Ai nastri di partenza della stagione i Memphis Grizzlies venivano giustamente considerati come una delle squadre più deboli della Western Conference. Dopo l’ennesima annata deludente con un record negativo e il mancato accesso alla postseason, la franchigia del Tennessee ha schiacciato il tasto del rebuilding, cambiando sia la guida manageriale, con Zack Kleiman che ha preso il posto di Chris Wallace, che quella tecnica, con Taylor Jenkins che dal ruolo di assistente di Mike Budenholzer ai Bucks è diventato il nuovo head coach. Il giorno prima del Draft i Grizzlies hanno ceduto Conley ai Jazz e hanno selezionato con la seconda scelta Ja Morant dando un inizio ad un nuovo capitolo.
Era dunque impensabile che una squadra con due giovani come il prodotto di Murray State e Jaren Jackson Jr. come cornerstones, oltre ad un allenatore rookie, potesse sin da subito lottare per un posto ai playoff. Eppure è proprio ciò che si stava verificando fino all’interruzione della RS a causa del coronavirus: i Grizzlies, al momento, detengono l’ottavo posto della Western Conference con un record di 32-33 e 3 vittorie e mezzo di vantaggio sui primi inseguitori, i Portland Trail Blazers. Molto probabilmente i Grizzlies non si sarebbero ritrovati ottavi se Zion Williamson avesse iniziato la stagione con i Pelicans, se Zack Collins non si fosse infortunato o se la stagione dei Golden State Warriors non si fosse arenata in maniera imprevista ma, a prescindere dalla posizione in classifica, il rendimento avuto dalla squadra di coach Jenkins è stato più alto del previsto e i motivi per cui i Grizzlies sono riusciti a smentire ogni pronostico di inizio stagione sono molteplici.
La rookie season di Morant
L’impatto di Ja è in cima alla lista, in quanto Morant ha dimostrato una maturità in campo che non è affatto scontata per un rookie che fin da subito è stato costretto, per ruolo e caratteristiche, a gestire tanti possessi: nelle 59 partite disputate fino ad ora, Morant ha tirato con il 56.8% di TS% e ha fatto registrare un rapporto tra assist e palle perse di 2.14, dimostrando una shot selection ottima e un buon decision making, considerando che al college una delle criticità del suo gioco era proprio l’elevato numero di palle perse.
Brooks è un giocatore migliore rispetto al suo anno da rookie
Dopo aver giocato solo 18 partite nella scorsa stagione, Dillon Brooks quest’anno è tornato a pieno regime, andando ad occupare lo slot di guardia titolare al fianco di Ja Morant. Come già detto su The Shot, il prodotto dell’Oregon ha aggiunto al suo arsenale offensivo nuove soluzioni.
Per rendersi conto di quanto sia importante la produzione offensiva di Brooks all’interno di questa squadra basta prendere una statistica: i Grizzlies sono 18-4 quando Dillon segna 20 o più punti. E non è un caso: Brooks è uno dei pochi giocatori a roster in grado di crearsi un tiro e il suo scoring è fondamentale.
L’aspetto più interessante di Brooks è che pur avendo grosse responsabilità offensive (è il secondo giocatore dei Grizzlies per USG% dopo Morant) spesso è lui a prendere in consegna l’esterno più pericoloso degli avversari.
Brooks difesa
Brooks è un buonissimo difensore sulla palla ma è ancora abbastanza indisciplinato: dopo Jaren Jackson Jr. e Holmes è lui il giocatore più falloso della lega. Un altro difetto in difesa di Dillon è quello di non riconoscere spesso l’uomo a cui accoppiarsi in transizione o su cui ruotare in situazioni di vantaggio creato dagli avversari.
Hanno scelto 20 rookie prima di Brandon Clarke
Nelle 50 partite che ha disputato fino ad ora in questa stagione, Brandon Clarke ha mantenuto le seguenti cifre: 12 punti, 5.8 rimbalzi e quasi una stoppata di media in 21.7 minuti a partita. Numeri che non fanno certo sobbalzare dalla sedia ma che assumono un significato diverso se si considera che Clarke i suoi 12 punti a partita li ha segnati tirando con il 62.3% dal campo, che ha prodotto 1.42 punti per possesso in transizione (94esimo percentile), 1.48 da rollante (anche qui 94esimo percentile) e convertendo i liberi con un ottimo 78%: la TS% di Clarke è del 67% ed è chiaramente il rookie più efficiente tra quelli che hanno giocato minimo 18 minuti di media e preso parte ad almeno 40 partite.
Clarke riesce ad essere così efficiente in attacco perchè è sostanzialmente un atleta clamoroso che abbina alla sua esplosività un eccellente tocco nei pressi del ferro: è davvero difficile trovare un lungo con una sensibilità del genere e un floater così letale.
Clarke nel corso degli anni ha modificato totalmente la meccanica di tiro e i risultati sono confortanti: pur con poco volume (appena una tripla a partita), la 3P% si assesta sul 40%.
Brandon, con il passare delle partite, ha sviluppato anche una maggiore capacità in attacco di leggere le situazioni di gioco ed effettuare la scelta giusta:
L’esplosività aiuta Clarke anche in difesa dove, nonostante sia sottodimensionato per il ruolo, riesce ad essere un plus grazie ai suoi tempi di aiuto e al controllo del corpo che lo aiuta a contenere gli avversari spesso senza commettere fallo. Inoltre può anche cambiare sui piccoli e costringerli a tiri complicati.
Come sia possibile (almeno per chi scrive) che un giocatore come Clarke, in un draft che non abbondava per talento, sia finito alla 21 rimane un mistero.
Il contributo di Jonas Valanciunas
Rifirmato con un triennale da 45 milioni di dollari, Jonas Valanciunas ha disputato fino ad ora quella che che è la migliore stagione offensiva da quando è in NBA: il lituano ha fatto registrare nelle 62 partite in cui è sceso in campo prima dell’interruzione della RS il massimo in carriera per tiri dal campo realizzati e TS% (63.1%) mentre i tiri tentati dal campo sono secondi solo a quelli della scorsa stagione suddivisa tra Toronto e Memphis.
Dopo qualche difficoltà iniziale, dovuta all’adattamento ad un nuovo sistema e stile di gioco, Valanciunas ha trovato la sua dimensione all’interno della squadra e l’intesa con Morant: il pick and roll tra i due è diventato pian piano più efficace e in questa stagione il lituano ha segnato 1.25 punti per possesso da rollante.
Tuttavia il lavoro più importante per questa squadra Valanciunas lo ha fatto a rimbalzo: Jonas ha raccolto 11.2 rimbalzi a partita ma soprattutto è in top 10 per OREB%, è il sesto giocatore della lega per punti segnati da seconda chance, il secondo per box out e il primo per box out offensivi: essendo stato fino all’arrivo di Dieng l’unico vero e proprio centro a disposizione di Jenkins, il lavoro sotto ai tabelloni di Valanciunas è risultato essere preziosissimo nel corso della stagione.
Jaren Jackson Jr. è diventato uno dei lunghi tiratori migliori della lega
La stagione dei Grizzlies però ha cambiato faccia nel mese di dicembre: da allora fino alla pausa per l’All Star Game sono arrivate 23 vittorie a fronte di 13 sconfitte e questo periodo d’oro è coinciso sostanzialmente con il ritorno a buoni livelli in difesa e l’esplosione di Jaren Jackson Jr. come tiratore e l’inserimento stabile di De’Anthony Melton nelle rotazioni.
Nella sua prima stagione in NBA Jaren Jackson Jr. ha tentato solo 2.4 triple a partita, segnandole con il 35.9%. Quei Grizzlies si basavano sostanzialmente sul pick and pop tra Conley e Gasol e, con quest’ultimo ad orchestrare l’attacco in punta, a JJJ veniva richiesto di giocare più nel pitturato.
Il numero 13 dei Grizzlies però aveva già fatto vedere il potenziale da tiratore:
La trasformazione di JJJ
L’arrivo a Memphis di coach Jenkins e Ja Morant ha cambiato le cose: Jackson ha iniziato a tirare da tre molto di più, sia per la presenza di compagni di backcourt con una dimensione prettamente interna (Valanciunas e Brandon Clarke), sia perché è necessario aprire il campo alle penetrazioni del prodotto di Murray State. In questa stagione Jaren Jackson Jr. ha tentato 6.4 triple a partita convertendole con il 39.7%: JJJ ha aumentato sia il volume che la percentuale di realizzazione (oltre al range di tiro) e i lunghi che possono vantare queste cifre sono pochi nella lega.
L’esplosione di Jackson come tiratore è uno dei motivi per cui l’attacco dei Grizzlies è passato dal 101.5 di Offensive Rating fatto registrare nelle prime 9 partite ai 110.2 punti su 100 possessi prodotti nelle successive 56.
La stagione di JJJ non era partita nei migliori di modi: nelle prime 21 partite della stagione Jackson ha fatto registrare -12.8 di Net Rating e un On-Off di -11.3. I problemi di falli e un approccio superficiale avevano reso Jackson uno dei peggiori giocatori dei Grizzlies per rendimento. Poi c’è stato il cambio di marcia sia in attacco che in difesa: nella sua metà campo JJJ è tornato a far vedere quello che aveva mostrato nel suo anno da rookie, cioè la capacità di stare sui piccoli e quella di proteggere il ferro. Per rendersi conto di come Jackson sia riuscito a cambiare registro nel corso della stagione basta prendere un dato: nel mese di novembre le lineup con JJJ da centro e Brandon Clarke da 4 hanno concesso 119 punti su 100 possessi mentre a dicembre e a gennaio il dato si è abbassato di addirittura 20 punti.
L’impatto di De’Anthony Melton
L’altro fattore che ha trasformato la stagione dei Grizzlies è stato l’ingresso di De’Anthony Melton nelle rotazioni di coach Jenkins. L’ex giocatore dei Suns era stato fuori ad inizio stagione a causa di una reazione da stress alla schiena ma ha poi iniziato a trovare spazio, anche a causa dell’infortunio di Morant, a fine novembre e da quel momento è diventato una presenza fissa nelle rotazioni e spesso anche nei finali di partita.
Questa azione fa capire perché Melton sia stato soprannominato “Mr.Do Something” e mostra molto di quello che De’Anthony riesce a portare su un campo da basket: prima legge con netto anticipo l’azione e va a contestare senza fallo il tentativo di layup di Herro, sul ribaltamento di fronte conquista due rimbalzi offensivi e poi scarica sul perimetro per la tripla vincente di Jaren Jackson Jr. in un un momento decisivo per le sorti della partita.
Da quando è entrato stabilmente nelle rotazioni Melton è stato il miglior giocatore dei Grizzlies per On-Off:

I Grizzlies fino a novembre erano una delle peggiori difese della lega ma con Jackson di nuovo presente nella sua metà campo e l’impatto difensivo dell’ex Suns, Memphis ha fatto progressi anche nella propria metà campo, concedendo da Dicembre circa 3.5 punti in meno rispetto ai primi due mesi di Regular Season.
In questa stagione Melton ha dimostrato miglioramenti anche in attacco rispetto al suo primo anno a Phoenix: la TS% è passata dal 46.6% della scorsa annata al 52.5% di questa stagione. I miglioramenti nel tiro da fuori sono stati minimi, il che vuol dire che i progressi maggiori fatti da Melton in attacco sono stati relativi alla sua capacità di segnare entro i 14 piedi, zona in cui ha tentato molte più conclusioni con un’efficienza superiore: la conseguenza più immediata è stata quella di riuscire a guadagnare molti più liberi (2.2 in questa stagione, 0.6 ai Suns) convertendoli con un ottimo 82%.
In prospettiva futura Melton dovrà aumentare il volume di triple tentate: in questa stagione De’Anthony sta tirando con un discreto 36.6% in catch & shoot ma su un numero di tentativi estremamente ridotto.
Tyus Jones è la guida perfetta per la second unit dei Grizzlies
Dopo essere diventato il detentore del record tra assist e palle perse nella scorsa stagione, anche nella sua prima annata a Memphis Tyus Jones si è confermato nuovamente il playmaker più efficiente della lega, smazzando 5.18 assist per ogni palla persa.
Jones è stato protagonista anche di una crescita anche per quanto riguarda lo scoring: la percentuale dei tiri da 2 è salita dal 45.3% dell’anno scorso al 49.5%, la 3P% dal 31.7% al 38.1% (1.9 tentativi a partita in entrambe le stagioni).
In estate i Grizzlies erano alla ricerca di un playmaker in grado di guidare la second unit: Jones si è dimostrato l’uomo giusto.
La stagione dei Grizzlies è figlia del gran lavoro del nuovo front offce
Il lavoro che Zack Kleiman ha condotto da quando Robert Pera gli ha affidato le sorti della franchigia è stato sicuramente eccellente. Il nuovo EVP dei Memphis Grizzlies, dopo aver ingaggiato un allenatore come Jenkins, che ha messo in piedi un sistema di gioco adatto alle caratteristiche del roster, ha sostanzialmente scambiato, sommando le varie trade, Conley, Jevon Carter e Parsons per Clarke, Winslow, Melton, Dieng, Josh Jackson, Grayson Allen e due future prime scelte. La decisione di sostituire Delon Wright, dal quale i Grizzlies hanno ricavato altre 2 seconde scelte, con Tyus Jones alla fine si è rivelata essere giusta. Selezionare Brandon Clarke, giocatore che ad oggi avrebbe tutte le carte in regola per finire nel primo quintetto rookie ed essere definito come steal of the draft, è stato un altro grande colpo, così come l’estensione triennale di Dillon Brooks ad ottime cifre.
La ciliegina sulla torta potrebbe essere rappresentata da Josh Jackson: chi ha scritto questo pezzo non avrebbe scommesso un centesimo sulla possibilità che Jackson indossasse anche per un solo minuto la maglia dei Grizzlies, soprattutto dopo averne fatta un’altra delle sue durante il periodo di “riabilitazione” in G-League con i Memphis Hustle. Alla fine però, poco prima della deadline e delle partenze di Crowder e Hill, la chiamata per Jackson al piano di sopra è arrivata e l’esperienza nella lega di sviluppo sembra essere stata un toccasana per il prodotto di Kansas: Josh Jackson è tornato in NBA con una consapevolezza diversa e ha fatto vedere tutte le sue qualità.
L’ex giocatore dei Suns si è fatto notare prima in difesa e dopo l’All Star Game ha iniziato a carburare anche in attacco: nelle 11 partite disputate dopo l’evento di Chicago Jackson ha realizzato 13.3 punti con il 46% dal campo e il 37% da tre su 5 tentativi a partita in 21 minuti di utilizzo.
La sensazione è che Josh si sia integrato molto bene nello spogliatoio dei Grizzlies e sia benvoluto dai compagni di squadra.
La sospensione della stagione NBA ha negato (si spera temporaneamente) la possibilità di vedere ulteriormente all’opera Jackson e capire quale strada avrebbe potuto prendere la sua carriera dopo tanti episodi controversi. Quello che è certo è che la gestione di Kleiman anche in questo caso è stata eccellente e i Grizzlies si sono ritrovati tra le mani un giocatore che potrebbe dare una grossa mano, casomai riprendesse la stagione, nel cercare di raggiungere un traguardo che sarebbe comunque difficile, visto la durezza del calendario, ma che ad inizio stagione era davvero impronosticabile anche dal più ottimista dei tifosi o addetto ai lavori: i playoff. Come era impronosticabile una stagione da +30 vittorie eppure i Grizzlies hanno dimostrato che con un po’ di fortuna (la vittoria della lottery) e lavorando bene si possono ottenere grandi risultati.