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Ten Talking Points – Episodio 6

Andrea Bandiziol by Andrea Bandiziol
3 Febbraio, 2020
Reading Time: 16 mins read
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Copertina a cura di Francesco Villa

Copertina a cura di Francesco Villa

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Anche se seguirla in questa settimana è stato molto più difficile del solito, siamo arrivati al sesto episodio di Ten Talking Points: dieci cose che mi sono piaciute e non in questi ultimi 15 giorni.

1) Damian Lillard è di un altro pianeta

Dall’ultima volta che ci siamo sentiti, Lillard ha messo a referto partite da 61, 47, 50, 36, 48 punti. Durante questa stretch di cinque gare, probabilmente la migliore tra tutte quelle viste in NBA questa stagione finora, i Trail Blazers sono 4-1. È ormai chiaro che ad Ovest ci sarà un’esclusa illustre, e Dame sta facendo di tutto affinché questa non sia Portland.

Nelle ultime due settimane Dame ha girato a 48.4 punti, 9.8 assist e 8.2 rimbalzi a partita, tirando col 56.3% da 3 su più di 14 tentativi a partita e col 91.2% ai liberi su più di 11 tentativi. Portland ha avuto un Offensive Rating di 128 con Dame in campo, ed un Net Rating di 11.9. Il tutto può essere riassunto in una sola frase: Lillard da due settimane è di un altro pianeta.

Non so esattamente da dove iniziare. In queste ultime due settimane Lillard è per distacco il giocatore che gioca di più in NBA (41 minuti a partita), e sembra che questo sia l’unico modo in cui Portland possa avere delle chances di riacciuffare Memphis e staccare le altre nella corsa all’ottavo posto. La mole di gioco sulle sue spalle non gli sta però impedendo di essere efficiente come mai in carriera, e di certo non gli sta mancando la lucidità nei finali di partita, ormai suo marchio di fabbrica.

Lillard è probabilmente il miglior floor raiser sotto il metro e 90 dell’intera lega, ed ha deciso che Portland deve fare i playoff.

2) I Suns hanno una go-to-lineup

Molto probabilmente i Suns non faranno i playoff nemmeno quest’anno, anche se con un po’ più di fortuna e meno dabbenaggine quest’anno avrebbero potuto chiudere intorno alle 40 vittorie. Anche quest’anno, a meno di infortuni, Booker non farà l’All-Star Game, dimostrando un’ulteriore volta come anche tra gli addetti ai lavori l’ignoranza regni sovrana (già mi immagino Jim Boylen che scrive WESTBROOK in stampatello maiuscolo e mentre lo fa dice “man he is tough“). Però motivi per sorridere a Phoenix ce ne sono, primo fra tutti la lineup Rubio-Booker-Oubre-Bridges-Ayton.

Questa lineup esegue giochi con uno sforzo apparente prossimo allo zero, come si può vedere dalla clip qua sopra, in cui succedono più cose di quante si possano notare ad una prima visione e alla conclusione della quale ci sono almeno tre tiri aperti diversi che si possono prendere. Il QI cestistico c’è, punti nelle mani anche, atletismo a pacchi: tolto Rubio, gli altri quattro componenti hanno rispettivamente 24, 23, 23 e 21 anni. Insomma, si sono visti punti di partenza peggiori per il futuro.

Di certo questa lineup non manca di difesa perimetrale grazie alle leve di Oubre e Bridges e le capacità dello spagnolo, ma si potrebbe pensare che manchi qualcosa sotto canestro, vedendo l’Ayton della scorsa annata. In realtà Ayton è il secondo giocatore della lega che più fa crollare le percentuali degli avversari quando sono marcati da lui tra quelli che difendono almeno 10 tiri a partita, dietro al solo Anthony Davis (-8% vs -8.9%). Sì, davanti a Giannis, Kawhi, Gobert, Lopez, Embiid…insomma, davanti a tutti tranne Davis. Come Davis, Ayton non è in grado di difendere unicamente sotto canestro, ma sa anche uscire sul perimetro e stare con le guardie più veloci.

Non vi ho ancora detto la statistica più importante: tra tutte le lineup che hanno giocato più di 100 minuti in stagione, Rubio-Booker-Oubre-Bridges-Ayton è quella con il second net rating migliore, 21.7, dietro alla sola ormai mitica lineup a 3 guardie di OKC (Paul-Schroeder-Shai-Gallo-Adams). Insomma, preghiamo tutti insieme affinché Booker non chieda la cessione a breve.

3) Trae Young è più forte di quanto pensiate

Trae Young sarà all’All-Star Game dopo solo due stagioni in NBA. Possiamo discutere se meriti quest’onore o meno (per me la risposta è sì, magari non nettamente ma sì, e non sto nemmeno fattorizzando lo spettacolo che un giocatore come Trae porta in un evento del genere), ma di certo le statistiche base ed avanzate di Trae dicono questo. Tanto per dirne una, Trae è nel centesimo percentile per on/off offensivo (che sì, vuol dire che è il migliore della lega) e nel 94esimo per on/off totale. Mettendola giù in maniera più becera, Trae nelle ultime due settimane fa registrare 34 punti (60%TS) e 15 assist a notte. 15 assist! Non leggevo questi numeri da tanto, tanto tempo.

La cosa che però più mi impressiona sono le condizioni in cui Trae sta facendo registrare questi numeri, soprattutto quelli relativi all’efficienza al tiro e agli assist: lo spacing ad Atlanta è il peggiore che si possa vedere oggigiorno in NBA, credo anche con distacco.

La clip qua sopra ha del surreale: Trae non batte il suo uomo dal palleggio, ma lo fa saltare sulla finta di tiro. In una squadra con gente che sta fuori dalla linea bianca grande e rotonda, questi sono due punti facili facili. Non ad Atlanta, dove la seconda pietra angolare del loro futuro (per favore cogliete l’ironia) decide che è cosa buona e giusta rollare sempre e a prescindere, portando così in dote al suo playmaker che sta per concludere al ferro un centro di due metri e undici pronto alla stoppata.

Il primo step verso uno spacing decente è capire che non si deve congestionare l’area quando il vostro play penetra, e se questo vi pare un concetto semplice, bene, abbiamo appena appurato che non lo è per giocatori NBA. Lo step successivo è stare sì in punta o in ala o in angolo, ma essere effettivamente anche in grado di tirare, così che gli altri non possano ignorarti mentre sei sul perimetro.

In questa clip, al momento del rilascio del tiro di Young, quattro difensori sono nel pitturato ed il quinto ci sta entrando. Questo dovrebbe dirvi a sufficienza quanto i tiratori di Atlanta siano temuti, ma se ciò non bastasse vi dico che Atlanta è ultima con tanto distacco per percentuale da 3 in stagione (32.3%!) e che, levati Trae e Huerter, il miglior tiratore della squadra è Collins, che tira col 33.7%. Un applauso al front office ed al GM Travis Schlenk per la costruzione del roster: non serve essere laureati in Scienza della NBA per capire già ad ottobre che fosse tutto sbagliato.

4) Zion è arrivato ed è come ce lo aspettavamo

Solitamente le settimane prossime all’All-Star Game, sia precedenti che successive, sono tra le più noiose e prive di temi della stagione, e tipicamente da metà gennaio in poi non vedo l’ora che inizino i playoff. Non quest’anno, e tutto grazie a quest’uomo qua.

La cosa bella di Zion è che riporta tutti, anche l’osservatore più esperto che ha lavorato per anni nella lega, ad una sorta di stupore primordiale per cui la prima cosa che pensi quando lo vedi è “wow”. Il gesto atletico della clip qua sopra è senza senso: l’alley-oop di Holiday è completamente fuori misura, oltre il tabellone…non importa, Zion ci arriva in qualche modo e conclude nello stesso movimento, due punti. Se la prima reazione che avete avuto non è stata “wow”, mentite.

Zion però non è solo esplosività, è anche tocco. È vero, la sua partenza ai liberi è stata a dir poco rivedibile (48% su 5 tentativi a partita), ma Zion ha messo in mostra il pacchetto completo di conclusioni al ferro in queste sue prime partite, e sinora sta tirando col 68% al ferro su 10 tentativi a partita (!!!), facendo quasi avverare la mia previsione più azzardata tra tutte quelle di inizio stagione (in una puntata di The ANDone mi ero spinto a dire che Zion avrebbe concluso la stagione col 70% al ferro).

Gli scettici potrebbero ancora dire “fa tutto quello che fa solo grazie al fisico“. Bene: il campione è ancora piccolo (5 partite), ma per Zion è il giocatore con il migliore on/off della lega (+19.7!), essendo nel 92esimo percentile in attacco (+7.4) e nel 99esimo percentile in difesa (-12.3). Tradotto in soldoni, la presenza di Zion si fa sentire moltissimo in attacco, ma si fa sentire ancora di più in difesa, e non ci si fa sentire in difesa senza un QI cestistico fuori dalla norma.

Qua il fisico fa certamente la sua parte ed è quella principale, ma Zion capisce esattamente quando sia il momento di mollare Jokic (dopo aver a tutti gli effetti posizionato il corpo in modo da disturbare il blocco di Jokic e consentire ad Holiday di passare sopra) e portare l’aiuto.

Le azioni di Zion WIlliamson sono appena arrivate nel mercato NBA, e non lasciatevi intimorire dall’alto costo: compratene il più possibile, perché fra qualche anno costeranno ben di più.

5) Levate la palla ad Andre Drummond

Capisci che una sessione di mercato è noiosa quando il rumor principale è una potenziale trade di Andre Drummond. Non voglio dire che Drummond sia un cattivo giocatore, perché non lo è, dico che è un giocatore assolutamente inadatto all’epoca NBA in cui stiamo vivendo, il cui contratto è spropositato per il valore che porta alla propria squadra e le cui cifre sono parzialmente gonfiate dal contesto di squadra, soprattutto quelle relativa agli assist. Quest’ultimo punto è quello su cui voglio concentrarmi ora.

Drummond non è un cattivo giocatore di dribble hand-off (fate finta di non aver appena visto questa clip), e si è visto anche di peggio dalla punta, ma di certo queste qualità non giustificano la mole di creazione di gioco che passa dalle sue mani.

Detto in maniera meno educata, Drummond deve smettere di credere di essere Sabonis padre. Io non sono contrario ad esperimenti quando la squadra non ha aspirazioni (e per me Detroit, arrivati a questo punto della stagione, dovrebbe non averne) -l’esperimento Wizards o lo sviluppo di Winslow come playmaker ad esempio- ma in questo caso la mole di palloni toccati da Drummond blocca giovani prospetti che proprio in quel particolare fondamentale, il passaggio, stavano cominciando a far vedere cose buone, Kennard e Brown su tutti.

Andre per favore, per il bene tuo e dei Pistons, basta.

6) Torrey Craig sta entrando in clima playoff

Dopo l’eliminazione contro Portland durante gli scorsi playoff, scherzando ma non troppo, avevo detto che quel che mancava a Denver per diventare contender era che Craig imparasse a tirare da 3. Craig, uno dei migliori difensori della lega in situazioni di 1 contro 1 come ha dimostrato anche nei playoff stessi, ha chiaramente passato l’estate a fare cose che non fossero migliorare al tiro, a giudicare dalle sue percentuali in questa stagione: 27% da 3 e 65% dalla lunetta sono entrambe percentuali in discesa rispetto alla scorsa stagione. Forse anche per questo Craig era scivolato fuori dalle rotazioni di Coach Malone ad inizio anno.

L'anno scorso, scherzando ma non troppo, dissi che affinché DEN potesse diventare contender sarebbe bastato che Torrey Craig imparasse a tirare dall'angolo. La partita di ieri vs UTA (Mitchell 4pt, 1/12) ci ricorda che Craig è top10 dif 1vs1 della lega sui creatori dal palleggio. pic.twitter.com/5CZleADuTv

— Andrea Bandiziol (@AndBand7) February 1, 2020

Nelle ultime due settimane però, complice l’assenza di Harris, Craig è tornato a giocare più di 26 minuti a partita, ricordando a tutti ciò di cui è capace in fase difensiva. Prima del sopraccitato Mitchell, ci sono stati altri nomi illustri che hanno potuto assaggiare la difesa di Craig, come Russell Westbrook, che contro i Nuggets ha sì segnato 32 punti, ma con 29 tiri e 10 palle perse, ed il merito è principalmente di Torrey.

Craig è senza dubbio uno dei migliori difensori 1 contro 1 della lega, ma la comprensione delle rotazioni e del timing per mollare il proprio uomo non è il suo forte. Ultimamente, però, sta cominciando ad avere i tempi giusti anche su questo tipo di giochi.

Craig viene da molti non considerato come un difensore élite probabilmente per la poca spettacolarità di quel che fa e le poche stoppate (comunque questa stagione sta facendo registrare un massimo in carriera di 3.8% BLK), ma vi assicuro che ha tutti i mezzi atletici per farlo. La differenza è che Craig non cerca la stoppata, Craig cerca di non far segnare l’avversario.

L’importanza di Craig nell’ecosistema Nuggets potrebbe crescere ai playoff, pertanto per Malone è di fondamentale importanza far trovare fiducia al proprio numero 3.

7) Donte DiVincenzo è quello che Bud crede che Bledsoe sia

Magari non abbiamo naturalizzato il nuovo John Stockton, ma di certo il futuro playmaker della nazionale italiana è un mastino.

Quest’azione è un mix di atletismo, intelligenza difensiva, furore agonistico e voglia di vincere (sì, c’è anche un pizzico di fortuna) che raramente si vede messo in mostra dal titolare di una squadra che è in ritmo per 70 vittorie contro una squadra che si appresta a vincerne 30. Ma DiVincenzo è così, conosce un solo modo di giocare, sempre al 100%.

È vero, quando sarà il momento dei playoff il vantaggio competitivo di DiVincenzo si ridurrà, e questa è l’obiezione che ho sempre portato quando si parla di Bledsoe come di un potenziale terzo/quarto violino in una contender. Donte però sta migliorando di mese in mese, soprattutto per quel che riguarda l’attacco (dato che era difficile avesse molte marce da scalare in difesa). Nelle ultime due settimane sta facendo registrare una True Shooting del 64.2%, a fronte del 56.3% stagionale. Il bello dei punti generati da Di Vincenzo è che sembrano molto replicabili, in larga parte, quando arriveranno i playoff, essendo l’85% delle sue triple assistite (spesso da Giannis) e non prese dal palleggio con il marcatore designato con la mente spenta.

Certo, Donte non è Brogdon e con ogni probabilità non lo diventerà mai, ma ricordiamoci anche che all’età che Donte ha ora, Brogdon giocava ancora a Virginia. DiVincenzo può migliorare ancora la propria forma di tiro e la gestione delle energie per una title run, ma se riuscisse in entrambe le cose sarebbe davvero il complemento perfetto per Giannis.

8) Scambiate LeVert ora, per favore

Di nuovo, non serviva essere un incrocio tra Red Auerbach e Nostradamus per capire che Caris LeVert, giocatore che a me piace, non fosse il fit giusto per Irving e Durant. Il punto è che LeVert quest’estate busserà chiedendo un nuovo contratto, pertanto questa è l’ultima finestra di mercato che i Nets hanno per scambiarlo. Ed io non capisco davvero cosa stiano aspettando.

LeVert non è un buon tiratore, mettiamola così. In questa stagione sta tirando col 33.7% da 3 e col 64.5% ai liberi, non esattamente quello che vorresti avere da un tuo spot-up shooter o dal tuo 3&D. Come dite? LeVert non è uno spot-up shooter o un 3&D? E ALLORA COSA CI FA ANCORA IN UNA SQUADRA CHE A ROSTER HA IRVING, DURANT E DINWIDDIE.

Io sono un grandissimo fan del playmaker distribuito e credo che il modello eliocentrico, come viene chiamato ora, possa funzionare solo se chi lo guida è un’intersezione tra uno scorer top5 all-time ed un passatore top 5 all-time: in tutta la storia dell’umanità, credo che LeBron James sia l’unico a rispettare questi criteri (stiamo tutti pregando che Doncic possa essere il prossimo, ma è tutto fuorché certo). Ma Irving è un giocatore che vuole avere la palla in mano e le cose migliori le fa palla in mano, Durant è uno dei più forti attaccanti in isolamento della storia e persino a Golden State lasciavano che se ne prendesse la sua buona quota, Dinwiddie fagocita ogni possesso della second-unit: perché vorresti avere a roster un quarto giocatore che fa le cose migliori palla in mano e, a differenza degli altri tre, senza palla in mano è addirittura dannoso?

Le statistiche non sono clementi con LeVert: è nell’84esimo percentile per usage rate tra i suoi pari ruolo, ma è nel 16esimo per on/off (la sua squadra segna 2.1 punti per 100 possessi in meno con lui in campo, e gli avversari ne segnano 5 in più). Le cose per LeVert non miglioreranno quando arriverà Durant, anzi. I Nets farebbero bene a scambiare LeVert in questa sessione, qualsiasi sia l’offerta. Una prima 2022? Bene, una prima 2022 è pur sempre un asset che può essere utile per mettere vicino a Kyrie e Durant l’anno prossimo un giocatore a loro funzionale e non uno che ti fa cadere il tuo castello di carte.

9) È arrivato il momento di parlare di Dillon Brooks

Non sono il fan numero 1 di Dillon Brooks. Anche ai tempi dell’equivoco con Phoenix lo ritenevo un buon giovane con potenzialità di diventare un buono/ottimo scorer dalla panca, ma più portato per il volume che per l’efficienza. Non ho cambiato radicalmente idea, anzi, ritengo tuttora che Brooks, in una squadra con aspirazioni più alte del fare un primo o al massimo un secondo turno di playoff, potrà al massimo essere una scintilla dalla panca, ma di certo è quantomeno doveroso riconoscere i progressi fatti da Brooks in così breve tempo.

Brooks è e sarà sempre uno scorer, nulla di più, ma ha aggiunto un sacco di modi per segnare al suo arsenale (di certo non metteva queste triple in stepback l’anno scorso). In stagione sta girando a 16 punti a partita tirando col 40% da 3 e con l’84% ai liberi, ma nonostante queste cifre ottime le sua True Shooting è solo del 53.9%. In queste due settimane di mano calda, Brooks ha alzato quei numeri a 20.7 punti per partita e 46.9% da 3 su 4.6 tentativi a partita, mantenendosi all’84% dalla linea, passando però dai 2.8 tentativi di media stagionali ai 4.4.

I miglioramenti di Brooks sono sotto gli occhi di tutti, e vi dirò di più: il gioco offensivo di Brooks mi ricorda molto quello di un giovanissimo Devin Booker. Lasciate perdere per un attimo che Brooks e Booker abbiano la stessa età, questo paragone mi serve per far capire cosa dovrebbe fare Brooks per fare il salto necessario per diventare uno starter in una squadra con ambizioni alte. La True Shooting delle prime due stagioni di Booker è stata molto simile a quella che Brooks ha ora, e le ragioni erano principalmente due: cattiva selezione di tiri dal midrange e pochi liberi presi (quest’ultima più nella stagione da rookie a dire il vero).

Non dico che Booker abbia smesso di prendersi tiri dal midrange, lo fa ancora, ma evita di infilarsi in alcuni vicoli ciechi in cui si infilava due/tre stagioni fa ed in cui Brooks si infila ora, e soprattutto oggi tira più di 7 liberi a partita col 92% (nel caso in cui foste curiosi, la TS% di Booker ora è 63.4%!). Situazioni come quelle nella clip qua sotto sono quelle che Brooks deve evitare se vuole fare il prossimo salto evolutivo.

Non ci sono modi per dirlo meglio: questo qui sopra è un brutto tiro, e non dovresti prenderlo. Riguardo il discorso tiri liberi, in realtà Brooks va spesso al ferro, perché anche se non è veloce sa comunque trovare i suoi spazi. Per di più, Brooks è fisicamente possente per essere un 2, pertanto dovrebbe imparare ad usare meglio il suo corpo per assorbire i contatti, non per evitarli.

Brooks può diventare un giocatore da 20 punti a partita che tira col 58% di TS, assolutamente: è nel reame delle sue possibili evoluzioni. Per arrivare a quel livello però, ai miglioramenti tecnici apportati quest’estate deve far seguire diverse piccole accortezze, perché non sarà mai in campo per altre ragioni che non siano buttare la palla dentro il cesto.

10) Bentornato Gordon Hayward

Gordon Hayward non può che ispirare simpatia, soprattutto alla luce dell’infortunio subito e delle grosse difficoltà incontrate al rientro. Dopo un buon inizio di stagione, un infortunio lo ha costretto ai box fino a Natale. Ora, dopo un mese di rodaggio, Hayward sta facendo vedere quel che può valere: nelle ultime due settimane le sue medie parlano di 21.2 punti, 3.3 assist e 7.7 rimbalzi, ma soprattutto tirando col 56% dal campo, il 50% da 3 su più du 4 tiri a partita e l’89% ai liberi (4.5 a partita).

Questo è un attacco di un giocatore fisicamente sano e presente con la testa. Una delle qualità migliori di Hayward, a mio avviso, è sempre stata la sua adattabilità a contesti molto diversi tra loro, la sua capacità di giocare sia on che off the ball, il saper prendersi tiri da tre in spot up ma anche dal palleggio e via dicendo. Tutto questo sta venendo messo in bella mostra in questo spezzone di stagione, in cui Hayward tira col 67.6% di True Shooting.

Il ruolo di Hayward nel sistema di Stevens è però anche quello di creatore di gioco secondario, e non sta deludendo nemmeno sotto quest’aspetto sebbene il numero degli assist sia particolarmente basso per l’Hayward che conosciamo.

Già nella scorsa stagione Hayward aveva avuto un netto miglioramento al tiro dopo la pausa dell’All-Star Game, miglioramento che non si è poi tradotto in buone prestazioni ai playoff. Questa volta però sembra diverso: il minutaggio è maggiore, il volume di tiri presi è maggiore, non sono solamente tiri presi stando fermo in angolo o in punta, viene molto di più coinvolto nel gioco, anche in difesa sembra reggere botta. Insomma, credo si possa dire: bentornato Gordon Hayward.

Tags: Ten Talking Points
Andrea Bandiziol

Andrea Bandiziol

Andrea, 30 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di The Shot vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora. Non è molto contento quando gli si ricorda che i Suns ora avrebbero potuto avere Doncic a roster.

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