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Shake Milton si è preso il suo spazio

Cesare Russo by Cesare Russo
25 Marzo, 2020
Reading Time: 9 mins read
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milton

Copertina a cura di Nicolò Bedaglia

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Prima che la pandemia ci privasse della Lega più bella del mondo, i 76ers si apprestavano ad affrontare il momento più buio della loro stagione: con i Playoff alle porte, erano al culmine della loro idiosincrasia verso le vittorie in trasferta, molto probabilmente avrebbero dovuto finire la stagione senza almeno uno tra Ben Simmons e Joel Embiid, se non entrambi, e con Josh Richardson appena uscito dal concussion protocol. Tempi di lineup rattoppate dunque, di ampi minutaggi per i giocatori di rotazione.
Una buona vetrina per mettersi in mostra.

Da qui allo stabilire un record All Time come ha fatto Shake Milton però c’è una discreta distanza e la colmeremo con quest’articolo, per capire come si passa dall’essere scelti alla 54° scelta dal draft ad avere una discreta quantità di video su YouTube, con titoli abbastanza esaltanti, che parlano di quanto sia forte la tua Diamond Card su 2K20, passando ovviamente per la storia relativa al suo soprannome.

Anzi, affrontiamo subito la questione, che è la più conosciuta, la più curiosa e anche la prima in ordine cronologico.

Per prima cosa, Shake Milton non si chiama Shake. Si chiama Malik Benjamin. Se la cosa vi sorprende, state tranquilli, perché la maggior parte del roster Sixers ha scoperto la cosa pochi mesi fa, quando Milton l’ha rivelato ad una cena in Indiana (nota a margine, nella stessa cena Mike Scott ha rivelato che in verità si chiama James, solo che non gli piace e non vuole essere chiamato così, una cena con continui colpi di scena). La battuta della serata la fa Furkan Korkmaz, per il quale nemmeno Shake stesso sapeva del suo vero nome.

Torniamo all’inizio. Siamo ad Owasso, Oklahoma, nel 1996 e la famiglia Milton aspetta un bambino. Il padre è uno di quei ragazzi che è cresciuto tardi fisicamente e tutto d’un botto, al che le persone hanno iniziato a fare le classiche battute sul “mettere qualcosa nel latte” che ha portato al soprannome “milk”, poi diventato “milk man” quando era un giocatore a Texas A&M. Myron “Milk Man” ha dunque 27 anni e sta per diventare padre. C’è sua moglie Lisa col pancione sul divano e lui le chiede come sta il suo piccolo Shake. Lisa lo guarda strano. 

“You know … little ‘Milk-Shake’”.

A Myron i soprannomi piacciono parecchio e comincia ad usarlo regolarmente. Chiede anche al personale dell’asilo nido di chiamarlo così quando iscrive il figlio.  E la scuola rispetta la richiesta. La storia del soprannome finisce qui, Malik diventa per tutti, lui incluso, Shake.

Un’altra cosa che fa Myron Milton è il classicone degli ex giocatori a buon livello: a 3 anni Shake sa già palleggiare grazie alle indicazioni del padre che lo allena anche fuori casa, nel circolo AAU, e, anno dopo anno, Shake si allena con i ragazzi più grandi. Arrivato al liceo è quindi un giocatore di un livello superiore rispetto agli altri. Vince il Gatorade Player of the Year Award negli anni junior e senior (curiosità, il vincitore successivo è Trae Young al terzo anno) e tutti quegli altri premi che vincono le star liceali a livello statale. 30 punti e 4 assist l’ultimo anno, 79° della Top 100 di ESPN (la stessa che al primo posto, listato PF, metteva quel Ben Simmons da Montverde Academy).

Al termine di un eccellente terzo anno a livello personale ma non di squadra alla Southern Methodist University (9-9 il record finale) conclusosi sfortunatamente con la rottura della mano destra, Shake si appresta ad affrontare il sogno di tutti: il Draft NBA.

Dando un’occhiata ai report non si trovano sorprese: stupiscono fin da subito le misure (estremamente alto e “lungo” per la posizione), e la capacità di segnare da tre e in transizione, in particolare col floater, si intravede già la qualità delle letture e le potenzialità da point guard ma al tempo stesso preoccupano lo scarso atletismo, i limiti in difesa e la poca personalità da creator primario.

Rimane stabilmente alle ultime posizioni del primo giro nei mock draft nonostante la provenienza da un college di secondo livello ma, man mano che ci si avvicina al giorno fatidico, perde costantemente posizioni, soprattutto a causa di una pessima combine, chiusa con uno 0-12 al tiro e 5 palle perse. Finisce relegato alla 54, preso dai Dallas Mavericks che lo scambiano subito a Philadelphia in cambio dei diritti su Ray Spalding e Kostas Antetokounmpo.

Il 26 luglio 2018, alla firma del two-way contract, inizia ufficialmente la carriera da professionista di Shake Milton.

 

#Sixers sign Shake Milton to a two-way contract. pic.twitter.com/STRhbneNh1

— Keith Pompey (@PompeyOnSixers) July 26, 2018

 

In maniera abbastanza classica per i giocatori di questa fascia, Milton divide il suo tempo tra il garbage time delle partite NBA e il dominio in G-League (25 punti di media, quinto del campionato, 5 rimbalzi e 5 assist). Con i “grandi” registra 20 presenze, in sole 13 di queste supera i 10 minuti in campo (e in 10 di queste il risultato finale vedeva un distacco tra le squadre di almeno 15 punti). Va in doppia cifra per tre volte: nel garbage time di un’atroce sconfitta di dicembre contro gli Spurs, in una sconfitta contro i Nuggets in cui la lineup titolare Sixers che definire raffazzonata è farle un complimento e in un’altra brutta sconfitta contro i Magic dove chiude con la seconda miglior prestazione al tiro della squadra dietro solo ad Embiid.

Tanto basta per spingere Elton Brand a proporgli un quadriennale a inizio luglio (5 milioni complessivi e team option per l’ultimo anno. A conti fatti, nettamente la miglior mossa di Brand finora), nel suo tentativo di spremere ogni centesimo di cap disponibile per realizzare il progetto Horford. Brett Brown ne è felice, dice che non ci sono forzature nel suo gioco e che gioca sfruttando le occasioni che l’azione gli presenta (“takes what the game gives him”), un concetto cardine nella sua filosofia di gioco.

La stagione 2019-20 di Shake Milton comincia dunque con una sicurezza quantomeno economica, senza l’acqua alla gola dei 45 giorni del contratto two-way e con di fronte la sfida di entrare stabilmente nelle rotazioni di una squadra che ha le Finali di Conference come obiettivo minimo.
Gli inizi non sono dei migliori, anzi. In Summer League gioca 66 minuti complessivi e colleziona una pessima prestazione al tiro (17%, 8% da 3), un brutto rapporto assist/palle perse e pure un leggero infortunio che gli fa saltare due partite. D’altro canto, schierato da point guard al fianco dei prospetti più attesi, Thybulle e Smith, Shake mostra netti miglioramenti nella conduzione del gioco.

La stagione comincia ed è tutta un esempio di come le occasioni che si presentano vadano sfruttate al meglio per sopravvivere in NBA. Dopo le prime 3 partite, molto buone, Milton si infortunia al ginocchio. Ad approfittare della situazione è Furkan Korkmaz, che avrebbe dovuto essere dietro nelle rotazioni. La shooting guard turca sfrutta alla perfezione l’occasione con prestazioni eccellenti, è fondamentale per la squadra ed è l’idolo dei tifosi. Il suo minutaggio cresce a discapito di quello di Milton che, tra l’inaspettata concorrenza ed un recupero lento, colleziona DNP.

Ma, ancora una volta, l’NBA è una lega di occasioni e la prossima sorride a Shake, che si fa trovare pronto.

Nei primi minuti di una partita a Toronto, Josh Richardson si stira il tendine del ginocchio sinistro. Con la shooting guard titolare fuori, un Matisse Thybulle regredito al tiro e Neto in costante calo di minuti e fiducia, c’è uno spazio aperto per Milton. Dalla partita stessa contro i Raptors il suo minutaggio si impenna e raggiunge i 24 minuti di media, è titolare in 11 partite su 15 disputate e la qualità del gioco sale gradualmente.

Il primo highlight stagionale sono i 27 punti contro gli Atlanta Hawks (la stessa squadra contro la quale si era infortunato ad inizio stagione). Nella partita Milton parte subito forte, sbaglia poco, 5/9 da 3 e un solo turnover, sempre pronto a ricevere lo scarico di Simmons o il passaggio in angolo, gioca bene con Embiid, connettendo con lui 3 dei 6 assist. Sbaglia poco anche in difesa.

La sedicesima partita però è quella speciale.

Milton viene da due ottime partite, due ventelli con un 9/11 complessivo da 3, il mood prima della partita contro i Clippers, per quanto possa essere difficile, dev’essere buono e poi è un sunday game, allo Staples Center, trasmessa sulla national television. La partita comincia e probabilmente rimarrà un lifetime highlight nella vita di Shake Milton.

I 76ers orfani delle due superstars resistono un tempo grazie ad un Milton irreale, che tira tutto e non sbaglia niente, 26 punti su 39 complessivi, un solo tiro sbagliato su 11. Ad aggiungere valore alla prestazione c’è il record all time per triple consecutive pareggiato a 13.

 

Over the past 3 games Shake Milton has made 13 consecutive 3-point attempts, tying the NBA record with Brent Price and Terry Mills. @EliasSports pic.twitter.com/4C2wlNbw80

— NBA.com/Stats (@nbastats) March 1, 2020

 

Poi l’intervallo finisce, i Clippers si svegliano e i 76ers tornano i classici 76ers da trasferta e la partita è persa.

Ma i riflettori si sono già accesi, nel post partita il suo spazio nello spogliatoio è preso d’assalto dai giornalisti, è ospite di The Jump su ESPN, a parlare della sua partita e, ovviamente, del suo soprannome, c’è la card speciale su NBA 2K20, i forum si riempiono di discussioni su di lui, alcuni si chiedono addirittura se non debba partire davanti a Ben Simmons nelle rotazioni: Shake è diventato una star.

Purtroppo, per quanto i suoi atleti sembra provengano da un altro pianeta, la NBA è parte dello stesso pianeta in cui scoppia una pandemia che blocca tutto, sport incluso.
Lo stop avrà ovviamente un impatto su tutti gli atleti e potrebbe averlo in maniera particolare su Milton ovviamente, che perderà questo stato di forma e anche gran parte del minutaggio se Ben Simmons e Josh Richardson saranno disponibili alla ripresa delle attività.

Ma se c’è una cosa che Milton ha mostrato, e ripetuto più volte in questi giorni di notorietà, è che lui è sempre pronto. Dietro le quinte di questo momento di fama non c’è una crescita rivoluzionaria che l’ha portato da scaldapanchina a superstar o un cambio rivoluzionario, ci sono “solo” il lavoro costante e una grande concentrazione nei momenti in cui viene chiamato in causa.

Anche perché, se le cose fossero andate normalmente, quella partita e quest’articolo non esisterebbero. Passata l’All Star week, Brett Brown rientra a Philadelphia e svolge colloqui individuali con ogni elemento del roster.

Arrivato a Shake Milton, il messaggio è chiaro: non giocherai, preferisco Alec Burks, tieniti pronto se dovesse succedere qualcosa che cambia la situazione, ma al momento non rientri nelle rotazioni. Il resto è già storia.

Tags: Philadelphia 76ersShake Milton
Cesare Russo

Cesare Russo

Tifa 76ers perché a 14 anni ha visto Tony Wroten segnare una tripla doppia nella notte. Orfano di Sam Hinkie, nei suoi sogni più belli è sempre apparso almeno uno tra TJ McConnell e Covington

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