Quest’anno il D-Day cade in anticipo rispetto a quel 6 giugno che rovesciò le sorti del secondo conflitto mondiale a favore dell’esercito alleato: l’annuncio che milioni di appassionati di pallacanestro attendevano, infatti, è arrivato ufficialmente ieri, nella serata di un uggioso 4 giugno. La NBA riparte: lo sbarco non sarà in Normandia, bensì a Orlando, Florida.
Sarà infatti il Walt Disney World Resort, complesso intriso di fascino e divertimento, a ospitare le 22 franchigie che, in questa stagione falcidiata dalla pandemia Covid-19, rimarranno in gara per contendersi il Larry O’Brien Trophy. La data della ripartenza? Il prossimo 31 luglio, scelta che comporta una full immersion di basket per i due mesi e mezzo successivi. Potenzialmente fino al 12 ottobre, data in cui si svolgerebbe gara 7 delle Finals.
Dopo la ventilazione di un numero molto ampio di ipotesi differenti, la scelta di ridurre a 22 il numero di squadre in gioco, con il completamento parziale della regular season e i successivi playoff, ha riscosso il gradimento maggiore e ha svettato su qualsiasi altra opzione. Scongiurando, soprattutto, il rischio di una totale cancellazione della stagione, fattosi incubo dalle fattezze concrete nel mese scorso ma ridimensionato, fortunatamente, solo a spavento passeggero.
Procediamo però con ordine, affrontando innanzitutto le quattro ipotesi che, nelle scorse due settimane, si erano guadagnate il maggior gradimento. Cercheremo di capire, di conseguenza, cosa abbia portato la NBA nei giorni di mercoledì e giovedì a propendere definitivamente per il format a 22. Il Board of Governors, di fatto l’aristocrazia dirigenziale della lega, ha votato quasi all’unanimità: solo Portland, infatti, si è dichiarata contraria alla ripartenza, pur essendo una delle franchigie ripescate ad Ovest da questo nuovo formato.
I quattro assi nella manica di Silver
Il primo sfoltimento delle opzioni sul tavolo è arrivato ufficialmente nella giornata di venerdì 29 maggio: durante una call di un paio d’ore fra i vertici della lega, sul piatto sono rimaste quattro ipotesi, le più fattibili:
1) 30 squadre e raggiungimento, per ciascuna franchigia, delle 72 partite di regular season, facendo poi una sorta di torneino per determinare gli ultimi seed dei playoff, che sarebbero partiti successivamente. Fra le varie idee, questa è apparsa sin da subito come la meno probabile, perché avrebbe visto il coinvolgimento di tutte le società (paradossalmente anche di quelle già eliminate). Logisticamente poco fattibile e logicamente ancor meno sensata, anche per questioni relative alla priorità data alla salute pubblica.
2) 16 squadre e partenza in medias res con i playoff: indubbiamente un’ipotesi percorribile per il vantaggio di dimezzare, sostanzialmente, gli staff e i giocatori coinvolti. Poco apprezzata dagli addetti ai lavori, soprattutto perché, al momento dello stop, non tutte le franchigie avevano giocato lo stesso numero di partite e qualcuno sarebbe rimasto tagliato fuori senza nemmeno poterci provare. Addirittura, The Ringer ha ipotizzato la ripresa con accoppiamento mixato fra le Conference con record 1-16:
3) 20 squadre divise in 4 gironi: l’ipotesi, riportata da Kevin O’Connor, è forse la più ingegnosa e affascinante fra quelle snocciolate nelle ultime settimane. A rimanere in gioco, a questo punto, sarebbero state le 16 squadre in profumo playoff più le altre 4 con il miglior record; una successiva divisione in 5 Tier avrebbe poi stabilito i 4 gironi, formati con una squadra per ognuno dei Tier. Ogni squadra avrebbe poi affrontato due volte le altre del girone e le migliori due di ciascun gruppo sarebbero poi passate al turno successivo: 8 squadre rimanenti e, di conseguenza, scontri regolari al meglio delle sette gare.
4) 22 squadre, 8 gare di regular season per ciascuna, ed eventuale mini torneino per determinare l’ottava seed ad Est e ad Ovest prima della partenza dei playoff: questa l’impostazione, da subito, è stata la maggiormente apprezzata. Proviamo a capire il perché.
Al Walt Disney World Resort in gita in 22
Mercoledì, nel tardo pomeriggio italiano, ecco arrivare la tanto attesa fumata bianca, che ha anticipato l’ufficialità del giovedì successivo: saranno 22 squadre a giocarsi l’anello più particolare di sempre. Al Walt Disney World Resort di Orlando si presenteranno dunque le 16 franchigie attualmente in zona playoff, più quelle con il record migliore al momento della brusca interruzione del 11 marzo scorso: dunque sono attesi in Florida anche Pelicans, Trail Blazers, Suns, Kings, Spurs e Wizards.
Saranno 5 formazioni dell’Ovest e una sola ad Est (per una questione meramente relativa al record), ma i playoff saranno comunque composti da 8 squadre da Levante e 8 da Ponente, come da copione. Sono state ripescate le formazioni con non più di 6 gare di ritardo dall’ottavo seed: spazio concesso a chi ha speranza di andare in post season, per gli altri arrivederci alla stagione prossima.
Ecco il calendario rivoluzionato: gli staff dovranno iniziare un secondo Training Camp nella città di appartenenza il 30 giugno e spostarsi poi a Orlando il 7 luglio. Dal 31 il via ufficiale, con le ultime partite della Regular Season. L’eventuale gara 7 delle Finals cadrebbe il 12 ottobre, due mesi e mezzo dopo. La Lottery arriverà durante questa seconda fase, il 25 agosto: le 14 squadre della Lottery saranno formate dalle 8 già escluse più le 6 che non raggiungeranno i playoff (il record della regular season farà riferimento all’11 marzo).
Il Draft è spostato al 15 ottobre: dunque, come da tradizione, si terrà a playoff conclusi. Dal 18 dello stesso mese, spazio alla Free Agency, mentre il Training Camp si terrà a partire dal 10 novembre. L’Opening Night della stagione 2020/21 sarà il primo dicembre, anche se tale data potrebbe subire ulteriori variazioni.
La strutturazione della ripresa sarà la seguente:
- 8 gare rimanenti di Regular Season, per dare un affresco conclusivo e coerente agli accoppiamenti dei successivi playoff. Una nube di incertezza riguarda per ora la schedule delle gare restanti della regular season: come anticipato da Yahoo Sports, verosimilmente ogni squadra manterrà il suo calendario, saltando le partite da giocarsi con le formazioni già eliminate, ma si attende ancora l’ufficialità.
- Per determinare l’ottava posizione ci sarà un ulteriore meccanismo: se il nono seed è più di 4 partite dietro l’ottavo, l’ottavo va ai playoff; se il nono ha 4 o meno partite di distanza, ottava e nona si sfideranno in un play-in tournament (double-elimination for the eight seed and single elimination for the ninth). Sostanzialmente, la nona dovrà sconfiggere l’ottava almeno due volte, mentre all’ottava basterà un successo per aggiudicarsi l’accesso ai playoff.
- Successivamente, con la griglia playoff regolarmente completata, si lascerà spazio alla post season. Qui nulla dovrebbe cambiare: primo turno, semifinali di Conference, finali di Conference e Finals (rigorosamente al meglio delle 7 partite) decreteranno la franchigia vincente.
Sul piano della tutela sanitaria, saranno stilati alcuni protocolli nei prossimi giorni. Qualche anticipazione è già emersa: i giocatori non potranno fare la doccia negli spogliatoi del campo, ma dovranno farla in hotel. I cestisti in panchina saranno distribuiti a distanza l’uno dell’altro, e i giocatori non attivi siederanno sulle tribune. Fino ai playoff non ci sarà pubblico, ma Shams Charania non esclude che, nel corso della post season, le cose possano cambiare. Tutto, d’altronde, è in divenire data la straordinarietà della pandemia.
Si cercherà di dare una parvenza di normalità all’esistenza all’interno del Disney Resort: giocatori e allenatori potranno ad esempio giocare a golf e mangiare al di fuori della struttura, mantenendo ovviamente il distanziamento sociale. Quasi tre mesi di isolamento non saranno facili da gestire a livello psicofisico, ma è il compromesso per salvaguardare la stagione del massimo spettacolo cestistico a livello mondiale.
In un secondo momento i familiari potrebbero comunque raggiungere i giocatori: nessuno vuole che gli atleti restino tanto a lungo lontano dalle persone amate. Resta da capire come ci si comporterà in caso di contagi da Coronavirus all’interno della struttura e della conseguente necessità di una quarantena obbligatoria, ma un protocollo medico arriverà senza dubbio a fornire le indicazioni guida. Per il momento si parla di group testing: tante persone esaminate con pochi test, per facilitare il tutto.
Questa soluzione ha raccolto il maggior apprezzamento: da un punto di vista sanitario, permette di ridurre notevolmente (circa il 27% in meno) il numero di persone coinvolte, tagliando fuori sostanzialmente 8 squadre che nulla avevano ormai da dire in vista dei playoff. D’altro canto, a differenza di soluzioni più radicali (su tutte la ripartenza diretta con il formato playoff), permette di mantenere in vita una forma di competizione per guadagnarsi l’accesso alla post season. Laconiche, in questo senso, le parole pronunciate da Damian Lillard al termine di una call fra i responsabili della NBA e gli stessi cestisti:
Se dovrò tornare senza avere l’opportunità di giocare i playoff, non lo farò. Smetterò di allenarmi e starò in panchina. Credo che un play-in tournament per le squadre fra la settima e la dodicesima posizione sarebbe la giusta soluzione.
Damian Lillard
Il format adottato dalla lega pare rispecchiare la ricerca di un equilibrio, di un giusto mezzo aristoteliano: salvaguardare la salute senza venire del tutto meno al principio della competizione, dando una possibilità di conquistare i playoff a chi ancora poteva sperare di lottare per raggiungerli. Cerchiamo di comprendere quali sono, a questo punto, le prospettive del meccanismo: vantaggi, svantaggi e sorprese, a partire dal selvaggio Ovest.
Western Conference
Diamo intanto un’occhiata alla classifica ad oggi:

Sette squadre sono praticamente certe di accedere alla post season: le due losangeline, Denver, Utah, OKC, Houston e Dallas. All’ottavo posto si trova Memphis, con un discreto vantaggio (3.5 partite) su Portland, New Orleans e Sacramento. Poco più indietro San Antonio, a 6 gare di distanza Phoenix. Zach Lowe, nel suo podcast dello scorso mercoledì, ha praticamente bocciato la presenza dei Suns a Orlando, chiamati sostanzialmente a fare numero e senza praticamente alcuna concreta possibilità di aggiudicarsi l’ottavo seed.
Sulla carta Memphis è favoritissima per mantenere l’ottavo seed (Kevin Pelton di ESPN, che ha simulato schedule e risultati, dà i Grizzlies ottavi nell’80% delle simulazioni), da difendere poi verosimilmente nel play-in tournament con la nona in graduatoria, ma non mancheranno le polemiche. Soprattutto perché le squadre coinvolte non giocheranno lo stesso numero di partite: alla ripresa Portland arriva con 66 gare giocate, Memphis e i Suns con 65, Sacramento e New Orleans con 64 e, infine, gli Spurs solo con 63. Sarebbe regolare una stagione conclusa con un numero di gare giocate così vario fra le contendenti per l’ultimo seed playoff?
Un’ipotesi di Lowe contribuisce a gettare benzina sul fuoco:
MEM has played 65 games. POR 66. NOP/SAC 64. Spurs 63. Suns 65. It's impossible for MEM to tie exactly w/ anyone in real contention for No. 8. What happens if MEM finishes 35-38, and NOP finishes 34-38? Does MEM get benefit of No. 8 by virtue of playing and winning 1 more game? https://t.co/aJ54UZ1A8J
— Zach Lowe (@ZachLowe_NBA) June 3, 2020
Il giornalista si chiede se, concludendo Memphis con un record di 35-38 e i Pelicans con un record di 34-38, la formazione di Ja Morant manterrebbe l’ottavo seed per il mero fatto di aver giocato una gara in più. Il vantaggio sarebbe logicamente enorme: a Memphis basterebbe vincere un incontro nel mini torneino, ai Pelicans del rookie Zion Williamson servirebbero invece due successi. Ma questa è solo una delle varie possibilità che potrebbero causare un contenzioso fra le parti in causa.
La stessa Memphis, che si presenta in Florida con un discreto vantaggio di 3.5 gare sulle inseguitrici, potrebbe avere una schedule complicata al momento della ripartenza, rischiando di compromettere così la sua posizione playoff, o comunque di doverla mettere in gioco nella miniserie contro la nona classificata.
Da qualsiasi punto di vista si osservi la faccenda, emergono malumori e insoddisfazioni. L’unica franchigia ad avere un concreto vantaggio, almeno sulla carta, sarebbe Portland: Jusuf Nurkic, giocatore che ha contribuito la scorsa stagione a svoltare in meglio la sorte dei Blazers, ritornerà disponibile finalmente dopo più di un anno lontano dal parquet per il tremendo infortunio a tibia e perone. Lui e Zach Collins potranno costituire un upgrade tecnico enorme per coach Terry Stotts, ma dopo la lunga assenza il loro minutaggio sarà verosimilmente centellinato e non si può avere la certezza di un impatto dominante.
Il resto delle squadre ad Ovest
Quali sono le prospettive per il resto della ciurma? Il primo dei Los Angeles Lakers è assodato: la squadra di LeBron James ha un vantaggio di ben 5.5 gare e mezzo sull’altra compagine losangelina, i Clippers di Doc Rivers. Il secondo seed è affare fra gli stessi Clippers e i Nuggets, distanti una gara e mezza: sulla carta dovrebbe comunque essere la franchigia losangelina meno nobile a guadagnarsi la seconda posizione, con la banda di Jokic destinata al terzo posto.
Rischio assembramento, invece, per i tre seed successivi: ad oggi, i Jazz sono quarti (41-23), i Thunder quinti (40-24) e Houston sesta, seppur col medesimo record di OKC (40-24). Solo la prossima ricalendarizzazione permetterà di comprendere la favorita per il quarto posto, anche se qualche proiezione già abbozzata permette di arrischiare un’artigianale strenght of schedule: Utah potrebbe affrontare un paio di volte i Lakers ma, oltre ai losangelini, avrebbe solo squadre della WC con record peggiore; discreto calendario anche per i Thunder che potrebbero affrontare Nuggets (due volte) e Clippers, ma avrebbero anche cinque gare maggiormente abbordabili. Più difficile forse il percorso di Houston, squadra di per sé ondivaga, che potrebbe giocare sia con i Lakers che coi Bucks.
All’orizzonte rimane cosi anche la remota possibilità di uno scontro, al primo turno dei playoff, fra il dynamic duo dei Rockets, Harden-Westbrook, e il loro passato, ovvero Oklahoma City, ma solo qualora entrambe superassero Utah in classifica. Fra l’altro, venendo meno il fattore palazzetto, un eventuale sesto posto potrebbe non essere tanto peggio del quarto, perché permetterebbe di evitare i Lakers fino alle WCF. Insomma, fare pronostici diviene impresa davvero ardua.
Abbandonando dietrologie fin troppo cervellotiche, possiamo passare infine a Dallas: i Mavs vantano un record di 40-27, due gare e mezzo in ritardo rispetto al tris di franchigie che li precede. Una sorta di posizione comoda nel limbo: difficilmente, infatti, la compagine texana si schioderà dal settimo seed, e attende solo di sapere se giocherà contro i Clippers o contro i Nuggets. Insieme agli irraggiungibili Lakers e ai rassegnati Suns, Dallas è la formazione più tranquilla fra quelle del selvaggio Ovest, certa di affrontare i playoff dopo quattro anni dall’ultima volta.
Eastern Conference
La situazione nella East Coast pare decisamente meno ingarbugliata, soprattutto per quanto concerne l’ultimo posto utile nella corsa ai playoff. Comunque, cerchiamo di farci un’idea innanzitutto della classifica e degli accoppiamenti attuali:

La situazione, rispetto all’affollata corsa ad Ovest, è decisamente più pacata ad Est: Washington è l’unica squadra fuori dalle 8 playoff a raggiungere la compagnia, ma si trova a 5.5 partite di distacco dall’ottavo seed, occupato dai Magic, e a 6 dal settimo, di proprietà al momento dei Nets. Ai Wizards servirebbe una sorta di miracolo per riportarsi a 4 partite di distacco, e giocare di conseguenza i due play-in games per rientrare fra le magnifiche 8.
Nemmeno il super Beal della seconda parte di stagione e il chiacchierato ritorno del desaparecido John Wall (fuori dai radar dal dicembre 2018) potrebbero bastare per realizzare un’impresa del genere. Considerando soprattutto che Washington dovrà giocare le otto partite di regular season contro squadre con un record migliore del suo: agli uomini di Scott Brooks si presenta un’ascesa alpina, mentre alle formazioni rivali basterà scavalcare un paio di cavalcavia.
Decisamente più vivace la lotta per conquistare i piazzamenti di vertice, eccezion fatta per i primi due che sembrano in ghiaccio: i Bucks hanno dalla loro, infatti, il miglior record della Lega (53-12) e si accingono a concludere la seconda stagione consecutiva al primo posto della Eastern Conference (con annesso, verosimilmente, MVP in back-to-back per Antetokounmpo). Sarà una formalità anche la conservazione del secondo posto per i Raptors campioni in carica (46-18): le 3 partite di vantaggio sui Celtics permettono di dormire sonni piuttosto tranquilli a tutti i tifosi canadesi, che sognano di ripetere una cavalcata playoff simile a quella dell’anno scorso (seppur con un Leonard in meno).
Dal terzo posto la situazione si vivacizza: Boston (43-21) pare la meno a rischio, e potrebbe conservare la piazza senza troppi patemi. Oltre alle gare contro Bucks e Raptors, le altre sei sfide rischedulate non dovrebbero presentare ostacoli insormontabili (anche se non si ha alcuna ufficialità sulla schedule, si resta in attesa di indicazioni chiare). Miami (41-24) rimane alla finestra, ma probabilmente dovrà fare attenzione a conservare il prezioso quarto posto dagli assalti di Pacers e Sixers, entrambe con un record di 39-26 (a due lunghezze dagli Heat).
Sono soprattutto i ragazzi di Philadelphia a dover approfittare delle ultime 8 partite di regular season: sulla carta potrebbero giocare due volte con gli Wizard e in un’occasione coi Suns, trovando come ostacoli realmente tosti soltanto Raptors e Rockets. Per Embiid e soci vi è la concreta possibilità di trovare finalmente la quadra di una stagione fin qui piuttosto discontinua.
Infine, Magic (30-35) e Nets (30-34), preoccupati relativamente dalla minaccia Wizards, si scanneranno fra loro per guadagnare il settimo seed. Ciò permetterebbe di evitare lo spauracchio Bucks, ostacolo decisamente insormontabile per entrambe. Meno paura farebbe Toronto, squadra lunga e amalgamata ma priva della superstar che la scorsa stagione ha fatto la differenza nella cavalcata verso l’anello. Fra i tifosi e simpatizzanti di Brooklyn, qualcuno ha sperato in un fantomatico ritorno di Kevin Durant proprio sfruttando la dilatazione dei tempi stagionali: aria fritta, Wojnarowski ha smentito tutto già ai primi di maggio. KD è fuori per il resto della stagione, e si godrà lo spettacolo a partire dal 31 luglio prossimo dal divano di casa.
Pregi e difetti del format a 22
Prima di riflettere su bontà e problematiche della soluzione scelta dai vertici dell’NBA per la ripartenza della stagione, è doverosa una premessa: la straordinarietà dell’evento pandemico che ha attanagliato il mondo negli ultimi mesi ha colto tutti di sorpresa. Adam Silver si è trovato nelle condizioni di dover rabberciare per il rotto della cuffia una stagione che, nonostante la ripartenza, rischia di vedere un buco di entrate fra gli 1.2 e i 2 miliardi di dollari. Una perdita che, innanzitutto andrebbe a pesare sulle tasche dei giocatori e sull’intero sistema. Non bisogna quindi dimenticare che a spronare la ripartenza è anche e soprattutto la salvaguardia del prodotto NBA.
Anche se qualche membro dirigenziale delle otto formazioni escluse ha inizialmente storto un po’ il naso, la proposta a 22 ha riscosso il maggior successo fra quelle abbozzate nelle ultime dieci settimane. A livello innanzitutto sanitario, punto indispensabile data la situazione medica precaria degli USA (paese con il maggior numero di contagiati al mondo di Coronavirus), l’idea di concentrare al Walt Disney World Resort giocatori e staff è probabilmente la migliore per favorire la ripartenza: meno contatti esterni e meno possibilità di contagio, pur garantendo, come già accennato, anche un minimo di svago psicofisico per gli addetti ai lavori.
A suo tempo, Giovanni Boccaccio ebbe un’ispirazione simile per il suo Decameron: 10 giovani ritirati nella campagna toscana, lontano da Firenze e dalla peste. Stavolta però lo spettacolo, anche se isolato, contribuirà a lenire le difficoltà degli spettatori e a incentivare il loro divertimento tramite il filtro della televisione.
Ecco spiegata anche la scelta di evitare il viaggio a Orlando alle 8 formazioni sostanzialmente impossibilitate a rientrare nella griglia playoff: diminuire giocatori e staff e, di conseguenza, abbassare i rischi di contagio. Lasciando comunque aperta una finestrella a coloro che, almeno sulla carta, hanno ancora qualche chance di agguantare la post season. Nell’ottica della competitività, come già accennato in apertura, si è ricercato un compromesso con le impellenze sanitarie.
Non mancano certamente dubbi e perplessità, a partire dal nuovo calendario, iperconcentrato: giocando tutte le serie al meglio delle sette gare (soluzione ipotetica, ovviamente), un team potrebbe arrivare, in caso estremo, anche a 36 partite in 74 giorni. Se a giocarsi le Finals fosse una squadra passata anche attraverso il play-in tournament, le partite sarebbero addirittura 38.
Indubbiamente la mancanza di lunghi viaggi per spostarsi e la permanenza del medesimo fuso orario sono un incentivo, ma la tolleranza fisica degli atleti sarà messa a dura prova. Il rischio dei back-to-back è concreto e parecchi giocatori potrebbero risentirne. Su tutti, sarà interessante osservare il comportamento di Kawhi Leonard: la stella dei Clippers da anni pratica costantemente il load management, per i problemi cronici che attanagliano le sue ginocchia. Come lui, tanti altri cestisti potrebbero patire a livello di integrità fisica un calendario così accorciato e affastellato. L’idea più intelligente potrebbe essere quella di evitare i back-to-back almeno nella prima fase, per dare tempo ai giocatori di recuperare una condizione fisica brillante dopo i parecchi mesi ai box e abituarsi all’indiavolato ritmo di una partita ogni due sere.
Altro punto di riflessione è costituito dalla mancanza del fattore campo: Bucks e Lakers hanno spremuto le energie al massimo durante la regular season per fregiarsi del vantaggio del pubblico amico in post season. Ma nelle potenziali sette sfide di ciascuna delle prossime serie playoff, tutti giocheranno in campo neutro, a meno di improvvisi ribaltoni dell’ultimo minuto che permetteranno la presenza di qualche sparuto tifoso.
Ciò può comportare notevoli squilibri, soprattutto per quelle franchigie che facevano del pubblico una sorta di sesto uomo sul parquet. Su tutti, i Sixers: in casa, Philadelphia vanta un record di 29-2. Il Wells Fargo Center rappresenta un fortino praticamente inespugnabile. Per gli uomini di Brett Brown potrebbe essere un handicap non da poco. Viceversa, i Lakers hanno addirittura un record migliore lontano dallo Staples (26-6 contro 23-8 a Los Angeles). Potrebbero sapersi adattare meglio ad un palazzetto sinistramente vuoto e silenzioso?
Contraddittoria anche la situazione infortunati di alcune franchigie: i Jazz hanno da pochi giorni perduto per il resto della stagione Bojan Bogdanovic, operatosi a un polso malridotto. Con 20.2 PPG era il leader offensivo più prolifico dei Mormoni dopo Donovan Mitchell.
Viceversa, il tempo di procrastinazione della ripresa ha permesso ad alcuni giocatori di ricaricare le batterie e, forse, di aumentare le possibilità di successo della propria squadra. Pensiamo a Victor Oladipo, fermo per praticamente un anno intero: i tifosi di Indianapolis sperano di rivedere la superstar della postseason 2018. Certamente gli infortuni fanno parte del gioco e possono decidere un’intera stagione (vedasi Kevin Durant e gli Warriors), ma può considerarsi regolare un campionato ripartito a mesi di distanza con condizioni potenzialmente rovesciate?
Quest’ultima domanda è destinata a non avere una risposta unilaterale. Forse, dovremmo semplicemente accontentarci di prendere ciò che viene. Una delle ultime run a pieni giri di LeBron James, il derby in famiglia fra le losangeline (e i gemelli Morris), la bellezza di godere d’un estate di vera pallacanestro. NBA is back, ed è la cosa più importante. Dopo mesi complessi, di quarantena forzata, una luce squarcia la noia dalle esistenze degli appassionati di pallacanestro, e arriva in un momento tanto delicato per gli USA, in fiamme per le proteste scaturite in seguito all’omicidio di George Floyd. Un modo, magari, per ritrovare un briciolo di serenità. Una rinnovata felicità.