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Vintage corner: Finals 2006 tra Mavericks e Heat

Davide Possagno by Davide Possagno
27 Ottobre, 2020
Reading Time: 43 mins read
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Finals 2006 Heat Mavericks

Copertina a cura di Marco D'Amato

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Era dal lontano 1971 che le NBA Finals non vedevano come protagoniste due squadre alla prima finale: quell’anno i Milwaukee Bucks di Lew Alcindor (incoronato Finals MVP) e Oscar Robertson ebbero la meglio in 4 gare contro i Baltimore Bullets di Wes Unseld e Earl “The Pearl” Monroe. Trentacinque anni dopo è toccato invece ai Dallas Mavericks di Dirk Nowitzki contro l’astro nascente Dwyane Wade e i suoi Miami Heat.

 

OFFSEASON 2005

MIAMI HEAT

Giugno 2005: gli Heat vengono eliminati in 7 gare alle Eastern Conference Finals dai campioni in carica dei Detroit Pistons (Miami era anche sopra 3-2 ma Wade si infortunò e saltò gara 6), dopo una stagione da 59 vittorie e 23 sconfitte. Pur considerando che Wade era appena un sophomore e Shaq era arrivato solamente nell’estate precedente, gli ottimi risultati ottenuti non furono sufficienti a convincere Pat Riley a confermare la squadra.

Così il 2 agosto 2005, a circa un anno dallo scambio che portò O’Neal a South Beach, gli Heat imbastirono una blockbuster trade con ben 5 squadre coinvolte (Heat, Celtics, Grizzlies, Hornets e Jazz). Dopo lo scambio, la situazione di Miami fu la seguente:

IN: Antoine Walker da Boston; James Posey, Jason Williams e Andre Emmett da Memphis; i diritti di Roberto Duenas (che non fece mai il grande passo) da Utah.

OUT: Eddie Jones a Memphis; Albert Miralles, Qyntel Woods, 2 scelte al secondo turno a Boston; Rasual Butler a New Orleans.

A questo nucleo di comprimari, si aggiunse successivamente Gary Payton appena prima del training camp, che firmò un annuale al minimo. L’obiettivo principale per il quale Riley decise di puntare sui giocatori sopraccitati era legato soprattutto ad un aspetto mentale: Pat voleva giocatori determinati a prendersi una rivincita personale dopo aver passato le stagioni precedenti senza ottenere grandi successi.

 

DALLAS MAVERICKS

Dopo il passaggio di testimone tra Don Nelson e Avery Johnson, la stagione 2004/05 di Dallas si concluse al secondo turno, dove Nowitzki e compagni dovettero arrendersi in 6 partite ai Phoenix Suns guidati da Nash (30+12+7 rimbalzi nella serie) e Stoudemire (29+13).

La strategia con cui i Mavericks approcciarono l’offseason 2005 fu opposta rispetto a quella degli Heat: nonostante la propria guardia/ala titolare Michael Finley (16+4+3 di media in stagione) lasciò la squadra e decise di firmare con gli Spurs, la scelta di Dallas fu quella di non rimpiazzarla, ma di puntare sui giocatori già presenti nel roster, dando più minuti e responsabilità a Howard, Terry e Harris. Inoltre, i Mavs sostituirono il loro centro di riserva Shawn Bradley (ritiratosi al termine della stagione 2004/05) con DeSagana Diop e firmarono Doug Christie, che tuttavia venne rilasciato dopo sole 7 partite.

 

REGULAR SEASON 2005/2006

MIAMI HEAT

Con ben quattro nuovi giocatori di rotazione, Miami iniziò la stagione molto male: dopo aver vinto solamente 11 delle prime 21 partite Pat Riley decise di esonerare Van Gundy e prendere il suo posto in panchina in modo da avere il pieno controllo della squadra che lui stesso aveva assemblato mesi prima. La situazione migliorò, ma il problema principale degli Heat persisteva, e riguardava le gerarchie di squadra: alcuni veterani non riconoscevano Dwyane Wade come loro leader.

La svolta avvenne tre giorni dopo la peggior sconfitta stagionale, -36 proprio a Dallas, in cui l’American Airlines Arena ospitò i Detroit Pistons, detentori del miglior record NBA. Sotto di 13 punti a inizio quarto e con l’ennesima sconfitta all’orizzonte, gli Heat si affidarono completamente a Wade, che nei 4 minuti finali segnò gli ultimi 17 punti della sua squadra, conducendola a un’improbabile vittoria.

 

Da quel momento la squadra di Riley cambiò passo, infilò un filotto di 10 vittorie consecutive a cavallo dell’All Star Game e gli Heat finirono con un record di 52-30, valido per il secondo posto della Eastern Conference dietro ai Pistons.

 

DALLAS MAVERICKS

Trascinati dal loro leader indiscusso Dirk Nowitzki, alla miglior stagione in carriera dal punto di vista realizzativo (26.6 punti di media con il 48% dal campo e il 41% da 3 su 3.3 tentativi), i Mavericks dominarono la regular season, arrivando alla pausa dell’All-Star Game con un record di 41-11. La scelta dei Mavericks di non rimpiazzare Finley ma di puntare sui giocatori già a roster si rivelò vincente: Terry, Howard e Harris aumentarono sia la loro produttività, sia le loro percentuali dal campo rispetto alla stagione precedente.

Purtroppo per Dallas, appena dopo l’All-Star Game si infortunarono sia l’ala titolare Adrian Griffin (out 15 partite) che Devin Harris (out 23 partite) e la squadra ne risentì notevolmente, vincendo solamente 19 partite e perdendone 11. Gli Spurs ne approfittarono e conquistarono sia la vetta della Western Conference (23-7 dopo l’ASG), che il primo posto della Southwest Division, a discapito proprio dei Mavs.

Questa situazione giocò un ruolo cruciale nell’organizzazione della griglia dei Playoffs perché in quegli anni vigeva ancora la regola secondo la quale alle vincitrici delle tre division spettavano di diritto i primi tre posti della conference indipendentemente dal record. Di conseguenza Dallas, che sulla carta aveva il secondo miglior record della conference (60-22), venne superata sia dai Phoenix Suns (primi nella Pacific Division, 54-28), sia dai Denver Nuggets (primi nella Northwest Division, 44-38), il che avrebbe potuto voler dire che le due miglior squadre a ovest si sarebbero sfidate al secondo turno e non alle Conference Finals (e fu proprio ciò che successe).

 

I PLAYOFFS DEI MIAMI HEAT

1st ROUND: VS CHICAGO BULLS (4-2)

Dopo aver vinto le prime due partite a Miami, la serie si spostò a Chicago, dove gli Heat sembrava fossero tornati quelli di inizio stagione. Alla squalifica di Haslem in gara 2 per aver lanciato il paradenti verso l’arbitro nella partita precedente, si aggiunge quella di Posey in gara 4 per un fallo antisportivo su Hinrich e una multa da 25’000 dollari a Shaq per aver criticato gli arbitri in gara 3. Tutto questo nervosismo sfociò in una lite tra Wade e Payton durante un time-out in gara 4 dopo una banale palla persa.

I Bulls ne approfittarono per pareggiare la serie prima di tornare a Miami. In gara 5, dopo i primi tre quarti equilibrati, gli Heat presero il largo nell’ultimo periodo, vinsero gara 5 e chiusero la serie in 6 vincendo a Chicago senza troppi problemi, cacciando definitivamente i fantasmi di inizio stagione.

 

2nd ROUND: VS NEW JERSEY NETS (4-1)

I Nets furono capaci di battere Miami 3 volte su 4 in regular season, trascinati da Vince Carter che in stagione contro gli Heat viaggiò a 38,5 punti di media con il 56% dal campo. I timori della squadra di Riley rischiarono di materializzarsi quando Miami venne malamente sconfitta tra le mura amiche in gara 1. Fortunatamente, questa pessima prestazione fu solamente un incidente di percorso: gli Heat, memori della sfida contro i Bulls, si ripresero immediatamente e vinsero le successive 4 partite grazie soprattutto a una maggiore profondità di squadra.

 

EASTERN CONFERENCE FINALS: VS DETROIT PISTONS (4-2)

Nonostante i Pistons avessero il fattore campo dalla loro (a differenza della stagione precedente), gli Heat lo ripresero immediatamente vincendo in modo convincente gara 1 a Detroit. Le successive 4 partite vennero vinte dalla squadra di casa; a Miami fu sufficiente sfruttare il suo secondo match-point a disposizione per chiudere la serie in Florida per 4-2.

La squadra di Riley sconfisse la sua bestia nera grazie soprattutto alla difesa: Miami tenne i Pistons sotto il 40% dal campo e sotto il 29% da 3 (in regular season viaggiavano con il 46% dal campo e con il 38% da 3), limitando Billups, Hamilton e Rasheed Wallace rispettivamente al 38%, 39% e 36% dal campo. Dall’altra parte, Detroit non riuscì a trovare una soluzione al problema Wade, che segnò 27 punti a partita con il 62% dal campo, compreso il circus-shot più famoso della sua carriera, in gara 4:

Miami vinse gara 6 anche grazie alla miglior partita di Playoffs in carriera di Jason Williams, autore di 21 punti con 10/12 dal campo e 6 assist:

 

I PLAYOFFS DEI DALLAS MAVERICKS

1st ROUND: VS MEMPHIS GRIZZLIES (4-0)

Grazie a un Nowitzki dominante da 31.3 punti di media con il 42% da 3 nella serie, i Mavs sweeparono i Memphis Grizzlies di Pau Gasol senza troppi problemi. Solamente in gara 3 Dallas si trovò in difficoltà: alla squadra texana servì un supplementare (agguantato grazie a una tripla del Tedesco a 16 secondi dal termine) per sconfiggere per la terza volta consecutiva la squadra del Tennessee:

 

In gara 4 i Mavs chiusero la pratica Grizzlies in soli 3 quarti di gioco (102-76 il finale) e approdarono al secondo turno.

 

2nd ROUND: VS SAN ANTONIO SPURS (4-3)

A detta di molti, furono queste 7 partite contro San Antonio le vere Western Conference Finals. Dopo la vittoria degli Spurs in gara 1 (in cui Nowitzki, 20+14, venne sovrastato da Tim Duncan 31+13), i Mavericks vinsero agevolmente in gara 2 e riuscirono ad avere la meglio anche in gara 3 (104-103) e gara 4 (123-118 dopo un supplementare). A soli 48 minuti dalle Conference Finals, Dallas ebbe il primo match point a San Antonio in gara 5 ma, con le spalle al muro, gli Spurs trascinati da Duncan (36+12) forzarono gara 6 che riuscirono poi a vincere, pareggiando la serie sul 3-3 e avendo la possibilità di chiuderla tra le mura amiche.

Fu in quest’occasione che ebbe luogo uno dei duelli più belli della storia recente, con protagonisti Dirk Nowitzki e Tim Duncan, autori entrambi di una partita fenomenale: 37 punti, 15 rimbalzi e 3 assist per il Tedesco e 41 punti, 15 rimbalzi e 6 assist per il Caraibico. Ci fu bisogno di un supplementare per determinare il vincitore, ma alla fine fu Dallas (che condusse la gara per oltre 50 minuti) a trionfare grazie a 2 tiri liberi di Nowitzki nel finale. A sbagliare il tiro della vittoria per gli Spurs fu proprio l’ex-Mavs Michael Finley.

 

WESTERN CONFERENCE FINALS: VS PHOENIX SUNS (4-2)

L’ultimo ostacolo prima delle Finals furono i Phoenix Suns dell’MVP Steve Nash e del MIP Boris Diaw (Stoudemire saltò quasi tutta la stagione per un problema al ginocchio). I Mavericks persero gara 1 in casa subendo la rimonta dei Suns, vinsero le successive 2 partite e persero malamente la quarta. Con la serie sul 2-2, in gara 5 Nowitzki segnò 50 punti (career-high nei Playoffs), 22 dei quali nel decisivo quarto periodo (6/7 dal campo, 2/2 da 3 e 8/8 ai liberi) sui 35 totali di squadra, regalando ai Mavs il primo match point della serie.

Dallas chiuse la serie in gara 6 in cui, dopo 36 minuti equilibrati, cambiò marcia nel quarto periodo (40-27 il parziale) strappando il biglietto per le prime Finals della sua storia.

 

NBA FINALS PREVIEW

Statisticamente, i Miami Heat e i Dallas Mavericks erano due squadre piuttosto simili tra loro, sia in attacco che in difesa:

OFFRTGDEFRTGNETRTGTS%REB%TOV%OPP FG%OPP 3FG%
MIAMI HEAT107.5 (7°)103.4 (10°)+4.1 (6°)55.6 (2°)51.9 (3°)15.6 (16°)44.0 (8°)36.1 (18°)
DALLAS MAVERICKS109.9 (2°)103.2 (9°)+6.7 (3°)55.0 (5°)52.2 (2°)15.0 (11°)44.3 (10°)36.1 (19°)

La differenza tra le due finaliste consisteva soprattutto nella rispettiva shot selection: data la presenza di Dwyane Wade e Shaquille O’Neal, i Miami Heat prediligevano i tiri vicino al ferro; i tiri dal mid range provenivano quasi esclusivamente dagli scarichi dei due giocatori sopraccitati e dalle invenzioni in 1vs1 di “Flash”. Con giocatori come Jason Terry e Dirk Nowitzki, invece, i Mavs erano un jump-shooting team, erano i migliori nella lega nei tiri dal mid range e attaccavano il ferro con una frequenza più bassa. Per questo motivo, inoltre, solo la metà dei punti segnati da Dallas proveniva da assist:

PAINTMIDRANGE3 POINT
%PTS%FG%PTS%FG%PTS%FG
MIAMI HEAT46.5 (1°)58,5 (2°)15.6 (30°)38.8 (22°)18.2 (16°)34.5 (20°)
DALLAS MAVERICKS38.0 (21°)51.6 (28°)24.3 (9°)43.3 (1°)15.4 (21°)37.4 (9°)
Dati relativi alla regular season
PAINTMIDRANGE3 POINT
%PTS%FG%PTS%FG%PTS%FG
MIAMI HEAT44.5 (4°)60.4 (1°)14.2 (16°)41.5 (6°)20.6 (6°)34.1 (8°)
DALLAS MAVERICKS39.5 (11°)51.7 (15°)24.3 (1°)44.4 (1°)13.3 (14°)33.3 (9°)
Dati relativi ai primi 3 turni dei Playoffs

I Dallas Mavericks vinsero agilmente entrambe le sfide contro gli Heat in regular season, ma un sample size di 2 partite non è sufficiente per formulare ipotesi credibili sull’andamento delle Finals (nella prima O’Neal non giocò a causa di un infortunio). Si può ragionare, però, sui due roster cercando di capirne pregi e difetti. Il duello a distanza tra Dwyane Wade e Dirk Nowitzki prometteva scintille: sulla carta, nessun giocatore delle rispettive squadre sarebbe stato in grado di marcare la superstar avversaria.

I Mavericks a roster non avevano nessun giocatore in grado di limitare il primo passo di Wade senza andare sotto fisicamente, mentre gli Heat non avevano lunghi in grado di difendere con efficacia su un 213 cm con gioco in post e tiro mortiferi ma in grado di attaccare anche dal palleggio, specialmente dopo una finta di tiro, per chiudere o con un layup al ferro, o con un pull-up jump shot dalla media.

Il duello a distanza si estendeva anche ai due secondi violini: con i soli Erick Dampier, DeSagana Diop e D.J. Mbenga a roster, i Mavericks non disponevano di giocatori in grado di limitare uno Shaquille O’Neal atleticamente in fase calante, ma ancora in grado di spostare. Viceversa, i Miami Heat non avevano armi per contrastare Jason Terry, in quanto Jason Williams e Gary Payton era due minus non da poco in difesa. Il migliore difensore on the ball degli Heat era Wade, ma metterlo in marcatura su “The JET” ne avrebbe sicuramente compromesso l’efficienza nella fase offensiva.

Per quanto riguarda le panchine, quella di Dallas era generalmente più profonda, specialmente nel reparto guardie/ali rispetto a quella a disposizione di Miami, che a sua volta poteva contare su un assortimento di lunghi migliore.

Alla luce di queste considerazioni e con le Finals alle porte, aleggiava un’atmosfera di incertezza: entrambe le squadre erano all’esordio in quel palcoscenico, entrambe avevano battuto la finalista della stagione precedente della rispettiva conference ed entrambe erano guidate da due inarrestabili superstar. Si prospettava una serie da almeno sei partite, ma i pronostici non erano a favore né dell’una né dell’altra squadra. Infine, è bene ricordare che nel 2006 le Finals seguivano ancora il formato 2-3-2 (che fu in vigore fino alla stagione 2012/13 compresa), aspetto da non sottovalutare.

 

2006 NBA FINALS

GAME 1

Nel quarto di apertura i Miami Heat partirono molto forte con Dwyane Wade sugli scudi (13 punti con 6/7 dal campo) e sorpresero i Mavericks che dopo 12 minuti si trovarono sotto per 23-31. Dal secondo quarto in poi, però, fu la squadra di casa a dettare i ritmi: Jason Terry si prese gioco della (non) difesa di Miami segnando 31 punti con 13/18 dal campo e, nonostante il 7/28 combinato al tiro della coppia Howard-Nowitzki, Dallas vinse in modo convincente la prima partita. Da segnalare il pessimo 36.8% degli ospiti dalla lunetta (7/19), record negativo per una partita delle Finals.

 

GAME 2

La seconda partita non ebbe storia: dopo circa 14 equilibrati minuti, negli ultimi 8’ del secondo periodo i Mavericks chiusero di fatto la gara con un parziale di 27-6 grazie soprattutto ai 10 punti di Stackhouse (con 3/3 da 3) in meno di 2 minuti.

 

Questa fu l’azione dopo la quale Miami uscì quasi definitivamente dalla partita:

 

I padroni di casa fecero un eccellente lavoro sia su un Wade molto nervoso (limitato a 23 punti con 6/19 dal campo) sia su O’Neal, che per la prima volta in carriera concluse una partita di Playoffs sotto la doppia cifra.

 

GAME 3

Nonostante per oltre tre quarti di partita il copione di gara 3 seguì quello delle precedenti 2 gare (buon inizio di Miami, risposta dei Mavs e allungo di quest’ultimi), dopo un time-out di Riley a 8:34 dalla fine con Miami a -12 e tutta l’inerzia in mano a Dallas, gli Heat ribaltarono completamente partita e serie con Wade che prese la propria squadra per mano segnando 15 punti nel quarto finale:

 

Negli ultimi 2 minuti, inoltre, Shaq e Haslem (4/22 ai liberi nella serie fino a quel momento) fecero un clamoroso 4/4 in lunetta e Gary Payton, il peggiore in campo nelle prime 2 uscite, decise la partita con un jumper a circa 9 secondi dal termine:

 

Sul -2 Nowitzki (24/26 ai liberi fino a quel momento nelle Finals) subì fallo, andò in lunetta ma segnò solamente il primo dei due liberi.

 

GAME 4

Gara 4 fu molto simile a gara 2, ma a parti invertite. I Mavericks rimasero mentalmente a gara 3 e, dopo circa 6 minuti nel primo quarto, Miami passò in vantaggio senza più voltarsi indietro. Il trio Howard-Nowitzki-Stackhouse tirò complessivamente 9/40 dal campo (2/14 da 3).

Il Tedesco, in particolare, soffrì l’aggressività con cui venne marcato dai difensori di Miami e la sua frustrazione influenzò anche la sua già non brillante fase difensiva. Il nervosismo degli ospiti sfociò in un flagrant foul 1 di Jerry Stackhouse su O’Neal a metà del terzo quarto: il giocatore rimase in campo ma venne squalificato per gara 5.

 

GAME 5

La quinta partita fu la più equilibrata e combattuta della serie, resa ancor più celebre dai 25 tiri liberi tentati da Dwyane Wade. Al solito buon inizio di Miami, risposero Terry e Howard che in metà partita segnarono complessivamente 38 punti sui 51 dei Mavs.

 

Per la prima volta coach Johnson mise Marquis Daniels (solo 20 minuti in campo fino a quel momento nelle Finals) in marcatura su Wade, con risultati sorprendenti (Wade 3/13 per 13 punti dopo 24’). Nella ripresa, con Miami in difficoltà arrivò finalmente il momento di Dwyane Wade che avviò un parziale di 7-0 per concludere a -1 il terzo quarto, per poi segnare gli ultimi 9 punti degli Heat compreso il tiro del pareggio, nell’ultimo periodo.

 

Nonostante la marcatura di Daniels su Wade producesse discreti risultati, nel secondo tempo Avery Johnson preferì affidare il rompicapo “Flash” ad Adrian Griffin, ottenendo come risultato 26 punti di Wade in 24 minuti. Dopo un tempo supplementare giocato punto-a-punto (3 ties e 5 lead changes), a decidere la partita furono i tiri liberi numero 24 e 25 della serata di Wade dopo un fallo di Nowitzki a meno di 2 secondi dal termine.

 

Dopo il primo tiro libero realizzato, Josh Howard chiese inspiegabilmente time-out: era l’ultimo a disposizione dei Mavericks i quali, dopo che Wade mandò a bersaglio il secondo libero, dovettero accontentarsi di un tiro da ¾ campo di Devin Harris che finì corto.

 

GAME 6

La partita decisiva fu un match di parziali: Dallas per la prima volta partì molto forte e si ritrovò in vantaggio 26 a 12 con 3 minuti da giocare nel primo quarto grazie alla coppia Terry-Nowitzki. Miami rispose con un parziale di 6 a 19 trascinata dalle giocate di Wade, ma Dallas reagì piazzando una run di 14 a 5. Per finire la prima metà di gara, gli Heat segnarono 13 punti nei successivi 3 minuti subendone solamente 2, e arrivarono all’halftime sopra di 1 punto.

Nella ripresa gli ospiti tentarono l’allungo decisivo sfruttando l’incredibile intensità di Alonzo Mourning (sul quale torneremo dopo), a cui prontamente rispose un sorprendente Marquis Daniels. A 7’ dal termine con il punteggio sul 79 pari, Miami fu in grado di mettere a segno un mini-parziale di 4-0 nei successivi 2 minuti che i Mavericks non furono mai in grado di ribaltare. Il match terminò sulla tripla del pareggio di Terry che si spense sul secondo ferro, dopo un clamoroso 0/2 ai liberi di Wade 9 secondi prima.

 

PUNTI CHIAVE

“FLASH”

Vincitore del premio di Finals MVP, Dwyane Wade fu protagonista di una serie di prestazioni individuali con pochi eguali nella storia NBA, culminate con il primo titolo della giovane franchigia di Miami. “Flash” chiuse la serie con le seguenti medie: 34.7 punti (con il 57% di TS%), 7.8 rimbalzi, 3.8 assist, 2.5 recuperi e 1.0 stoppate in 43.5 minuti. Queste cifre, tuttavia, rendono solo in parte l’idea di quanto fu dominante il prodotto di Marquette University alle sue prime Finals NBA dopo appena 3 anni tra i pro.

La capacità di segnare contro qualsiasi difesa e qualsiasi avversario è sicuramente l’aspetto del suo gioco che contribuì più di tutti a portare a casa il Larry O’Brien Trophy. Coach Avery Johnson provò qualsiasi strategia per fermare la stella di Miami, o quantomeno per limitarne l’impatto, cambiando sia schema difensivo sia marcatura in 1vs1. Josh Howard, Jerry Stackhouse e Adrian Griffin nulla poterono contro lo strapotere tecnico e soprattutto fisico di Wade; meglio fecero Devin Harris (soprattutto lontano dalla palla) e Marquis Daniels (on the ball), ma non in maniera continua.

 

Escludendo il tiro da 3 (solo 3/11 nella serie, 27%), il repertorio offensivo messo in mostra da Wade fu pressoché sconfinato e le due soluzioni utilizzate maggiormente da “Flash” furono l’attacco al ferro, grazie soprattutto a un primo passo bruciante, ed il tiro dal mid range, sia in pull up che in uscita dai blocchi.

Nonostante fosse popolare soprattutto per le sue incursioni al ferro, in queste 6 gare Wade fu più prolifico nei tiri dalla media, che convertì con un incredibile 49.2% su ben 9.8 tentativi a sera, dato ancor più sorprendente considerando che il 75.8% dei tiri da 2 che realizzò non derivarono da assist. Di tiri nella restricted area, invece, ne prese 8.5 a partita segnandoli con il 52.9%, percentuale molto bassa considerando che in regular season li realizzò con il 66.1% (secondo nella lega tra le guardie con almeno 5 tentavi a partita).

Un aspetto che emerse in queste Finals, e che ancora fa discutere, fu l’abilità di Wade nel procurarsi falli (aspetto su cui torneremo dopo), soprattutto attaccando il ferro: dei 208 punti segnati dalla stella di Miami, il 36.1% provenne dalla lunetta (+5.3 rispetto alla regular season), compresi diversi viaggi negli ultimi e decisivi secondi finali.

Quello che stupì più di tutto, però, fu la capacità di Wade, al terzo anno nella lega e alle prime Finals, di caricarsi la squadra sulle spalle nel quarto periodo per dare l’allungo decisivo o per rimontare: nelle gare vinte da Miami, Wade segnò 47 punti complessivi tra quarto periodo e supplementare (11.8 a partita) con il 58.3% dal campo (14/24). Anche nella metà campo difensiva Wade fu un fattore (3.7 stocks a partita), specialmente nella difesa on the ball e sulle linee di passaggio, grazie al suo incredibile atletismo.

È anche doveroso specificare, però, che Wade fu incaricato di marcare l’esterno meno pericoloso degli avversari per la maggior parte dei possessi, per consentirgli di arrivare riposato in attacco. Curiosa fu la gestione della fase difensiva che l’ex-Marquette decise di utilizzare in queste Finals, in cui si prese diverse pause difensive all’interno delle partite per arrivare fresco nei finali, come si può vedere nella seguente clip presa da gara 3:

 

DIRK NOWITZKI

Se da una parte un giovane Dwyane Wade riuscì a innalzare il proprio livello di gioco sul palcoscenico più importante, dall’altra Dirk Nowitzki non entrò mai completamente nella serie. Il Tedesco, finito terzo nella corsa al premio di MVP della regular season, concluse le Finals 2006 con 22.8 punti (tirando molto male, 39% dal campo e 25% da 3), 10.8 rimbalzi e 2.5 assist di media, cifre in netto calo rispetto a quelle della stagione regolare e soprattutto rispetto alle precedenti 3 serie di Playoffs:

MINPTSREBASTTOVTS%USG%NETRTG
REGULAR SEASON38.126.69.02.81.958.929.3+8.6
1st, 2nd, 3rd ROUND42.428.411.93.12.161.826.8+6.8
NBA FINALS43.722.810.82.52.253.024.9+1.8

In particolare, Nowitzki non fu in grado di dare continuità alle sue prestazioni, soffrendo molto la marcatura fisica dei lunghi di Miami che, nonostante fossero nettamente più bassi di lui, misero un’aggressività tale da indurlo ad accontentarsi di tiri forzati dal post basso (solo 37% dal mid range su 9 tentativi rispetto al 48.2% della regular season su 9.4 tentativi) invece di cercare di attaccare dal palleggio, caratteristica fondamentale del suo gioco.

 

Un Dirk Nowitzki costantemente aggressivo, come quello del primo tempo di gara 6, avrebbe sicuramente consentito ai Mavs di essere molto più competitivi:

 

Nowitzki, inoltre, come anche i suoi compagni, non fu efficace dall’arco, sbagliando anche molti tiri wide open: dal 41% della regular season passò al 25%, stessa percentuale con cui convertì le triple dalla sua posizione preferita, ovvero fronte a canestro (25% su 3.3 tentativi contro il 41% su 3 tentativi della stagione regolare).

Di questo suo calo offensivo ne fece le spese anche la fase difensiva, già di per sé non eccezionale: la frustrazione di Nowitzki gli fece perdere concentrazione e lucidità nella propria metà campo, facendogli commettere errori banali sulle rotazioni o falli causati da un posizionamento del corpo sbagliato.

 

Le Finals di Nowitzki furono opposte a quelle di Wade anche nell’impatto nei finali di partita: la stella dei Mavs segnò solamente 27 punti complessivi tra quarti periodi e supplementari, tirando solamente 21 volte (7/21, 40% il bilancio, con un sanguinoso 0/4 in gara 6), sbagliando in più di un’occasione tiri liberi importanti.

 

SHAQUILLE O’NEAL

Prima delle Finals, la stagione 2005/06 di un O’Neal in fase calante, fu di tutto rispetto: 20.0 punti, 9.2 rimbalzi e 1.8 stoppate di media in regular season che rimasero sostanzialmente invariate nel corso delle prime 3 serie di Playoffs. Nelle Finals, però, l’ex-Lakers fu molto meno impattante e, talvolta, persino dannoso. Le medie di queste 6 partite (13.7 punti, 10.2 rimbalzi, 2.8 assist e solo 0.8 stoppate) raccontano solo in parte le difficoltà incontrate dal centro degli Heat, che sulla carta non avrebbe dovuto avere ostacoli considerando il modesto reparto lunghi dei Mavericks composto da DeSagana Diop, Erick Dampier e D.J. Mbenga.

Per questo motivo coach Avery Johnson decise di raddoppiare sistematicamente O’Neal in modo da non dargli la possibilità di giocare 1vs1 e costringerlo a scaricare il pallone, mossa che spesso escluse Shaq dall’azione, anche perché gli Heat faticarono a fargli ricevere il pallone nei repost (in gara 2 tirò solamente 5 volte segnando 5 punti totali) a causa delle scarse doti da passatore di Walker e Haslem su tutti.

 

Gli 1vs1 dal post di O’Neal potevano finire in 2 modi: tiro (e spesso canestro) nella restricted area (85.7% di realizzazione su 4.7 tentativi) o fallo speso dal difensore. Shaq non è mai stato un tiratore efficiente dalla lunetta, ma in queste Finals toccò il fondo: su 8.0 tentativi a partita, convertì i liberi con un misero 29% (13% nelle prime 2 gare, 2/16). Nonostante questo, l’aspetto che recò più danni ai Miami Heat fu la sua fase difensiva, negativa sotto ogni punto di vista salvo qualche sporadica stoppata. O’Neal ebbe il secondo peggior defensive rating di tutti i giocatori scesi in campo (104.0, dietro solo al 105.8 di Williams) e il terzo peggior net rating (-6.2, solo Haslem e Stackhouse fecero peggio).

A 34 anni suonati, la principale causa di questo crollo fu la sua pessima forma fisica: appesantito e atleticamente in declino, la reattività quasi nulla di Shaq venne spesso presa di mira dai Mavericks, che cercarono di coinvolgerlo soprattutto nei pick and roll, in cui nella maggior parte delle volte sembrò essere totalmente impotente, ad esclusione di alcune azioni in cui, spinto dall’inerzia di un momento di squadra positivo, riuscì a limitare i danni.

 

Quello che esce da queste Finals è uno Shaquille O’Neal notevolmente ridimensionato e in preda a un vertiginoso declino, lontano, soprattutto fisicamente, dai suoi anni migliori. Riley lo prese pensando che fosse il pezzo mancante per il tanto agognato anello, ma, se non fosse stato per Wade, probabilmente sarebbe stato la causa più importante del fallimento di quegli Heat.

 

JASON TERRY

Nonostante fosse il secondo violino dietro a Dirk Nowitzki, Jason Terry disputò delle Finals da protagonista assoluto, tant’è vero che, nel caso in cui Dallas avesse vinto il titolo, il premio di Finals MVP sarebbe spettato a lui. “The JET” disputò un’ottima regular season: 17 punti di media con il 41% da 3 su 5.2 tentativi, 3.8 assist e 2.0 rimbalzi, cifre che mantenne nelle prime 3 serie di Playoffs, pur tirando in modo meno efficiente (43% dal campo e 30% da 3).

Fu proprio nelle Finals che Terry fece il salto di qualità, in cui fu il più costante dei suoi sia all’interno della singola partita, che in quasi tutta la serie. Sì, perché dopo le prime 5 partite, in cui l’ex-Hawks viaggiò a 23.2 punti di media con il 53% dal campo, il 37% da 3, 3.2 assist, 2.4 rimbalzi e 1.8 recuperi, Terry disputò una pessima gara 6, finendo con 16 punti con 7/25 dal campo e 2/11 da 3 (nel secondo tempo fece un solo canestro su 12 tentativi), condannando i Mavericks alla sconfitta.

Nonostante ciò, Terry fu rebus irrisolvibile per la difesa di Miami, anche perché i giocatori ai quali venne assegnata la sua marcatura (Williams e Payton) non riuscirono mai a impensierirlo. La guardia dei Mavs torturò gli Heat utilizzando la sua arma migliore, ovvero il tiro dal mid range, sia in uscita dai blocchi che dal palleggio nei pick and roll che convertì con il 53% su 7.5 tentativi.

 

Terry fu particolarmente efficace anche in transizione (il 25.8% dei suoi punti vennero da contropiedi) e nel pitturato, nonostante i tentativi limitati (64% su 4.5 tentativi), motivo per cui non riuscì a procurarsi molti tiri liberi (11/15 in 6 partite, solo l’8.3% dei suoi punti totali nella serie). Il 32% da 3 con cui concluse la serie fu largamente influenzato dal 2/11 di gara 6, prima della quale fu l’unico giocatore dei Mavericks a segnare con continuità dai 7 e 25.

 

I MIGLIORI ATTORI NON PROTAGONISTI

Un aspetto cruciale di queste Finals fu l’apporto del supporting cast delle due squadre gara per gara, con i Miami Heat che furono in grado di trovare con più continuità rispetto ai Mavericks prestazioni importanti da uno o più comprimari partita dopo partita. Nella prima, infatti, fu Erick Dampier dei Mavs a portare energia dalla panca (8 punti e 7 rimbalzi, in campo al momento del parziale decisivo), mentre nella seconda Jerry Stackhouse scavò il solco decisivo nel secondo quarto quasi da solo (finì la partita con 20 punti).

Ma da gara 3 in poi i ruoli si invertirono: dopo il tiro della vittoria di Payton a 9 secondi dal termine della terza partita, in gara 4 fu il turno di James Posey. L’ex-Grizzlies entrò dalla panca e si rivelò fin da subito un fattore in attacco e in difesa (sia nella zona che in 1vs1 contro Nowitzki). Posey finì con 15 punti, 10 rimbalzi, 1 assist e 1 recupero con +22 di plus/minus e 75 di defensive rating. Lo specialista di Miami si ripeté in gara 5, in cui segnò meno (10 punti) ma fu altrettanto imprescindibile, restando in campo quasi tutto il secondo tempo più il supplementare (44 minuti, terzo dietro a Wade e Shaq).

Nella decisiva gara 6 fu il turno di Udonis Haslem e Alonzo Mourning, protagonisti rispettivamente in attacco e in difesa. Costantemente battezzato di Mavericks, Haslem segnò 17 punti con 8/13 al tiro, mandando a bersaglio ben 7 tiri dal mid range su 10 tentativi (nelle prime 5 gare era 2/12).

 

“Zo”, invece, fu autore di una prova difensiva dominante: in soli 14 minuti di utilizzo finì con 8 punti, 6 rimbalzi e soprattutto 5 stoppate (+11 di plus/minus, 76 di defensive rating), agendo da vero leader difensivo, compreso questo stretch nel terzo periodo:

 

In generale i Dallas Mavericks soffrirono la fisicità e l’aggressività al limite del fallo, e talvolta oltre, della classe operaia dei Miami Heat che, nonostante in attacco non creasse numerosi benefici (con l’eccezione di Posey), in difesa fu un fattore determinante per la vittoria dell’anello.

 

LA DIVISIONE DEI QUARTI: 1 E 4 DI MIAMI, 2 E 3 DI DALLAS

Un trend significativo di queste Finals fu l’andamento della partita nei quattro quarti, come dimostra il net rating delle due squadre:

1st QUARTER2nd QUARTER3rd QUARTER4th QUARTER
MIAMI HEAT+11.2 -16.5-11.3+19.3
DALLAS MAVERICKS-11.2+16.5+11.3-19.3

I Miami Heat erano soliti partire subito forte attaccando molto il ferro (10.6 tiri nel pitturato convertiti con il 56%) e limitando i tiri dal perimetro, mentre Dallas si affidava molto al mid range, ottenendo però scarsi risultati (34.7% su 8.2 tentativi). Nei due quarti centrali era Dallas a fare da padrone, grazie a una miglior circolazione di palla (53.2% di AST% contro 41.2% del primo quarto) e soprattutto grazie a una difesa molto aggressiva gli consentiva di ripartire velocemente in contropiede (26.1% di punti da palle perse).

Nell’ultimo e decisivo quarto, però, Miami poteva contare su più esperienza (almeno due tra Payton, Mourning e O’Neal erano nella closing lineup) e soprattutto sulla loro superstar Dwyane Wade, che fu in grado di segnare con continuità negli ultimi minuti. L’efficienza dell’attacco dei Mavs crollava anche a causa dell’incapacità di Nowitzki di essere decisivo nei finali, situazione che creò confusione tra le gerarchie di squadra.

 

“JUMP-SHOOTING TEAMS DON’T WIN RINGS”

Questa la celebre frase di Charles Barkley riferita ai Golden State Warriors e sfatata dagli stessi nel 2015 dopo il trionfo sui Cleveland Cavaliers; questa citazione, però, si può applicare ai Dallas Mavericks. Il fatto che l’attacco della squadra di coach Johnson passasse molto per il tiro dal mid range ed il tiro da 3, mentre quello di Miami era molto più incentrato sull’attaccare il ferro, non era di certo un segreto, come dimostra la distribuzione dei tiri presi nelle Finals dalle due squadre:

PAINTMIDRANGE3 POINT
FGMFGAFG%FGMFGAFG%FGMFGAFG%
MIAMI HEAT12022752.34810446.23210530.5
DALLAS MAVERICKS9418151.97117241.33311628.4

Il problema dei Mavericks, però, fu quello di non riuscire a trovare alternative valide nei momenti in cui il tiro (soprattutto da 3 punti) faticò ad entrare. L’ottima regular season di Dallas fu il frutto di una distribuzione dei tiri bilanciata, seppur sempre incentrata sui jump shot, ma nelle Finals questo equilibrio venne a mancare. Nowitzki e compagni, infatti, attaccarono meno il ferro e si presero molti più tiri dalla media e soprattutto da 3 punti, convertendoli, però, con percentuali molto più basse rispetto a quelle della stagione regolare:

PAINTMIDRANGE3 POINT
FGMFGAFG%FGMFGAFG%FGMFGAFG%
REGULAR SEASON18.836.451.612.027.743.35.113.637.4
FINALS15.730.252.011.828.741.35.519.228.6

Escluso Stackhouse, tutti i giocatori dei Mavericks con un tiro da 3 affidabile videro le loro percentuali calare vertiginosamente:

LEFT CORNERRIGHT CORNERABOVE THE BREAK
REGULAR SEASONFINALSREGULAR SEASONFINALSREGULAR SEASONFINALS
JASON TERRY46.5% (20/43)50% (4/8)47.6% (30/63)0% (0/3)39.5% (121/306)30.0% (9/30)
JOSH HOWARD37.5% (3/8)0% (0/4)28.6% (2/7)66.7% (2/3)47.8% (22/46)25.0% (3/12)
DIRK NOWITZKI50% (2/4)50% (1/2)53.3% (8/15)0% (0/2)40.5 (100/247)25.0% (5/20)

 

L’ELEFANTE NELLA STANZA: I TIRI LIBERI DI WADE

È arrivato il momento di parlare dell’argomento più delicato di queste Finals NBA e che tutt’ora è oggetto di animate discussioni ed improbabili complotti, di cui ovviamente non ci interessiamo. Nell’arco delle 6 partite, Dwyane Wade guadagnò complessivamente 97 tiri liberi (record all time per una serie chiusa in 6 gare) segnandone 75 (77.3%), compreso un 21/25 in gara 5 e un 16/21 in gara 6.

In totale gli Heat tirarono 207 tiri liberi, segnandone solo 125 (60.4%), mentre i Mavericks ne conquistarono 155, realizzandone 122 (78.7%). Prima delle ultime due partite, i viaggi in lunetta di Wade furono in media 12.8 (contro i 10.7 della regular season), frutto di maggiori tentativi di tiro nel pitturato (11.5 nelle Finals, 10.3 in reagular season). Come scritto poc’anzi, la migliore arma di Wade era l’attacco in 1vs1 in velocità con rapidi cambi di mano per finire al ferro, situazione in cui sapeva segnare assorbendo il contatto o subire falli causati dal difensore in recupero o dagli aiuti difensivi mal posizionati.

Quest’ultimo aspetto fu facilitato da uno spacing non ideale nell’attacco degli Heat: il tempo necessario a Wade per sbarazzarsi del proprio difensore era generalmente talmente basso che i difensori in aiuto, che già si trovavano in area per marcare i vari O’Neal, Haslem e Mourning, non riuscivano a posizionarsi in tempo per portare un aiuto non falloso.

Un altro motivo per cui la stella di Miami andò spesso in lunetta, fu la sola presenza di Shaquille O’Neal: come specificato sopra, in 1vs1 i difensori di O’Neal si trovarono spesso a dover commettere fallo al centro ex-Lakers per impedirgli di segnare facilmente (Diop e Dampier finirono la serie rispettivamente con 3.8 e 3.7 falli di media in 15 e 24 minuti medi), e questo consentì diverse volte agli Heat di raggiungere il bonus dopo pochi minuti.

Concludendo, la risposta finale è sì: a Wade nelle Finals 2006 venne riservato talvolta il “trattamento da superstar”, con la terna arbitrale più propensa a fischiare fallo su un contatto dubbio piuttosto che lasciar correre, ma parte di questo comportamento, alla luce dei ragionamenti di cui sopra, fu merito di Wade, che da gara 3 in poi ebbe tutta l’inerzia dalla sua parte. E sì, alcuni fischi discutibili avvennero nei secondi finali delle partite, allo stesso modo in cui, però, ci furono fischi discutibili all’interno di tutte le partite nei primi 3 periodi per entrambe le squadre. La domanda a questo punto sorge spontanea: un fallo dubbio fischiato a fine partita ha un valore diverso da uno fischiato nel primo quarto?

 

DALLE STELLE ALLE STALLE E VICEVERSA

La vittoria delle Finals 2006 fu il punto più alto raggiunto da quei Miami Heat di Pat Riley: la squadra costruita attorno a Shaq e Wade, infatti, aveva un’età media troppo alta per poter garantire annate vincenti anche negli anni successivi. Nella stagione 2006/07 i due giocatori sopraccitati giocarono rispettivamente 51 e 40 partite ma Miami finì miracolosamente quarta nella Eastern Conference per poi essere sweepata dai Chicago Bulls.

L’anno seguente andò anche peggio: O’Neal venne scambiato a febbraio per Shawn Marion e Marcus Banks provenienti dai Suns, Wade si infortunò nuovamente e gli Heat finirono con il peggior record della lega (15-67). Purtroppo questo non bastò a garantire a Miami la prima scelta al draft 2008 (che andò fortunosamente ai Bulls, 33-49 in regular season), che si dovettero accontentare di scegliere Michael Beasley con la seconda assoluta. Gli Heat riuscirono a rialzarsi solo nell’offseason del 2010, in cui riuscirono a firmare sia LeBron James che Chris Bosh. Il resto della storia lo conosciamo tutti.

I Dallas Mavericks, invece, trascinati dall’MVP della regular season Dirk Nowitzki, migliorarono ulteriormente nella stagione seguente, ma vennero clamorosamente eliminati in sei gare al primo turno dai celeberrimi “We Believe” Golden State Warriors, testa di serie numero otto. Nonostante queste due cocenti delusioni, i Mavs vinsero almeno 50 gare in stagione regolare in tutte le successive annate, acquisendo man mano i vari J.J. Barea, Jason Kidd, Shawn Marion e Tyson Chandler che, assieme all’inseparabile coppia Dirk Nowitzki-Jason Terry, formarono la spina dorsale della squadra che nel 2011 portò il Larry O’Brien Trophy a Dallas, dopo aver avuto la meglio proprio sui Miami Heat in 6 gare.

Tags: dallas mavericksMiami HeatNBA Finals
Davide Possagno

Davide Possagno

Sono un Heat-Lifer ormai da oltre 10 anni, da quando comprai il dvd su Dwyane Wade in edicola: fu amore a prima vista. Ancora maledico Pat Riley per aver maxato Whiteside, privandoci così del nostro Flash per un interminabile anno e mezzo.

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