La logorante quarantena degli ultimi due mesi può essere smorzata occupando il tempo in attività produttive e divertenti. Per un appassionato di pallacanestro statunitense – preso atto della sospensione a tempo indeterminato della NBA – è la giusta occasione per riprendere in mano serie del passato, riscoprendo alcune chicche dimenticate o, addirittura, mai gustate appieno.
Un passato non per forza troppo remoto; quello recente, ad esempio, mette sul piatto alcune stagioni godibilissime: esempio calzante, il 2013. Le Finals fra Heat e Spurs, culminate nella celebre tripla di Ray Allen che ha frantumato le speranze di San Antonio in gara 6, sono forse le più belle del decennio. Altre serie, però, hanno avuto picchi di spettacolarità e bel gioco comparabili: basti pensare alle stesse finali della Eastern Conference, con i futuri campioni di Miami costretti a gara 7 dagli Indiana Pacers.
Le premesse
Fermandosi al primo turno, l’accoppiamento più spumeggiante, almeno sulla carta, metteva di fronte i Denver Nuggets di George Karl e i Golden State Warriors del reverendo Mark Jackson. Prima di passare direttamente alla gara in questione, la terza di quella bellissima serie, è utile spolverare un po’ le idee, contestualizzando la regular season giocata dalle due squadre. I Nuggets, ad esempio, chiusero la regular season in terza posizione ad ovest, con un record di 57-25. Nell’intera NBA, solo Heat, Thunder e Spurs conclusero la stagione regolare con un numero di vittorie maggiore.
La pallacanestro dei Nuggets era, per l’epoca, modernissima: un basket spumeggiante, votato alla corsa (95.1 di pace, secondo della lega) e molto efficiente a livello offensivo (106.1 PTS/G, primi nella lega e quinti per OFF RTG). La squadra era ben miscelata, nessuna superstar, ma tanti ottimi giocatori: a partire da Ty Lawson, playmaker di sicuro affidamento (16.7 + 6.9 dimes), passando per esterni capaci di difendere e segnare (Chandler e, soprattutto, Iguodala). Ad allargare il campo ci pensava un Danilo Gallinari da 16.2 punti a partita, con il 37.3% dall’arco, mentre sotto il ferro spiccava l’atletismo di The Manimal, Kenneth Faried, e l’esuberante fisicità di McGee. A completare il tutto, l’esperienza del venerabile maestro Andre Miller e la velocità di Cory Brewer.
Il mix vincente è confermato dai sei giocatori in doppia cifra per media punti (che diventano ben nove con almeno 8 punti di media). Una formazione senza una star in senso assoluto, ma con uno spacing assolutamente efficace e con un talento ben distribuito in tutti i reparti. A conferma di ciò, Karl venne eletto COTY, mentre Ujiri fu eletto Executive dell’anno, soprattutto grazie alla trade che portò in Colorado Iguodala. Tutto rose e fiori? Sì, almeno sino al 4 aprile: poco prima della fine della regular season, Danilo Gallinari, nella gara contro i Mavs, si rompe il legamento crociato del ginocchio sinistro. La seconda bocca di fuoco di Denver è così costretta ad alzare bandiera bianca poco prima dei playoff: per gli ingranaggi del sistema offensivo apparentemente perfetto di Karl è un intoppo enorme.
L’accoppiamento del primo turno vedeva sulla strada dei ruspanti Nuggets un avversario decisamente imberbe: gli Warriors di Mark Jackson, assenti dai playoff dal celebre upset di Baron Davis contro i Mavs del 2007, facevano il loro ritorno in post season dopo anni sciagurati. Finalmente, però, la squadra aveva trovato un suo equilibrio, basato sull’esplosione definitiva di Stephen Curry. Il futuro MVP aveva chiuso la regular season a 22.9 PPG con 6.9 assist a serata, imponendosi come uno dei più forti play in circolazione.
Accanto a Curry, un’efficace combinazione di veterani (David Lee, Jarrett Jack e Andrew Bogut) e giovani in rampa di lancio (Thompson e i rookie Barnes e Draymond Green, pronti a fare le fortune di coach Kerr un paio di stagioni dopo). Un sistema da 47-35 (sesto posto ad ovest) che, pur senza raggiungere gli estremi dell’attacco scoppiettante di Karl, si basava su un pace elevato (94.5, quarto nella lega) e sulla folgorante abilità degli Splash Brothers in divenire: Curry e Thompson, già all’epoca, chiusero la stagione con 19 triple tentate a serata in due:

Insomma, c’erano tutte le premesse per una serie scoppiettante ma, almeno sulla carta, pur preso atto dell’assenza a tempo indeterminato del Gallo, la banda di Coach Karl avrebbe avuto i favori del pronostico dalla sua parte.
I primi due atti della serie
Già gara 1, però, smentisce categoricamente quest’assunto: gli Warriors, nonostante un Curry da 1/10 nel suo primo tempo in carriera ai playoff, rimangono costantemente abbarbicati al match in trasferta, chiudendo all’intervallo lungo in vantaggio 48-44. Questo, grazie soprattutto a un clamoroso secondo quarto di Thompson (6/8 dal campo per 13 punti) e a un Curry che mette a referto 8 dei sui 9 assist nel primo tempo, colmando parzialmente le sue polveri bagnate. In casa Nuggets arriva la solita prova corale: nel primo quarto un inatteso Fournier, nel secondo un grande Andre Miller dalla panchina. La gara si risolve punto a punto, e gli ultimi possessi incendiarono il Pepsi Center: sotto di 3 punti, la quarta tripla di Steph Curry, costruita con una finta e un canestro folgorante, vale il pareggio sul 95-95 a 14.5 secondi dalla fine:
L’ultimo possesso, però, vede l’isolamento di Andre Miller contro il rookie Draymond Green: bruciante accelerazione a sinistra e layup magico dall’altro lato del tabellone. La magia del venerabile maestro lanciò sull’1-0 i Nuggets, ma si comprese come gli Warriors fossero decisamente pronti al nuovo palcoscenico:
E, infatti, gara 2 fu un assolo di Golden State, con la formazione di San Francisco capace di imporsi 131-117. Per Mark Jackson una giornata offensivamente strepitosa, conclusa con un corale 14/25 dall’arco (56%) che lascia quasi stupefatti. Protagonista principale Steph Curry, capace di archiviare la seconda presenza in carriera ai playoff con 30 punti e 13 assist (a fronte di una sola palla persa). La rinascita Warriors porta così la serie alla Oracle Arena sull’1-1, per la terza gara che, nell’economia di questo primo turno, si rivelerà spartiacque fondamentale.
Gara 3, quintetti e approccio
I Nuggets si presentano alla Oracle ributtando nella mischia dal primo minuto Kenneth Faried: The Manimal, infatti, aveva saltato gara 1 e nell’incontro successivo aveva dovuto centellinare i suoi minuti dalla panchina per i postumi di un infortunio alla caviglia. Recuperato, in gara 3 scende in quintetto da centro, accompagnato da Ty Lawson, Fournier, Iguodala e Chandler: quintetto decisamente small, con due esterni capaci di tirare dall’arco come Iggy e WC e un’ala grande, fisicamente straripante, ma comunque non altissima (2.03 cm) a occupare il ruolo di 5.
Del resto, anche gli Warriors si confermano small, come in gara 2: in quintetto, a sostituire l’infortunato David Lee (problemi all’anca per il futuro marito di Caroline Wozniacki), c’è Jarrett Jack; sul parquet, quindi, troviamo tre guardie (Thompson adattato a giocare ala piccola), Barnes da 4 e Bogut da 5. In sostanza, un’anticipazione della pallacanestro dell’immediato futuro e, per i gialloblu californiani, un antipasto di quella che diverrà qualche anno dopo la death lineup di Steve Kerr:

Il primo quarto
Alla prima gara da un almeno un lustro a questa parte alla Oracle, ti aspetti che a brillare siano le stelle più lucenti fra i californiani: ad accendersi, però, è Jarrett Jack. Double J comincia infatti con un 4/4 dal campo, frutto di un paio di layup in transizione e di due jumperini dalla media. Dall’altra parte, tutta Denver pare approcciare la gara con cipiglio di riscatto, soprattutto un Andre Iguodala che segna i primi 5 punti dei suoi, prima con una tripla e poi aiutandosi con il tabellone. I liberi di un Faried molto attivo sotto i tabelloni (due rimbalzi in attacco e un gioco da tre punti) producono il primo +3; gli Warriors ritrovano il pareggio con la tripla dall’angolo sinistro di Curry, al solito bravo a ricollocarsi al termine di un movimento costante off the ball:
I Nuggets non si fanno intimidire dalla prima bomba del numero 30 e, anzi, aumentano l’intensità sui due lati del campo: Lawson si procura sei liberi – tutti a bersaglio – mentre dall’altro lato del parquet un po’ di supponenza costa due palle perse sanguinose agli Warriors (25-18, +7 massimo vantaggio Nuggets). Proseguono i botta e risposta fra i due playmaker (nonché principali bocche da fuoco sul parquet): alla seconda tripla di Curry risponde ancora Lawson, con un’accelerazione bruciante chiusa al ferro anticipando il ritorno di Ezeli. Curry riporta sotto i suoi con 3 tiri liberi, ma Andre Miller corona il suo ingresso con un jumper dalla media (29-26 Nuggets).
Sono due dei giocatori più esperti a caratterizzare la fine del primo periodo: Miller sigla una tripla dal palleggio, Landry risponde con un semigancio e il parziale si chiude in perfetta parità sul 32-32. Si segnalano, quindi, i già citati 13 punti di Ty Lawson (con 3 assist); in casa Warriors, invece, oltre agli 11 di Steph (2/3 dall’arco), spiccano i 10 di Jack e i 6 di Landry: sono i veterani a mantenere calda la Oracle.
Il secondo quarto
Veterani da una parte, veterani dall’altra: è Cory Brewer, entrato dalla panchina, a siglare il primo mini parziale Nuggets nel secondo quarto; prima serve uno spettacolare alley-oop a Faried, poi si procura e realizza un paio di liberi. I primi due possessi della franchigia californiana, invece, cercano le uscite di Thompson dai blocchi, ma Klay prima si infrange sul ferro e dopo si fa sporcare il passaggio da Iguodala. Per il primo canestro di Golden State, allora, serve attendere uno spettacoloso assist di tocco di Bogut, abile a liberare Landry sottocanestro.
Ma Denver difende forte, ostacolando le ricezioni di Thompson e intasando l’area con Koufos: le conclusioni nei pressi del ferro sono sporcate, mentre, in attacco, la banda di Karl segue i dettami del coach, bruciando la retina dall’arco con Brewer e Iguodala per il 44-36, nuovo massimo vantaggio. Il diabolico Iggy, nel frattempo, rende la vita difficilissima al rientrante Curry: la sua difesa è asfissiante e impedisce al figlio maggiore di Dell ogni ricezione, mentre Miller, altro furbastro, sporca un paio di palloni.
Gli Warriors si affidano allora a un Landry immacolato dal campo, mentre non riescono ad arginare un Brewer on fire (quattro punti consecutivi con un clamoroso long two). Curry, con finta-palleggio-arresto e tiro sigla il -1 (53-52), ma di lì in avanti Denver apre un parziale di 11-2 che porta i ragazzi del Colorado per la prima volta in doppia cifra di vantaggio (64-54). Il canestro del +10 è un layup dell’inarrestabile Lawson, che sembra dotato di un’accelerazione da fuoriserie in mezzo alle utilitarie della Baia:
Un altro canestro di Lawson, stavolta dalla media, vale il punto numero 19 per il play ospite e, soprattutto, il +12 per Denver, che chiude il primo tempo sul 66-54. Polveri bagnatissime negli ultimi possessi offensivi degli Warriors, con Curry sostanzialmente impossibilitato a ricevere dalla marcatura soffocante degli avversari e un Thompson che chiude il primo tempo con 1/5 e la miseria di soli 2 punti a referto. Non bastano i 9 punti segnati nel secondo parziale da Landry. Il vero MVP del secondo quarto, però, è un Cory Brewer da 12 punti con 4/6: 12 sono anche i punti di vantaggio dei Nuggets all’intervallo lungo, con gli uomini di coach Karl che sembrano aver gettato le giuste premesse per recuperare il fattore campo malamente perduto in gara 2.
Il terzo quarto
Come in occasione dell’inizio di gara, anche i vagiti germinali del terzo periodo sono piuttosto soporiferi: nei primi 3 minuti del secondo tempo si ravvisano la miseria di tre canestri dal campo. Segnano Jack, il solito Lawson in penetrazione e Stephen Curry con un long two: la decisione più importante della gara – parlando col senno di poi – sta nel coraggio del reverendo Jackson, che non sostituisce lo stesso futuro due volte MVP al momento del suo quarto fallo su Fournier (piuttosto dubbio, a dire il vero).
A cambiare l’inerzia dell’incontro anche due triple in e out di Iguodala, che avrebbero potuto affondare del tutto Golden State. E così, dopo la tripla del momentaneo +13 del solito Ty Lawson (71-58, massimo vantaggio Nuggets con 8 e 51 sul cronometro), gli Warriors aprono un parziale di 16-2 in poco meno di 4 minuti, rovesciando la gara e portandosi addirittura in vantaggio con la tripla del 74-73 griffata da Curry. Nel parziale, eccellente il momentum dello stesso numero 30, che sciorina un clinic di pallacanestro: 7 punti, 2 assist e un fallo in attacco guadagnato ai danni di Andre Miller. Apice, appunto, la bomba del momentaneo sorpasso.
I Nuggets però, nel momento più complesso dell’incontro, reagiscono da grande squadra: Chandler sigla 5 punti, fra i quali piazza un canestro da tre punti su palla sporca, e Iggy sigla un alley-oop di spettacolare fattura. In due dei tre canestri emerge il lato oscuro del gioco di Curry, un’inadeguatezza difensiva che, col tempo, il nativo di Akron ha parzialmente imparato a limitare. Notiamo, nella circostanza, come la sua posizione sia inadeguata contro il primo canestro di Chandler, che praticamente nemmeno si accorge del 30 e, dopo bella piroetta, segna in avvicinamento. L’alley-oop, invece, coglie Curry impreparato, beffato dal movimento di Iguodala, che lo aggira e raccoglie l’assist di Miller. Anche qui la posizione di Curry è sbagliata, con la marcatura ad anticipare l’avversario che si rivela del tutto inadeguata:
Lawson con un circus shot prosegue la sua serata eccezionale in attacco ma a guidare l’attacco Warriors in chiusura di periodo sono ancora i veterani: due canestri di Jarrett Jack e un jumper dalla media di Landry permettono alla banda della Oracle di sigillare il terzo quarto sull’87-84. In anticipo sui tempi della celebre death lineup, si potrebbe parlare del futuro e proverbiale terzo quarto Warriors: Golden State chiude infatti il terzo segmento di gara sul 33-18, rovesciando la sorte di una partita che, all’intervallo lungo, sembrava quasi compromessa. Prestazione sublime di Jarrett Jack, autore nel solo periodo di 10 punti e 4 assist. Ottimo anche l’impatto di un Barnes da 8 silenziosi punti, mentre per i Nuggets hanno segnato solo Lawson e Chandler, capaci di realizzare 15 dei 18 punti segnati dalla squadra di Karl.
Il quarto quarto
L’ultimo periodo, dunque, si apre con gli ospiti costretti ad inseguire, sotto di un possesso pieno: tutto, insomma, ancora sul filo dell’equilibrio dopo 36 minuti di gara. Prima dell’inizio, durante l’intervista di rito, Mark Jackson evidenzia la chiave della prestazione dei suoi nel terzo periodo:
Spesso sento parlare dell’importanza del nostro sistema offensivo. Stavolta, invece, vorrei porre l’attenzione sull’impianto difensivo: abbiamo marcato in maniera efficace, limitandoli a 18 punti. La difesa è stata la chiave del terzo quarto. Abbiamo capito che dobbiamo difendere così per provare a vincere questa serie.
Fedeli ormai al canovaccio di questa serie e, nello specifico, di questa gara 3, gli Warriors approcciano in maniera soft anche l’ultimo periodo, che si apre con il protagonista che non ti aspetti, Anthony Randolph: il classe ’89 fa valere la sua fisicità con una schiacciata (dopo goffa palla persa di Jack) e con un layup + fallo (ma senza completare il gioco da tre punti). I Nuggets tornano avanti ma, con due rimbalzi in attacco, Golden State rientra subito sul pezzo e Barnes sigla l’89-88 a favore dei suoi. Addirittura, con una tripla del rookie Draymond Green, i padroni della Oracle volano sul +4. Ma Denver dimostra una coriacea resilienza: un layup di Brewer e una schiacciata volante di The Manimal, servito al bacio da Iguodala, valgono ancora il -2 (94-92 Warriors):
La partita prende quota, anche dal punto di vista estetico: da un lato, Draymond Green realizza un layup di eccellente fattura, smarcato da uno degli 11 assist di Steph Curry; dall’altra parte, esaltante il passaggio dietro la schiena di Ty Lawson, che smarca Faried per l’ennesima schiacciata:
Nel frattempo, sale nuovamente in cattedra Stephen Curry, improvvisatosi giocoliere in due possessi offensivi consecutivi. Il figlio di Dell prima segna appoggiando al tabellone di mano sinistra, poi brucia sul primo passo Brewer e, con uno scoop layup ad altezza siderale, permette a Golden State di toccare quota 100. Due giocate, una dietro l’altra, che esprimono la straordinaria capacità di concludere al ferro del primo MVP unanime della storia NBA:
Denver non cede d’un centimetro. Lawson, d’una testardaggine encomiabile, si procura e realizza altri due tiri liberi mentre, dall’altra parte, segna Jack in penetrazione, prima che Faried, servito ancora da Iguodala, accorci nuovamente (100-102). Le squadre sembrano ritrovare d’incanto fluidità: vedere per credere il palleggio-arresto-tiro di Harrison Barnes, per il nuovo +4 degli Warriors. Prosegue, nel frattempo, la storia d’amore di Lawson con la lunetta, ma il layup di un Thompson finalmente a bersaglio dopo le difficoltà dall’arco e i liberi di Curry valgono il primo allungo davvero significativo (108-102). Lawson, però, riesce a mettere la ciliegina a una partita sublime, con un layup dopo slalom e accelerazione straripante:
Canestro più fallo per il play dei Nuggets, che riaccorcia sul -3 (105-108). Dopo un paio di errori di Curry, fra cui un layup mancato piuttosto clamoroso, gli Warriors vincono la gara, probabilmente, sulla difesa di Jack a 25 secondi dalla fine: double J legge la palla alzata di Iguodala per Faried – un po’ pigra, a dire il vero – e poi si procura pure due liberi. Sbaglia il primo, segna il secondo e allunga sul +4.
L’ultimo singulto dei Nuggets arriva nel possesso successivo: Jefferson, spolverato dalla panchina giustappunto per sostituire Curry in difesa, combina un pasticcio con Landry; Chandler si allarga in angolo e, servito da Lawson, griffa la tripla del -1. Pazzesco quello che succede poi, in lombardo si direbbe Ciapa no: gli Warriors perdono palla sulla rimessa, commettendo la classica infrazione di 5 secondi. I Nuggets, con 9.5 secondi sul cronometro, hanno la palla del sorpasso ma Lawson, migliore in campo, scivola ostacolato da Ezeli e perde il controllo del corpo e, soprattutto, della palla.
Stavolta gli Warriors riescono a realizzare la rimessa, Barnes subisce fallo ma manda a bersaglio solo il secondo dei due liberi. Gli Warriors volano sul 110-108, Iguodala prova la preghiera da centrocampo – avendo i Nuggets terminato i time out – ma la tripla della vittoria accarezza solo il ferro. Golden State mantiene così il fattore campo e, sul filo di lana, si aggiudica un incontro destinato a indirizzare il prosieguo della serie.
Migliori e peggiori
Indubbiamente, i migliori sul parquet sono i due playmaker: da un lato Stephen Curry, che chiude la serata con 29 punti (4/7 da 4 e 69% di TS) e 11 assist (in doppia cifra di media nelle prime tre gare della serie). Per lui una prestazione da leader assoluto e una dimostrazione della bontà del suo gioco on the ball. Dall’altro lato Ty Lawson: 35 punti (career high ai playoff) con 10 assist, per quella che è presumibilmente la sua migliore prestazione in carriera in post season. Una menzione la merita sicuramente anche Jarrett Jack: 23 punti e 7 assist per il play draftato da Portland, che durante la serie fu anche il secondo top scorer dei suoi, con 18.8 punti di media. Leader e punto di riferimento, è stato fondamentale per lo small ball di Mark Jackson, chiudendo le partite insieme a Curry e Klay. Quest’ultimo, forse, è invece il più negativo dei suoi, fermo a 6 punti con 3/10 dal campo: troppo poco per un tiratore del genere, ma dobbiamo ricordare come all’epoca avesse solo 22 anni e fosse alla terza gara ai playoff della sua carriera.
È invece un veterano il peggiore in campo dei Nuggets: dopo i 28 punti di gara 1 (con game winner) e i 18 di gara 2, Andre Miller si ferma a 2/13 dal campo per 7 punti totali. Soprattutto, il venerabile maestro non riesce a segnare nessun canestro dal campo dopo il 2/5 del primo quarto: lo 0/8 dei restanti 36 minuti conferma la serata arida al tiro del sesto uomo di Karl. Nel secondo tempo delude anche Andre Iguodala, fermo a 1/8 dal campo: tanta regia ma poca precisione e un po’ di sfortuna, con due triple in&out in apertura di terzo quarto che avrebbero potuto indirizzare diversamente il destino della sfida.
Il destino della serie
Il 2-1 degli Warriors sarà decisivo per il prosieguo della serie: da lì in poi il fattore campo non cambierà più e Golden State si imporrà in sei gare per un 4-2 complessivo, rovesciando quelli che erano i pronostici della vigilia. A fare la differenza, oltre a un Curry da 24.3 PPG e 9.3 APG, la pesante assenza di Danilo Gallinari: ancora una volta il gioco di Karl, effervescente e spettacolare in regular season, ha confermato i suoi limiti in post season, quando al fioretto si fa preferire la spada.
Coach Mark Jackson, invece, ha cominciato a seminare un raccolto che poi sarebbe stato sfruttato appieno da Steve Kerr che, dal nucleo di quegli Warriors, avrebbe poi dato vita a una squadra da titolo. L’aspetto più curioso? La ciliegina della torta di quel team sarebbe stato nientepopodimeno che Andre Iguodala, trasferitosi nella Baia proprio l’anno successivo all’eliminazione dei Nuggets da parte di Golden State. L’ultimo ingranaggio per dar vita al sistema da titolo del 2015 è arrivato con un giocatore affrontato e, per certi versi, apprezzato da vicino proprio pochi mesi prima.