È tutto vero: qualcuno (fortunatamente non solo io) è riuscito a resistere e resisterà fino in fondo nella visione dei Detroit Pistons, squadra partita quest’anno con tutt’altre ambizioni, ma ritrovatasi in seguito a dover tankare, non senza una buona dose di sfiga.
Sfortuna, sì, ma tutto quello che è accaduto a Motor City in questa stagione poteva essere pronosticato: nella preview di inizio anno scrissi proprio che la più grande incognita sarebbe stata la tenuta fisica della squadra, date le grosse incertezze a roster rappresentate da Blake Griffin, Derrick Rose e Reggie Jackson – che insieme hanno accumulato 537 gare saltate nelle passate cinque stagioni, praticamente più di due ogni cinque. A questo interrogativo, tristemente confermatosi (Blake ha giocato 18 partite questa stagione, Reggie addirittura appena 14 prima di unirsi ai Clippers), si sono aggiunte le assenze frequenti di Markieff Morris e l’infortunio di Kennard, due delle principali armi offensive della squadra, completando un quadro desolante.
Nell’analisi della stagione in corso e delle prospettive di quella futura si fa un fatica a ricostruire un filo coerente ed elaborare un resoconto oggettivo delle cose: la stessa società si è vista costretta a mischiare le carte in gioco a partita iniziata, passando dall’avere ambizioni di un buon piazzamento ai Play-offs al dover smantellare velocemente per ricostruire ed avere buone chance di pescata al Draft.
Tuttavia, lo stop forzato al basket ci consente di poter analizzare con maggiore lucidità e freddezza quelli che possono essere i principali punti della stagione trascorsa e dell’ottica futura della squadra di Motor City.
Il game-winner di Derrick Rose in trasferta contro i New Orleans Pelicans,
uno dei pochi picchi di questa stagione dei Pistons
Blake Griffin
Qualsiasi discussione non può prescindere dal parlare del franchise player della squadra del Michigan. Griffin l’anno scorso concluse probabilmente la sua migliore stagione nella lega se si guardano supporting cast e risultati ottenuti: ciò gli valse il terzo quintetto NBA (a distanza di quattro anni dall’ultimo) ed una considerazione da parte di media e tifosi in grande risalita dopo le ultime annate piatte ai Clippers.
Quest’anno purtroppo una vecchia ombra che da sempre oscura parte della sua carriera, fin dal suo primo anno in NBA, è tornata a presentargli il conto. L’inizio di stagione con 10 assenze nelle prime 10 partite aveva già fatto tremare società e fanbase, anche se tutto sommato nelle prime 8 partite dal rientro poteva sembrare semplicemente un po’ fuori forma, lievemente acciaccato. Da quella trasferta vinta contro i Pelicans del game-winner di Rose però è iniziato un crollo fisico e balistico clamoroso che, unito al susseguirsi dei problemi fisici, ha portato lui e lo staff a decidere per l’operazione a quel maledetto ginocchio sinistro, ponendo fine alla sua stagione e, contestualmente, alle flebili speranze rimaste di rivedere i Pistons in post-season.

La scelta non può essere criticata: la squadra stava andando male, Drummond e Jackson erano già con la mente altrove, e continuare a giocare con il tuo top player al 20% senza trarne alcun beneficio sarebbe stato non semplicemente poco lungimirante, ma assolutamente insensato.
Nota non da poco, Griffin ha un contratto garantito fino al 2020/21, che nella stagione successiva raggiungerà un picco di 38 milioni di dollari circa, grazie alla Player Option presente nello stesso. Ciò rende Blake sostanzialmente una pedina fissa, un giocatore privo di mercato, con un contratto troppo lungo e pesante per le squadre che vogliono tankare, ed allo stesso modo d’intralcio per squadre che vogliono provare a vincere subito (vista anche l’incognita fisica): l’ex prodotto degli Oklahoma Sooners rimarrà, almeno per due anni, la stella dei Pistons.
L’unica speranza di società e tifosi, a questo punto, è che Blake torni quello della stagione passata, senza acciacchi fisici e solamente con tanta voglia di rivalsa: solo con questi presupposti la sua situazione contrattuale può diventare sostenibile per tornare velocemente competitivi e la sua presenza in squadra sarà un valore aggiunto, non un peso sisifeo.
Dwane Casey
Il secondo punto è un’altra certezza: coach Casey nell’estate 2018 ha firmato un contratto di 5 anni a 35 milioni di dollari coi Pistons, dunque finita questa disastrosa annata ne avrà altre 3 per riportare la franchigia nelle posizioni che si merita.
Oggettivamente analizzare l’operato di un allenatore al quale sono mancati, per quasi tutta la stagione, i 3/5 dei titolari, è molto difficile, soprattutto se si considera il cambiamento di obiettivi a stagione in corso che la società gli ha, giustamente, richiesto. Ad inizio stagione l’obiettivo conclamato era di entrare ai Play-offs con un piazzamento possibilmente di qualche posizione migliore rispetto all’ottavo posto, in modo da garantire ai tifosi una post season leggermente più lunga delle solite 4 gare che chi tifa Pistons – come il sottoscritto – si è abituato a vedere nelle ultime tre apparizioni.
Poi invece, sostanzialmente da febbraio, l’obiettivo è diventato cercare di perdere il più possibile e fin da subito, cedendo Drummond solamente per fare spazio salariale a fine anno e facendo il buy-out sia con Morris che con Jackson, che ora sono co-protagonisti nelle due squadre Los Angeline.
Se è complesso fare un’analisi complessiva dell’impronta di gioco che ha voluto dare alla squadra quest’anno, sicuramente ha molto stupito l’impatto sempre più crescente della panchina, che, probabilmente aiutata dalla pochezza del quintetto titolare, è risultata decisiva più e più volte, principalmente grazie a Rose, Wood e Galloway.
In particolare è l’assetto offensivo a cambiare: non più la presenza fissa di Drummond dentro l’area per 35’, ma una squadra più moderna, spesso con i lunghi fuori dall’arco dei 3 punti (Wood, Maker, Sekou in particolare, anche Henson più di rado), tuttavia i pochi accorgimenti sugli schemi offensivi fanno sì che i Pistons, nelle ultime 15 gare, siano ultimi per Offensive Rating (appena 107.2). Bene ma non benissimo, Dwane!
Tripla di Wood in transizione attiva: di certo una soluzione non nelle corde di Drummond.
Chi ha tratto un maggior beneficio dall’assenza di Drummond nel pitturato è Bruce Brown, esterno ibrido non ancora sufficientemente pericoloso dall’arco ma con buoni istinti per le penetrazioni a canestro, anche se ancora limitato nelle scelte di tiro (che si riflette nel dato delle stoppate subite). Infatti, pur non essendo comunque un realizzatore affidabile, nelle ultime 11 partite Brown si è mantenuto sopra ai 10 punti di media, che conditi con 7 rimbalzi e 4.5 assist gli garantiscono comunque un minutaggio importante, di oltre 33’ a partita.
Per quanto riguarda la metà campo difensiva, le cose sono rimaste praticamente invariate ed il piano partita non è dissimile da quello della maggior parte delle squadre NBA: concedere le soluzioni dal mid range nei p&r facendo contenimento; strategie difensive più aggressive, al momento sono raramente adottate. Questo può essere un punto di sviluppo importante: i cambi difensivi, quando ti ritrovi in campo ad esempio Brown da PG e Sekou da PF a difendere un pick&roll 1-4, sono un’arma che dà un vantaggio significativo alla squadra, vista la stazza e la fisicità di entrambi, e vanno adottati maggiormente. Del resto, i Detroit Pistons sono 22esimi per Defensive Rating in questa stagione, quindi i margini di miglioramento sono molto ampi.
Derrick Rose
La stagione di Derrick Rose non è passata inosservata: è probabilmente la miglior stagione post infortunio che abbia giocato, tanto è vero che ha attirato l’interesse anche di una squadra candidata al titolo, come i Lakers, con tanto di offerta last-minute comprendente Alex Caruso e scelte.
Prima di guardare i numeri, cosa si può dire di Rose usando l’ eye-test? Innanzitutto è chiaro come Rose, anche con Griffin e Drummond il campo, fosse il vero go to guy della squadra. Vuoi le condizioni fisiche non ottimali di Blake, vuoi il fatto che Dre palla in mano senza aver già costruito vantaggi è quasi nullo, vuoi il fatto che tra gli esterni non ci siano grandi creator a roster: per questi motivi Rose è stato il leader tecnico della squadra per tutta la stagione.
Venti punti e 12 assist in meno di 27 minuti, e vittoria a Houston:
tutti i momenti positivi della stagione dei Pistons portano la firma di Rose.
La capacità di decision making di Rose, pur non di certo a livelli elitari, non è stata limitante in una squadra in disperato bisogno di un leader tecnico e carismatico in campo e la grande quantità di possessi che ha gestito mentre era in campo è un segnale importante. Rose, finalmente, è tornato a sentirsi importante all’interno della squadra: è tornato a sentire di avere un ruolo centrale, e proprio questi sono i motivi della sua volontà, più e più volte ribadita, di voler restare a Detroit nonostante ci fosse l’interesse reale di squadre più blasonate e quotate per raggiungere obiettivi importanti.

Per quanto riguarda l’impatto che Rose ha sulla squadra, basti sapere che dei (soli) 7 quintetti coi quali i Pistons hanno un Net Rating positivo, Derrick è l’unico giocatore a roster che rientra in ben 5 di questi, non casualmente: la ricchezza, forse unico pregio della costruzione di questa squadra, di giocatori perimetrali completa perfettamente lo stile di gioco di Rose, aggressivo ma con un riscoperto altruismo (in una sola occasione, infatti, si trova insieme a Brown in quintetto con Net Rating positivo).
Analizzando la sua stagione da un punto di vista individuale, è interessante prendere come metro di paragone un suo coetaneo, Chris Paul, senza dubbio una delle migliori PG per decision making che si siano mai viste in un campo da basket. Badate bene: l’obiettivo è quello di giudicare la stagione di D-Rose, e dunque proprio per questo non potrei MAI paragonare il valore dei due giocatori.
Voglio solamente mettere a confronto alcuni dati, che forniscono una visione indicativa e parziale, ma comunque intrigante, della gestione stagionale dei possessi di entrambi:
Paul: USG% 23.2, TOV% 13.2, AST% 33.4, TOV/100 POSSESSI 3.3, AST/ 100 POSSESSI 10.4, 31.8 MPG
Rose: USG% 31.6, TOV% 13.4, AST% 40.5, TOV 100/POSSESSI 4.8, AST/100 POSSESSI 10.5, 26.0 MPG
Tralasciando la differenza di minutaggio, quando Rose è in campo gestisce molti più possessi di quanto non faccia Paul, avendo pressoché la stessa % di palloni perduti, ma avendo un’importantissima discrepanza a favore di Rose per guarda riguarda la % degli assist; se si valutano i dati sui 100 possessi, Rose ha 1.5 TOV in più con lo stesso numero di assist.
Dove voglio arrivare: sicuramente il playmaking di Rose non arriverà mai a livelli elitari del ruolo, ma visto e considerato che si è ritrovato ad essere l’unico creator di livello in campo e che le attenzioni delle difese sono tornate ad essere importanti nei suoi confronti, poco importa nell’economia della squadra se non dovesse mai perfezionare questo suo aspetto, in quanto non solo è sostenibile, ma resta un giocatore che, con i suoi limiti e difetti, ha un impatto eccezionalmente positivo per la sua squadra.
Per quanto riguarda la prossima stagione è chiaro come l’obiettivo di squadra e giocatore sia proseguire insieme, quindi rappresenta la terza certezza per il prossimo anno.
Il “core” della squadra
Diamo un’occhiata al resto della squadra, specialmente a chi ha dimostrato di poter essere una risorsa importante nel processo di rebuilding:
Luke Kennard (SG/SF): ha dimostrato già di poter essere un fit perfetto nella metà campo offensiva per qualsiasi squadra moderna, in quanto non vuole molta palla in mano (l’intelligenza cestistica di cui dispone gli consente di giocare molto bene anche senza), ha una dimensione perimetrale a livelli elitari e, da quest’anno in particolare, ha iniziato a riconoscere e sfruttare meglio le situazioni di p&r da ball handler, aumentando la frequenza ed i punti per possesso. Ha un contratto ancora discretamente lungo, e questo fa di lui uno su cui puntare.
E la passa pure bene…
Sekou Doumbouya (SF/PF): è il giocatore più giovane della lega, e forse anche quello che attualmente ha più margini di miglioramento rispetto a tutti gli altri. Rispetto ad inizio anno si sono già visti miglioramenti al tiro soprattutto per quanto l’attitudine a prendersi tiri wide open. Rimane tuttavia molto acerbo e deve migliorare ancora ogni aspetto del suo gioco; le basi fisiche e atletiche per essere un giocatore impattante nelle due metà campo ci sono, manca quasi tutto il resto. Resta comunque un giocatore da seguire con grande attenzione nei prossimi anni, perché gli istinti che mostra in campo sono interessanti.
Khyri Thomas (SG/SF): per lui discorso un po’ a parte. Il suo ruolo è un po’ sovraffollato e dunque ha avuto poco spazio in questi due anni, nei quali tuttavia ha dimostrato di poter diventare, nella migliore delle ipotesi, un discreto 3&D. Buona parte del suo futuro impiego se la giocherà in questo finale di stagione, se e quando avrà luce; ad ogni modo ha un contratto anche per il prossimo anno.
Bruce Brown (SG): Bruce è uno di quei giocatori strani da gestire per un allenatore, perché riesce a fare un po’ tutto quello che gli viene richiesto, ma senza emergere in nessun aspetto. Insomma è uno di quelli che tutti vorrebbero in squadra pur essendo consapevoli che non ti risolve le partite da solo, una sorta di coltellino svizzero. Bisogna però notare che in questa stagione Brown ha avuto miglioramenti importanti: oltre alla duttilità con cui ha interpretato sostanzialmente tutti e tre ruoli di esterno, da play ad ala, ha particolarmente impressionato il suo rendimento palla in mano. Le sempre più crescenti capacità di decision making e proprietà di palleggio lo hanno portato a poter essere un discreto creator, a maggior ragione con l’area libera. Inoltre è una presenza importante a rimbalzo ed ha incrementato la sua % da 3 di quasi dieci punti percentuali (incrementando anche leggermente – di 0.5 – il numero di triple tentate a partita) rispetto la passata stagione: la somma di questi aspetti ha fatto sì che lasciasse tutti stupiti positivamente per il prossimo anno, in cui i Pistons eserciteranno quasi sicuramente la Team Option del suo contratto da Rookie.
Una fiducia da oltre l’arco sempre maggiore…
Svi Mykhailiuk (SF): Svi è arrivato lo scorso anno insieme ad una seconda scelta nella trade che ha portato Reggie Bullock ai Lakers. All’inizio c’era molta perplessità, in quanto una squadra in piena lotta Playoff stava cedendo uno dei suoi titolari (fit perfetto sia per Drummond che per Griffin) per un giocatore che stava vedendo a malapena il campo ai Lakers. Già da quest’anno però la trade sembra aver fatto ricredere un po’ tutti, vuoi per la sfortuna, anche extra-cestistica, che ha colpito Bullock, soprattutto per quello che sta dimostrando Svi in campo. Ottimo tiratore dal perimetro, buon atletismo per concludere al ferro e buona intelligenza cestistica: queste caratteristiche fanno di Svi il sostituto naturale di Kennard in futuro, e garantiscono ai Pistons un paio di tiratori da oltre il 40% dall’arco, caratteristica sempre più richiesta nella lega.
Anche per lui c’è la Team Option del contratto da Rookie da poter utilizzare, e dubito che la società si farà sfuggire questa ghiotta occasione, considerando che si tratta di un ragazzo classe ’97.
Christian Wood (PF/C): è lui la vera sorpresa di questa stagione. Nonostante l’apparenza, e un nome ai più sconosciuto, è un 25enne al suo quinto anno in NBA: prima però di questa stagione da 62 partite, ne aveva disputate a malapena 51 nelle precedenti 4 stagioni, dimostrando sono nell’ultimo tratto dell’esperienza ai Pelicans il suo vero potenziale.
In stagione sta viaggiando a poco più di 13 punti e 6 rimbalzi di media, ma le statistiche sono influenzate dal fatto che sia quasi sempre subentrato dalla panchina, in quanto da titolari gli sono stati preferiti spesso i vari Drummond, Griffin e Doumbouya.
Tuttavia, le prestazioni sempre convincenti di Wood sono state ripagate da coach Casey con il posto da titolare in ben 11 delle ultime 13 partite, e Christian ha a sua volta ripagato ‘discretamente’ la fiducia, viaggiando alle seguenti cifre: 22.8 punti, 9.9 rimbalzi, 2 assist, 1 stoppata ed il 40% da 3 punti (!) su 4 tentativi abbondanti a partita, caratteristica che se si va a sommare alla sua notevole verticalità, capacità di mettere bene palla a terra e di rollare a canestro, fa di Wood un realizzatore di ottimo livello. Ironia della sorte, l’ultima proprio contro Rudy Gobert, causandogli il contagio per Coronavirus.
Le pecche del suo gioco riguardano prevalentemente le letture offensive, ma i margini di miglioramento sono notevoli e già la sola esperienza con buon minutaggio potrebbe aiutarlo a migliorare questa lacuna. Il lato più negativo per i Pistons riguarda sicuramente il contratto, in scadenza: Wood è un giocatore appena esploso ed ora come ora resta un’incognita, in quanto non è chiaro quanto potrebbe richiedere e che ambizioni di squadra potrebbe voler avere.
Possibili scenari di mercato
Chi resta: Griffin, Rose, Snell, Kennard, Mykhailiuk, Doumbouya, Brown, Thomas
Chi parte: Galloway, Henson, Knight (?), Maker (è difficile che i Pistons eguaglino l’offerta)
Partiamo dalle certezze, ovvero da quello che probabilmente sarà il quintetto della prossima stagione dei Pistons: dando per assodata la guida di Rose della second unit assieme a Svi e Sekou, ci sarà il lancio definitivo di Kennard e Brown titolari insieme a Griffin ed una nuova asse play-centro adatta, anche se abbinare questi due ruoli alle caratteristiche di Brown e Griffin potrebbe risultare non così banale. Infatti, un’altra opzione plausibile potrebbe essere Brown adattato a point-guard per fare spazio a Snell in quintetto, ed a questo punto i Pistons andrebbero in free agency a prendersi un centro che abbia, quantomeno, spiccate doti di protezione del ferro ma una dimensione offensiva più moderna di Drummond.
Knight e Wood sono quasi sulla sbarca, nel senso che con richieste non eccessive potrebbero rimanere: in realtà Christian sta dimostrando di poter meritare buon minutaggio anche in squadre con ambizioni più alte, mentre su Knight a non convincere è l’integrità fisica. Fare il terzo playmaker in una squadra in ricostruzione, nonostante sia stato ai margini della lega negli ultimi due anni, probabilmente non gli risulterà molto appetibile, mentre ci sono troppi dubbi, a partire dai ricorrenti problemi fisici, per affidargli un ruolo più importante.
Inutile dire come molto della prossima stagione e del futuro prossimo dei Pistons poggia sulla condizione fisica e mentale di Blake Griffin, ormai all’ultima chiamata: l’età di 31 anni non consente ai Pistons margini di errore, se si vuole ritrovare subito un buon livello di gioco. Se Griffin dovesse ritrovare una forma fisica simile a quella della stagione 2018/19, i Pistons, forti dell’ampio spazio salariale, faranno di tutto in Free Agency provando a prendere giocatori che si sposino bene con lui e con una certa esperienza, a costo di sacrificare qualcuno del young core per provare ad essere competitivi da subito; viceversa, se Griffin non dovesse più tornare nemmeno lontanamente a quei livelli, il mercato delle prossime stagioni e le prossime stagioni stesse saranno utilizzate per andare a pescare in lottery, contemporaneamente al far fare esperienza ai giovani già a roster, visto e considerato che il contratto di Blake non consente di avere grande margine di manovra.
Io, da tifoso Pistons oramai da tempo, voglio continuare ad essere fiducioso, nonostante negli ultimi anni società e dirigenza abbiano provato di tutto per farmi perdere la positività.