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I cinque punti chiave di metà stagione in casa Celtics

Nicola Garzarella by Nicola Garzarella
9 Febbraio, 2020
Reading Time: 10 mins read
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Copertina a cura di Edoardo Celli

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I Boston Celtics sono arrivati al giro di boa. Dopo una prima parte di stagione più che positiva, i ragazzi di Stevens sono incappati in un mese di gennaio problematico e ricco di sconfitte. Il record di 36-15 è più che in linea con quanto ci si potesse attendere in quel di ottobre e neppure le recenti prestazioni hanno scalfito la percezione che i Celtics hanno di loro stessi. Giunti a questo punto della stagione è però necessario analizzare quanto la squadra del Massachusetts abbia lasciato vedere finora, ecco dunque i nostri cinque punti.

1) La rinascita dei JAYs (Brown e Tatum)

Inutile nascondersi, il futuro dei Celtics nei prossimi 6-8 anni passa dalla crescita, e successiva maturazione, di questi due atleti. La prima parte di questa stagione ha fornito indicazioni più che positive in tal senso; non era facile mettersi alle spalle un’annata complicata come quella precedente e non era altresì semplice caricarsi sulle spalle il peso di una franchigia storicamente vincente ed esigente. I JAYs, però, non si sono lasciati spaventare e, vogliosi anche di dimostrare di essere più di semplici sparring partner o controfigure di campioni del passato, hanno deciso di mostrare a tutti perché Ainge abbia deciso di investire su di loro per costruire l’avvenire dei Celtics.

Brown (ben due volte giocatore della settimana) in questa stagione sembra aver raggiunto quella maturazione cestistica che da tempo si attendeva. Per nulla schiacciato da un contratto che rischiava di offuscarne le prestazioni, Jaylen, libero dalla pressante figura di Irving, ha trovato la sua dimensione nelle gerarchie biancoverdi risultando ben presto uno dei leader di un gruppo desideroso di rivalsa. I numeri parlano per lui: 20.3 ppg con il 37.5% da tre, 6.5 rpg (massimo in carriera) e 2.2 apg il tutto condito da un rassicurante 74.6% ai liberi. Oltre che sul tiro da tre, molto più fluido nella meccanica e preso con maggiore fiducia, Jaylen ha mostrato sensibili miglioramenti nel ball-handling e nell’attacco del ferro, risultando con la sua fisicità ed il suo elevato IQ cestistico un’arma importante nell’arsenale di coach Stevens.

Se Brown sta dimostrando di essere un giocatore solido, Tatum (22.1 ppg con il 38.2% da tre, 6.8 rpg e 3 apg) sta iniziando a raschiare la superficie del suo immenso potenziale. Il prodotto di Duke dopo una stagione da sophomore da dimenticare, per atteggiamento e percentuali, ha deciso di ricominciare con tutt’altro spirito. Rispetto alla passata stagione la sua shot selection è molto più accurata (ha quasi del tutto eliminato i jumper contestati dalla media aggiungendo molti più tiri dal perimetro) e anche il suo playmaking ha dato netti segnali di miglioramento.

Persino in difesa il suo rendimento è in ascesa: l’atteggiamento è quello giusto e i mezzi fisici non mancano. Le percentuali al ferro sono ancora rivedibili (conclude ancora col 53.7% in quella porzione di parquet) così come il numero di tiri liberi tirati non consono ad un giocatore che ambisce ad essere un MVP caliber; tuttavia questi aspetti del gioco verranno da soli nella normale evoluzione di un ragazzo che, al netto dell’apparenza, ha ancora 21 anni.

2) Boston loves Kemba

Il secondo punto su cui vale la pena soffermarsi riguarda Kemba Walker. Il playmaker newyorchese è arrivato in estate, non senza qualche scetticismo, per raccogliere il vuoto lasciato in quello spot dalla partenza di Kyrie Irving. Rifiutata l’estensione contrattuale con gli Hornets, Kemba ha subito affermato di aver messo i Celtics in cima alla sua lista e di non aver dubitato neppure per un secondo quando Ainge gli ha proposto di diventare la nuova point-guard titolare.

Malgrado i diversi infortuni ne abbiano minato la continuità, Walker ha dimostrato di poter essere imprescindibile per questi Celtics sia dal punto di vista emotivo che tecnico. A detta di compagni ed addetti ai lavori, Kemba è un compagno di squadra ideale, un veterano che spende sempre parole buone per i compagni addossandosi le colpe di eventuali fallimento e lasciando agli altri le luci della ribalta. Dopo l’esperienza con Irving, un anti-divo era quello che più serviva in quel di Boston. La sua presenza ha contribuito a rinsaldare uno spogliatoio che, non più tardi di sei mesi fa, sembrava prossimo al collasso. KW è già diventato un idolo indiscusso dalle parti del TD Garden che apprezza sempre chi dà anche l’anima per la squadra.

Sul piano tecnico Kemba si è integrato alla perfezione nel sistema di gioco di Brad Stevens. Playmaker in grado di giocare in maniera efficace sia on che off-the ball, l’ex Hornets sembra aver trovato la sua dimensione ideale in maglia Celtics. Al contrario di Charlotte dove il peso dell’attacco ricadeva quasi del tutto sulle sue spalle, ora Walker ha più libertà di giocare lontano dalla palla sfruttando i blocchi e il suo tiro mortifero tiro in spot-up.

Le sue abilità di crearsi un tiro dal palleggio oltre che di attaccare il ferro (dove conclude con oltre il 56%) sono esaltate da un contesto che ripartisce in maniera equa i possessi risultando spesso imprevedibile. I numeri di questa prima metà di stagione sono più che positivi: 21.9 ppg con il 39% da tre, 4 rpg e 5.1 apg con un contributo significativo all’aver reso i Celtics il quinto miglior attacco della lega (112.6 di offensive rating).

Per quanto concerne la fase difensiva, Kemba è stato inglobato alla perfezione in un meccanismo che, fatta eccezione per la passata stagione, è sempre stato il vero punto di forza della squadra del Massachusetts. Nonostante la stazza (185 cm x 80kg) lo renda un facile bersaglio degli attacchi avversari, KW riesce spesso a risultare efficace sfruttando la forza nelle gambe per reggere il più possibile in post basso e il suo enorme iQ cestistico per leggere le traiettorie di passaggio. Non era facile raccogliere la scomoda eredità di una superstar come Irving ma Kemba ci sta riuscendo alla perfezione facendosi amare da una tifoseria in cerca perenne di idoli.

3) Welcome back Gordon Hayward

Confesso di provare una certa gioia nello scrivere questo punto. Il sottoscritto è uno dei diehard fan di Hayward e, nonostante lo abbia criticato diverse volte, sono convinto che sia uno dei giocatori più importanti per le ambizioni dei Celtics presenti e future. L’ex Utah Jazz era arrivato ormai tre anni fa in quel di Boston; i vari infortuni, le implicazioni psicologiche di tali stop e un clima non sereno non hanno certo aiutato lo sviluppo di un cestista tanto amato quanto discusso.

Questa stagione la musica sembra cambiata. Gordon è uno dei leader, oltre che uno dei pochissimi veterani, dello spogliatoio e la sua influenza sul parquet e fuori è tangibile. Nonostante la rottura della mano lo abbia tenuto fermo qualche settimana di troppo (facendo temere a tutti il peggio), Hayward non si è perso d’animo e dopo qualche gara sottotono è riuscito a trovare quella continuità di prestazioni che mancava ormai da diversi anni. Avere GH al 100% è di fondamentale importanza per i Celtics tanto in attacco quanto in difesa.

Hayward, infatti, è di fatto il vero playmaker della squadra. Le sue skills da passatore unite ad un iQ di molto sopra la media lo rendono un giocatore unico nel suo genere all’interno del roster di Brad Stevens. Spesso e volentieri in assenza di Kemba è lui il portatore di palla principale e orchestra alla perfezione la manovra, attaccando quando necessario e leggendo la difesa come in pochi fanno.

È il giocatore ideale per il read&react; GH infatti è abilissimo nell’attaccare il ferro, malgrado un modesto atletismo, creando separazione tra sé ed il difensore, il tocco poi è altrettanto morbido dal mid-range dove l’ex Jazz ha medie al di sopra di quelle della lega. Oltre che palla in mano, GH tuttavia è anche un abile giocatore off-the ball; è un tiratore affidabile tanto in spot-up quanto dal palleggio (38.4% complessivo da tre) e risulta molto efficace in transizione quanto ha il tempo di arrestarsi in corsa.

Le sue medie stagionali parlano chiaro; 17.2 ppg 6.4 rpg e 4 apg oltre ad essere sopra all’80esimo percentile in transizione, iso scoring (96%) e spot-up shots (82%). In difesa la situazione non cambia; dati alla mano Hayward è uno dei migliori difensori della lega sul portatore di palla ed in generale sul pick’n’roll. Viene sempre accoppiato all’attaccante più pericoloso, in assenza di Smart, e riesce a risultare più che discreto anche in situazioni di mismatch con i lunghi. I Boston Celtics hanno finalmente ritrovato la miglior versione di Gordon Hayward.

4) Steal of the draft: Grant Williams

Il quarto punto su cui è necessario porre l’accento riguarda senza ombra di dubbio Grant Williams. Il lungo da Tennessee è uno dei giocatori su cui Stevens, e tutto il Front Office, punta di più ora e per il prossimo futuro. Arrivato con la ventiduesima scelta assoluta allo scorso Draft, Williams ha subito mostrato un carisma, una consapevolezza del suo ruolo non comune in tutti i rookie. Si è subito messo a disposizione dell’allenatore guadagnandosi sul campo la fiducia di tutti, compagni ed addetti ai lavori.

All’interno dello spogliatoio sin da subito ha creato un feeling con gli altri neo arrivati (Langford, Edwards e Waters) facendo da collante tra questi ed il resto del gruppo. È apprezzato per il suo fare sempre cortese e altruista (come quando ha regalato ad ogni membro dell’organizzazione dei Celtics una candela profumata in segno di gratitudine) oltre che per il suo modo di fare che lo rende simpatico a tutti. Tuttavia Williams non è un fenomeno da baraccone. La sua work ethic e la presenza di spirito nei momenti difficili lo hanno reso subito un solido membro nelle rotazioni di Stevens.

Grant non è un giocatore che puoi valutare dalle statistiche (3.8 ppg 2.7 rpg 1.1 apg in 15.7 minuti di gioco) seppur nelle ultime settimane abbia iniziato a mostrare un netto miglioramento offensivo. Ciò che rende Williams unico è la sua capacità di inserirsi nelle pieghe della partita facendo quelle giocate, magari lontane dai riflettori, ma utilissime alla squadra, le famose intangibles. Il lungo bianco-verde è infatti un difensore già di ottimo livello; abile nel prendere sfondamenti e con un ottimo tempismo per le stoppate. La sua velocità di piedi gli consente di non soffrire in maniera eccessiva i piccoli e una discreta mobilità laterale lo facilita negli scivolamenti. Gran difensore in post-basso ha purtroppo, ed è normale che sia così, la tendenza a cercare troppo spesso la stoppata ma dopotutto parliamo pur sempre di un rookie.

A livello offensivo i suoi numeri non sono eclatanti ma spesso sono determinanti per le sorti delle partite. Williams è un ottimo bloccante, abile nel rollare velocemente o nello spaziarsi sul perimetro (il tiro da tre è però un work in progress) dove non è battezzabile. La sua qualità migliore è però la lotta al rimbalzo. Malgrado il suo essere undersized per il ruolo ( 201 cm x 107 kg) è un rimbalzista di buon livello tanto in attacco quanto in difesa ed è il giocatore ideale per colmare quella lacuna che negli anni scorsi affliggeva i Celtics. Stevens lo ha utilizzato spesso anche come stretch five in quintetti in grado di cambiare su tutti i giocatori con risultati più che incoraggianti. Consiglio personale: tenete d’occhio Grant Williams.

5) I centri dei Celtics: Theis e Kanter

Ultimo punto che vale la pena approfondire è quello riguardante i centri di Boston. Bisogna sfatare questo fastidioso taboo, criticato anche da Ainge in conferenza stampa, che i Celtics non abbiano pivot di livello. Chi fa tale affermazione evidentemente non ha visto molte partite della franchigia del Massachusetts e non è a conoscenza dell’importanza tanto di Daniel Theis quanto di Enes Kanter per le rotazioni biancoverdi. Certo la perdita di un lungo come Horford è stata pesante, ma i due sopracitati non stanno facendo rimpiangere Big Al più del dovuto.

Theis in particolare è il centro che, seppur con caratteristiche diverse, è stato chiamato a raccogliere l’eredità di Horford. Schierato subito nello starting five, il tedesco ha fornito una serie di prestazioni incoraggianti tanto in attacco quanto in difesa . L’ex Bamberg si è integrato alla perfezione nel nuovo sistema di Stevens e ne interpreta il ruolo in maniera impeccabile; viene sempre coinvolto in situazioni di hand-off, è un abile rollante nel pick-n-roll ed è altrettanto bravo a prendere posizione sul perimetro dove il suo tiro da tre rappresenta spesso una soluzione importante per l’attacco dei Celtics.

In difesa, pur soffrendo i lunghi molto fisici come Embiid e Drummond, ha dimostrato di poter dire la sua sotto canestro e di non soffrire troppo i piccoli in penetrazione. Il lungo ideale dunque per un sistema basato sul positionless.

Su Enes Kanter il discorso da fare è diverso. Il turco non è un fattore a livello difensivo anzi, il più delle volte, è persino un minus da nascondere. In attacco, però, Kanter ha aggiunto la dimensione del post basso che, perso Horford, era assente all’interno del roster dei Celtics. Dare la palla in post all’ex OKC è una soluzione cavalcata spesso da Boston quando la difesa reagisce bene alle iniziative degli esterni. Enes riesce sempre a sfruttare il mismatch garantendo punti (9.5 ppg di media) e rimbalzi offensivi (3.2 su 5.7 totali sono offensivi) che per anni sono stati il tallone d’Achille dei Celtics. I recenti infortuni ne hanno limitato la continuità ma Kanter sarà fondamentale per il proseguo della stagione.

Ho volutamente ignorato Robert Williams. Il campione di partite del sophomore è troppo esiguo per darne un giudizio complessivo ma, se sviluppato nel modo giusto, è il prototipo del lungo moderno che tante volte viene accostato ai Celtics.

Tags: Boston CelticsDaniel TheisEnes Kanter
Nicola Garzarella

Nicola Garzarella

Segue il basket dai Big Three a Boston: facile intuire che squadra tifi. Amante, non ricambiato, del parquet e di tutto ciò che gli gravita attorno. Eurofilo convinto ma non esasperato.

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