Noi tutti appassionati conosciamo Rudy Gobert come il centro degli Utah Jazz e della nazionale francese, una vera e propria piovra difensiva, capace di decidere un quarto di finale dell’ultimo mondiale, impedendo qualsiasi tipo di conclusione al ferro da parte dei componenti di Team USA. Da oggi però, il povero Rudy è diventato un personaggio noto anche a chi non ha mai visto nemmeno una partita di basket, semplicemente perché Rudy Gobert è il primo giocatore NBA positivo al Coronavirus.
Pur suscitando ironia, occorre dare un senso al video che vedete appena sopra: senza voler pretendere di essere dei sociologi comportamentali, si può affermare infatti come l’atteggiamento del povero Gobert sia una sintesi plastica di quello della stragrande maggioranza degli individui “occidentali” (orrendo termine per descrivere quella porzione di popolazione mondiale di cui facciamo parte anche noi italiani…): chi non dava credito alla possibile minaccia perché genuinamente sicuro che “certe cose capitano solo in Cina”, chi perché invece in questo modo esorcizzava la paura o chi invece semplicemente sperava e aveva fiducia che le autorità potessero avere un piano per bloccare quella che, da ieri, possiamo chiamare “Pandemia Covid-19”.
Se in Europa il caso italiano sta cominciando ad allarmare le altre nazioni sulle misure di contenimento da intraprendere, fino a pochi giorni fa gli USA erano piuttosto restii a prendere in seria considerazione: i messaggi di Trump erano improntati alla sicurezza, mentre la stessa NBA si era solo premunita inibendo gli spogliatoi ai giornalisti, avvisando gli spettatori nei palazzetti del possibile rischio a cui andavano incontro partecipando agli eventi. Il più significativo effetto sul mondo del basket a stelle e striscie era stata la decisione, epocale, della NCAA di giocare la March Madness a porte chiuse.
Per questo ha colpito il modo cosi repentino, risoluto e perentorio con il quale l’NBA ha immediatamente deciso di sospendere a tempo indeterminato la stagione: a noi cittadini del Belpaese, reduci da una non edificante esperienza riguardante la Serie A di calcio, tutto ciò ha inevitabilmente lasciato stupefatti e in qualche modo scossi.
Pochi giorni dopo il bellissimo derby di Los Angeles in Prime Time europeo di Domenica sera, dopo aver fantasticato per giorni su quello che si preannuncia come il duello chiave della Western Conference (e degli interi playoff NBA?), la stagione si ferma, e non sappiamo quando ricomincerà…
COSA SUCCEDERÀ?
Ci sono pochissime cose più americane del detto “The show must go on“: ne abbiamo avuto un chiaro esempio poche settimane fa, quando la morte di Kobe è stata seguita da pochissimi rinvii di partite e anche a poche ore dalla tragedia la notte NBA si era regolarmente giocata, con giocatori che comprensibilmente a stento trattenevano le lacrime. Ma stavolta no. Stavolta giocare, porte chiuse o porte aperte, apparirebbe unicamente come una scelta irresponsabile.
Fermo restando che è lecito attendersi perlomeno 2/3 settimane di stop e che tutte le squadre saranno sottoposte a quarantena (i possibili contatti diretti ed indiretti di Gobert negli ultimi 15 giorni facilmente arriverebbero a coprire l’intera NBA), le modalità di una, eventuale, ripresa dipenderanno da fattori non controllabili dalla NBA: come si diffonderà negli USA, con quale velocità o che decisioni Trump assumerà in merito.
La salute prima di tutto, a costo anche di grossi sacrifici di tipo economico, quelli che potrebbero derivare da una ripresa a porte chiuse, da una diminuzione delle partite giocate o dalla vera e propria cancellazione della restante parte di stagione.
Tale scenario, o comunque una riduzione delle partite accompagnata o meno da restrizioni sugli accessi, avrà delle ripercussioni di tipo economico sui proprietari e sui giocatori stessi.
GLI ECONOMICS
Esiste un passaggio dell’attuale contratto collettivo NBA che prevede che ai giocatori venga decurtato l’1,07% di stipendio per ogni partita non giocata al verificarsi di alcune fattispecie, compresa quella dell’epidemia. In caso di attivazione di tale clausola e di cancellazione dell’intera stagione, LeBron James subirebbe un danno pari a circa 7,6 Milioni di dollari lordi.
Per i proprietari il danno economico non è di difficile quantificazione, poiché dovrebbero essere analizzati i vari contratti televisivi, gli impatti che una riduzione delle BRI (Basketball Related Income) potrebbe avere sul Salary Cap della prossima stagione e quindi sulla possibilità di finire nel territorio della tassa di lusso anche per chi pensava di esserne al sicuro, le perdite dovute alle mancate vendite di biglietti e infine l’impatto sul valore delle squadre NBA nel loro complesso (marchio, redditività futura etc…): le prime aleatorie stime parlano di un calo di BRI pari a 444 milioni di dollari, ma al momento è troppo presto per giudicarle attendibili.
GLI ASPETTI SPORTIVI
Ma il Gioco in tutto questo? Cosa ne sarà della bellezza dell’ultimo weekend, dove avevamo appunto assaporato l’interesse nelle sfide dei Lakers con Bucks e Clippers? Dire qualcosa oggi è piuttosto complicato, ma è certo che il blocco degli allenamenti potrà avere degli effetti negativi sulle squadre che stavano cercando di arrivare ad un loro equilibrio in vista della Post-Season: provate a pensare cosa vorrebbe dire per i Clippers vedersi tagliare la restante parte di RS, per poi partire direttamente con i playoff, ad esempio.
La pausa lunga potrebbe riportare tutti sulla stessa linea di partenza da un punto di vista fisico, ma soprattutto mentale: i Lakers sembravano aver preso il ritmo giusto, che effetto gli farà fermarsi ai box per chissà quanto tempo? Le squadre con rotazioni corte (Houston?) potrebbero approfittarne invece per tirare il fiato.
In una visione ottimistica questo stop potrebbe avere l’effetto di un rinvio per pioggia a Wimbledon: le carte si rimescolerebbero, e chi stava per servire per il match si ritrova senza ritmo e gambe, mentre chi si è visto procrastinare la sconfitta ormai ad un passo trova nuove energie mentali per ribaltare la situazione.
Dall’altra parte della Luna si trova invece la fine della stagione, con i sogni di gloria delle losangeline senza possibilità di realizzarsi, con il rimpianto di D’Antoni di non aver potuto affrontare la Post-Season con il suo sogno più eretico ed estremo, con la favola di una OKC data per spacciata ma invece fiera qualificata ai playoff. Magari in quel di Phila invece potrebbero essere contenti di non dover definitivamente prendere atto di come l’intelaiatura del roster attuale non sembri sufficienti a nutrire chance da titolo, per poi ripresentarsi l’anno prossimo con altro piglio. Hai visto mai che siano proprio loro quel tennista scoraggiato rientrato in spogliatoio un po bagnato e con il match point avversario sul groppone?
LE PROSPETTIVE
I ragionamenti di tipo economico fatti prima indurrebbero a pensare che, anche a costo di ritardare l’inizio della prossima stagione, si cercherà di arrivare a terminare l’annata 19/20 Purtroppo però, come noi stessi stiamo sperimentando sulla nostra pelle, certi fenomeni sfuggono alle volontà e decisioni di una lega sportiva come la NBA e conterà tantissimo come le autorità e le persone affronteranno con le rispettive misure e comportamenti questa emergenza: l’eventualità che ieri si sia conclusa la stagione (e la carriera di Vince Carter!!!!) purtroppo è seriamente da prendere in considerazione.