Come on,
Baby don’t you wanna go?
Back to that same old place,
Sweet home,
Chicago!
Stando ad una indiscrezione di Shams Charania, la NBA avrebbe invitato Derrick Rose a partecipare allo Skills Challenge nella sua Chicago, e badate che non è mica un’operazione di marketing! Offuscato dal disastro di stagione dei Pistons, Rose sta guidando uno dei migliori attacchi NBA – numeri alla mano – a dispetto di compagni di ventura non certo di primo livello.
Quando entra in campo il #25 da Simeon High, Detroit diventa un’altra squadra, soprattutto se la palla è affidata regolarmente alle sue mani. Nonostante la verticalità non sia più quella di dieci anni fa e la parsimonia con cui dosa i cambi di direzione brucianti, lo spazio di manovra disponibile in questa era di pallacanestro gli permette ancora di essere uno dei migliori playmaker in circolazione. Pazienza se i minuti devono rimanere molto più vicini ai ventiquattro che ai trentasei e i back-to-back sono spesso in dubbio, D-Rose ha imboccato la strada di casa – in tutti i sensi.

Partiamo dai numeri. Innanzitutto, che si confrontino i dati per 36 minuti o per 100 possessi, le cifre nelle counting stats sono ai livelli del 2011, anno dell’MVP. Senza dubbio una bella notizia, che la dice anche lunga su quanto sia più facile la vita per gli attaccanti in questa era dell’NBA rispetto ad una decina di anni fa.
Il quintetto con cui Rose ha giocato la maggior parte dei possessi in questa stagione (123, per CTG) è composto da Wood, Galloway, Mykhailiuk e un Morris – che si presume essere sempre lo stesso. Nonostante siano tutti giocatori limitati, se si esclude qualche sporadica iniziativa di Morris, questo quintetto oscilla fra il 99° e il 100° percentile per produzione offensiva, efficienza e palle perse fra quelli con almeno 100 possessi giocati. Una macchina da pallacanestro che genera oltre 140 punti per 100 possessi concedendone solo 103, nel 99° percentile per efficiency differential.
Il secondo quintetto in cui Rose è più utilizzato (74 possessi), con Kennard, Snell, Griffin e Drummond – i titolari, per intendersi – è, invece, una vera e propria tragedia cestistica. Vi risparmio i numeri per questioni di decoro, ma è evidente che giocare con due lunghi sia improponibile anche a causa delle condizioni fisiche di Blake Griffin, che lo hanno reso molto più statico le poche volte in cui è riuscito a scendere in campo. Senza Griffin, indipendentemente da chi siano i quattro compagni, Rose guida una squadra abbondantemente sopra il 90° percentile sia per efficienza che per produzione offensiva e con un buon +4 di efficiency differential, saldamente al di sopra del 70° percentile.
Con Rose sul parquet i Pistons passano dall’essere uno dei peggiori attacchi ad uno dei migliori e superano i propri avversari di 9 punti in più per 100 possessi rispetto a quando è in panchina, un ritmo che a livello teorico garantirebbe loro +22 expected wins; un dato pari a quello di Harden, doppio rispetto a Giannis, triplo rispetto a Doncic e di poco inferiore a LeBron (+29) e Chris Paul (+27).
Se si parla di sesti uomini, solo campioni come Odom e Ginobili, giocando in squadre da titolo con panchine ben equipaggiate, hanno saputo fare di meglio. Ultima appendice statistica: i Pistons sono più Rose-dipendenti di qualunque squadra in cui Derrick abbia giocato, il 32% dei loro canestri e il 45% degli assist totali nascono dalle mani del figlio di Chicago; mentre uno usage sopra il 30% e più di 10 punti a partita in area non si vedevano dai tempi dei dei Bulls.
Visti questi numeri viene spontaneo chiedersi se D-Rose meriti anche un’apparizione domenicale all’All-Star Weekend di casa propria. Sarebbe un’impresa senza precedenti e la garanzia di un biglietto per la Hall of Fame. Sarebbe la definitiva riappacificazione con la sua città, dove “hanno ricominciato a cantare ‘MVP!’ perché è più facile che chiedere scusa”, scrive Sam Smith. Sarebbe l’inizio della seconda vita cestistica di un giocatore unico, che dopo aver toccato il fondo ha avuto il coraggio di buttarsi nell’abisso per andare a ripescare Pooh, l’MVP dato per disperso che lui sapeva di avere ancora dentro. Tutto questo ha dello straordinario perché Derrick Rose non si è reinventato, ha semplicemente ritrovato la strada di casa; e la sua casa su un campo da basket è avere palla in mano, un blocco da sfruttare e una via verso il canestro da immaginare.
Nel video qui sotto potete notare tre pick’n’roll consecutivi: canestro al ferro, scarico, floater.
Da cosa si capisce che Rose è di nuovo a suo agio? Molto semplice, basta osservare la difesa. Se, come in questo esempio, non importa che scelte facciano i difensori perché lui arriverà sempre e comunque dove vuole a fare quello che vuole, si tratta di un buon segno. Un bravo giocatore riesce a prendersi quello che la difesa gli concede, poi ci sono quei pochi eletti che riescono a manipolare una difesa a proprio piacere. La calma con cui si infila fra tre Celtics nell’ultima clip è disarmante e viene dalla consapevolezza di aver fatto il passaggio giusto al momento giusto nell’azione precedente. Non appena i difensori ritornano a marcare i propri uomini sul perimetro, Rose accelera e segna facilmente con un floater che per lui è quasi automatico.
Mentre dieci anni fa avrebbe fatto quello che voleva perché i tre Celtics non sarebbero mai arrivati in tempo per fermarlo, adesso ha semplicemente aspettato che arrivassero e anche che se ne andassero., accelerando solo nel momento decisivo. Stessa accelerazione che si vede nella prima clip non appena capisce che Boston spera di arginarlo con una difesa sul pick’n’roll decisamente non aggressiva abbastanza.

In un gioco che va sempre più uniformandosi nello stile, Rose ha successo proprio rimanendo fedele a sé stesso. Il tiro da 3 è assestato su percentuali accettabili, ma rimane una delle ultime risorse perché rappresenta una vittoria della difesa nella maggior parte delle circostanze; mentre è la pericolosità nella zona intorno al pitturato a rendere D-Rose un puzzle difficilmente risolvibile per le squadre avversarie. Se si è bravi a sfruttarla, l’imprevedibilità vale molto di più di un expected shot value un po’ più alto!
Per togliere la possibilità di tirare a Rose, i due Celtics abbandonano Drummond:
E anche quando sembra che le cose volgano al peggio…
Come tutti i più grandi scorer, Rose ha la capacità innata di togliere le castagne dal fuoco quando l’attacco va a finire in un nulla di fatto, e spesso questi sono i canestri più pesanti perché demoralizzano una difesa che – finalmente – era riuscita a fare un buon lavoro. Vi lascio con una carrellata di highlights dalle ultime 8 partite consecutive sopra i 20 punti, e, spero, con la consapevolezza che un eventuale viaggio all’All-Star Game di Chicago non sarebbe un regalo ma la conferma definitiva che Pooh ha finalmente ritrovato la strada di casa.