Avevo circa quattordici anni quando mi trovai per la prima volta ad acquistare un paio di Converse alte. In quel periodo, almeno nelle mie zone, quella marca spopolava, ma ciò che mi portò a scegliere quel paio di scarpe bianche classiche non fu la moda. Quelle scarpe con la toppa rotonda all’altezza della caviglia, con una stella al centro, decisi di prenderle perché la loro immagine era strettamente legata al basket.
Di fatto, le “Converse All-Star” sono conosciute anche con il nome di chi le ha sponsorizzate, nonché colui che ha dato un incredibile apporto nella realizzazione del modello, ovvero Chuck Taylor. D’altronde non è un caso che oltreoceano le All-Star siano anche chiamate direttamente “Chucks” nel parlato di tutti i giorni.
Nel caso siate appassionati di sneakers, il suo nome non vi sarà nuovo. Per chi invece non l’avesse mai sentito nominare, ma possiede un paio di All-Star, consiglio di prendere ora le scarpe e leggere il nome in corsivo nella toppa. Chuck è stato un giocatore di basket ma è stato soprattutto un ottimo rappresentante dell’azienda “Converse Rubber Shoe Company”. Già dagli anni ‘20 del Novecento, comincia a viaggiare per tutti gli Stati Uniti al fine di promuovere le scarpe ai giocatori di pallacanestro e riesce ad essere così persuasivo che come premio ottenne il suo nome inserito nella patch sulla caviglia.
La scarpa che ho comprato poco meno di una decina di anni fa, bianca con due sottili strisce rosse e blu, è stata ideata dallo stesso Chuck per l’occasione dei Giochi Olimpici di Berlino 1936, colori che richiamano il patriottismo americano. Fino a quel momento Converse aveva prodotto esclusivamente modelli neri e in pelle rivoluzionando quindi il suo portafoglio di prodotti. Ed è grazie alla scarpa bianca che anche la scarpa nera ha subito un’evoluzione: nel secondo dopoguerra, la famosa punta in gomma diventa bianca così come la fiancata, sulla quale viene lasciata una striscia nera.
Il risultato è una scarpa dal look più aggressivo, che cattura maggiormente l’attenzione, ed è in questo modo che la Converse conquista un’enorme quota di mercato diventando leader nel settore delle sneakers.

Le All Stars vengono usate dalla maggior parte dei giocatori NBA negli anni ‘50 e dagli anni ‘60 vengono introdotte anche nuove colorazioni oltre al bianco e al nero. Questo paio di scarpe entra con forza nell’immaginario collettivo come un simbolo di modernità, da associare agli USA post-Seconda Guerra Mondiale.
Conquistano un forte ruolo sociale anche per via del prezzo accessibile: tra basket e vita quotidiana, (quasi) tutti finiscono per avere le Converse ai piedi. Quando scaviamo negli archivi e proviamo a recuperare qualche foto di una partita qualsiasi di quell’epoca, per esempio della partita da cento punti di Wilt Chamberlain, notiamo con piacere che le scarpe ai piedi della maggioranza dei giocatori sono delle All-Star.

Lo scenario comincia a cambiare però negli anni ‘70, quando nel mercato emergono nuove aziende che realizzano sneakers come se fossero opere ingegneristiche, studiate nei minimi dettagli per far sì che i giocatori ne traggano l’efficienza massima. Questo mentre le All-Star restano praticamente sempre le stesse, complice la dipartita di Charles “Chuck” Taylor nel 1969.
Il declino della popolarità di questo modello di scarpe, nel mondo cestistico, è inesorabile. Le Converse si vedono sempre meno ai piedi dei fenomeni NBA negli anni ‘70: l’ultimo ad indossare un paio di “Chucks” è quindi Tree Rollins nel 1979, centro degli Atlanta Hawks al terzo anno nella lega. Dieci anni dopo la morte del signore a cui devono il nome, le “Chucks” fanno la loro ultima apparizione su un parquet NBA.
Nel frattempo mantengono comunque la loro forte immagine sociale e vengono adottate dagli skater dandone un valore ampiamente alternativo. Converse però non molla e, dopo qualche sneaker relativamente anonima, introduce una nuova scarpa con un un nuovo look, che le permette di non sparire dopo il passaggio di moda delle “Chucks” e di rinvigorire la forza del suo marchio.
“Choose your Weapon”: con questo slogan la Converse presenta le Weapon nel 1986 e a fare da testimonial principali ci sono niente poco di meno che Larry Bird e Magic Johnson, due dei giocatori più iconici dell’NBA di quell’epoca. La rivalità tra Boston Celtics e Los Angeles Lakers è il fulcro della campagna pubblicitaria, avere le due stelle come testimonial consente di accaparrarsi pressoché l’intera cerchia dei fan, divisa appunto tra le due fazioni storiche. Immaginate anche quante poche immagini arrivassero in Italia e in Europa dell’NBA e che tra quelle, molte volte, comparivano i due sopracitati con le rispettive Converse Weapon ai piedi.

L’altra grande arma vincente di questa scarpa è la gamma di colorazioni che include la versione giallo e viola, indossata da Magic, la quale regala agli appassionati un’immagine storica dello stile dei giocatori di quegli anni. Questa scarpa cavalca la rivoluzione del colore, iniziata un anno prima dal giovanissimo Michael Jordan con le sue Air Jordan 1, in un mondo in cui sul parquet ci vanno per lo più scarpe bianche o nere.
Proprio il numero 23 dei Bulls, per via di quelle sneakers, riceve una multa di cinquemila dollari poiché esse non rispettano le restrizioni della lega. Come dimostra la scelta della Converse, quella multa, piuttosto che bloccare tale fenomeno, ne fa invece da cassa di risonanza e il risultato è l’inizio di una nuova era della sneaker.
Nonostante l’introduzione della Weapon, per Converse risulta difficile mantenere il passo di Nike e Adidas e le rispettive continue innovazioni non solo nella scarpa da basket. Gli anni ‘90 costituiscono quindi il periodo del definitivo declino di un brand simbolo degli Stati Uniti dal secondo dopoguerra in poi, fermamente collegato alla sua storia nell’arco di quasi tutto il ventesimo secolo.
La conclusione di tutto giunge, apparentemente, in data 22 gennaio 2001, giorno del fallimento di Converse dopo quasi novantatre anni di attività. Apparentemente, infatti, perché nel 2003 la Nike, Inc. se ne appropria per la cifra di 305 milioni di dollari, che sono una nullità in confronto al valore che Converse ha nella società di stampo occidentale.
L’acquisto da parte dell’azienda di Beaverton segna la rinascita di quel brand glorioso che era, lo plasma e lo rilancia nel mercato dandogli nuova linfa. In NBA, molti degli atleti che indossano Converse con regolarità sul parquet, passano a Nike o ad altri brand, ma proprio per scelta della stessa Converse che decide di affidare la sua immagine ad alcune giovani promesse tra cui Chris Bosh e soprattutto Dwyane Wade. Il prodotto di Marquette firma, da rookie, un contratto da 400mila dollari per sei anni e nel 2005 ottiene le sue prime “signature shoes”, le Converse Wade 1 con le quali vincerà l’anello, affiancato da Shaquille O’Neal, e l’MVP delle Finals, entrando nella storia dei Miami Heat.

Nel 2009, Wade abbandona Converse dopo varie vicissitudini per via della scomodità della sua stessa scarpa. Nel corso della stagione precedente infatti, il numero 3 degli Heat, durante il suo ultimo anno di contratto con Converse si rifiuta anche di portarle. Il brand prova a rifarsi con Elton Brand e la sua sneaker personalizzata ma, come facilmente intuibile, non è stata proprio una scelta azzeccata.
Il tentativo di mantenere un alto profilo tra le stelle della lega non porta i risultati sperati, addirittura si potrebbe dire che “va a farsi benedire” e così nel giro di tre anni, nel 2012, Converse fa un bel passo indietro e si defila completamente dalle scene del grande basket a stelle e strisce. Per sei anni, sui parquet delle fantastiche arena della National Basketball Association, non c’è traccia di alcuna scarpa con quella stella facilmente riconducibile a un solo marchio.
La stagione NBA 2018/19 è cominciata da un mese quando Converse annuncia ufficialmente al mondo il suo ritorno nel basket, confermando le voci che ne presagivano l’avvenimento. Lo fa firmando Kelly Oubre, il quale non solo è apprezzato in campo per le sue caratteristiche tecniche ma lo è anche per lo stile che mostra fuori dal campo, sempre alla moda, ed è proprio per questo motivo che viene messo sotto contratto. Infatti, il giocatore indosserà scarpe Nike sul parquet e abbigliamento Converse fuori.
La mossa, a primo impatto senza senso, trova una spiegazione già se consideriamo che la maggior parte delle foto ufficiali NBA scattate fuori dal campo sono realizzate nella “passerella” all’ingresso dell’arena. Comunque non passa molto tempo prima che il famoso marchio americano presenti la sua prima scarpa da basket a distanza di anni dall’ultima.

Un anno fa, precisamente il 18 aprile 2019, la Converse fa l’ultimo passo verso un totale rientro nell’universo cestistico grazie all’annuncio delle All Star Pro BB, che quindi segnano anche la rinascita di quelle “chucks” che hanno scritto tante pagine della storia di questo marchio. Il grandissimo pro di questa scarpa sta nella combinazione della bellezza esteriore, classica ed evocativa, delle All Star con le tecnologie avanzate offerte da “mamma Nike”.
Dare inizio a un nuovo corso agganciandosi ai fasti di un tempo è sì una mossa di marketing ma anche una grande responsabilità. Una sneaker che porta quel nome non può permettersi di fallire, di non far parlare di sé, di essere dimenticata in fretta.
Ovviamente, il primo a vestirla e provarla in game è proprio Oubre ai princìpi della stagione 2019/20. Oltre alle colorazioni standard, bianco o nero con inserti arancioni, l’ala dei Phoenix Suns viaggia di fantasia e stile e presenta alcune varianti stravaganti, lasciatemi passare il gioco di parole.
Tra motivi camo e colori fluo, Converse introduce al grande pubblico la versione “Flames” (ci tengo a precisare che è la mia preferita), mostrando grande attenzione nei confronti degli acquirenti, sempre alla ricerca di scarpe che siano confortevoli ma che non escludano di farsi notare sui parquet delle categorie minori.

Il nuovo viaggio di Converse passa anche per la Cina, dove incontra Abudushalamu Abudurexiti, ad oggi la stella della nazionale cinese, grazie al quale riesce a entrare in un mercato dal quale ne era sempre stata esclusa. Ma la firma con più impatto, giunta con più sorpresa, da un punto di vista della notizia stessa, è quella di Draymond Green, avvenuta nei primi giorni del marzo appena passato. Il giocatore dei Golden State Warriors si sfila le Nike per diventare quindi il profilo più importante della Converse dai tempi di Dwyane Wade (“the brand’s highest profile athlete since Dwyane Wade” ha twittato Adrian Wojnarowski all’annuncio).
Brandis Russell, Vice President of Global Footwear di Converse, ha espresso soddisfazione per l’ingresso “in famiglia” di Green: “La sua voce, la sua attitudine e la sua leadership sono ciò che lo rendono perfetto per Converse”. Da queste parole traspare la voglia di cercare persone forti dal punto di vista individuale, piuttosto che puntare su giocatori la cui qualità è indiscussa ma che non hanno rilevanza a livello mediatico.
Nonostante lo stop dovuto alla diffusione del coronavirus, il tre volte “Defensive Player Of the Year” è riuscito a mostrarci in anteprima, lo scorso 5 marzo, le nuove Converse G4, in occasione del match al Chase Center di San Francisco tra i suoi Warriors e i Toronto Raptors. Questo nuovo paio di sneaker, disponibile al pubblico dal primo maggio, che accoglie ancora tecnologie targate Nike, è stato realizzato sia nelle variante low top, la cui unica colorazione è quella in foto, che high top.

Converse è finalmente sulla retta via, guidata dalla Nike sta riuscendo a trovare un’identità che per anni le è mancata. Purtroppo l’arrivo della pandemia ha temporaneamente fermato la rincorsa che sta prendendo per competere con i grandi brand. L’impressione, ragionando sul lungo termine, è che si stia muovendo in modo giusto, dando anche grande soddisfazione ai suoi fan storici.
Probabilmente, non appena ci sarà un accenno di ripresa, verranno annunciati altri giocatori nella famiglia Converse e potremmo assistere a una battaglia con Puma per stabilirsi alle spalle dei big three Nike, Adidas e Jordan.