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Ten Talking Points – Episodio 4

Andrea Bandiziol by Andrea Bandiziol
17 Gennaio, 2020
Reading Time: 16 mins read
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Benvenuti al quarto episodio di Ten Talking Points: dieci cose che mi sono piaciute e non mi sono piaciute delle prime due settimane di dicembre.

1) De’Anthony Melton, la backup PG preferita di Twitter

De’Anthony Melton ha giocato un totale di 56 minuti nelle prime 18 gare dell’anno, ma grazie all’infortunio di Ja Morant all’inizio di dicembre ha trovato spazio nella rotazione di Memphis. Da quel momento non ne è più uscito: da allora le sue medie per partita sono di 22.4 minuti, 8.3 punti, 5.4 rimbalzi, 4.6 assist e 1.5 rubate.

Gli istinti primari di Melton sono di prima fascia, e la sua apertura alare non è da meno. Avevamo già avuto modo di ammirarlo in Arizona la scorsa stagione, ma grazie ad un ruolo più esteso a Memphis tutto sta venendo amplificato.

Guardate come riesce a non far pagare alla squadra il raddoppio Jones-Valanciunas su Di Vincenzo: Donte perde l’attimo fuggente per passarla a Lopez, quindi Crowder taglia tutta l’area per andare a marcare il centro avversario; Melton, a questo punto, rimane a tutti gli effetti in marcatura su due uomini, Middleton in ala e Hill in angolo, e controlla gli spostamenti di entrambi. La sua velocità nord-sud e la sua wingspan fanno sì che un tiratore si vedrà il tiro contestato anche se Melton è a 4 metri da lui in fase di ricezione. In questo caso, non c’è una linea di passaggio su cui Melton non possa arrivare, ed infatti conclude l’azione rubando palla:

L’azione qua sotto mette in mostra la sopracitata wingspan: Melton corre con Booker, leva la linea di passaggio a Ty Jerome e nel momento perfetto lascia Booker per salire a stoppare il layup del prodotto di Virginia. Contropiede, Clarke sbaglia il floater (no aspettate, ci deve essere un errore…Clarke sbaglia il floater?) e la lotta a rimbalzo tra tre Suns e Melton chi la vince? Ovviamente il nostro Melton, che infila un comodo tap-in:

I tifosi dei Suns hanno poco di cui lamentarsi in questa annata, ma avere avuto Melton dalla panca non avrebbe certamente nociuto a Phoenix, anzi.

2) Ricky Rubio is the new Steve Nash

Ragazzi, non mi divertivo così tanto dagli ultimi Suns di Nash. Phoenix quest’anno non sarà forte come allora, ma quel che è certo è che Monty Williams stia tirando fuori il meglio da Ricky Rubio. Nelle prime due settimane di dicembre, Ricky ha girato a 12.1 assist e 2.1 palle perse a partita: stiamo parlando di un Assist-to-Turnover Ratio di 5.5. Per mettere questo numero in prospettiva, il miglior A/TO della carriera che CP3, famoso per questa statistica, ha fatto registrare in carriera è stato 4.3 nel 2007/08. Rubio finora in stagione è a 4.4.

Non ditemi che per un attimo non avete rivisto Nash, perché se non è così non vi ricordate il buon Steve. Rubio sta prendendo la sana abitudine di ciondolare nell’area piccola come faceva il canadese, per poi tirare fuori una linea di passaggio che si crea grazie al suo movimento. Nell’azione sopra PJ Tucker non sa proprio cosa fare: porto l’aiuto o non lo porto? Se mi stacco adesso mentre lui si alza per il layup forse posso stopparlo o disturbarlo…e in questo guardare fisso Rubio, si dimentica Saric sul perimetro.

Se poi lo si lascia correre, è la fine:

Rubio ha spesso avuto problemi a difesa schierata (che non sta avendo in questa stagione), ma in transizione è sempre stato uno dei migliori passatori in NBA e quest’annata non è un’eccezione. Potrei postarvi venti video diversi di Rubio che fa passaggi divertentissimi che portano a canestri, ma la chiudo qui:

Morale della favola: guardate i Suns, sono divertenti e Rubio è un padrone di casa che fa divertire gli ospiti.

3) Sabonis e il feeling con le riserve

Domantas Sabonis non è un giocatore che fa strabuzzare gli occhi. Non è un passatore spettacolare come il papà, non è super atletico, non mette palla a terra per poi chiudere in maniera fantasiosa a canestro. Sabonis fa le cose che van fatte, e lo fa in maniera spesso silenziosa, come silenziosa è stata la sua transizione da riserva a titolare.

Se non ve ne foste accorti, sta giocando 10 minuti in più dello scorso anno e sta mettendo su 18+14+4 a notte. Non voglio però parlare di Sabonis in generale, ma di come Sabonis sia il miglior giocatore della starting lineup da accoppiare con una combinazione quasi arbitraria di riserve:

Sabonis è noto per la sua capacità di rollare forte a canestro, ma anche la sua visione di gioco dal post e le sue letture dei tagli non sono niente male. Questo ci porta molto facilmente ad un’osservazione: Sabonis+playmaker che sa giocare un pick&roll+tre tiratori = molto bene.

Ad inizio stagione la rotazione di Indiana sembrava molto corta, ma non avevamo tenuto conto del fatto che TJ McConnell, i due fratelli Holiday e McDermott potessero giocare anche tutti assieme per qualche minuto della partita, e che addirittura potessero fare bene in questi minuti. Come? Ma con Sabonis, ovviamente. i quattro di cui sopra più Domas sono a +8.8 punti per 100 possessi (e giocano 5 minuti a partita assieme).

Domas è molto forte fisicamente, e se lo si vuole fermare sotto canestro bisogna raddoppiarlo o triplicarlo. Così facendo le percentuali sono calate, è vero (un irreale 74% entro i due metri dal canestro l’anno scorso, 63% quest’anno), ma gli spazi sul perimetro sono enormi. Chi sta godendo più di tutti di questa cosa è senza dubbio McDermott, ma anche i due fratelli Holiday non si lamentano (39% da 3 su 8 tentativi a partita combinati).

Il lavoro di Sabonis non luccica, ma è una moneta molto solida sul mercato.

4) Devonte’ Graham fa sul serio

Sì ok, ho già parlato di Graham. Ma avevo detto che stesse giocando bene, sorprendentemente bene, non che fosse la reincarnazione di Kemba Walker. A dicembre, Graham sta girando a 25+8+4. Rileggete i numeri con calma, poi andiamo avanti.

Nell’era Barrego è diventata abitudine a Charlotte vedere blocchi portati molto al di fuori della linea dei tre punti: l’anno scorso il portatore di palla era Kemba, quest’anno è Graham. Il risultato sta cambiando di poco:

Anzi, a dirla proprio tutta quest’anno Graham sta facendo meglio di Walker in situazioni di triple dal palleggio: entrambi ne mettono 2.4 a partita, ma Graham le sta tirando col 42%, Kemba col 38%. Se non bastasse, si può ormai dire ufficialmente che Graham abbia aggiunto lo stepback 3 al suo arsenale; per referenze, chiedere ai Brooklyn Nets, ai quali la partita contro gli Hornets è sfuggita di mano negli ultimi secondi proprio a causa di due triple in stepback di Graham a chiudere una notte da 40 punti per il prodotto di Kansas:

Le possibilità di vedere un backcourt Kemba-Devonte’ a Chicago nell’All-Star Game stanno rapidamente crescendo.

5) Rui Hachimura è uno dei giocatori più divertenti della NBA

Rui Hachimura non è ancora un fattore positivo per la sua squadra, assolutamente no, certamente non in difesa e probabilmente nemmeno in attacco. È possibile ci vogliano anni prima che i miglioramenti siano tali da portarlo a quel livello, non lo metto in dubbio, forse non diventerà mai qualcuno che sappia difendere nella media. Però, mentre aspettiamo tutto questo, Rui Hachimura è un giocatore estremamente divertente da guardare.

Rui sta confermando quanto fatto vedere a Gonzaga e qualcosa di più. Spesso gli piace ancora prendere tiri in fadeaway molto complicati come quello qua sopra (la True Shooting è del 53%, indice di una selezione dei tiri decisamente migliorabile), ma spesso li mette anche. Rui ha molte sequenze durante una partita in cui fa sollevare gli angoli delle labbra in un leggero sorriso, qualche volta fa persino lasciare la bocca leggermente aperta in ammirazione. Vedere giocare Rui in questo suo anno da rookie è spesso fare un salto indietro nel tempo di dieci anni, in un basket fatto di tiri dalla media presi con mani in faccia e con tanti secondi sul cronometro:

Detto ciò, Rui sta facendo vedere anche tante cose che risulteranno utili nel basket moderno: sa finire al ferro in molti modi diversi, è forte fisicamente e tira molto bene i liberi, indice del fatto che probabilmente diventerà anche un buon tiratore da 3 (86%, anche se dovrebbe imparare a prendersene di più di 2 a partita col fisico ed il gioco che ha).

Lasciamo stare la Moreyball e la shot selection ogni tanto, perlomeno per quei giocatori che nell’immediato non giocano per un anello o per arrivare ai Play-Off, e godiamoci i meri gesti tecnico-atletici del giapponese più famoso dell’America a spicchi.

6) Yin e Yang: Dedmon e Holmes

A vederlo giocare ora non si direbbe, ma Dewayne Dedmon è stato un Free Agent molto ricercato solo qualche mese fa. Non a caso, Sacramento ha dovuto mettere sul tavolo un triennale da 40 milioni per assicurarsi le sue prestazioni dopo un’ottima annata ad Atlanta come scudiero di fiducia di Trae Young. Buono spacing ed ottima difesa del ferro erano stati il suo biglietto da visita ad inizio luglio. Oggi Dedmon è una macchina che perde palloni come mai aveva perso in vita sua, tira male da 3 ed è addirittura un minus in difesa.

Dedmon non è mai partito titolare quest’anno, ma è parso molto confuso sul da farsi in campo sin da subito. I risultati sono stati disastrosi dall’inizio, ma nelle ultime due settimane si è raggiunto l’apice: Dedmon è uscito dalle rotazioni, scelta capibile dato che ormai il piano gara di molte squadre con lui in campo era diventato “lasciagli 5 metri che tanto non la mette lo stesso”.

Una delle ragioni per cui Dedmon è uscito dalle rotazioni è Richaun Holmes. Firmato in estate a 9 milioni in due anni con la Room Exception, Holmes ha inizialmente portato un’alta dose di energia dalla panca, giocando di media 8 minuti meno di Dedmon nelle prime tre partite dell’anno. Lentamente Richaun è, però, diventato indispensabile per i Kings, sia in difesa che in attacco, nonostante non sia in grado di garantire lo spacing che, teoricamente, Dedmon avrebbe dovuto dare:

Holmes va a rimbalzo offensivo con puntualità (quasi tre di media a partita), ha notevolmente migliorato la meccanica di tiro dalla lunetta (80% su più di due tentativi a partita) e, soprattutto, sta rendendo la vita complicata sotto canestro agli avversari:

Per Walton è stato il giocatore più vitale insieme a Buddy Hield nel periodo in cui sia Bagley che Fox erano fuori dai giochi: i 36 minuti a partita a dicembre prima del ritorno di Bagley ne sono la dimostrazione.

Probabilmente, Sacramento è tanto dispiaciuta di avere Dedmon a libro paga garantito fino al 2021 quanto è contenta di avere Holmes a quel contratto durante lo stesso periodo di tempo.

7) Chicago, abbiamo un problema

I Bulls sinora hanno battuto Mephis (x2), Atlanta (x2), Detroit (x2), New York, Charlotte e Sacramento. Non una “who’s who” delle contender della lega, se così possiamo dire. I Bulls non hanno ancora sconfitto nessuna squadra con un record vincente. Poi, giusto per dare fastidio a chi sta scrivendo, nella notte tra sabato e domenica hanno sconfitto i Clippers, che però erano senza Leonard, Beverley, Lou Williams e Green. Nonostante ciò ed il loro record di 10-18, i Bulls sono ad un paio di partite dai PO ad Est, visti i grossi problemi offensivi che sta avendo Orlando.

La sequenza che state per vedere rappresenta a mio modo di vedere molto bene l’inizio di stagione della franchigia della Windy City:

Non mi chiedete perché Valentine fosse già in angolo (Valentine che peraltro si sta rivelando una delle poche note positive di inizio stagione), o perché Coby White decide di andare uno contro tre per poi palleggiarsi sui piedi, o ancora perché la transizione degli altri tre sia così lenta. Chicago è così: sembra che i dettami di Boylen siano così complicati da assimilare che la squadra ha sostanzialmente deciso in autonomia di non seguirli proprio. Prendiamo un’altra sequenza dell’incontro che potrebbe vincere il premio per partita più brutta della Regular Season:

Ad inizio azione, le spaziature sono del tutto inesistenti: l’unico sul perimetro è Satoransky. Markkanen esegue male un taglio che lo porta sotto canestro, ingorgando ogni spazio possibile per un’eventuale penetrazione dei piccoli e rendendo più difficile la vita a WCJ. Dunn procede con un passaggio molto rischioso a Sato in ala, che batte il suo uomo dal palleggio ma si trova davanti l’uomo di WCJ che, un po’ perché legge l’azione lentamente, un po’ perché in questo lembo di parquet c’è più traffico che a Bobmbay nell’ora di punta, non riesce a farsi trovare pronto in ala in tempo per lo scarico.

Sato deve liberarsi del pallone, ma i posizionamenti di Lauri e Lavine fanno sì che sia impossibile recapitargli il pallone. L’unico sul perimetro è Dunn, che forse tra i 5 è quello che meno vorresti sul perimetro, e anche quella linea di passaggio non è per nulla facile: palla persa.

Chicago non gioca sempre così, ma non gioca nemmeno come i Warriors 2016. La squadra non era una contender ad inizio anno, ma di certo aveva ambizioni di playoff da raggiungere giocando in maniera più dignitosa di quanto messo in mostra sinora. Chicago ha talento, e quando una squadra con del talento sulla carta compatibile parte 10-18 solitamente si inizia a guarda con sguardo truce chi sta in panca. Che, per inciso, ha ricevuto un’estensione questa estate.

8) Evan Fournier, top 3 FA della prossima classe?

Il titolo di questa frase potrebbe sembrare una sparata, ma forse non lo è. A questo punto della stagione sembra abbastanza chiaro che, a meno di infortuni o involuzioni al momento non prevedibili, Brandon Ingram sarà il pezzo pregiato della Free Agency 2020, e questo dovrebbe dire molto su quello che ci aspetta quest’estate, senza mancare di rispetto a quello che sta facendo la scelta numero 2 del draft 2016. Vista la penuria di soldi nel mercato 2020, molti dei Free Agents in cerca di un max potrebbero decidere di esercitare le loro player option (Drummond su tutti), e quindi dopo Ingram, che riceverà al 90% un max offer sheet da qualche franchigia in rebuilding con spazio salariale (coff coff KNICKS coff coff), i Free Agents più ambiti potrebbero firmare contratti intorno ai 60 milioni in tre anni. Non stupitevi se Evan Fournier risulterà, per l’appunto, uno di quei giocatori.

Fournier sta facendo registrare i migliori numeri in carriera: 20+3+3, col 62% di True Shooting ed il 45% da 3 su quasi 7 tentativi a partita, molti dei quali presi direttamente dal palleggio. Evan Fournier in questo momento è letteralmente tutto l’attacco di Orlando e, sfruttando il fatto che gli avversari ormai lo marcano a vista sul perimetro, Evan può mettere in mostra anche tutto il suo gioco dopo aver messo palla a terra:

La sua velocità in uscita dai blocchi non è élite, ma lui usa tutta una serie di trucchetti che mettono in seria difficoltà i suoi marcatori. La sua corsa dietro ai blocchi è fatta di piccole spinte, frenate e accelerazioni improvvise:

A dicembre, Fournier ha portato il tutto su nuove vette: 25+3+3, tirando col 54% da 3 su più di 8 tentativi a partita. È lecito aspettarsi che al rientro di Vucevic questi numeri si abbasseranno, ma l’efficienza sembra destinata a rimanere. Le speranze playoff di Orlando passano da mani francesi, mani che potrebbero presto riempirsi per la seconda volta di molti dollari dopo quelli ricevuti nell’ormai tristemente famosa estate del 2016.

9) Clutch Bjelica is clutch

I Kings di quest’anno sono…strani? Fortunati? Non lo so. Non riesco a decidermi, sta di fatto che i Kings hanno un Net Rating di -3.1, ma in un qualche modo hanno lo stesso record dei Suns, che hanno un Net Rating di +1.2. Prendendo solo queste cifre, i Suns dovrebbero essere 13-12, i Kings 10-15. È chiaro che ci sia qualcosa che sta girando molto bene a Sacto nei minuti finali: quel qualcosa, in questa stagione, è stato quasi sempre legato a paesi dell’Est Europa.

Non è così comune, per un giocatore NBA, che la propria squadra vinca una partita grazie ad un tuo tiro sul finire dei 48 minuti per ben due volte in una stagione. Incredibilmente, a Bjelica questo è successo in due giorni consecutivi. Il più facile è stato senza dubbio quello contro i Mavs:

Un giorno Doncic ci spiegherà a cosa stesse pensando in quell’istante per leggere così male la situazione, ma comunque Bjelica rimane freddo, capisce che la difesa di Dallas è molto mal posizionata e ne trae vantaggio, mettendo il punto esclamativo ad una notte da 30 punti. Meno banale è fare quanto successo il giorno dopo a Houston:

Il difensore qua è PJ Tucker, non proprio l’ultimo arrivato. Turner fa la cosa giusta nello staccarsi da Bjelica per consentire a House di seguire il suo uomo, ma il serbo è velocissimo nel capire cosa stia succedendo, si allontana di un paio di metri ed il suo range di tiro gli consente di considerare quello che sta per prendere come un buon tiro ad alte percentuali.

Dal minutaggio di inizio stagione, Holmes e Bjelica sembravano essere gli odd men out nella rotazione lunghi di Sacramento, ma alla lunga si sono rivelati i più importanti.

10) Si è svegliato Jaren Jackson Jr

Poche settimane fa, un po’ dappertutto si diceva che Jaren Jackson Jr fosse l’esempio perfetto per ricordarci come la curva di miglioramento non sia lineare. Evidentemente JJJ ci ha sentito, ed ha deciso di iniziare dicembre a 23+4 di media, con due stoppate a partita ed il 40% da 3 su quasi 8 tentativi a partita.

L’apice di questo periodo di forma è stato senza dubbio il terzo quarto della partita contro Milwaukee, in cui JJJ ha segnato 26 punti con 7 triple (ovviamente, entrambi record di franchigia). Nell’occasione, JJJ ci ha ricordato che il suo range si è ampliato parecchio rispetto alla scorsa stagione.

Bisogna essere onesti, la settima è stata fortunata:

In tutto questo, la sua difesa è tornata sui livelli ai quali ci aveva abituato la scorsa stagione, dopo una leggera flessione nei mesi di ottobre e novembre. JJJ è rimasto quel particolare tipo di giocatore che ha la velocità per stare con i piccoli, sia verticale che laterale, ed un’apertura alare che gli consente di stoppare anche quegli appoggi al canestro che l’attaccante credeva di aver protetto col ferro stesso.

Prima del draft 2018, si diceva che JJJ avesse il potenziale più alto del draft. Ormai è abbastanza palese che questo non sia vero, ma ciò non toglie che JJJ possa essere il centro perfetto per il basket del 2025.

Tags: Ten Talking Points
Andrea Bandiziol

Andrea Bandiziol

Andrea, 30 anni di Udine, è uno di quelli a cui potete scrivere se gli articoli di The Shot vi piacciono particolarmente. Se invece non vi piacciono, potete contattare gli altri caporedattori. Ha avuto la disgrazia di innamorarsi dei Suns di Nash e di tifare Phoenix da allora. Non è molto contento quando gli si ricorda che i Suns ora avrebbero potuto avere Doncic a roster.

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