In questo momento buio per i Jazz, è normale che si voglia capire chi sia il vero problema nello Utah. Per quello che si è visto, si potrebbero tranquillamente dividere equamente le colpe per la piega che sta prendendo la stagione. Come successo anche qualche mese a metà dicembre, il calendario a breve darà una grossa mano a coprire certe lacune e a togliere qualche pensiero dalla testa dei giocatori. Definire la stagione dei Jazz altalenante è quanto di più normale ci sia:
- Partenza 11-5, con vittorie incoraggianti contro Clippers, Bucks e Sixers;
- A cavallo tra fine novembre e inizio dicembre perdono 5 partite su 7, con dei tracolli non indifferenti contro i Sixers, Raptors (-40 nel primo tempo) e Lakers.
- Dalla sconfitta in casa contro i Thunder, i Jazz hanno avuto il loro momento migliore della stagione con un parziale di 19-2 che li ha portati al secondo posto nella Western Conference e culminato con la convocazione all’All Star Game di Mitchell e Gobert;
- Come normale che sia, il parziale successivo è di 9 sconfitte su 18 incontri, e a rendere il tutto ancora più inquietante è che sia stato fatto con strisce di 5 L, 4W, 4L e 5W.
Il ritratto dell’isteria nella compagine mormone appare alquanto evidente. Quali possono essere i motivi di questa incostanza atavica? Inizierei dando uno sguardo al calendario. La prima serie negativa è dovuto in buona parte ad una striscia tremenda di trasferte ad Est che aveva lasciato delle scorie anche nelle partite successive. Il 19-2 è avvenuto quasi solo contro team di secondo livello, e l’unica vittoria di rilievo è avvenuta a Los Angeles contro i Clippers il 28 dicembre. Durante questo periodo, varie fonti parlavano di come l’ambiente fosse eccellente. Ethan Strauss aveva scritto per TheAthletic di come i Jazz sembrassero una squadra unita e felice. Al contrario, il rientro dalla pausa di Chicago ha dato un’impressione differente, quasi di scollatura della squadra, con Snyder in evidente confusione.
La partita contro i Celtics non è stata la peggiore del filone, ma la querelle creatasi a ridosso della partita non presagiva niente di buono. In un primo momento viene comunicato che Conley sarebbe partito dalla panchina in favore di O’Neale. Una mossa che pareva nell’aria, ma qualche ora dopo ecco la rettifica. A partire dalla panchina sarà Ingles. Senza entrare troppo nel merito della decisione, il problema di questo tira e molla risiede nel modus operandi. Nella fuga di notizie ha iniziato a circolare la voce che ci sarebbe una talpa a creare dissensi nell’ambiente, e che questo avanti e indietro su chi avrebbe dovuto partire in quintetto fosse uno stratagemma per rivelarne l’identità. Anche ammettendo che sia vero, la dirigenza ha comunque rimediato una figura barbina piuttosto evitabile. I Jazz si sono dimostrati fragili, e quell’equilibrio trovato un paio di mesi fa è sembrato perso.
Le ultime vittorie possono dare morale, ma non rappresentano un momento di svolta della stagione. Purtroppo il record contro le migliori squadre delle lega è alquanto deficitario. Il nome che viene in mente a tutti pensando alle difficoltà dei Jazz è chiaramente quello di Mike Conley. Il record della squadra senza di lui è 17-7. Non si può dire che il suo inserimento in squadra sia stato semplice, e che anzi pare sia stato quasi rigettato tecnicamente. Da un lato il calo fisico è stato netto, ma quanto può perdere, invecchiando, un giocatore del suo (ex?) calibro per passare da una delle migliori stagioni in carriera alla peggiore? Quante colpe può avere per il suo mancato inserimento nei meccanismi Jazz?
LA SITUAZIONE DI CONLEY
Dopo qualche secondo lo si guardi, Conley comunica una sensazione di sicurezza in quello che fa, e un feeling piuttosto basso con alcuni giocatori presenti a roster. Il P&R con Gobert non decolla, e l’intesa con Mitchell non è delle più automatiche. Ingles, che nelle partite in cui Conley non ha giocato ha reso molto meglio rispetto al resto di una stagione fin qui deludente, sta rendendo solo quando utilizzato come creatore secondario piuttosto che solo come tiratore sugli scarichi. Qualche giorno fa, intervistato da un dei beat-writer che segue Utah, Conley ha descritto cosi le sue difficoltà difensive.
Mike Conley, on the schematic things he’s re-learning: “I’m so used to not letting anybody in the paint. … I get caught diving in to help when I shouldn’t. … I go home and watch the film and send texts to the assistants: ‘Are you sure I’m not supposed to help right here?’” pic.twitter.com/Nlh30CWSnK
— Eric Walden (@tribjazz) February 29, 2020
Mike è stato protagonista di un una serie offensiva agghiacciante contro i Celtics. Stevens ha fatto uscire i suoi dopo l’ultima pausa con una zona 2-3, sempre più comune nella NBA di oggi giorno. Il tutto inizia con un’occhiata preoccupata verso la panchina, aspettando qualche indicazione proveniente da Snyder per poter organizzare qualcosa che possa funzionare. Risultato? Un gioco che non è neanche mai cominciato, termina con una tripla contestata senza neanche aver provato a costruire alcunché.
Ad oggi Conley appare un corpo estraneo. Lui è consapevole delle sue difficoltà. Recentemente ha detto in una intervista per The Athletic:
“Nessuno è più frustrato di me. Non i tifosi, non i media, non i miei compagni di squadra. Non sono uno che scappa guardandosi allo specchio. Ma, a questo punto, devo controllare quello che posso controllare. Devo concentrarmi su quello che posso gestire. So cosa si dice. Ma, in grande misura, non è sotto il mio controllo ciò che la gente può pensare”.
Snyder alla fine ha deciso di mantenerlo in quintetto, dandogli l’ultimo mese di regular season per poter trovare quel feeling mai sbocciato fino ad oggi. Vi sono dei numeri che pero’ qualche speranza la offrono. Conley da febbraio ha il 58% di TS, con uno usage del 20% e con appena 13 palle perse in 9 partite. Nella vittoria contro i Rockets era riuscito a battere il suo diretto avversario con continuità, a Boston è riuscito a guidare la panchina alla vittoria nonostante un apporto negativo del quintetto titolare.
Quando gioca più di 30 minuti il suo rendimento è nettamente più elevato. Piccoli segnali, che stanno arrivando un po’ in ritardo. Il tempo stringe e i dettagli da sistemare non sono pochi. Il suo mancato apporto è la chiave per non definire i Jazz contender? Gli uomini chiave di questo progetto sono stati in grado di metterlo nelle condizioni giuste?
GLI UOMINI FRANCHIGIA
MITCHELL
Donovan era chiamato al salto di qualità dopo un’annata da sophomore interlocutoria. Tecnicamente non ha aggiunto al suo repertorio grandi variazioni, la sua shooting chart sta seguendo l’evoluzione intrapresa lo scorso anno. Il suo 56% di TS% odierno è nella media, ma rimane un miglioramento rispetto all’anno passato, e non automatico per un giocatore con la sua usage (31%). Mitchell sta imparando a convertire floater e tiri dal mid-range, ossia i tiri che la difesa gli concede. Il lato negativo è che sta andando sempre di meno al ferro e il numero di liberi conquistati rimane stabile. Stabilmente sotto la media NBA, e ancora di più rispetto ai pari ruolo.
Ci sono delle parti del suo gioco che invece sono di primo livello. In catch and shoot sta tirando con le stesse percentuali di Bogdanovic, seppure con un volume inferiore. Dal seguente grafico si vede come invece la sua annata abbia delle ombre:

Dando un’occhiata alla linea blu, che supporta quello che potrei pensare dalla prova visiva, il suo atteggiamento nella propria metà campo è difficilmente spiegabile. Non viene usato contro l’attaccante più pericoloso. Ad oggi è probabilmente il peggiore difensore della squadra. Contro i Lakers due mesi fa si era fatto infilare da due tagli backdoor consecutivi. Era la 22° partita della stagione. I suoi errori spesso sembrano legati alla mancanza di concentrazione. I problemi della difesa dei Jazz non coinvolgono solo Mitchell, ma lui sarebbe tra gli esterni il maggior indiziato a dare una mano a Gobert e O’Neale. Per quanto arrivi (forse) a 1 metro e 85, ha le braccia di un giocatore di 2.05m, e questo dovrebbe essere renderlo un buon difensore, o almeno ne avrebbe il potenziale. Anche adesso che non è più l’unico creatore dei Jazz non ha più la scusante per difendere con cosi poco intensità.
Offensivamente i suoi momenti migliori sono coincisi quando ha giocato da playmaker. I questi frangenti i Jazz hanno un net rtg di +5.0, che scende a +3.1 quando gioca come guardia. I Jazz migliorano sensibilmente la qualità dei loro tiri, prendendo più conclusioni sia al ferro che da 3. Il risultato di queste spaziature e del potenziamento delle sue capacità come creatore rende anche il resto della squadra più libero e i dati mostrano che in ogni zona del campo la percentuale di squadra migliora. Questi numeri, pero’, sono drogati dalla striscia di vittorie ottenute a cavallo delle due decadi, quando Conley era infortunato. Risulta evidente la necessità di dividere i loro minutaggi, ma come Conley si sta adattando a Mitchell, ogni tanto Donovan da l’impressione di voler imporre il suo stile, bloccando spesso la palla per diversi secondi in punta per poi attaccare senza aver fatto circolare la palla.
GOBERT
All’interno di un articolo legato alle difficoltà dei Jazz, ci si potrebbe immaginare come il giocatore più importante possa finire sotto la lente di ingrandimento, ed essere vessato per tutto quello che sta succedendo. Non è questo il caso. Non perché chi scriva sia un grande fan di Gobert, ma perché come è stato scritto in precedenza, buona parte delle responsabilità del crollo difensivo dell’ultimo periodo sono imputabili in minima parte a sue mancanze. Per DPIPM è terzo, primo per DRPM, 4° per differenziale delle percentuali tenute dagli avversari contro di lui.
Il suo problema? Partendo da questi numeri, non ci si aspetta che il giocatore in questione scioperi. Tornato dall’ASG, ha iniziato a lamentarsi della mancanza di palloni giocabili. Questo, purtroppo, non è una novità per chi ha memoria delle (imperdibili) interviste di Gobert. Non è neanche la prima volta quest’anno. La novità è stato l’atteggiamento in campo.
Gobert ad oggi viene cercato principalmente in questa maniera: blocco di una delle due guardie all’altezza del gomito mentre la palla viene spostato sul lato in cui Gobert sta tagliando a ricciolo per trovarsi a canestro.
Il resto dell’arsenale offensivo rimane confinato ai rimbalzi offensivi. Il pericolo del lob ormai non esiste più, e il numero di schiacciate è in netta flessione dopo averne stabilito il record della NBA con 306 in una stagione. Conley non ha né i tempi né l’intesa che c’era con Rubio. Mitchell è uno scorer e non ha l’istinto di cercare il compagno. Ingles rimane il solo con cui l’intesa funziona costantemente, ma è molto incostante, sia nelle prestazioni che nel tiro da 3 (29% nel mese di febbraio). A questo si aggiunge che le difese spesso giocano per evitare il lob, preferendo il floater del palleggiatore di turno. Il ruolo offensivo di Rudy non è mai stato cosi limitato dagli schemi e dal modo di giocare della squadra come oggi, e la cosa non lo rende felice.
Nel video, si vede come Gobert per ricevere la palla viene cercato con un passaggio alto. Il lob di Ingles per poter essere completato deve essere eseguito in una frazione di secondo, altrimenti la difesa dei Celtics si schiaccia in area e il francese non ha la direttrice libera per andare a canestro. Qui arriva l’aiuto di Wanamaker che evita il pericolo della schiacciata e appena Rudy abbassa il pallone glielo ruba senza grossa difficoltà. Questi problemi oggettivi portano i Jazz a servire di meno il francese, che pero’ deve imparare a non spazientirsi. Senza andare a cercare altri esempi, sempre nello stesso video si vede Rudy attardarsi nel rientro difensivo per protestare con gli arbitri, lasciando Theis libero di schiacciare a causa del mancato rientro. Un giocatore che ha fatto dell’intensità il suo principale pregio non deve avere atteggiamenti di questo genere, per il bene suo e della squadra.
Il francese nelle ultime partite ha tirato con oltre il 90% dal campo. Questo dato inviterebbe a servirlo di più, ma farlo staticamente sarebbe controproducente, e deve accettarlo. La questione Gobert andrà via via scaldandosi man mano che ci si avvicinerà al potenziale rinnovo, anche perché potrebbe essere eleggibile per il supermax. Nel caso venisse firmato, i Jazz si troverebbero con margine di manovra pressoché zero anche perché nella stessa estate si dovrà prolungare il contratto anche a Mitchell. I tempi delle decisioni pivotali per la franchigia dello Utah si avvicina, e come normale che sia il loro giocatore di punta è al centro delle attenzioni.
SNYDER
Nel mese di febbraio i Jazz sono stati la 26° difesa della NBA per defensive rating. Un tracollo drammatico rispetto ad inizio anno quando erano fissi nella top3, ma che li vede nelle peggiori 10 squadre della lega da inizio anno. A cosa si deve questo peggioramento? Quanto è colpa di Gobert? I motivi del peggioramento sono probabilmente di costruzione, e non di un solo tipo. Lo schema difensivo primario dei Jazz ormai noto, e gli avversari cercano sempre di più di stanare Gobert dal pitturato per renderlo inefficiente.
I Jazz contro gli avversari che sono in grado di cambiare in difesa vanno spesso in difficoltà. Una volta limitato il movimento iniziale della squadra riesce i Jazz si rifugiano in giocate individuali totalmente scoordinate tra loro. La partita contro i Celtics torna ad essere un buon esempio di quanto accade in questi frangenti complicati per i Jazz. Per quanto Theis ricordi un centro “vero”, la sua capacità di muovere i piedi e il suo senso tattico negli schemi di Stevens lo rende molto efficace negli spostamenti laterali. Brown accompagna Bogdanovic verso il tedesco, Hayward aiuta su Gobert per negare il passaggio e Smart intercetta il pallone indirizzato in angolo. L’esecuzione del croato è rivedibile, ma questo genere di palle perse contro avversari che possono schierare ali e guardie atletiche iniziano ad essere alquanto frequenti.
A tale proposito, i Jazz quest’anno hanno un problema non da poco che ha delle ripercussioni sia offensive che difensive:

La mancanza di stocks complica la creazione di canestri semplici. In parte la colpa è da attribuirsi al personale in campo, ma si nota come ogni esterno sia al minimi in carriera per STL%. Da Conley a Mitchell, passando per Ingles ed O’Neale. Evidentemente Snyder vuole la squadra conservativa. A preoccupare è che al contrario offensivamente il numero dei TO rimane elevato. E se nell’arco dell’anno i Jazz sono stati in grado di limitare i rimbalzi offensivi, contro le squadre più fisiche tendono a subire. In attacco invece Jazz hanno solamente Gobert e Bradley oltre il 10% di Off Reb%. Partire ogni partita con un saldo negativo nel computo dei possessi rappresenta uno svantaggio non da poco. Rubate e rimbalzi offensivi sono fondamentali per garantirsi punti facili.
Intanto, dopo più di metà stagione, Snyder continua a mettere mano istericamente alla rotazione senza trovare necessariamente il bandolo della matassa. Ad inizio anno lo starting five e le rotazioni erano simili a quelle attuali (tolti i cambi dei giocatori che compongono la rotazione mormona dal 7° uomo in poi). Ingles in panchina con Conley primo ad uscire per farlo poi rientrare con la second unit. Conley però iniziò a mostrare difficoltà da subito. Per aiutarlo nel suo inserimento Quin puntò a scambiare i minutaggi suoi e di Mitchell. La situazione però non migliorò. L’arrivo di Clarkson pareva potere essere un momento di svolta, ma appena la schedule è diventata più difficile i Jazz non sono riusciti a dimostrarsi all’altezza della situazione.
The Jazz have had some troubles lately, tinkering with a few lineup changes. Their two best 5-man lineups (min. 150 poss) both include Bogdonovic/Gobert/Ingles/O’Neale.
— BBall Index (@The_BBall_Index) March 4, 2020
Emmanuel Mudiay as a part of this lineup has produced the best Luck-Adjusted Net/100. pic.twitter.com/caUktqCpsc
Dei quintetti qui sopra esposti, si nota come il quintetto che spesso è stato usato per chiudere le partite e fino a qualche giorno fa era quello titolare abbia un impatto a dir poco negativo. Il fatto che nei migliori quintetti vi sia sempre O’Neale una chiave di lettura importante la offre. La soluzione dell’enigma pare essere più vicina, e il cerchio dei papabili panchinari si è ristretto a due nomi: Ingles e Conley. Chi di loro due sarà in campo nei momenti caldi della stagione? Probabilmente, nemmeno Snyder ad oggi lo sa.
LA COSTRUZIONE DELLA SQUADRA
Il primo momento di crisi passato dai Jazz è culminato con la trade per Clarkson. Il suo apporto è stato immediato e positivo, portando quei punti dalla panchina che tanto mancavano, e quella capacità di concludere giochi rotti battendo il suo avversario in uno contro uno. Uno skill-set che fino a quel momento mancava alla squadra. Altre pecche del roster invece non sono state sistemate, e ad oggi mancano un centro di riserva affidabile con continuità, e un’ala atletica e magari fisica al punto da poter pensare di essere usata come falso 5 in caso ci sia necessità. Soprattutto quest’ultimo profilo sarebbe fondamentale per le rotazioni di Snyder, offrendo un secondo difensore di spessore da poter usare sul perimetro, ma magari anche capace di aiutare a canestro nei momenti in cui Gobert si viene a trovare spostato rispetto al suo raggio ideale di azione.
Di Bogdanovic è difficile lamentarsi, al netto del calo nel mese di febbraio sta avendo la sua migliore stagione in termini di efficienza al tiro. Rispetto all’esperienza in maglia Pacers sta prendendo la metà dei suoi tiri oltre la linea da 3, con un incremento di oltre il 12% in termini di volume, convertendoli sempre con una percentuale oltre il 40%. Di Conley se n’è già parlato abbastanza. Gli altri innesti estivi? Il migliore è senza alcun dubbio Mudiay, che se non altro ha il merito di essere aggressivo quando utilizzato, ma non è riuscito a giocare ogni partita con la stessa concentrazione. Il motivo del suo panchinamento è legato principalmente all’abbondanza di giocatori abituati ad avere il pallone in mano. Clarkson lo ha completamente eclissato, togliendogli palloni e minuti.
Jeff Green adesso si trova a Houston, e doveva essere proprio lui l’alternativa contro le ali più dirompenti fisicamente della lega. Il suo sostituto preso dalla GLeague ad oggi non è stato pressoché usato, anche per la giovane età e la poca esperienza di basket giocato. Rayjon Tucker infatti ha iniziato a giocare a 16 anni a basket, ed è un progetto a lungo periodo. Un altro errore commesso da Zanik è stata la firma in biennale di Ed Davis. Oltre a non avere garantito rendimento ed essere parso completamente fuori dalle logiche di Snyder, Davis ha come ulteriore zavorra un secondo anno garantito da quasi 5 milioni, che sarebbero stati molto utili per rifirmare Clarkson quest’estate. Dovendo esprimere un giudizio sull’operato dalle dirigenza in estate, questo sarebbe sicuramente positivo se si deve valutare la logica con cui sono state prese queste scelte. Molto meno condivisibile la scelta dei nomi.
Difficilmente qualcuno si sarebbe potuto aspettare un rendimento cosi basso da parte di Conley, per quanto alcuni dubbi sul fit con Mitchell si fossero velatamente stati levati. Ed Davis non è il giocatore adatto se si vuole giocare Pick and Roll ad oltranza, ancor di più perché non porta niente di differente a livello tecnico al terzo centro che si stava sviluppando in G-League. Jeff Green ormai è noto per essere uno dei più grandi cavalli di Troia della lega, le abilità ci sono tutte ma gli effetti e i risultati ottenuti rimangono non eccelsi, da anni. Lo stesso Clarkson è arrivato proprio per sistemare l’attacco dopo aver visto che Mudiay non sarebbe stato capace di assolvere lo stesso incarico. Il risultato è avere speso risorse future per un roster che adesso è difficile da cambiare e che ha un ceiling più che evidente: secondo turno dei PO.
CONCLUSIONE
Da questa base, l’affare di Conley può ritenersi una sconfitta? Purtroppo si, la delusione dell’ambiente è piuttosto evidente. Rimpiangere Rubio? Umanamente si. Tecnicamente, io rimango favorevole alla scommessa fatta questa estate. Dopo un’annata interlocutoria in quanto molto simile alla 2017/18, era giusto provare a cambiare. Come suggerito da Nerder She Wrote (di cui io farò una parafrasi), Rubio porta stabilità, garantisce una base su cui costruire, ma non è adatto a guidare un team che mira all’argenteria. Le triple sbagliate contro Houston ai playoff sono state uno dei motori principali per il cambiamento estivo. Il problema è quanto sia stato investito su questa scommessa. La protezione messa alla scelta scambiata con i Grizzlies complica l’uso delle scelte in fase di trade: i Jazz potranno scambiare le proprie scelte o direttamente la sera del draft o partire della 2024 (Stepien Rule). Questo limite preclude molte opzioni di un possibile retool estivo.
Tornando all’attualità del parquet, non ritengo sbagliato lasciare Conley in quintetto. Primo per una questione di potenzialità: per quanto sia più facile trovare equilibrio inserendo nel quintetto sia Ingles che O’Neale, Conley può offrire qualche opzione in più. Secondo, perché a prescindere da quello che dice il campo, serve che il suo valore non si inabissi in vista della prossima stagione. Con il contratto in scadenza difficilmente verrebbe visto come un mero malus se dimostrasse di non essere una voragine in campo. E Inoltre risparmiare anche solamente una seconda in una squadra che manca di giovani di talento sarebbe qualcosa di importante dei Jazz.
Cosa aspettarsi da quest’anno? Tanto dipende dall’accoppiamento dei PO. Guardando il calendario è facile ipotizzare un primo turno contro Denver o Houston. L’accoppiamento con i Nuggets probabilmente sarebbe il migliore, anche se ad oggi Denver ha vinto entrambi gli scontri diretti. Contro Houston Snyder potrebbe mettere sotto scacco D’Antoni, ma è dura immaginare che basti per riempire il gap che oggi esiste tra le due formazioni. Se i Jazz arriveranno al secondo turno non ci sarà comunque da stupirsi. Ricordando le aspettative di inizio anno non sarebbe un’ impresa. La vera speranza è che se nel caso gli astri si allineino alla perfezione la dirigenza non si dimentichi di questa serie di sconfitte. Si spera che lavori per migliorare un roster sul quale hanno deciso di investire pesantemente, andando in “allin” alla terza stagione della stella offensiva dei Jazz.