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La Golden Age italiana: i ragazzi terribili e il saggio dei balcani

Luca Bagni by Luca Bagni
8 Aprile, 2020
Reading Time: 6 mins read
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Copertina a cura di Sebastiano Barban

Copertina a cura di Sebastiano Barban

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“I campioni e i problemi sono uguali ovunque. Ma le ultime generazioni faticano di più a capire che serve sacrificio per essere all’altezza delle proprie attese. Problema nostro: tocca a noi entrare nella loro testa e aiutarli.“

Ettore Messina

Estate 1997. L’Italia è reduce da un Festival di Sanremo vinto dai Jalisse, gli Aqua spopolano, è nato nel Belpaese il primo SMS provider al mondo e Martina Hingis è in testa alla classifica WTA. Aldilà dell’oceano i Chicago Bulls sconfiggono nel primo dei due confronti consecutivi gli Utah Jazz, nelle Finals consacrate alla leggenda dal “Nausea-Game” di un magnifico Michael Jordan.

Tutto molto bello direte voi, ed in effetti lo era: quello però che ancora manca è che nel giugno di quell’anno una squadra stava per cominciare insieme a noi un viaggio che racchiuderà tutto, vittorie, sconfitte, esaltazioni e battute d’arresto, ma che porterà la Pallacanestro Italiana a giocarsi l’oro in una finale olimpica.

 

EPISODIO 1: BARCELLONA 1997

Non era un grande momento per l’Italbasket: dopo l’argento casalingo del 1991 (ineluttabile Jugo), il corso di Ettore Messina tardava a svilupparsi con successo. Il torneo del 1993 fu un fiasco, quello del 1995 offrì segnali di risveglio, ma il record parla di 3 vittorie in 7 partite ed eliminazione ai quarti di finale contro la Croazia: il ricambio generazionale sembrava ancora di là da venire.

Ci si presentò a Barcellona ’97 con un roster però pesantemente rinnovato e con solo 5 reduci del 95: oltre ai due classe ’68 Coldebella e Pittis (ma faranno parte della spedizione anche l’eterno Dan Gay e Flavio Carera, rispettivi anni di nascita 1963 e 1961) ci sono Frosini, Abbio e Fucka, tre giocatori nel pieno della loro maturità. Il nuovo corso era infine rappresentato dalla batteria di lunghi Marconato e Galanda, dal play Bonora e naturalmente da Carlton Myers, futuro portabandiera italiano a Sidney 2000 e senza dubbio un TOP-10 Italiano All Time.

Per scrivere questo articolo è stato necessario, oltreché molto molto divertente, recuperare spezzoni di partite, spesso in lingua russa o similare e con qualità video non eccezionale. Da questa ricerca escono due messaggi molto chiari: il gioco era una cosa diversa rispetto ad oggi e il basket europeo non aveva le attenzioni di oggi.

 

In questo video possiamo notare un jumper di Myers ad inizio secondo tempo (due da 20′) per il 20-28 , l’eterno Kutluay, i 30 secondi, 3 punti a 6,25 mt, le aree trapezoidali, long-two come se piovesse, i pantaloni ascellari, zona bulgara anche se Turchia, vade retro “Freccia” e spazi in area da Carnevale a S.Marco; certamente poi il Palau Sant Jordi date le dimensioni fatica a sembrare pieno, ma davvero tre gatti per un quarto di finale europeo. Infine di quella partita, valevole per la qualificazione al Mondiale del 1998, in Italia fu visibile il solo secondo tempo, peraltro in differita: ciò la dice lunga su come si intendesse la diffusione della Pallacanestro in quegli anni.

I risultati ottenuti dal gruppo di Coach Messina furono strabilianti: percorso netto con 8 vittorie fino alla finale, dove c’era la Jugoslavia già battuta nel gironcino; ma era pur sempre una finale per un gruppo di ragazzi mangiati dalla tensione e contro una squadra leggendaria: Danilovic, Bodiroga, Djordjevic, Rebraca e Savic partirono 10-0 e non ci fu mai modo di recuperare. Uno dei più importanti momenti, però, avviene a circa 12 secondi dalla fine: Timeout chiamato da Messina al solo scopo di salutare i suoi giocatori, di fargli capire che quella per loro era solo una tappa. Non per lui però, dimissionario e pronto a lasciare lo scettro ad un uomo che poteva nascere solo nella ex-Jugoslavia: Bosa Tanjevic.

 

EPISODIO 2: ATENE 1998

“Alo…alo…tu credi di poter vincere questa partita da solo? Tu non sei niente, non sei nessuno” Bosa Tanjevic in un timeout durante Italia-Jugoslavia, semifinale di Eurobasket 1999, rivolgendosi al suo capitano Carlton Myers.

Le parole “Mondiale” e “1998” in Italia corrispondono ad un’immagine e ad un suono. La prima è il “Più bel non goal della storia del calcio italiano” e il secondo è questo:

 

Un omino pelato di 60 Kg scarsi in maglia Gialla a Parigi poche settimane dopo ci permise di sfogare quell’urlo rimasto in gola sul tiro di Baggio, mentre di rigori, Francia, Barthez e traverse avremmo risentito parlare a tempo debito, quando il piatto della vendetta si sarebbe sufficientemente raffreddato.

 

L’idea di Tanjevic era molto chiara: le scelte vennero fatte in funzione dell’Europeo ’99 fin dal giorno 1. Poco importa che ci fosse un Mondiale di mezzo: l’obiettivo vero si chiamava Sidney, si chiamava Olimpiade.

Il roster cambiò definitivamente pelle: dentro Basile, Chiacig, il blocco varesino con De Pol, Meneghin e Pozzecco; una squadra nuova, senza le certezze che si costruiscono solo con il tempo. Il passaggio a vuoto contro la Grecia nel primo girone fece il paio con due vittorie striminzite contro Senegal e Canada, nelle cui file militavano Rowan Barrett, padre di R.J. e il mitologico Pete Guarasci, impresso nella memoria dei tifosi riminesi e reggiani.

Nel secondo girone dopo una netta sconfitta con la Russia e una vittoria di 1 punto contro la Jugoslavia, futura campionessa, foriera di un carico di autostima che sarebbe venuta buona in futuro, venne vinto lo spareggio contro Portorico grazie alla grande prestazione di Fucka, Basile e Abbio, nonostante i 21 punti di “Piculin” Ortiz, personaggio che ritroveremo.

Nei quarti di finale ci si parò di fronte un Team USA composto da collegiali (tra gli altri Kwane Garris, Brad Miller, Trajan Langdon): la tripla a pochi secondi dalla fine di Myers venne scodellata beffardamente dal ferro e addio sogni di gloria. Piccola digressione: sembra incredibile dirlo oggi, ma ai tempi Myers era criticato selvaggiamente ogni giorno, giudicato un perdente visti i trascorsi in maglia Fortitudo e incapace di inserirsi in un contesto di squadra; in quella partita il “sosia di Celentano” mise a segno la bellezza di 32 punti, con 15/15 ai liberi, qualcosa che si definirebbe leggendario, ma la colpa sembrava sua e solo sua; ciò a dimostrare che la tendenza ad etichettare atleti e squadre sulla base dell’ultimo risultato risale a ben prima dei tempi di LeBron…

Quel mondiale sarebbe stato vinto dalla Jugoslavia in finale contro la Russia per 62-64, con l’italia ad occupare la sesta piazza finale. Da quella rassegna iridata si uscì con la consapevolezza che un nucleo giovane, competitivo e coeso era nato con alla guida un uomo enorme, prima ancora che allenatore di livello assoluto.

Il futuro della Nazionale Italiana di basket pareva quindi poter essere ancora più splendente di quel presente. Gli anni successivi lo dimostreranno.

Tags: Atene 1998Carlton MyersGolden Age Italiana
Luca Bagni

Luca Bagni

Esponente della bassa reggiana. Ama il basket, i numeri che dicono sempre la verità, e le storie belle da raccontare. Giocatore delle minors emiliane, rigorosamente con il numero 13, perché la 31 di Miller ai tempi non era disponibile.

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