“Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…”
No, non è l’inizio di un nuovo capitolo di Star Wars, è solo la prefazione della nostra storia.
Anche se non siamo in una galassia lontana lontana, il nostro racconto parte dal passato, precisamente nel 1990 ad una gara 7 delle Eastern Conference Finals.
I Chicago Bulls di Jordan, Pippen e Phil Jackson vengono sconfitti 74-93 dai Detroit Pistons (allora ignari che quello sarebbe stato il loro “canto del cigno”) e per Air Jordan è l’ennesima sconfitta. Il 23 se la prende senza mezze misure con i compagni, che a suo dire non si impegnano abbastanza e dalla frustrazione arriva anche a distruggere una sedia (così si narra almeno).
“Egoista“, “pensa unicamente a segnare a differenza di uomini-squadra come Magic o Bird“, “giocando così non vincerà mai un titolo“.
Queste erano le critiche più gettonate che si facevano sempre più insistenti dopo il sesto anno in cui MJ falliva l’accesso alle NBA Finals (e con esse alla possibilità di conquistare un anello). Perché per molti, nonostante le doti di Jordan fossero ormai lampanti, i suoi limiti (la non fiducia nei compagni in primis) erano più grandi dei suoi immensi pregi, talmente grandi da impedirgli di raggiungere l’ambito titolo.
Per farla breve, Jordan era considerato un perdente.
Nel ’91 la musica cambia: Grant e Pippen si affermano come partner eccellenti, Jackson convince Jordan ad avere maggiore fiducia nei compagni: Michael inizia a credere e fidarsi della sua squadra – e allo stesso tempo i Lakers di Magic e i Bad Boys di Detroit raggiungono la fine del loro ciclo. Sarà l’inizio dell’era Bulls e del mito di Michael Jordan.
Ma perché ho iniziato parlando di uno scorcio della carriera di Jordan in un articolo su Harden, scomodando paragoni discutibili?
Perché il Barba e Air non hanno in comune solo il fatto di essere due dei più grandi scorer della storia di questo sport e le critiche simili a loro rivolte in un determinato momento della carriera, entrambi hanno avuto “quel momento” dove è scattata un qualcosa dentro che li ha fatti crescere iniziando a credere nei compagni.
Se per MJ questa cosa ha coinciso con un titolo (e poi altri), per Harden la scintilla si è accesa dopo la pesante sconfitta ai playoff 2017 contro gli Spurs, con Ginobili a stoppare il Barba stesso nel finale.
Le due stagioni dopo vedono CP3 accanto ad Harden e i Rockets, sfruttando un gioco basato sugli isolamenti con il Barba leader Maximo del sistema, si trasformano in una delle squadre, dati alla mano, più forti di questo decennio. Ma i titoli nei due anni di convivenza tra Harden e Paul non arrivano e il motivo principale è evidente: lo strapotere dei Golden State Warriors.
Houston e Harden perdono nel 2018 a G7 dopo una serie incredibile, in cui i razzi sbaglieranno 27 triple consecutive, segnata dall’assenza di Chris Paul nella gara decisiva; nel ’19 i GSW vinceranno in 6 gare nonostante un Harden trascinatore (35 pts/7 reb/5.5 ast col 44-35-82 e il 59.4 di TS%), con grandi colpe al coach D’Antoni per non aver cambiato i piani a serie in corso. Sarà la fine per Paul ai Rockets e l’arrivo di Russell Westbrook, che ci catapulta così nuovamente nel presente dopo questo piccolo viaggio nel tempo.
Apriamo ora una piccola parentesi: cosa è cambiato quel giorno nella carriera di Jordan?
Per MJ stesso è cambiato tutto, perché ogni sportivo ha come obiettivo in carriera la vittoria del massimo riconoscimento possibile (in questo caso un anello NBA).
Per chi dovrebbe “giudicare” Jordan unicamente per le sue abilità come giocatore non è cambiato e non dovrebbe cambiare praticamente nulla. I difetti di His Airness non sono spariti di colpo e i suoi punti forti non sono diventati ancora più forti per merito di una serie di finali NBA.
E questo concetto vale per tutti, anche per chi ha fatto scelte poco popolari (Durant ai Warriors) o per chi, nonostante stia continuando a stupire, non ha mai vinto un anello (James Harden).
Finita questa prefazione possiamo dire due grandi verità su James Harden:
- è il più grande scorer di questa era cestistica;
- è il giocatore più odiato e divisivo della lega.
Andiamo quindi a esaminare gli aspetti del suo gioco che lo rendono tale.
Gli Houston Rockets hanno attualmente un record di 26-12, lo stesso di Denver e Utah, alle spalle solo delle due di LA (con un Off Rtg di 113.7, alle spalle dei soli Mavs), ancora una volta trascinati principalmente dalle prestazioni di un mostruoso James Harden.
Dopo un inizio di stagione in cui la squadra ha patito lo swap tra CP3 e RW0 e tutto ciò che ne comporta (pace, % al tiro, dubbi ancora maggiori da parte degli appassionati ecc) e in cui si è visto tutto il peggio dei texani, con una difesa capace di subire 158 punti (senza overtime) contro i Washington Wizards o incapace di reagire ai Miami Heat, e un attacco che ha visto Westbrook in alcune gare utilizzato da 3 & D e Harden soffrire per carenza di spacing, aspetto in cui Houston è sempre stata brillante in questi anni, i Rockets sono stati in grado di rialzarsi quando l’alchimia tra Westbrook e gli altri Rocket ha iniziato a dare i primi segnali.
Superate le prime gare in cui ha dovuto un attimo ricalcolare alcuni aspetti del suo gioco, James Harden è tornato ad essere ancora più devastante di quanto non si era mai visto prima.
ISO-KILLER
Siamo al 17 Novembre 2019, a Minnesota. Houston è decimata dagli infortuni e si affida al solo Harden per vincere la gara. Il Barba vincerà la partita segnando 49 punti finali, ma con 41 tiri totali e un 8/22 da 3.
Un canestro in particolare fa discutere: sul 117-103 per Houston, Harden riceve e dopo una mezza finta mette giù palla e inizia la sua danza per sbilanciare Culver. Il rookie non abbocca alle continuate finte del 13 (gli altri Rocket sono tutti immobili a guardare il Barba) e alla fine Harden fa un passo indietro e decide di punirlo in step back.
La palla entra e si trasforma immediatamente in una miccia che accende le polemiche dei critici di Harden e del gioco di Houston, esasperati da un gioco monotono e noioso, in cui i compagni di Harden si riducono a un ruolo quasi da spettatori, al punto da arrivare a definire questo gioco “anti-basket”.
Quando nel 2012 Morey portò a Houston il fresco Sixth Man of the Year, convinto di farne la nuova star della squadra e del progetto Moreyball, mai avrebbe sognato di trovarsi tra le mani un giocatore di questa portata. Perché James Harden è un giocatore polarizzante come pochissimi altri nella storia della lega: lo dicono i numeri, lo dicono i suoi diretti avversari, lo dicono i coach avversari, lo dicono i gameplan difensivi a lui riservati, con squadre ultimamente disposte a giocare 4vs3 costante, facendo partire un raddoppio sistematico sul Barba non appena supera la metà campo.
E in un basket dove vale la regola del “3 punti sono meglio di 2”, Harden e Houston si sono resi unici e incredibili per un aspetto particolare.
Se le altre squadre hanno studiato le più varie soluzioni per aumentare la mole dei propri tiri dall’arco, chi sfruttando maggiormente i drive & kick, chi utilizzando la motion offense e i continui PnR, ecc. Houston basa il suo gioco sulla fredda matematica e su un concetto semplicissimo quanto giusto: massimizzare all’estremo le doti della propria superstar.
E sia Harden che Houston non hanno un grande feeling col tiro dalla media, preferendo tiri al ferro o triple a ripetizione, per lo più forzate e dal palleggio o in step back, il suo marchio di fabbrica.
Ora, per un normale giocatore NBA questa situazione sarebbe sbagliata, non perché ci sia un codice o un preciso gioco da rispettare, semplicemente perché sono tiri più facilmente contestabili e fuori ritmo. Ma James Harden non è affatto un giocatore normale e riesce a tramutare in numeri mostruosi un gioco che per il resto della lega non sarebbe produttivo.

E i numeri stagionali spiegano anche il perché: non solo il Barba sta registrando 37.7 ppg (col 45.3 di FG%, 38% da 3 e il 64.5 di TS%) in 37 minuti di media, ma è ancora una volta il giocatore con più punti per possesso tra quelli che giocano almeno 2 isolamenti a gara con 1.16 punti per possesso. Il secondo in questa classifica è Jrue Holiday con 1.10 ppp, con l’unica differenza che tra Harden e Holiday ci sono 12.6 isolamenti a partita di differenza (Harden 14.9 – Holiday 2.3), dato che il Barba gioca in ISO il 44% del suo tempo, affermandosi ancora una volta come il giocatore di gran lunga più efficiente e più utilizza l’isolamento come arma.
Quando Harden conclude l’isolamento con un tiro a canestro genera 1.36 ppp; quando invece si finisce con dei tiri dalla lunetta il dato sale oltre gli 1.50 ppp. Se Harden invece decide di scaricarla Houston genera circa 1.15 ppp. Inoltre, Harden perde pochissimi palloni quando va in isolamento, tanto che la sua Turnover frequency è del 6.3%.
E per quanto riguarda lo step back? Harden ha tirato 293 triple in step back finora, segnandone il 39.6% (che equivalgono a 1.15 ppp!). Per fare un confronto, basti pensare che Harden in isolamento produce gli stessi punti per possesso (116.0) del miglior half-court offense della lega che sono i Mavs. Questo significa che un possesso in isolamento di James Harden è più remunerativo di qualsiasi schema che una squadra possa disegnare.
DOUBLE TEAM
Pochi giorni dopo la gara contro i T-Wolves, esattamente il 20 novembre, Houston sfida Denver e perde. Harden segna “solo” 27 punti, prende solo 16 tiri e perde 8 palloni, soprattutto per merito della difesa di Denver, che decide di abbandonare la single coverage sul Barba per raddoppiarlo in tutte le zone del campo in modo da limitare la sua mole offensiva.
La strategia di coach Malone funziona, tanto che nelle partite successive i Clippers e i Mavericks scelgono di adottare la stessa tattica che si rivela ancora una volta vincente ai fini del risultato: le squadre avversarie decidono di raddoppiare continuamente il Barba, non solo in caso di uscita da un blocco (cosa che accade per Steph Curry) o negli ultimi secondi del cronometro, ma non appena è in ISO-zone.

L’obiettivo degli avversari è quello di togliere palla dalle mani ad Harden anche a costo di giocare 4vs3. Mai prima d’ora si era vista una marcatura così estrema su un singolo giocatore, tanto che Houston e Harden impiegano qualche partita per trovare le giuste contromisure.
Dopo il blowout subito contro gli Spurs, dove Houston perde le staffe dopo un clamoroso canestro non assegnato al Barba e si fa rimontare 22 punti per poi perdere nel 2OT (altra partita-simbolo della stagione per i critici dei razzi), la situazione inizia a cambiare, con coach D’Antoni che inizia ad elaborare strategie in grado di counterare questo tipo di difese e con Harden che dimostra di poter essere in grado di migliorare offensivamente ancora in qualcosa: a livello di efficienza e nella capacità di controllare la gara.
Harden interpreta ogni gara come una grande partita a scacchi in cui è sempre in grado di trovare la mossa vincente, anche muovendo i suoi compagni come pedine in una scacchiera.
Il fatto di avere accanto un giocatore come Westbrook porta ad un aumento del pace (dal 27esimo posto al secondo), inoltre Brodie è un giocatore che può essere devastante in superiorità numerica. Lasciare un ex MVP più libero da marcature a causa delle sue scarse % da tiratore, sembra essersi rivelata ben presto un’arma a doppio taglio per le difese avversarie: Russ non solo ha più spazio per scatenarsi al ferro, attaccando lo spazio creato dai raddoppi sul Barba e, inoltre, è in grado di fare da secondo playmaker per Capela/Hartenstein o i tiratori, prendendo così sempre più potere nel nuovo sistema di una Houston sempre più “a due teste”.
Il Barba sta approfittando della differenza di ritmo di Westbrook rispetto a Paul e della sua maggiore capacità di dare un diverso gioco a Houston. Come? Tirando più spesso nei primi secondi dell’azione (quindi ancor prima che il raddoppio sia già stabilmente su di lui) e giocando vari schemi offensivi off the ball per favorire il suo compagno di reparto.
I frutti dell’intesa tra Harden e Westbrook stanno finalmente mostrando risultati positivi anche in campo e non solo nella loro grande amicizia:
- Harden tira il 10% in meno dei suoi tiri negli ultimi 7 secondi del cronometro rispetto all’anno scorso.
- I tiri open/wide open del Barba sono aumentati del 2.3%.
- Nell’ultimo mese ha concluso con 35.3 punti di media (37.3 a dicembre), continuando la sua incredibile media realizzativa al di là dei raddoppi
- Le sue percentuali al tiro sono incrementate: 47.6 di FG% con 81% ai liberi (7.8 liberi a gara, molti in meno rispetto ai suoi standard) e 44.2% da 13 (con 12.5 triple tentate a gara) col 64.1 di TS%.
- Inoltre, nelle ultime 24 gare Harden ha già disputato 15 gare tirando sopra il 50%, un incoraggiante segnale rispetto ad anno scorso dove fece solo 23 gare col 50+ di FG% in 78 partite giocate.
Avere maggiori responsabilità offensive ha avuto l’effetto di una iniezione di fiducia per l’ex OKC, che nell’ultimo mese ha mostrato incredibili progressi.
Partiamo dal più importante: nell’ultimo mese i Rockets hanno avuto un Off Rtg di 116.4 e un Def Rtg di 102.2 nei minuti con Russ in campo e Harden fuori, che vale a Houston +14.2 di net rating, con RW0 a registrare 35.4 pts e 9.6 ast sui 75 possessi in quei minuti. Una netta inversione di tendenza rispetto ai Rockets della prima parte di stagione, che vedevano il Net Rating dei minuti di Westbrook senza Harden in doppia cifra ma al negativo. Russ sta affinando sempre più l’intesa coi compagni e i compagni sono ormai preparati a giocare ai suoi ritmi.
Inoltre, nelle ultime 14 gare disputate dal numero 0 le medie sono di: 28.3 pts, 7.2 reb, 6.7 ast col 46.8% dal campo (51% da 2 e 26% da 3… 44% dal midrange), l’86% dalla lunetta e il 54.5 di TS%, il tutto condite da un record di 11W e 3L e il miglior defensive rating della squadra.

Se fermare James Harden in single coverage è praticamente impossibile, ora il Barba e i Rockets sembrano aver già trovato le contromisure anche per contrastare i raddoppi e trarne vantaggio, rendendo la star dei texani ancora più un rompicapo irrisolvibile per i coach avversari.
“If you look at James Harden in an isolation environment, he may be the greatest scorer in the history of our game. I mean that.”
Brett Brown – coach dei 76ers)
DIFESA
La lista dei giocatori universalmente riconosciuti come grandi difensori è ormai nota: Antetokounmpo, Gobert, Green, Davis, Butler, Smart, ecc. Così come è quasi una certezza quella di leggere Harden tra i nomi annoverati come i peggiori difensori della lega.
Perciò risulterà sorprendente scoprire che Harden è uno dei giocatori che in assoluto concede meno punti per possesso come difensore primario (tra quelli con almeno 200 poss.) per Synergy Sports, finendo nella lista dei primissimi assieme a difensori più o meno di livello come Giannis, Adebayo, Butler, Theis o M.Gasol.
Questo perché Harden in alcune situazioni di gioco è un difensore d’élite.
Innanzitutto in post, dove il Barba eccelle grazie a una combinazione di grande forza di baricentro/gambe e mani veloci e precise e riesce a tenere testa anche ad avversari fisicamente più grandi di lui. Harden è uno dei giocatori più sfidati in post up, basti pensare che solo Dwight Powell ha subito più tiri dal post (53 contro i 45 del Barba), eppure tra quelli con minimo 20 tiri dal post contro è il prodotto di Arizona State quello che concede meno PPP con 0.49, frutto di solo 10 canestri concessi su 45 tentativi (22%).
Il sistema di Houston, fatto di continui cambi difensivi, tende a mettere Harden a marcare in post un giocatore più alto di lui, per dargli la percezione di trovarsi in situazione di vantaggio. Ma questo non è il caso date le abilità di The Beard, che è bravissimo a contenere anche attaccanti forti dal post, come è ad esempio accaduto con Pascal Siakam.
Ed è proprio questo gioco fatto di switch continui, creato da Jeff Bzdelik e applicato tuttora nonostante il suo addio, che ha reso Houston una squadra in grado di tenere testa anche a Golden State, trasformando una difesa above average in una difesa di livello. Houston cerca sempre di “proteggere” Harden spingendolo spesso verso il giocatore offensivamente meno pericoloso ed, inoltre, la serie di cambi e movimenti difensivi fa sì che Harden arrivi ad occuparsi di una sorta di area piuttosto che direttamente sull’uomo, giocando di fatto una “anti – box and one defense” che quando riesce (Houston deve ancora trovare una continuità difensiva quest’anno) è veramente efficace.
Questo perché il coaching staff dei Rockets conosce benissimo i limiti difensivi della sua star e cerca di nasconderli grazie a un lavoro extra del supporting cast. La difesa di Harden in isolamento è élitaria (87th percentile con 0.64 ppp concessi) e questo lo deve anche al lavoro dei suoi compagni. Il Barba è bravo a non commettere troppi falli in queste situazioni (forse perché conosce i trucchi del mestiere) e ha un buon movimento di piedi, ma ogni tanto lascia il suo uomo partire per tentare una rubata o una stoppata da dietro, confidando nell’aiuto degli altri che non sempre sono preparati a queste sue disattenzioni.
Ed è proprio la sua scarsa grinta difensiva in alcune situazioni di gioco a renderlo soggetto a critiche. Se Harden risulta essere un difensore valido in isolamento, in post up o sul PnR, l’apporto difensivo che mette sui closeout spesso è…pessimo.
Incredibilmente il Barba risulta un difensore sopra la media anche in queste situazioni contro i tentativi in catch & shoot unguarded per le stats (che a volte possono essere fuorvianti), ma la spiegazione è che il sistema di Houston spesso mette Harden contro tiratori da 3 non sempre eccellenti. Quando Harden si trova contro un tiratore letale la situazione rischia di essere pericolosa per Houston e le altre squadre dovrebbero sfruttare maggiormente queste situazioni.
Qual è quindi la realtà sulla difesa di James Harden?
Lasciando stare alcuni sorprendenti dati statistici, nessuno si aspetta un James Harden potenzialmente in grado di difendere come Antetokounmpo o come può fare Kawhi Leonard. Ma al di là di alcune disattenzioni e di una concentrazione sul lato difensivo non sempre ottimale, logica conseguenza del suo carico offensivo, Harden non è affatto un pessimo difensore, anzi è cresciuto tantissimo in questi anni.
Basti pensare che nei parametri difensivi di Synergy Sports, Harden era nel 18th percentile nel 2015-16. Nel 2017-18 era già nell’89th percentile e quest’anno è sopra il 90th percentile. Questo non fa di Harden uno dei migliori difensori della lega, ma fa capire che la sua crescita è stata importante anche in difesa. E che forse sarebbe ora di smetterla di considerarlo uno dei peggiori della categoria.
CONCLUSIONI
Il gioco di James Harden può piacere o non piacere: per qualcuno non c’è niente di più bello di vedere una partita nella partita, dove Harden gioca a scacchi con le difese avversarie ed elabora costantemente nuove strategie e nuove skills per batterle; per altri questo gioco è solo una noia mortale in cui la fredda matematica ha avuto definitivamente la meglio sul romanticismo.
Ma la percezione non deve fuorviare da ciò che sta realmente facendo James Harden in questi anni: riscrivere una parte di storia di questo sport.