Il lento miglioramento degli Utah Jazz porta un po’ di sano ottimismo nella compagine mormone. Il calendario diventa sempre più favorevole e si possono iniziare a contare quelle vittorie che prima mancavano. Il record attuale comincia a legittimare l’entusiasmo creatosi per questa squadra ad inizio anno. Nonostante un finale in crescendo, dicembre è stato comunque un mese di sali e scendi.
Tutto era iniziato con le roboanti sconfitte contro Raptors, Sixers, Lakers e Thunder, una striscia di 2 vittorie e 6 sconfitte iniziata a novembre. I picchi negativi potrebbero essere i -40 dopo due quarti a Toronto, e la serie di canestri subiti da tagli in back door contro i Lakers nel terzo quarto.
Questi ultimi, sono stati conditi da una serie discussioni piuttosto accese tra Mitchell e Bogdanovic, i trascinatori offensivi della squadra. Si ritrovavano stanchi e in difficoltà a reggere l’attacco dei Jazz e, spesso, deragliavano prendendo delle cattive scelte in attacco, non comunicando. In quel momento non sembrava esserci modo per migliorare i Jazz. Nel momento più basso della stagione, invece, i Jazz son riusciti a sfruttare l’ammorbidimento della schedule per riprendere fiducia in sé stessi. Dopo 5 vittorie consecutive è arrivata la sconfitta di Miami, momento probabilmente cardine per l’annata dei Jazz.
Zanik, constatando le difficoltà del roster decide di agire scambiando Exum e due seconde scelte per Jordan Clarkson prima della partita, tagliando Jeff Green subito dopo. Se la trade del giocatore più polarizzante dei Jazz dell’ultima decade pareva scontata, il taglio del veterano ha scosso l’ambiente: Tony Jones di The Athletic ha scritto di come i giocatori fossero frastornati all’uscita dal palazzetto (Green si era fatto ben volere nello spogliatoio, ma urgeva cambiare qualcosa). La chiusura del mese con la vittoria sui Clippers ha riportato ottimismo in una squadra che fino a quel momento aveva raccolto solo sconfitte contro le altre contender. Non a sufficienza per gridare alla guarigione del malato, ma un piccolo e fondamentale segno di miglioramento.
Il nuovo GM ha mostrato di essere risoluto nel mettere questo core nelle migliori condizioni possibili: vuole portare i Jazz ad un ulteriore miglioramento. Ha preso Clarkson che, per quanto anarchico e ben diverso dal classico profilo voluto da Snyder, è in grado di sopportare un carico offensivo significativo. Anarchico, l’unica cosa che ama più del proprio palleggio è probabilmente il suo tiro in pull-up. Non esattamente uno scienziato del gioco. Se riuscisse a dare a Mitchell i minuti di riposo che necessita, Clarkson avrebbe comunque già fatto il suo dovere.
Donovan nelle ultime partite ha iniziato ad aspettare con calma che la partita venga a lui; In difesa, però, si è preso troppi rischi quest’anno, giocando spesso per la rubata. In altri momenti non ci mette intensità ed Il risultato non può che essere rivedibile. E questa intensità non potrà essere più scusata:
LA DIFESA
Ad inizio dicembre il defensive rating dei Jazz era ancora il quinto della lega. Fino all’infortunio che è costato a Gobert due partite a fine novembre, era addirittura il primo. Derrick Favors sembrava mancasse soprattutto come rollante dalla panchina, ma la successiva serie di sconfitte ha segnato un’ inversione di tendenza che, però, è durata ben oltre l’infortunio del francese, e ad oggi i Jazz risultano soltanto decimi. La mancanza del prodotto di Georgetown, ha fatto perdere consistenza a rimbalzo, prendendo a volte delle imbarcate dovute ai rimbalzi offensivi concessi:
Quando Gobert aiuta sulle penetrazioni non c’è più Favors pronto a tagliare fuori il centro avversario. Se il francese si ritrova a marcare un lungo capace di tirare da tre, spesso l’area dei Jazz risulta essere scarsamente presidiata (ventisettesimi per stoppate). La diligenza pretesa da Snyder spesso e volentieri riesce a coprire certe mancanze, non a caso Utah nonostante tutto è quinta per OffReb% concessa. Certi accoppiamenti hanno però reso evidente come la coperta contro squadre atletiche ed aggressive rischi di essere un po’ corta.
Il problema della mancanza di centimetri e di tonnellaggio, si è sentita soprattutto contro le altre squadre di vertice. Nella vittoria contro i Clippers, i Los Angelini avevano chiuso il primo quarto in vantaggio di 10 punti grazie ai 10 rimbalzi offensivi contro i 7 difensivi dei Jazz. Una volta sistemato questo fondamentale, Utah non si è più voltata e ha vinto. Riuscire a trovare sul mercato un profilo in grado di dare una mano nel pitturato a Gobert contro questi avversari farebbe tornare la difesa dei Jazz fra le migliori della lega. Peccato che a roster, ad oggi, un profilo del genere non ci sia e che questa mancanza rischi di essere grande tanto quanto il miglioramento nella batteria dei tiratori.
Dal canto suo, il francese continua ad essere una macchina. La sua continuità è la base grazie alla quale la difesa dei Jazz sta in piedi. Poco importa che al momento non si riesca ad evidenziare in maniera degna il suo dispendio di energie con delle statistiche di squadra in grado di renderlo fra i papabili per il DPOY. Lui c’è sempre.
Ad oggi, si può dire che solo in tre partite (vs Min, @Ind, vs Okc) sia stato messo sotto, venendo attaccato senza riuscire ad incidere sulla partita. Questa sua costanza è il pilastro su cui si basa l’attuale annata. Con la costruzione attuale del roster, deve essere però l’attacco a fare la differenza.
L’ ATTACCO
Ad inizio anno, preso dall’entusiasmo per un’ estate più movimentata del solito per i canoni mormoni, mi ero lasciato andare a voli pindarici che si sono rivelati eccessivi. “Il pick and roll dei Jazz non sarà fermabile: Conley a orchestrare l’azione, tiratori come Ingles e Bogdanovic sugli angoli pronti a castigare ogni aiuto. Se va bene l’azione si chiuderà con il lob per Gobert, mal che vada Conley (o Mitchell) potrà prendersi uno dei suoi floater, il marchio di fabbrica del buon Mike“…. Probabilmente sarebbe stato meglio non concludere il pensiero, immaginando come il floater sarebbe stato il tiro prescelto dalle difese avversarie. E che alla lunga, vederlo (sbagliare) mi avrebbe nauseato.
Come recita il leitmotiv dell’articolo, riguardando le premesse di inizio dicembre, l’attacco dei Jazz necessitava un netto miglioramento per poter ambire ad un rating offensivo elitario. E questo, piano piano, sta avvenendo.
IL PICK & ROLL
I Jazz sono la squadra che più di tutte usa il pick & roll centrale come base per il proprio attacco. L’azione prevede il blocco portato da Gobert, con uno fra Conley e Mitchell come palleggiatore. Le statistiche indicano come questa soluzione risulti portare dei risultati mediocri. Quando l’azione porta ad un passaggio verso il rollante, Utah è nel 48° percentile. Se invece è il palleggiatore ad essere protagonista dello schema, risultano essere nel 55° percentile, ma prima delle ultime 9 partite i Jazz erano addirittura nel 41° percentile. Un piccolo passo in avanti, ma distante dal miglioramento necessario per poter avere un attacco d’élite.
Sicuramente affiorano nella memoria dei tifosi Jazz l’enorme quantità di floater tirati da Mitchell e Conley (rispettivamente 92° e 98° percentile in termini di frequenza), una soluzione di tiro che fa storcere il naso. Non solo è una delle conclusioni meno efficaci in assoluto, ma la coppia di Utah non riesce a convertire in maniera efficienti i tiri che la difesa gli concede. Perché quei tiri in floater sono proprio quello che le difese avversarie vogliono lasciare ai Jazz. Qualche miglioramento si può vedere analizzando i tiri dalla media, in cui Mitchell risulta essere fra i migliori della lega (89° percentile), ma si parla pur sempre di una conclusione che non risulta particolarmente essere efficace.
Perché i numeri appaiono cosi sconfortanti nonostante gli interpreti in causa dovrebbe essere tra i top della NBA? Molto è dovuto impossibilità di creare degli spazi e di conseguenza dei vantaggi da questo schema. Gobert porta dei blocchi di qualità eccelsa, ma ha un grande limite: non avendo un jumper affidabile, è costretto a rollare verso il canestro. Sempre.
Le immagini che ho preso/trovato non sono le migliori, ma spero rendano l’idea di quanto vorrei spiegare. Partendo dal presupposto che il “4” dello schema non si troverebbe mai in quella posizione nella NBA di oggi, vorrei metterei un po’ di attenzione sulle freccie. La seconda immagine rende bene l’idea di quanto succeda con Gobert: il francese dopo il blocco si getta a canestro. Rispetto alla seconda immagine, il 5 “nero” invece di uscire cosi alto tende ad andare in drop coverage, scivolando verso il canestro accompagnando il palleggiatore. Cosi facendo, evita il pericolo del lob e costringe il palleggiatore al tiro dal mid range. Ma questo non sarebbe più sufficiente nel momento in cui il bloccante facesse dei movimenti (efficaci) diversi dal roll diretto verso il canestro. Le possibili variazioni costringerebbero la difesa ad un atteggiamento meno aggressivo, lasciando più spazio al palleggiatore.
Gobert puo’ cambiare i tempi dei suoi tagli per facilitare la penetrazione del palleggiatore, ma finirà sempre l’azione andando verso il canestro. Questo permette alle difese avversarie di poter droppare il lungo che marca il francese a presidiare l’area togliendo cosi la direttrice al Mitchell o Conley della situazione, che si ritrova ad avere guadagnato un vantaggio risibile. Le difese vogliono che loro due prendano dei tiri meno efficienti possibili, e come scritto in precedenza i floater e i mid range son quelli che vengono concessi più allegramente dagli avversari. La coppia dei Jazz deve imparare a non accettare quei tiri, cercandone altri. E per fare questo c’è bisogno di qualche variante dettata da Snyder per poter rompere questo impasse. Nelle ultime partite, qualche variazione ha cominciato a fare capolino.
Un’ opzione potrebbe essere portare il blocco più alto. Il pericolo della tripla dal palleggio tende a fare uscire il lungo avversario dalla sua confort zone, dando cosi maggior raggio d’azione al palleggiatore. Se questo specifico tiro da 3 entrasse con regolarità, le difese dovrebbero iniziare ad adattarsi. A lungo andare, il palleggiatore avrebbe più opportunità di arrivare al ferro, o di giocare uno contro uno in isolamento nel mismatch venutosi a creare.
Un’altra opzione potrebbe essere l’uso del P&R facendo bloccare Gobert un po’ più laterale, in modo da poter isolare l’azione su un quarto di campo, concedendo maggiori libertà al palleggiatore. In questo caso, si sceglie il lato destro in modo da poter lasciare a Ingles la penetrazione con la sua mano forte, mettendolo nelle condizioni per un facile scarico in caso di aiuto dal perimetro.
Teague avrebbe modo di intervenire in aiuto verso Ingles, ma l’angolo del blocco di Gobert rende la traiettoria percorsa dal francese inarrivabile per qualsiasi difensore. Riuscire a creare due direttrici ben distinte tra bloccante e palleggiatore potrebbe essere un espediente per dare maggior margine di manovra all’attacco.
Altra cosa che si tende a vedere poco nei Jazz è il cosiddetto ram screen, ossia quando il bloccante riceve a sua volta un blocco per poter guadagnare già qualche centimetro nell’esecuzione del più classico P&R tra palleggiatore e bloccante. Riuscire a liberare Gobert garantirebbe un ulteriore vantaggio nell’esecuzione dello schema principale.
In quest’ultimo esempio, il pick and roll viene eseguito tra Bogdanovic e Ingles. Il blocco viene portato all’altezza della linea del tiro da tre per poter permettere al croato l’arresto e tiro da 3. Gobert a sua volta porta un blocco a Ingles mentre Joe si allontana da Crowder. Jaren Jackson è costretto ad abbandonare l’area, andando in aiuto verso Ingles. Nell’azione specifica, Bojan riesce a fare un passaggio complicato con la mano opposta all’australiano, che crea un triangolo ideale per poter passare la palla sotto canestro a Gobert che con il suo movimento sigilla Crowder togliendogli la possibilità di intervenire.
Garantire una maggiore varietà di questo schema potrebbe essere fondamentale. Per farlo, è necessario che i giocatori si conoscano. Per fare questo serve tempo. E serve che Mike Conley torni al più presto possibile.
PIÙ PASSAGGI = PIÙ TRIPLE
Dalla sconfitta con Okc i Jazz hanno il secondo attacco della lega con 115.6 di Off Rtg. Tra i motivi di questo miglioramento, la prima differenza che balza agli occhi, è la TS%. Ad oggi risulta essere ben 4 punti più elevata rispetto alla media stagionale (quinta della lega) e 6 oltre alla media della lega. Per quanto queste percentuali realizzative non siano replicabili nel tempo, la quantità di triple è tornata a crescere. Rispetto alle prime 24 partite in cui la 3PT Attempt Rate (percentuale di triple prese sul totale) era del 37%, i Jazz hanno migliorato la selezione dei tiri nelle ultime 9, in cui hanno raggiunto il 41%. Si è passati dal sedicesimo al settimo posto. Essendo i Jazz la squadra con la percentuale realizzativa più elevata dell’intera lega, non ci sono grandi motivi per NON tirare da tre, soprattutto se catch and shoot.
Una delle ragioni di questo cambio è di sicuro l’inserimento in quintetto di Ingles. Per Cleaning the Glass, risulta essere nel 96° percentile per AST:usage (misura di quanti assist crea in rapporto a quanto ha la palla tra le mani). Da prototipo di giocatore di sistema, Ingles vive in funzione del gioco della squadra e necessita di avere attorno compagni di alto livello. Il suo miglioramento non poteva che essere automatico con lo spostamento tra i titolari. Se la squadra rende e fa girare bene il pallone creando le giuste spaziature, lui si esalta. Il suo spostamento in quintetto base al posto dell’infortunato Conley, è conciso con la sua esplosione al tiro, arrivando a chiudere il mese di dicembre con 43/81 da 3, per un incredibile 53% di 3P%..
Non solo sono aumentate le conclusioni da tre, ma anche il numero di passaggi, ben 20 in più (su 300 totali) rispetto alle prime 24 partite. Spulciando i dati del net rtg con o senza Ingles, si vede come il cambio di quintetto portato un enorme miglioramento non solo all’australiano, ma all’intera squadra. Togliere un accentratore come Conley in favore di Ingles ha reso il quintetto base più bilanciato. A sua volta, Joe è evidentemente a suo agio con i titolari per poter sfruttare al massimo le sue letture. Da quest’ultima voce statistica, si può evidenziare, inoltre, come la sua presenza in campo come creatore di gioco non fosse sufficiente a rendere accettabile la second unit. Ingles stesso quando partiva dalla panchina risultava essere poco incisivo: il bilancio della squadra con o senza di lui in campo era impietoso.
In assenza di Conley, Mitchell è stato usato come playmaker coadiuvato da Ingles. Il suo rendimento è migliorato e contro i Clippers è stato perfetto, pensando a distribuire assist nel primo tempo per poi prendersi i tiri nella ripresa. Questo periodo, però, è uno dei pochi esempi positivi fino ad oggi. Rimane una situazione da osservare con attenzione, ma per valutare seriamente la sua possibile evoluzione come creatore primario (alla Harden) serve qualche prova in più. Nel (recente) passato, il suo utilizzo come playmaker ha portato alcune buone prove personali, ma risultati di squadra altalenanti. Ingles ad oggi è fondamentale per fare rendere Mitchell nel ruolo di PG. Se Donovan riuscisse ad occupare questa posizione con continuità, i Jazz potrebbero pensare di mettergli vicino una guardia e non più un playmaker com’è stato fino ad oggi. Ma questo non è un problema da porsi quest’anno.
LA PANCHINA
Snyder ha provato diverse soluzioni per poter dare alla squadra l’equilibrio di cui necessita tra titolari e riserve. Ad inizio anno erano Conley e O’Neale i primi a sedersi in favore di Mudiay e Ingles. Le difficoltà di adattamento di Conley avevano suggerito al coach di invertire i minutaggi suoi e di Mitchell, passando a Donovan il compito di creare offensivamente per sé e per i compagni assieme ad Ingles. Nel tempo, i risultati sono però rimasti immutati, senza alcun miglioramento. Variando i giocatori, non si avevano effetti positivi. Qualsiasi Jazzman che parte dalla panchina ha un Net Rtg negativo. Per quanto il +/- non sia la statistica più accurata disponibile, il boxscore contro i Warriors è l’esempio più lampante che si possa immaginare di quanto appena scritto.

Green, Davis e Niang non sono riusciti ad avere un impatto positivo se non in un paio di partite: il primo è stato tagliato ed il secondo rischia di farsi passare avanti nelle graduatorie di coach Snyder Tony Bradley. Niang ha semplicemente il peggior impatto del terzetto menzionato, ma almeno rispetto a Green e Davis si è integrato negli schemi. A loro tre si aggiunge Mudiay che, nonostante i suoi limiti in termini di continuità, è risultato non negativo in assoluto. Per poter dare un contributo positivo purtroppo, rimane del lavoro da fare.
Per questo motivo, il ritorno di Conley dall’infortunio può solo portare un ulteriore miglioramento: la squadra dovrà trovare un nuovo equilibrio. La sensazione è che lui, Mitchell e Bogdanovic si pestino un poco i piedi pretendendo ognuno di loro il proprio tempo con il pallone in mano. Oltre a loro ci sono Ingles e O’Neale, che però sono fondamentali per bilanciare i quintetti di Utah: il primo per le sue capacità offensive come facilitatore secondario, il secondo è il miglior difensore on the ball presente a roster. Ciò nonostante, Conley è pur sempre un giocatore NBA fatto e finito. Finalmente ci saranno sette giocatori validi in rotazione: un netto miglioramento rispetto a inizio dicembre. La domanda che si pone ora è: chi partirà dalla panchina? Ma ancora di più, chi chiuderà le partite quando conterà?
Difficile pensare che Conley sia il sacrificato per via del suo status e del suo contratto. Difficile allo stesso tempo rimettere Ingles in panchina. Probabile che sia O’Neale a partire da sesto uomo, ma dei tre potrebbe essere il più importante in ottica playoff, venendo chiamato a prendersi in marcatura regolarmente il migliore degli avversari. Appare complicato riuscire a trovare la quadra delle rotazioni, ancora di più avendo un giocatore che deve ancora inserirsi negli schemi (e non mi riferisco a Clarkson).
Difficile prendere l’ultimo tassello per poter impensierire le principali contender, tanto dovrà venire dal manico di coach Quin. Il resto dipenderà dai due giocatori che si pensava potessero in grado di formare uno dei backcourt migliori della lega. Se Conley riuscisse ad inserirsi come sperato, e se Mitchell riuscisse giocare come fatto nelle ultime uscite, i Jazz tornerebbero ad essere insidiosi e fastidiosi per chiunque. Fino al 25 gennaio il calendario è in discesa, le difficoltà arriveranno attorno all’All Star Game. Che non ci si stupisca se fra un mese i Jazz si ritrovassero secondi, vento in poppa e con la coppia Donovan & Rudy chiamati per la gare delle stelle.
Sarebbe un gran miglioramento rispetto allo scorso anno. Sarebbe sufficiente per poter prolungare la strada ai Playoff? Difficile a dirsi, molto dipenderà dagli accoppiamenti, ma una cosa è certa nello Utah. Tutti remano nella stessa direzione, e tutti lo fanno con estrema convinzione.