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Ten Talking Points – Episodio 7

Andrea Bandiziol by Andrea Bandiziol
17 Febbraio, 2020
Reading Time: 20 mins read
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Copertina a cura di Francesco Villa

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Ecco a voi Ten Talking Points: dieci cose che mi sono piaciute e che non mi sono piaciute delle ultime due settimane NBA.

1) Alla scoperta di Kevin Porter Jr

Kevin Porter Jr è stato uno dei prospetti che più ha diviso gli scout nel processo che ha portato al Draft. Tra infortuni e sospensioni dovute a problemi comportamentali, il prodotto di USC è sceso sino alla 30, dove è stato scelto dai Cleveland Cavaliers, probabilmente non il miglior tra tutti i possibili scenari per Porter (non vorreste finire in una squadra in rebuilding che ha, nel vostro ruolo, due giocatori presi in alta lottery negli ultimi due anni). Eppure la combinazione di mezzi atletici e talento puro hanno portato diversi addetti ai lavori ad indicare KPJ come possibile steal of the Draft. Certo il mese di febbraio sta aprendo gli occhi a molti sulle sue potenzialità.

La caratteristica che determinerà quanto a lungo KPJ potrà restare in NBA è senza dubbio la sua capacità di segnare con efficienza: per questa ragione, le ultime due settimane in cui ha girato a 15 punti a partita col 60.9% di True Shooting (55% da 3 su quasi 3 tentativi a partita) sono un’ottima indicazione per i Cavs, che hanno disperatamente bisogno di qualche prospetto a cui affidare le proprie speranze di un futuro meno grigio. KPJ unisce un fisico quantomeno da ala piccola (a tutti gli effetti, a 6’6 sarebbe più alto di chiunque nella starting lineup di Houston) a ottime capacità di palleggio ed una varietà di soluzioni al ferro e dal midrange che rende i suoi attacchi di difficile lettura per gli avversari.

Forse in maniera inaspettata anche per i Cavs stessi, Porter si sta rivelando un buon partner di pick&roll per Thompson e Larry Nance, mettendo in mostra un notevole fiuto per il momento perfetto in cui cercare il lungo, come si può vedere dalla clip qua sotto (3 assist a partita a fronte di sole 1.3 palle perse a partita).

C’è una possibilità non nulla che fra qualche anno ci chiederemo come mai KPJ sia sceso alla 30, mentre i Cavs abbiano speso una scelta numero 8 ed una numero 5 su due giocatori di valore inferiore. Non che sia lo scenario più plausibile allo stato attuale, ma non sarei del tutto stupito se fosse così.

2) La difesa di squadra di Jayson Tatum

Come sapete tutti, Jayson Tatum è stato selezionato per il suo primo All-Star Game qualche settimana fa. Sebbene il salto vero nelle ultime due settimane sia stato nelle cifre offensive (28.8 punti a notte col 63.3% di True Shooting), voglio usare queste poche righe per parlare della difesa di Tatum, il cui livello è stato molto elevato da novembre in avanti, ma che è stata definitivamente consacrata dallo scontro contro Kawhi Leonard, vinto sia a livello personale che di squadra.

È facile innamorarsi della difesa uno contro di Tatum: in fin dei conti parliamo di un classe ’98 con mezzi atletici fenomenali, grandi capacità di scivolamento laterale e stazza che gli consente di stare su almeno quattro ruoli (addirittura cinque, contro determinate lineup). Quando decide di stare concentrato su entrambi i lati del campo, il giocatore più difficile da marcare è spesso suo (a meno che questo non sia una guardia, ed in tal caso c’è San Marcus Smart da Oklahoma State University) e quasi sempre fa un buon lavoro nel contenerlo.

Quello che per me è più impressionante, però, è la capacità che Tatum ha di operare in un contesto di squadra ben preciso, di leggere rotazioni in maniera precisa e di portare aiuti con tempismo chirurgico.

In questa azione c’è un po’ di tutto: realizzare che Harrell ha messo giù la testa e non sarà in grado di trovare Leonard sul perimetro, saltare praticamente in verticale onde evitare il contatto e dunque il possibile fallo e l’apertura alare che gli consente la stoppata.

Gli ultimi cinque anni di basket ci hanno insegnato come avere una squadra composta da giocatori ad alto quoziente intellettivo in difesa possa essere un grande vantaggio (se vi sembra una cosa scontata, andate a leggervi qualche scouting report su potenziali prospetti dei Draft passati e futuri: raramente troverete accenno alle loro capacità difensive intese come letture, spesso si parlerà solo delle loro potenzialità fisiche da quel lato), ed uno dei pregi di Tatum è senza dubbio il saper riconoscere il momento esatto per staccarsi dal proprio uomo per cercare una rubata senza però eccedere nel rischio, come possiamo vedere qua sotto.

Spesso si usa il termine two-way star per indicare un giocatore in grado di incidere su entrambi i lati del campo, ma poi a conti fatti i giocatori che sanno veramente farlo ai livelli più alti si contano sulle dita di una mano: credo che siamo vicini al momento in cui potremo ufficialmente annoverare Tatum tra questi.

3) Questo è il miglior Russell Westbrook che abbiamo mai visto

Sì lo so, Russ ha vinto un MVP facendo tripla doppia di media, ha trascinato una squadra ai playoff e via dicendo. Ma come sapete, non ho mai avuto, negli ultimi 3/4 anni, la sensazione che Russ potesse essere un valore aggiunto quando la posta in palio è più alta. Bene, comincio a credere che questa sia la volta buona: rinfrescato dalla nuova small ball lineup di Coach D’Antoni, nelle ultime due settimane Westbrook sta girando a 38.7 punti a partita col 61.1% di True Shooting, il tutto praticamente senza prendersi triple (solo due a partita). Se vi state chiedendo come sia possibile tutto questo, la risposta è “Ovviamente tirando col 70.8% al ferro su 16 tentativi a partita”.

Per darvi un termine di paragone, chi è andato più vicino alle sue cifre nello stesso lasso temporale è Giannis, che conclude al ferro 12 volte a notte col 72.2%, e ricordatevi che stiamo parlando di colui che, senza troppi dubbi, arriva al ferro più facilmente insieme a LeBron nella storia recente del gioco. Incredibile quello che si può ottenere da Westbrook circondandolo di tiratori e liberando il pitturato eh, Presti?

Come si può vedere nella clip qua sopra, Russ ha un vantaggio di taglia su praticamente ogni guardia della lega e, quando non può attaccare in transizione, adora attaccare i pari ruolo in post, dove ha un pacchetto di mosse per chiudere l’azione che gran parte delle guardie si sogna.

La cosa più incoraggiante per Houston è che queste cifre sono arrivate contro alcuni tra i migliori rim protector della lega come Davis, Gobert e Howard. Russ si è già trovato costretto ad affrontare alcuni di questi in uno contro uno al ferro, e non sembra che la cosa lo abbia frenato, anzi. Non so se a voi nella sequenza contro Gobert sembri intimidito, a me pare di no.

Come vedremo meglio nel prossimo punto, gli avversari dei Rockets stanno studiando le contromosse e certo vedremo un’evoluzione su come difenderanno Houston, soprattutto in ottica playoff. Ciononostante, è bello vedere che Westbrook possa finalmente convogliare tutta la sua energia in ciò che sa far meglio.

4) Le mosse degli altri contro la Small Ball

Per quanto l’esperimento di D’Antoni e Morey sia estremamente affascinante ed abbia trasformato, almeno per mio gusto, una squadra di difficile digestione in una squadra da guardare a tutti i costi, la validità di quanto proposto verrà testata da aprile in poi. Sappiamo come sia diverso affrontare lo stesso avversario per due settimane di fila, giocarci contro fino a sette partite, dover affrontare contromisure messe a punto esattamente per te. Ecco, in queste due settimane abbiamo avuto un primo assaggio di quanto potremmo vedere fra un paio di mesi.

Un primo approccio, tentato sia dai Jazz che dai Celtics, è quello di rispondere ad una small ball con una small ball, e mettere il miglior difensore 1-vs-1 della squadra su Westbrook.

Nella clip qua sopra vediamo come Russ sia comunque in grado di paralizzare un’intera squadra, dato che possiamo vedere almeno un grosso errore di rotazione di Utah dovuto all’attenzione a Westbrook. Ciononostante, la difesa di Royce O’Neale è esemplare e il vantaggio in stazza in post si fa sentire.

Il secondo tipo di contromisura presa invece è quella di accoppiare Westbrook al proprio centro in fase difensiva. Di nuovo, è stato ovviamente Coach Snyder il primo a sperimentare questo tipo di aggiustamento contro Russ.

Qua vediamo come Houston cerchi, con il blocco di McLemore, di forzare il cambio di Clarkson su Westbrook, ma Gobert sposta tutto ciò che si frappone tra lui e Russ per tenere il numero 0 di Houston. L’altra accortezza presa è che tutti gli altri tre difensori non direttamente coinvolti nell’azione facciano un passo verso il ferro, in modo da poter sbarrare la strada più facilmente qualora Russ decidesse di andare al ferro. Così facendo, Westbrook si trova quasi costretto a prendere un midrange jumper, soprattutto dal momento che Harden non è in campo e dunque non c’è nemmeno la possibilità di far ricominciare l’azione da zero usando una strategia diversa.

Insomma, la small ball lineup di Houston non è di certo la mossa che mette Houston in cima a tutte le contender ad Ovest (ed oltretutto l’eventuale probabile avversaria alle Finals, Milwaukee, sarebbe predisposta perfettamente per sua stessa natura a difendere questa lineup), ma rimane comunque un esperimento interessante da seguire anche e soprattutto per le contromosse avversarie.

5) I problemi di Indiana nel reintegrare Oladipo

Uno più uno non sempre fa due. Reintegrare un giocatore in rosa dopo diversi mesi non è facile, soprattutto se nel suo stesso ruolo ora c’è un nuovo interprete che, per quanto pienamente compatibile sulla carta col giocatore reintegrato, si è nei mesi ritagliato una particolare dimensione che ora fa difficoltà a perdere o lasciare. Insomma, Indiana stava girando bene anche senza Oladipo, soprattutto grazie all’apporto di Sabonis e Brogdon, veri fulcri del gioco della franchigia di Indianapolis. Far post ad un All-Star, ora, è un po’ complicato.

L’imbarazzo in questa situazione è palese. Sotto di uno, ultimo possesso: prima che si infortunasse, questi erano i momenti di Oladipo. Quest’anno invece abbiamo visto Brogdon salire in cattedra in queste circostanze, o in seconda battuta Sabonis stesso. Ora però vediamo come, dopo averla passata a Sabonis, Brogdon non sappia davvero cosa fare: solitamente avrebbe tentato di giocare un consegnato con Sabonis per poi andare a canestro o tentare un tiro dalla media, o perlomeno tagliare al ferro per rimestare le carte e creare un vantaggio per il lungo da Gonzaga. Invece se ne sta lì, alzando le mani inutilmente, ed è palese che tutta Indiana abbia difficoltà ad eseguire in queste situazioni: Justin Holiday non esegue il backdoor cut che gli porterebbe due punti facili facili (lettura buona di Sabonis, ma purtroppo Holiday ha capito le intenzioni del lituano con ritardo), non c’è movimento di alcun tipo.

Insomma, quando tutti sono fermi e vedi che il tuo All-Star è lì che aspetta il pallone per tentare di vincerla, gliela passi, anche se sai già che probabilmente non è buona idea: Oladipo deve ancora levarsi la ruggine, dato che sta tirando col 26.7% da 3 su 6 tentativi a partita.

La mancanza di esecuzione di giochi nei minuti finali di partita con Oladipo è stata una costante delle ultime partite di Indiana, come si può evincere anche dalla clip qua sopra. È palese il tentativo di Oladipo di riappropriarsi del proprio ruolo in squadra, soprattutto nei possessi finali della partita: nei quarti quarti delle cinque sconfitte su sei partite con lui in campo, Dipo ha sinora giocato 6 minuti a gara segnando due soli punti, tirando 4.3 volte dal campo col 17.6% e, cosa ancora più preoccupante, prendendosi 10 triple totali in queste occasioni, delle quali ne ha messa soltanto una.

Non è un caso se Indiana, prima della vittoria contro una Milwaukee priva di un Giannis assente per la nascita del suo primogenito, veniva da un filotto di sei sconfitte consecutive, tutte decise negli ultimi minuti di gara (tutte perse per dieci punti o meno), due delle quali per un solo punto e tre contro Pelicans, Nets e Knics, non proprio la crème de la crème della lega. Oladipo sarà certamente una ottima aggiunta per i Pacers nel lungo termine, ma aspettiamoci ancora qualche difficoltà che potrebbe addirittura protrarsi sino ai playoff e costerà ai Pacers con ogni probabilità il fattore campo al primo turno dei playoff.

6) Zion è il miglior rookie in attacco dai tempi di…di chi?

Volevo scrivere un titolo ad effetto. Avrei voluto scrivere “dai tempi di LeBron”, ma la metrica che sto per usare, l’O-PIPM, ancora non esisteva quando LBJ era un rookie. Ho quindi usato un’altra metrica avanzata (che a me piace molto di meno), l’Offensive Box Plus Minus, e secondo quella Zion rookie in attacco è meglio di LeBron rookie. Sono dovuto andare indietro sino ai tempi di Iverson per trovare un rookie con un OBPM migliore di Zion, ma nemmeno questa statistica mi convince: sono abbastanza sicuro che la scarsa efficienza di Iverson nella sua prima stagione lo avrebbe penalizzato a sufficienza nell’O-PIPM da farlo finire alle spalle del prodotto di Duke. Insomma, Zion sta avendo la migliore stagione offensiva per un rookie dai tempi di…di chi?

Le soluzioni offensive al ferro di Zion sono pressoché infinite. La metti sul piano della forza? Non so se vuoi veramente farlo. Decidi che può starti bene se riceve la palla fronte a canestro? Mah, se mette palla a terra non so quante persone possano fermarlo sulla terra. Vuoi affrontarlo in post? Auguri a difendere la combinazione mani educate+agilità di piedi da boxeur che si ritrova. Morale della favola, Zion al ferro sta facendo un po’ quello che vuole: il 76.4% dei suoi tiri arrivano entro i due metri da canestro, e li sta convertendo nel 68.2% dei casi.

Tornando all’O-PIPM, Zion sta facendo un registrare un notevole 1.81, che lo posiziona al 35esimo posto nella lega. Se questo non vi sembra impressionante, ricordate sempre che Zion è un rookie che ha giocato dieci partite nella lega, e che le statistiche avanzate spesso premiano giocatori estremamente esperti, che colgono sfumature del gioco che non tutti possono. Paragoniamo questa cifra con quelle di altri rookie che hanno fatto spalancare gli occhi negli ultimi anni: Ja Morant 0.79, KAT 1.27, Joel Embiid 0.83, Ben Simmons 1.44, Luka Doncic 1.78.

Sì, lo ammetto: sto un po’ barando, perché ci sono tre rookie che hanno fatto meglio di lui per O-PIPM (Griffin, Lillard e Trae Young), ma tutti e tre hanno avuto metriche difensive che hanno ampiamente cancellato quanto di buono fatto in fase offensiva, mentre questo non è il caso di Zion (che per le metriche sta avendo un impatto neutro da quel lato del campo, nonostante a mio avviso stia facendo molta, molta fatica).

I numeri avanzati premiano gli sforzi di Zion in attacco non solo per le sue grosse capacità di finishing al ferro, ma anche per la sua innata capacità di calamitare rimbalzi offensivi: in stagione e nelle ultime due settimane Zion è quarto per ORB% tra i giocatori con più di 25 minuti a notte, dietro solamente a Drummond, Ayton e Gobert.

Probabilmente l’impatto che Zion sta avendo sui Pelicans non sarà sufficiente a spingerli ai playoff (sono 5.5 partite dietro ai Grizzlies, e di mezzo ci sono anche Portland e San Antonio), ma ormai è chiaro anche ai più scettici che Zion non è solo schiacciate.

7) Melli sta dimostrando di poter stare in NBA

Di tutti i giocatori a roster per i Pelicans, quello che più ha goduto del ritorno di Zion è stato senza dubbio Nicolò Melli: nelle ultime due settimane il reggino ha giocato 23 minuti a partita, a fronte dei 14.9 che giocava prima (ed alcune partite in cui non è nemmeno sceso in campo, peraltro). I vantaggi che la presenza di Zion porta a Melli e viceversa sono evidenti, come vedremo dalle prossime clip.

Prima cosa: Zion in attacco ha ovviamente bisogno di essere circondato di tiratori, di modo da avere il pitturato libero per le sue scorribande ed avere valvole di sfogo sul perimetro. Allo stesso tempo, però, Zion non può ancora giocare da 5 in difesa, dato che questo è un po’ il ruolo chiave da quel lato del campo ed ha dimostrato di soffrire molto il compito, soprattutto in fase difensiva. Come potete capire, Favors ed Hayes potrebbero essere buoni complementi difensivi per Williamson, ma non si può dire altrettanto in attacco. Ed è qui che entra in gioco Nicolò Melli.

Per quanto non sia ai livelli di densità muscolare di alcuni centri NBA, Melli ha comunque centimetri e forza per difendere la gran parte di essi, come possiamo vedere dalla clip qua sopra in cui Nicolò riesce addirittura a stoppare Adams. Questo non è stato un caso isolato: Melli è stato un vero problema a livello di matchup per molti centri avversari ultimamente, grazie alla sua combinazione di forza, altezza e letture col tempo giusto.

Dall’altra parte del campo, Melli può fare qualcosa che Favors e Hayes non fanno: aprire il campo.

Melli sa muoversi sufficientemente bene dietro ai blocchi sul perimetro da creare un po’ di confusione, quel tanto che basta affinché Zion possa cercare il mismatch e sfruttarlo, come nella clip sopra. Anche qualora NOLA non riuscisse a trovarsi in una situazione del genere, isolare ZIon in 1vs1 a tre metri dal canestro vuol dire, quasi sempre, due punti in banca.

In queste ultime due settimane culminate con la convocazione all’evento Rising Stars dell’All-Star Game, Nicolò Melli sta dimostrando che in NBA può starci, eccome se può starci.

8) I Raptors sono in missione

Giovedì scorso i Raptors hanno perso contro Brooklyn, in una partita in cui chiunque non si chiamasse VanVleet, Lowry o Ibaka ha tirato 1/17 da 3. Bene, era dal 13 gennaio che i Raptors non perdevano una partita, e di mezzo c’erano state 15 vittorie.

Toronto, data da molti addirittura fuori dai playoff prima della stagione, siede al momento al secondo posto dell’Est, 1.5 partite davanti ai Celtics e 4.5 davanti agli Heat, il che significa che molto probabilmente riuscirà a mantenere un seed top3. È vero, i Raptors stanno facendo quello che stanno facendo probabilmente per un vantaggio competitivo in primis (sembra veramente corrano il doppio degli altri ed arrivino sempre per primi sulle palle contese), ma non dimentichiamoci che in stagione sono stati per lunghi tratti senza più di uno tra Ibaka, Gasol, Siakam, VanVleet e Lowry. Toronto è stata in grado di trovare notte dopo notte nuovi interpreti che colmassero il vuoto portato dagli infortuni, primo tra tutti un Rondae Hollis-Jefferson reinventato da 5 da Coach Nurse, che ora sembra addirittura avvantaggiato per il titolo di allenatore dell’anno su Erik Spoelstra.

La clip che segue è significativa: un giocatore undrafted che viene dalla G-League porta la stoppata, la transizione viene guidata da un giocatore che viene dall’Europa che scarica per un altro undrafted che mette la tripla in transizione. Tutto sembra molto facile, ma la verità è che i giocatori che stanno facendo la fortuna di Toronto sono giocatori che nessuno voleva fino a qualche mese fa e che sono stati messi nelle condizioni migliori per fare quello che sanno fare meglio.

Per portare un esempio, le lineup con OG Anunoby e Powell hanno asfaltato gli avversari (+6.2 punti per 100 possessi), così come hanno fatto quelle con Davis e Hollis-Jefferson (+11.1 punti per 100 possessi) o quelle con Gasol e Siakam (+12 punti per 100 possessi). Morale della favola, non importa chi gioca per i Raptors: tutti sanno esattamente quello che devono fare e lo fanno bene, e anche set non banali vengono eseguiti con una facilità disarmante anche a fine partita.

Coach Nurse ha dato un’identità ben chiara a questa squadra, portando ad una transizione sostanzialmente indolore dopo la partenza di Kawhi. È vero, non hanno un giocatore top15 della lega a roster e questo si farà sentire quando arriveranno ai playoff, ma non dimenticatevi dei Raptors, potrebbero sorprenderci ancora.

9) I problemi di chimica dei Clippers

So che rischio di suonare come un disco rotto, ma secondo me i Clippers mancano di chimica, ed anche piuttosto palesemente. Ne abbiamo discusso anche nella puntata di The ANDone con Mo Dakhil, sembra che i Clippers siano formati da due diverse anime: una, quella dell’anno scorso, quella il cui araldo è portato principalmente da Lou Williams e Harrell, quelle delle 82 partite l’anno, dell’impegno ogni notte, l’altra, quella di Kawhi e Paul George, quella del load management, del “16 vittorie bastano a vincere un titolo”. A me pare che questa dicotomia sia abbastanza evidente anche in campo: i Clippers non sono ben amalgamati.

Come in ogni circostanza delle interazioni umane, la vera natura delle cose spesso emerge nelle situazioni più delicate.

Questa esecuzione, per quanto arrivata alla fine di una partita in cui Lou Williams ha segnato 35 punti (ma con 33 punti e -5 di +/-), è di un’ottusità notevole. La ricerca ossessiva del pick&roll con Harrell, soprattutto data l’ottima copertura di Grant Williams in questa circostanza, è abbastanza stupida, dato che in angolo hai Marcus Morris e Landry Shamet ed in ala Kawhi Leonard. Insomma, sei in parità, mancano 18 secondi sul cronometro: non sei costretto a cercare un tiro in fretta a tutti i costi. Non è questa l’unica circostanza in cui è apparso evidente come ci sia un attacco formato da Williams e Harrell ed un attacco formato da tutti gli altri.

Lo stesso Kawhi Leonard si è reso spesso protagonista di decisioni rivedibili nei finali di partita.

Questo è un brutto tiro, non ci sono giustificazioni. Dei cinque giocatori in maglia verde, uno ti sta marcando benissimo, gli altri quattro sono in posizione perfetta per il rimbalzo. L’unico dei tuoi che ti ha seguito in transizione è Shamet che sta in angolo: se il tuo tiro non entra (e questo è un tiro a basse percentuali, col corpo fuori equilibrio e la mano di Tatum in faccia), le probabilità di perdere il possesso, come poi infatti è successo, sono altissime.

Le difficoltà sono evidenti anche dall’altra parte del campo, come si può evincere dalla clip seguente:

Non c’è comunicazione sulle rotazioni, Williams è peggio di quanto non sia mai stato da quel lato del campo e ormai le sue mancanze non sembrano nemmeno più giustificabili da prestazioni offensive di un altro pianeta.

A mio modo di vedere, i Clippers faranno molta difficoltà a fondere il blocco Leonard ed il blocco Lou, per chiamarli così. Fossi in loro deciderei per uno dei due e costruirei il mio gioco, sia offensivo che difensivo, su un’identità ben definita (ad esempio, chiudere con Kawhi-PG-Shamet-Zubac ed uno tra Morris e Beverley). E, con tutto il rispetto per il tre volte sesto uomo dell’anno, se da una parte ci sono Kawhi e PG ho una mezza idea di quale delle due soluzioni sceglierei.

10) Nikola Jokic è tornato

Ad inizio stagione Jokic era apparso fuori forma, svogliato, lento. Insomma, Jokic era apparso il solito Jokic di inizio stagione. Puntualmente il serbo si è svegliato con il passare dei mesi ed ora sembra in piena forma playoff: nelle ultime due settimane, Jokic sta girando a 24.6 punti, 12.4 rimbalzi e 8.8 assist a partita, il tutto con una True Shooting del 59.2%. I Nuggets stanno avendo 112 di Offensive Rating e 106.7 di Defensive Rating con lui in campo, e sono tornati al secondo posto ad Ovest dove, secondo me, potrebbero addirittura restare fino a fine stagione. Arrivare nei primi tre sarebbe un vantaggio non da poco, dato che significherebbe evitare un bagno di sangue già alla prima serie.

L’highlight di queste due settimane è stato probabilmente il tiro per vincere la partita contro Utah, uno stepback dal coefficiente di difficoltà più alto che uno possa immaginare con in faccia la manona del due volte Defensive Player of the Year.

Come al solito, il gioco di Jokic non è fine alle mere statistiche, ma il serbo cerca costantemente di tenere in ritmo i propri compagni, ed è ormai sufficientemente sicuro di poter dire che sia tra i due lunghi passatori migliori di sempre (non oso ancora dire che è certamente migliore di Sabonis, secondo me c’è del margine di discussione).

Jokic sembra abbia alzato il tono anche in difesa, dopo alcuni mesi tra i peggiori della sua carriera. Nei quindici giorni passati, Jokic ha girato a 1.6 rubate e 1.6 stoppate a partita, e ha dimostrato la sua solita affinità alla “stoppata utile” piuttosto che a quella scenica.

La stoppata di Jokic è quasi sempre finalizzata al recupero del pallone, suo o da parte di un compagno, e la velocità delle sue mani lo aiuta in questo compito.

Sebbene le mosse di Denver in questa trade deadline non siano state finalizzate al vincere nell’immediato, quanto piuttosto al non dover pagare eccessivamente i propri restricted free agents questa estate e all’accumulare asset per le prossime stagioni, Denver rimane di diritto nel gruppone immediatamente sotto le due di Los Angeles ad Ovest. Tutto il successo della post-season di Denver passa per le mani di Nikola Jokic: se riuscirà ad essere il migliore giocatore della serie, qualsiasi sia la serie, Denver ha buone probabilità di portarla a casa.

Tags: Jayson TatumKevin Porter Jr.Los Angeles ClippersNicolò MelliRussell Westbrooktoronto raptorsvictor OladipoZion Williamson
Andrea Bandiziol

Andrea Bandiziol

Andrea, 30 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di The Shot vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora. Non è molto contento quando gli si ricorda che i Suns ora avrebbero potuto avere Doncic a roster.

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