Dalla tragica notizia ad ora non si contano i messaggi, le parole, i video di saluto e tributo rivolti a Bryant. Kobe era amato e rispettato proprio da chiunque, era e sarà per sempre una vera icona planetaria. Ciò che lo ha sempre contraddistinto è l’ossessione costante nel miglioramento personale. Per lui non esistevano ostacoli che non si potessero superare con la determinazione e la passione.
Fin da subito, data la tragicità della notizia e l’orario in cui è arrivata, la Lega si è trovata a dover gestire una giornata di partite che ha deciso di giocare ugualmente per ragioni di tipo organizzativo. Chi ha visto le partite, specialmente la prima, Houston Rockets-Denver Nuggets, ha visto una situazione surreale, un universo parallelo in cui i migliori giocatori del pianeta si palleggiavano sui piedi, lottando tra il dare l’anima sul campo per orgoglio e, forse, per distrarsi, e il provare a concepire la magnitudo della notizia che avevano ricevuto poco prima circondati da tifosi le cui coscienze si prendevano a pugni, indecise tra il tifare e divertirsi e la sofferenza.
La NBA è però un organismo complesso, con tante menti periferiche, che avranno comportamenti diversi perché frutto di processi mentali diversi per priorità, finalità e semplici influenze socioculturali.
I giocatori, per esempio, costituiscono una parte centrale ed autonoma del processo decisionale collettivo. Sono certamente i più toccati dalla tragedia. C’è chi con Kobe aveva un rapporto personale, di affetto e amicizia. C’è chi Kobe invece l’ha elevato a figura massima del proprio pantheon personale, essendo l’uomo che gli ha portato la palla da basket prima e il modello da seguire una volta che il basket è diventato una questione seria poi. Le loro reazioni sono le meno mediate, quelle in cui, nonostante il background e lo stile di vita completamente diversi, ogni fan può dire di ritrovarvisi. Basta pensare alla foto di Quin Cook piegato sulle transenne dello Staples a piangere.
In quella foto importa poco se la palla viene tirata nelle migliori arene del mondo, nelle palestre scassate o nei canestrini sopra la porta di cameretta: quella foto siamo noi.
Intorno a loro sta nascendo una questione legata ai numeri di maglia. Sono tanti i giocatori che sotto il loro cognome hanno portato fino ad ora con orgoglio i numeri 8 o 24. Quel numero inizia però ad essere molto pesante, ad assumere un valore quasi sacro di intoccabilità, per cui si è disposti anche a pagare una multa per cambiarlo a stagione in corso, almeno per quest’anno.
Si registra anche il caso contrario, quello di Joel Embiid, che ha invece deciso di giocare con la #24 nella prima partita giocata dopo l’evento. È una prima iniziativa, spontanea e istintiva, che però già caratterizza e influenza questa stagione.
Un tweet che potrebbe essere profetico è quello di Donovan Mitchell che fin da subito ha “urlato” alle franchigie di ritirare collettivamente i numeri di Bryant. Sì farà? È ancora presto per dirlo, anche se Cuban ha già dichiarato che almeno i Mavericks avranno una canotta numero 24 sul soffitto dell’American Airlines Center.
Questa vicenda potrebbe essere l’occasione anche per parlare del valore di un certo numero sulla canotta, di come possa essere un modo per trasmettere una Legacy o di come invece sia la pseudo-iconoclastia che il ritiro del numero porta con sé a farlo, ma non è questo il momento. C’è poi chi ipotizza rivoluzioni, intitolazione dello Staples a Kobe, cambi della silhouette del simbolo NBA. La notizia è talmente grande da non avere termini di paragone, limiti. Tutto è possibile, niente è troppo eccessivo per onorare Bryant.
Tra atti spontanei e scelte organizzative la NBA si prepara dunque a concludere una stagione fuori dal comune e per la quale non ha fortunatamente ricette. Di fatto, parliamo di una Lega “vergine” in fatto di grandi addii. Per una serie di coincidenze, l’NBA ha potuto e potrà non affrontare questioni del genere per molto tempo. Su tutte il grande divario del fenomeno NBA stesso pre e post anni ’80.
Degli anni precedenti sono morti tutti i giocatori troppo distanti per essere presenti nella mente collettiva del mondo cestistico, con l’eccezione di Wilt Chamberlain, morto comunque molto tempo dopo le imprese sul campo. Troppo per essere ancora l’idolo d’infanzia di una grande parte dei fan, mentre le icone sono dei freschissimi 70enni (Frazier, Jabbar, Erving…). Il post anni ’80 è invece troppo vicino perché ci si debba preoccupare di perdere le leggende che animano i nostri spiriti.
Per questo motivo, questa stagione sarà tanto straordinaria, unica e mai vista prima quanto pionieristica, fornisce il campo per settare un modello che in un certo momento sarà purtroppo utile. Ma per Silver e per la Lega non c’è il beneficio della prima volta quest’anno, nessun errore permesso.
Quest’oggi ho deciso di omaggiare la leggenda di Kobe ripercorrendo tutte le tappe più importanti della sua carriera. Un viaggio attraverso la memoria, le immagini, gli eventi e le performance che lo hanno elevato a cestista immortale agli occhi di tutti. Sono 32, come la somma 8 e 24, ovvero i numeri di maglia indossati in questi 20 indimenticabili anni sui parquet. Allacciate le cinture, si parte.
1. Draft NBA – 26 giugno 1996
Dopo aver portato il primo titolo statale sempre alla Lower Merion High School, infrangendo il record di punti nel quadriennio liceale per la zona di Philadelphia detenuto da Wilt Chamberlain, l’ancora 17enne Kobe si dichiara eleggibile per il draft NBA. Il 26 giugno Charlotte lo sceglie con la chiamata numero 13, e come da accordi presi con Jerry West il giorno precedente, viene dirottato ai Lakers in cambio di Vlade Divac. Kobe aveva sostenuto un allenamento pre-selezione proprio con la franchigia californiana, dove aveva impressionato tutti.
Bryant diventa così il sesto giocatore di sempre a passare dall’high school ai “pro” saltando il college. A differenza degli altri, però, sarà il primo nel reparto guardie (il successivo sarà DeShawn Stevenson nel 2000). I primi cinque ad aver fatto tale salto sono stati Reggie Harding (1962), Moses Malone (1974), Darryl Dawkins (1975), Bill Willoughby (1975), Kevin Garnett (1995).
Il draft del 1996 viene considerato come uno dei più talentuosi e profondi di sempre, avendo prodotto giocatori del calibro di Kobe, Nash, Ray Allen, Iverson, Camby, Stojakovic, Marbury, Abdul-Rahim, J.O’Neal, A.Walker, Ilgauskas, Fisher, Kittles.
2. Debutto NBA – 3 novembre 1996
In tale data un mingherlino Kobe fa il suo debutto in NBA al Forum di Inglewood. Contro Minnesota gioca solo 6 minuti e 22 secondi tra la fine del primo quarto e l’inizio del secondo. Chiude con 0-1 dal campo e 0 punti. Nelle prime sei partite segnerà appena 20 punti totali. Chiuderà la prima stagione a 7.6 punti di media in 15.5 minuti a partita, in uscita dalla panchina. Il ruolo di guardia titolare al tempo apparteneva a Eddie Jones, secondo miglior giocatore e scorer in squadra.
3. All-Star Weekend, Cleveland – 1997
Il 18enne Kobe partecipa alla gara delle matricole, dove con 31 punti risulta il top scorer della intera partita. La rappresentativa dell’Est vince la partita e il premio di MVP viene conferito ad Allen Iverson. Kobe si rifarà però nella gara delle schiacciate, dove con una “dunk between the legs” da 49 punti si aggiudica il trofeo. Non è stata un’edizione memorabile, ma il giovane talento inizia a farsi conoscere dal mondo intero.
4. Lakers vs Jazz, Playoffs 12 maggio 1997
Semifinali di conference, gara 5 si gioca nello Utah. Shaq fuori per falli, il giovane Bryant in campo. Con il punteggio di 89-89 il rookie non ha paura né esitazione, decide di prendersi l’ultimo tiro sfidando Bryon Russell in 1vs1, il tiro è cortissimo e sfiora a malapena la rete.
In OT arriveranno altri tre airball (tutti dall’arco), uno di questi da completamente wide open. La serie finisce proprio in quella sera, 1-4 e si ritorna a casa. Quattro airball nei momenti cruciali del match. Al rientro ad L.A. Kobe richiede l’apertura della palestra dei Lakers, dove inizierà immediatamente ad allenarsi. Questo evento servirà da benzina per continuare a lavorare duramente tutta l’estate. La Mamba Mentality inizia a crescere sulle ceneri dei propri errori.
5. Poster su Ben Wallace – 1997
Alla pre-season 1997 si presenta un nuovo Kobe, acconciatura retrò in stile “afro” (che da li a poco farà nuovamente tendenza) e un fisico più tonico e rafforzato. Ad un certo punto del match….accadde questo! La reazione dei compagni e del pubblico fanno il resto. Il “posterizzato” è un certo Ben Wallace alle prime armi, uno che poi farà discrete cose nella Lega.
6. Kobe vs MJ – 17 dicembre 1997
Le movenze e l’attitudine di Kobe iniziano a richiamare le attenzioni di tutti. Le similitudini con Michael Jordan nello stile e nelle movenze sono evidenti, e il 17 dicembre i due finalmente si sfidano a viso aperto in una partita che passerà alla storia. Un clinic di fondamentali, di fadeaway, di canestri in acrobazia incredibili per entrambi i giocatori. Kobe fa registrare il suo massimo in carriera con 33 punti, 12-20 tiro e 3-5 da tre in 29 minuti dalla panchina. Jordan chiude con 36 punti e 54.5% dal campo, portando a casa il risultato sul +21 finale. Memorabile l’immagine del giovane Kobe che chiede consigli al suo mentore durante il corso della partita, da quel momento in poi il rapporto di rispetto e d’amicizia li legherà per sempre.
7. All-Star Game 1998 – Madison Square Garden
A soli 19 anni Kobe diventa il più giovane di sempre a partecipare ad un All-Star Game, e lo fa in grandissimo stile. Non era ancora titolare nella sua squadra, eppure ricevendo più voti di Kidd e del compagno Eddie Jones riesce a partire tra i cinque titolari dell’Ovest. Sul campo, nemmeno a dirlo, l’attrazione principale sarà ancora lui.
Una schiacciata in 360°, un alley hoop devastante in contropiede su alzata di KG, un numero di prestigio dietro alla schiena con gancio in faccia a Mutombo, le continue battaglie con MJ in post basso. Alla fine Jordan vince sia MVP che partita, ma Kobe con 18 punti in 22 minuti risulta il top scorer dell’Ovest, nonché il giocatore più elettrizzante e più acclamato del momento. La giovane promessa ormai ha già conquistato tutti, fans, colleghi e avversari inclusi.
8. “Work Ethic”
La stagione ’98-’99 inizia con un infortunio al polso destro. Kobe salterà le prime 15 partite, ma ciò non lo tiene affatto lontano dai campi. L’attitudine al lavoro continuo lo porta ad allenarsi pure in orari proibitivi, ancora in pigiama, e con la sola mano sinistra. Questa foto passa alla storia come l’emblema dell’etica al lavoro che costantemente ha spinto il giocatore a migliorarsi.
I Lakers hanno appena scambiato Eddie Jones agli Heat per fare spazio al nuovo astro nascente, inizia finalmente la vera carriera di Kobe Bryant.
9. “Kobe to Shaq” – 4 giugno 2000
Dopo una battaglia ad armi pari per l’intero corso della finali di conference, in gara 7 i Lakers sono sotto di 15 lunghezze con 10 minuti rimanenti sul cronometro. Ma in quell’istante qualcosa cambia e punto su punto raddrizzano la partita nel momento più importante della intera stagione. Il crossover di Kobe su Pippen e l’alzata per Shaq è probabilmente il momento più significativo di questa nuova corazzata. Lo Staples è una bolgia, Shaq è indomabile e i Lakers raggiungono la prima finale NBA dal 1991.
10. Lakers vs Pacers – Gara 4, Finals 14 giugno 2000
In gara 2 la guardia si gira una caviglia e dopo neanche 9 minuti deve lasciare il campo. In gara 3 viene preservato e Indiana accorcia le distanze portandosi sul 1-2 nella serie.
Gara 4, Indianapolis, partita tiratissima e overtime. Con 2.33 min sul cronometro, Shaq commette il sesto fallo e deve abbandonare la gara. Il palcoscenico ora è apparecchiato solo per lui, e lui non tradisce. Tre canestri importantissimi, di cui il tap in del +3 che chiuderà la partita con soli 5 secondi sul cronometro. Kobe in quel supplementare segna 8 punti con 4-5 al tiro, a fine partita sono 28 totali. In sei gare vincerà da protagonista il primo anello della sua carriera, ad appena 21 anni.
11. Secondo titolo vs Sixers – 15 giugno 2001
Contrariamente a come si pensa, Kobe non era giù di morale per non aver vinto l’MVP delle Finals o per il rapporto conflittuale con Shaq. Il motivo era un’altro, poi svelato dallo stesso giocatore alla rivista Times. L’estate precedente era convolato a nozze con Vanessa, con quel gesto il cestista ruppe definitivamente i rapporti con i suoi genitori. Il padre Joe non approvava la relazione con una donna di origini latine, così i genitori decisero di non presentarsi neppure alle nozze.
Kobe, immortalato negli spogliatoi con il trofeo in mano, era diviso da un sentimento contrastante…forse avrebbe voluto che i suoi genitori gli fossero accanto in quel momento. Purtroppo il rapporto non si sarebbe mai più sistemato.
12. All-Star Game, Philadelphia 10 febbraio 2002
Con il punteggio di 103 a 97 l’Ovest si aggiudica la partita delle stelle. Si tratta della quarta esperienza per Kobe, ma la prima dove viene incoronato MVP dell’evento. Top scorer della gara con 31 punti, 12-25 tiro, 5 rimbalzi 5 assist. Quella specifica manifestazione aveva una certa importanza per lui, dato che a Philadelphia era di casa avendo vissuto gli anni del liceo.
Voleva dimostrare di essere la stella più splendente proprio davanti ad amici e parenti, e ci riuscì ovviamente. A Philadelphia, però, non era particolarmente amato e durante la premiazione dagli spalti si sentirono copiosi i fischi nei suoi confronti.
13. Record di triple (12) – 07 gennaio 2003
Contro i Seattle SuperSonics Kobe fa registrare il record di triple segnate in una partita, 12-18 da tre (66.7%) con 45 punti totali e vittoria.
Infrange il precedente record appartenuto a Dennis “3D” Scott, siglato nel 1996. Il dato è oltremodo significativo se consideriamo che Kobe non era e non sarà mai uno specialista al tiro dall’arco. Fino a quella partita, in sei stagioni, non aveva mai concluso con una tripla di media ad allacciata di scarpe, tirando con percentuali di poco sopra il 30%.
Il record resterà nelle sue mani per altri 13 lunghi anni, quando poi i vari Curry (2016), Klay (2018) e LaVine (2019) alzeranno l’asticella. Il record attuale appartiene a Klay Thompson con 14.
14. Serie da 40+ punti (9) – 06-23 febbraio 2003
46, 42, 51, 44, 40, 52, 40, 40, 41 – Settimane assolutamente di fuoco nel quale non è mai sceso sotto i 40 punti segnati. Prima di lui c’era riuscito solo Wilt Chamberlain (in tre diverse occasioni), e Jordan (una volta nel 86-87). Per gli amanti delle statistiche, le medie in quella striscia sono queste: 44pt, 49.6% tiro, 47.1% da tre, 83.2% ai liberi in 41 minuti. Decisamente spaziale!
15. “Pass the torch” – 28 marzo 2003
L’ultima partita giocata tra Kobe Bryant e Michael Jordan può essere considerata a tutti gli effetti un passaggio di consegne, un lascito a colui che lo ha idolatrato e volutamente imitato più di chiunque altro al mondo. MJ aveva ormai 40 anni, mentre Kobe 24 e già tre anelli al dito. MJ chiuderà con 23 punti in 40 minuti, mentre Kobe con l’ennesima performance straripante: 55 punti, 74.5% TS% e addirittura 9-13 da tre (69.2%).
16. Fine primo ciclo – 15 giugno 2004
Dopo aver perso contro San Antonio nel 2003, i Lakers si erano rinforzati con l’aggiunta dei super veterani (in cerca del primo anello) Karl Malone e Gary Payton. La stagione è stata travagliata dagli infortuni e dalle terribili vicende giudiziarie accorse a Kobe. Oltrepassato lo scoglio Spurs, Detroit rappresentava l’ultimo ostacolo al titolo n.4 in cinque anni. Purtroppo per Kobe e i Lakers rimarrà tale. I Pistons battono i Lakers con un secco 4-1, la gara del 15 giugno sarà anche l’ultima per Kobe e Shaq assieme. Il loro rapporto era giunto definitivamente agli sgoccioli.
Finisce così il primo ciclo di Phil Jackson ai Los Angeles, finisce così il “duo” probabilmente più dominante di sempre.
17. “Welcome to the NBA big fella” – 12 novembre 2004
Di schiacciate incredibili ne ha fatte registrare moltissime in carriera, tra cui i le “in your face” a gente come Ben Wallace, Yao Ming, Emeka Okafor, Nash, Nesterovic.
Ma forse la più impressionante e potente rimane quella inflitta al rookie Dwight Howard: video da riguardare in loop all’infinito. Kobe ci ha regalato un poster speciale per le nostre cambrette. Thanks dude.
18. 81 punti vs Raptors – 22 gennaio 2006
In tale data si fa la storia, Kobe realizza la seconda gara più prolifica del gioco davanti al pubblico di casa letteralmente impazzito. Solo Wilt Chamberlain, tutt’ora, gli sta davanti.
81 punti, 7-13 da tre, 18-20 liberi, 73.9% TS% e 158 di Off.Rating: non serve aggiungere altro.
19. 35.4 punti di media – stagione 2005-06
Dal 1987, ovvero da Michael Jordan, nessuno aveva segnato tanto durante una stagione regolare NBA. Meglio di lui, al tempo, solo Wilt Chamberlain (5 volte), Jordan (1) e Rick Barry (1). Kobe fa registrare anche il più alto Usage% di sempre con 38.7%, superando di poco il 38.29% di MJ. Westbrook (41.65%) e Harden (40.47%) batteranno poi tale record in futuro.
Il quintetto iniziale dei Lakers quell’anno era composto da Kobe, Lamar Odom, Chris Mihm, Smush Parker e Kwame Brown. Le prestazioni incredibili del Mamba riescono a trascinare la squadra(ccia) ugualmente ai playoffs con il record di 45-37, settimi ad Ovest. Stagione impressionante!
20. Game Winner vs Suns, gara 4 primo turno PO – 30 aprile 2006
Per questa sequenza non serve alcuna spiegazione, il video parla da solo. Purtroppo in gara 7 i Lakers verranno sconfitti da Nash e soci. Questo risulterà anche l’ultimo game winner ai playoffs in carriera per Bryant.
21. MVP – stagione 2007-08
Il suo primo e unico MVP della “regular season” in carriera lo ottiene nel 2008, dopo una stagione a livello individuale molto positiva da 28.3 punti, 6.3 rimbalzi, 5.4 assist e 57.6% TS%. In quell’anno Kobe gioca tutte e 82 le partite riuscendo ad elevare il gioco della squadra, grazie anche all’arrivo di un certo Pau Gasol. Arrivano 15 vittorie in più rispetto alla stagione precedente e chiudono in vetta all’Ovest con il record di 57-25.
I Lakers, dopo tre anni di media-bassa classifica, tornano nuovamente grandi. Raggiungeranno poi la finale, persa in 7 gare contro i rivali di una vita, i Celtics.
22. “Redeem Team” – Olimpiadi di Pechino 2008
Dopo le delusioni internazionali del 2002, 2004 e 2006, Kobe decide finalmente di partecipare alla sua prima esperienza con la nazionale americana. Eletto capitano della spedizione, il quasi trentenne Bryant risultava essere l’unico campione NBA in squadra, e il secondo più anziano del gruppo dietro a Jason Kidd.
Con i vari LeBron, Wade, Bosh, Melo, Love, Howard in squadra, le doti di leadership e l’assidua etica al lavoro del veterano avranno un decisivo impatto sul rendimento del così denominato Redeem Team. In finale affrontano la Spagna, dove Kobe chiude con 20 punti, 6 assist, 66.7% tiro e alcuni canestri determinanti sul finale di gara. Team USA torna sul tetto del mondo dopo svariati anni, Bryant torna a vincere qualcosa di rappresentativo dal 2002, suo ultimo titolo NBA.
Chiude la competizione come terzo miglior marcatore del Team USA dietro a Wade e LeBron, con 15 punti a sera. Nel 2012 bisserà il risultato nelle Olimpiadi di Londra, sua ultima apparizione con la nazionale.
23. 61 punti @ Madison – 02 febbraio 2009
Ancora oggi la prestazione migliore per un giocatore avversario alla Madison Square Garden, considerato e soprannominato da tutti “La Mecca del Basket”. Record pareggiato da Harden la scorsa stagione, il record assoluto al Madison appartiene a Carmelo Anthony con 62, in maglia Knicks.
61 punti con sole tre triple a bersaglio, 76.6% TS%, 20-20 ai liberi. A fine gara disse che i 61 furono colpa di Spike Lee, non serve che vi spieghi il perché.
24. Quarto titolo – 14 giugno 2009
Con un secco 4-1 i Lakers si sbarazzano dei Magic e tornano ad essere campioni NBA.
Kobe vince finalmente il premio di MVP delle finali della sua carriera, dopo l’oro Olimpico arriva il titolo più prestigioso da totale protagonista. In gara 1 mette subito le cose in chiaro con una partita da 41 punti, 8 rimbalzi e 8 assist e 100-75 Lakers. Straripante.
Chiuderà la serie con 32.4 punti di media in quasi 44 minuti a partita.
25. Lakers vs Boston, gara 5 – “Solo sull’isola” – 13 giugno 2010
La celebre frase di Federico Buffa durante gara 5 delle Finali del 2010 non poteva essere più azzeccata. Kobe segna 23 punti consecutivi per i Lakers, di cui 19 nel solo terzo quarto. Colpisce gli avversari al TD Garden in qualsiasi modo possibile immaginabile. Chiuderà la gara con 38 punti e 61.4% TS%, ma Boston si aggiudicherà ugualmente la vittoria grazie ad un Garnett sontuoso.
26. Quinto titolo -17 giugno 2010
Nonostante una gara sette non memorabile, e in generale delle Finals molto difficili, Kobe riesce a vincere il titolo più importante e sudato della sua intera carriera. In sette gare, davanti al pubblico di casa, Bryant riesce a vendicare la sconfitta più cocente che gli sia mai stata inflitta, sempre una gara 7 ma a Boston, due anni precedenti.
Giustizia è fatta, secondo anello consecutivo. Ne rimane solo uno per acciuffare il suo mentore, per raggiungere Mike. Purtroppo gli anelli si fermeranno qua, ma sicuramente le Finals più iconiche e combattute per Kobe Bean Bryant.
27. Rottura tendine d’Achille – 12 aprile 2013
Dopo due stagioni un pò anonime, con gli acquisti di Dwight Howard e Steve Nash in offseason la franchigia voleva tornare a gareggiare per il titolo. Purtroppo però tra infortuni e incompatibilità di gioco, i Lakers faticano per l’intero arco di stagione. Nelle ultime settimane Kobe ha dato il 200% sui campi per cercare di assicurare ai suoi un posto ai playoffs.
Dalla partita contro i Kings del 30 marzo fino alla gara incriminata del 12 aprile, la guardia gioca sette partite consecutive con una media di 45 minuti a sera, qualcosa di folle. Il 10 aprile gioca addirittura 48 minuti filati senza mai rifiatare, segnando 47 punti e riuscendo a battere Portland.
Purtroppo la sollecitazione continua a tali sforzi ha portato alla rottura del tendine d’Achille nella gara successiva, quella del 12 aprile, davanti ad un pubblico di casa attonito. Kobe riversa a terra dolorante, si rende immediatamente conto della gravità. Si fa forza, si rialza, a stento riesce a camminare ma segna ugualmente entrambi i tiri liberi per portare la gara in parità con 3 minuti sul cronometro, ed esce dal campo sulle sue gambe.
I Lakers faranno i playoffs senza il loro leader e perderanno 0-4 contro San Antonio. Kobe rientrerà la stagione successiva, ma da allora il suo rendimento in campo e il suo atletismo non saranno mai più gli stessi. In agosto spegnerà 35 candeline.
28. Kobe sorpassa Michael – 14 Dicembre 2014
Una data importantissima per la lunga carriera di Kobe Bryant: con un tiro libero a Minnesota segna il punto n. 32.293 della sua carriera. Il timeout darà la possibilità a tutti di congratularsi con lui, pubblico e fans inclusi. Eh già, Kobe non è riuscito a battere o eguagliare MJ nel numero di titoli NBA, ma riesce a superarlo nella classifica totale di punti (seppur con un numero molto maggiore di partite).
Kobe diventa così il terzo miglior scorer della storia NBA, dietro solo a Jabbar e Malone. Solo di recente LeBron è riuscito a scalzare Kobe, sappiamo tutti cos’è successo la mattina dopo….destino infame….
29. “Dear Basketball” – 29 novembre 2015
Tramite “The Players’ Tribune”, Kobe pubblica la lettera con cui preannuncia il ritiro dal basket giocato a fine della medesima stagione 2015-16. Le parole sono scritte a cuore aperto, un tripudio d’amore e di emozioni per quello che rappresenta a tutti gli effetti il suo amore più grande e profondo, la palla a spicchi.
Nel 2017 viene prodotto un cortometraggio animato diretto da Glen Keane che vincerà l’Oscar nella categoria “Miglior cortometraggio d’animazione 2018”. La voce narrante è proprio quella di Kobe. Emozioni a profusione.
30. Ultimo All-Star Game – 14 febbraio 2016
Con 1.891.614 voti Kobe è il più votato nel mondo. Gioca così il suo 18esimo e ultimo All-Star Game di carriera. Solo da rookie e da infortunato (2015) non partecipa alla manifestazione, in 20 anni di carriera. Per il 36enne la partita è quasi un pro-forma, una gara d’addio dove tutti gli riservano
il giusto tributo, dove Kobe con il suo discorso ringrazia e passa il testimone ai nuovi talenti della NBA. Kobe è leggenda, ha fatto la storia del gioco e della “Gara delle Stelle”, dove con 4 MVP guarda tutti dall’alto verso il basso assieme a Oscar Robertson, Michael Jordan e Bob Pettit.
31. Mamba Out – 13 aprile 2016
L’ultima stagione è stata a tutti gli effetti un tour d’addio per gli stati dell’America organizzato in grande stile. Ogni squadra o città riservano il giusto tributo alla stella losangelina, il culmine lo si avrà proprio durante l’ultima partita di carriera. Siamo chiaramente allo Staples di Los Angeles, non manca proprio nessuno, il teatro perfetto per un’uscita di scena perfetta, alla Kobe.
Tutti lo cercano, tutti lo incoraggiano a tirare, e figuriamoci se uno come lui si tira indietro. Chiude la gara con 60 punti, una rimonta pazzesca guidata proprio dal condottiero più pregiato, con vittoria finale. Il pubblico lo acclama, lo ama dal profondo. Sono state 20 lunghissime stagioni, di gioie, di dolori, di lacrime e soprattutto di emozioni. Chiude con un doveroso ringraziamento, e con l’iconica frase (poi ripresa pure da Obama):
“What can i say? Mamba Out”
32. Ritiro maglie – 19.12.2017
In 614 giorni dalla sua ultima partita giocata, Kobe non aveva più messo piede allo Staples per una partita ufficiale. Forse troppi ricordi, forse troppe emozioni contrastanti…ma in quella occasione il Mamba fa il suo ritorno, nuovamente in grande stile.
“Le maglie che vedevo appese ogni volta entrando in campo hanno avuto grande impatto su di me, erano ispirazione pura. Spero che anche le mie avranno lo stesso effetto per i grandi campioni che giocheranno qui in futuro”.
Per la prima volta nella storia della Lega una squadra ritira per sempre due diverse maglie per lo stesso giocatore, saranno per sempre immortalate lassù, in alto, dove proprio Kobe continuerà a guardarci con sprezzante fierezza.
05 seconds on the clock
Ball in my hands.
5 … 4 … 3 … 2 … 1
Love you always,
Kobe.