivato in Ohio.
Da professionista quale si è dimostrato negli anni, il 13 dei Cavs ha accettato la nuova situazione senza far trapelare nessun malumore alla stampa e dando il suo solito apporto (statisticamente parlando il suo impatto non si è differenziato di molto rispetto a prima dell’arrivo dell’ex Pistons), fino allo stop forzato della stagione.
Prima gioia da dietro l’arco in carriera per Thompson
Cosa fare ora con Thompson?
È evidente che la linea temporale della carriera di Tristan sia asincrona a quella dei nuovi Cavs. Nonostante il suo contributo, nel parquet e fuori, sia stato impeccabile nella stagione passata, è difficile pensare che possa continuare ad indossare la casacca wine and gold vista la situazione nella quale si trova Cleveland. Nei suoi 9 anni nella lega, tolto il quadriennio con Lebron James, la franchigia non è stata capace di contendere per un posto ai playoff e con ogni probabilità non lo sarà neanche nella prossima stagione.
È probabile che Thompson, che da poco ha compiuto 29 anni, vorrà si continuare a monetizzare (esce da un contratto 82mln/5y) senza però rinunciare a competere per un ulteriore anello.
L’ambiente Cavs sarebbe tuttora ben felice di continuare ad averlo a roster ma con un contratto che non risulti eccessivamente pesante a libro paga. Non a caso, ad inizio stagione, ci furono anche delle discussioni sulla possibilità di rinnovo, tramontate definitivamente con l’approdo del lungo ex Pistons. Dando per scontato che Drummond attivi la player option da 28 milioni (cifra che, opinione personale, nessuno gli garantirebbe non esercitandola) a Cleveland ben 71 milioni del cap sarebbero occupati da 3 giocatori del frontcourt (l’ex Detroit, Love e Nance Jr), senza contare che nel range della pick che i Cavs avranno al draft 2020 potrebbero cadere dei lunghi interessanti in ottica futura come James Wiseman e Onyeka Okongwu. Viene dunque facile dedurre che il tempo di Thompson in Ohio possa essere al termine, per cause economiche e di minutaggio.
L’opzione che renderebbe felici tutti quanti è ovviamente la “sign-and-trade”. Così facendo Cleveland non perderebbe a zero un giocatore che negli anni ha dimostrato di poter valere anche un ruolo da comprimario in una contender e Thompson non dovrebbe rinunciare ai suoi sogni di gloria.
Risulta al momento complicato, a causa anche del Coronavirus e dei risvolti che avrà sulla lega, ipotizzare quale squadra sarebbe disposta ad accoglierlo e più in generale quale potrà essere il suo futuro. Lo stesso giocatore, in una recente videoconferenza con alcuni reporter si è espresso così:
“Riguardo alla free agency, lascio che se ne occupi Rich Paul. È il migliore in queste cose […] Il mio focus al momento è esclusivamente sulla mia famiglia e sull’essere pronto per ritornare a giocare”
Inoltre, in una delle free agency meno appetibili degli ultimi anni, la possibilità che qualche contender che necessiti di un centro con eccellenti capacità di defensive switching gli offra la mid-level exception (9/10 milioni circa per la stagione 2020/2021) è plausibile. La squadra in questione, si porterebbe a casa un giocatore che ha già dimostrato di saper calcare certi palcoscenici, senza pregiudicare il cap space delle stagioni successive. Sarebbero i Cavs, nel malaugurato caso, a rimanere a bocca asciutta.
Comunque andrà, il segno lasciato da Tristan nella storia della franchigia rimarrebbe in modo indelebile con un intero stato eternamente grato per quanto fatto insieme ai suoi compagni nel 2016.
La miglior partita in maglia Cavs di Thompson
Domanda bonus: come dovrebbero comportarsi i Cavs in sede draft?
Posto che molto dipenderà dalla posizione che si otterrà attraverso la lottery, i Cavs non sono ancora nelle condizioni per poter chiamare in base alle necessità, quindi, anche questa volta, si dovrà cercare di chiamare il miglior prospetto in relazione alla pick a disposizione. Diverse fonti hanno riportato un vivo interesse della dirigenza (con tanto di viaggi transoceanici dei massimi esponenti del front office) per Deni Avdija, ala del Maccabi Tel Aviv che con ogni probabilità finirà in top 10 nel prossimo draft.