“Here comes the Sun” recitava una delle tante famosissime e immortali canzoni dei Beatles. In Arizona però di “Soli” ce ne sono tanti e sono quelli di Phoenix, i quali hanno superato le aspettative di chiunque alla vigilia, mettendo in piedi il miglior avvio di stagione della franchigia da dieci anni a questa parte. Era dal 2009-10, infatti, che i Suns non avevano un record migliore di quello attuale dopo 11 gare. Le ultime tre partite perse -due delle quali senza Rubio e Baynes- non hanno di certo cambiato quello che è il nostro giudizio su una squadra totalmente rivoluzionata rispetto all’anno scorso.
Cosa è successo, quindi, perchè fosse possibile questa inversione di tendenza imprevedibile per tutti?
Tante cose. A partire dal cambio dell’allenatore – l’ennesimo – che ha visto arrivare in panchina coach Monty Williams al posto di Igor Kokoskov. Williams non rivestiva il ruolo di head coach da diversi anni, ma è un allenatore stimato nell’ambiente, soprattutto per le sue capacità comunicative. Come da lui stesso dichiarato al Woj Pod poco dopo la sua assunzione, il suo compito principale a Phoenix è quello di creare una culture, parola molto amata negli ambienti sportivi americani. Dare una mentalità, stabilire delle regole da seguire, imporre e richiedere disciplina, sono tutte cose che Williams sa far bene, e sono proprio le cose per cui il GM dei Suns, James Jones, lo ha ingaggiato.
Fra tutti, è proprio la giovane stella di Phoenix, Devin Booker, ad aver espresso i maggiori apprezzamenti per il suo nuovo coach – il quinto, in altrettante stagioni. In un recente articolo di The Undefeated, Marc J. Spears riporta le parole della giovane guardia ex Kentucky, secondo cui le ragioni del successo iniziale della franchigia dell’Arizona sono da ricercare anzitutto nell’arrivo di Monty Williams, capace di ribaltare come un calzino la mentalità perdente degli ultimi anni:
“È cambiata l’atmosfera che si respira. È tutto diverso. La nostra squadra è in uno stato di forma che mai avevamo provato negli scorsi anni […] Si sta creando una cultura vincente, lo si può notare al primo impatto. E tutto è iniziato grazie a Monty”.
Devin Booker
E in effetti i Suns sembrano una squadra totalmente diversa rispetto a quanto fatto vedere non più di otto mesi fa. I numeri parlano per loro e parlano, finora, di una contender per uno spot nei playoff in una delle Western Conference più competitive di sempre – lo so, ogni anno si dice che quest’anno è la Western Conference più competitiva di sempre; tanto è alto il livello.
I Phoenix Suns sono il sesto miglior attacco della lega per punti segnati su 100 possessi (110.4), mentre nelle ultime due stagioni erano, rispettivamente, ventottesimi e trentesimi. Hanno l’undicesimo miglior Net Rating – la differenza fra i punti segnati su 100 possessi e quelli subiti, sempre su 100 possessi. Le ultime due stagioni? Ancora, terzultimi e ultimi.
Phoenix sta tirando con la quinta miglior eFG%, facendo meglio di squadre come Lakers e Rockets. Il loro attacco è ordinato, ha criterio e scopo e, di conseguenza, come descritto dai numeri, risulta efficace. Talmente efficace da essere il quarto miglior attacco a metà campo della NBA, dove i Suns realizzano 97.4 punti su 100 possessi, cosa davvero stupefacente se si pensa che si sta parlando di una squadra così giovane e che non aveva la minima cognizione di cosa fosse il basket organizzato fino alla scorsa stagione.
Ancora, i Suns e Monty Williams stanno abbracciando i principi di efficienza più moderni del basket NBA. Infatti, quasi i tre quarti (esattamente il 74.4%) dei loro tentativi totali dal campo vengono presi al ferro e oltre l’arco del tiro da tre punti – la percentuale si ridistribuisce esattamente in parti uguali: 37.2% al ferro e altrettanto da dietro l’arco. I Suns schierano per la maggior parte del tempo quintetti in cui tutti i giocatori sanno tirare, passare e metter palla a terra, e l’efficienza della cosiddetta Morey Ball – pur non essendo, questo stile di gioco, così estremo come in altre squadre – schizza alle stelle, tanto da avere la seconda miglior TS% dell’NBA, secondo nba.com.
Ma il successo precoce dei Phoenix Suns non passa certo solo dalla bravura comunicativa e motivazionale di Monty Williams. L’off season, in Arizona, è stata non solo (climaticamente) calda, ma anche (cestisticamente) fruttuosa, seppur passata quasi del tutto in sordina agli occhi del resto della lega. L’obiettivo del GM James Jones era “to raise the floor of the team“, come da lui stesso dichiarato, un’espressione che essenzialmente significa alzare il livello minimo della squadra. L’idea, quindi, era quella di aggiungere giocatori già pronti per dare un contributo concreto. Non prospetti, per dirla con le stesse parole di Jones, ma giocatori NBA fatti e finiti, quelli che garantiscono in ogni circostanza un livello minimo di rendimento. Queste aggiunte sono state, principalmente, Ricky Rubio, Aron Baynes, Frank Kaminsky e Dario Saric.
Se degli ultimi due si può dire che stiano ancora cercando la loro dimensione e stiano viaggiando a corrente alternata, Rubio e Baynes sono stati i veri difference maker per i Suns.
Ricky Rubio, l’equilibrio nella Forza
Una delle mancanze strutturali dei Suns rilevate da tutti gli addetti ai lavori nelle passate stagioni, era l’assenza di un vero playmaker, che dettasse i ritmi di gioco e migliorasse l’esecuzione dei set. Ebbene, Ricky Rubio fa tutto questo e anche di più, ad esempio sgrava quasi completamente Devin Booker dalla fase di costruzione del gioco – maggiori dettagli sull’argomento più avanti – per lasciarlo concentrarsi sulla cosa che gli riesce meglio: fare canestro.
Il play spagnolo è sempre stato un floor general talentuoso in grado di rendere la vita facile ai suoi compagni di squadra grazie alla sua visione di gioco, e questa stagione non fa eccezione. Rubio ha tanti difetti, ma ha portato l’equilibrio nella Forza di cui i giovani Padawan in Arizona avevano disperato bisogno. E’ lui che permette alla squadra di entrare nei giochi presto e in maniera aggressiva, facilitando poi lo svolgimento di tutta la manovra:
Nel video è possibile osservare diverse situazioni in cui Rubio crea con le sue penetrazioni, scaricando poi sui tagli vicino a canestro o collassando la difesa e riaprendo per i tiratori oltre l’arco. Ciò motiva gli altri quattro giocatori a muoversi senza palla, a beneficio di tutti. I Suns sono infatti ottavi per velocità di movimento in attacco, ottavi per numero complessivo di passaggi e addirittura secondi per assist totali, tutti numeri che indicano un attacco dinamico e di movimento. Un altro dato che rafforza ancora di più questo argomento è la percentuale di canestri segnati direttamente su tagli: i ragazzi di Monty Williams sono secondi nella lega col 9.8%.
Phoenix è inoltre prima in AST% e Assist Ratio in NBA, e Rubio è certamente una delle maggiori cause di questi dati statistici.
Guardando al box score classico, si potrebbe pensare che il playmaker spagnolo non stia disputando in fondo una stagione così speciale. Nessuna delle sue cifre “classiche” spicca particolarmente rispetto agli anni passati e anzi, alcune sono anche leggermente in calando. Una delle statisiche avanzate omnicomprensive più apprezzate dagli addetti ai lavori, però, il PIPM (Player Impact Plus/Minus) di Jacob Goldstein, ci rivela come Rubio sia in realtà una delle migliori PG della lega per l’impatto che il suo gioco sta portando ai suoi Phoenix Suns, ed è settimo nel ruolo per Wins Added, davanti a gente come Kyrie Irving, Ben Simmons e Luka Doncic.
Aron Baynes, da Role Player a Superstar
L’altra aggiunta fondamentale in offseason, per i Suns, è stata l’acquisizione di Aron Baynes, scaricato dai Celtics in un’operazione di salary dump che ha sollevato ben poche sopracciglia.
Inizialmente preso per essere un backup affidabile di DeAndre Ayton, da quando l’ex prima scelta al draft è stato sospeso per l’uso di una sostanza illecita, non solo Baynes non l’ha fatto rimpiangere, ma ha addirittura migliorato il gioco dei suoi. L’australiano sta tirando con un irreale 44.2% da tre punti – la miglior percentuale avuta fino alla scorsa stagione era il 34% – su oltre 4 tentativi a partita: è a tutti gli effetti uno dei migliori stretch 5 dell’NBA e questa sua nuova dimensione sta aiutando a creare spazi per tagli a centro area, sui quali ali versatili e atletiche come Kelly Oubre o Mikal Bridges stanno banchettando.
Baynes sta avendo un career year sotto ogni aspetto del gioco, migliorando, e di molto, praticamente ogni voce statistica: oltre alla terribile impennata in fase realizzativa – 14.5 punti di media quest’anno, non ne aveva mai segnati più di 6.6 nel corso della sua avventura in NBA– è ai massimi in carriera anche in rimbalzi totali, assist, stoppate ed eFG%. Se non è un candidato al MIP questo, ditemelo voi che cos’è.
L’australiano sta toccando vette di efficienza da lui inesplorate, rientrando nel 90 percentile fra i centri per punti su tiri tentati, secondo Cleaning The Glass. Ciò risulta ancora più impressionante se si considera che sta tirando più volte da oltre l’arco che al ferro – il 44% contro il 39% dei suoi tentativi.
L’ex Celtics, inoltre, è come non mai a suo agio nel ruolo di passatore: sempre secondo Cleaning The Glass, Baynes rientra nel 93 percentile dei centri per AST% e Assist to Usage Ratio, risultando di fatto uno dei migliori big men passatori dell’intera lega:
In questa breve clip si può ammirare la nuova versione di Aron Baynes, perfettamente a proprio agio nel mettere la palla a terra – dopo aver venduto benissimo la sua finta di tiro – e riaprire a Rubio nell’angolo per la tripla.
Baynes è anche uno dei motivi principali per cui Phoenix è così migliorata come squadra negli handoff. I Suns sono infatti primi nella lega per punti per possesso quando eseguono questo particolare tipo di giocata, con una eFG% semplicemente stellare – 70.9%, anche qui primi in NBA:
Aron Baynes sta giocando da vera e propria star, elevando il suo gioco in una maniera che forse nessuno avrebbe potuto prevedere. Per Basketball Reference, è ottavo in NBA per Win Shares-48 Minutes e sesto in Box Plus/Minus dietro a gente del calibro di Antetokounmpo, Doncic, LeBron, Harden e Towns. In poche parole, il meglio del meglio della NBA.
Quando Ayton tornerà, sarà difficile per Monty Williams scegliere chi far partire titolare e a chi far chiudere le partite. Ayton rappresenta senza dubbio il futuro della franchigia, nonché un giocatore dal cui sviluppo passeranno le fortune cestistiche dell’Arizona per gli anni a venire, ma è indiscutibile che con Baynes in campo i Suns siano una squadra migliore, moderna e bilanciata.
Il nuovo inizio di Devin Booker
Si è detto in precedenza di come l’arrivo di Ricky Rubio abbia semplificato le cose per Devin Booker, il quale non è più costretto a iniziare oltre che a finire le azioni, potendosi ora concentrare su quest’ultimo aspetto. Booker è sempre stato un realizzatore talentuoso, ma questo suo talento si andava perdendo, nelle passate stagioni, nella mediocrità che lo circondava. Non era chiaro quanto le sue cifre fossero frutto effettivamente della sua grandezza e quanto invece fossero ampliate dal contesto perdente in cui si trovava. Quest’anno, invece, si sta assistendo ad una nuova versione di Booker, una versione decisamente migliore.
Il #1 sta segnando e servendo meno assist di media rispetto alla passata stagione, ma l’efficacia con cui lo sta facendo è schizzata alle stelle, e si sta iniziando a intravedere il suo vero potenziale da All Star. Booker sta realizzando comunque 24.9 punti a gara, il che lo piazza appena fuori dalla top 10 dei migliori realizzatori, ma il suo usage è calato parecchio rispetto ad un anno fa – 27.3% contro il 34%. E’ lo usage più basso dalla sua stagione da sophomore.
L’avere meno la palla in mano espone la giovane guardia dei Suns a meno errori e a meno tiri forzati. Questo si traduce nella più alta eFG% della sua carriera (60.6%), facendo registrare un’impennata di ben 8 punti percentuali rispetto alla passata stagione (52.1%). Finalmente le sue percentuali da oltre l’arco (48.6%) sono a livello del suo talento – non era umanamente possibile che un giocatore di quel livello offensivo tirasse con solo il 36% da 3 in carriera – e questo perché non è più costretto a tirare con l’uomo addosso in situazioni precarie. Ogni tanto succede, certo, ma ora Booker può godersi tiri piazzati sugli scarichi generati dalla presenza di Rubio e dal playmaking aggiunto di Baynes.
Quest’anno Devin viene assistito sul 52% dei suoi tentativi totali dal campo, il dato più alto dalla sua stagione da rookie e il 16% in più rispetto all’anno scorso. Soprattutto, viene assistito il 73% delle sue triple totali, contro il 58% della passata stagione, numeri che parlano di quanto Booker sia ora più libero di giocare senza palla. Ciò beneficia tutto l’attacco, dato che Booker richiamerà sempre su di sé le attenzioni principali delle difese avversarie, creando spazi per i compagni che prima non esistevano.
Take that for data

Fonte dei dati: https://stats.nba.com
Il grafico qui sopra è interessante perchè fa saltare immediatamente all’occhio alcune differenze sostanziali nel tipo di pallacanestro che sta giocando Booker quest’anno. La differenza maggiore rispetto alla passata stagione è il numero di pick and roll giocati da palleggiatore, dove Booker è passato dal 34.5% ad appena poco più del 22%. Meno gestione diretta del pallone, quindi, e più tempo a muoversi senza palla, come testimoniano gli aumenti del numero di possessi giocati da tagliante e da ricevitore in handoff.

Fonte: stats.nba.com

Fonte: stats.nba.com
Qui vediamo altre due grafiche indicative di come il gioco di Devin Booker sia cambiato rispetto all’anno scorso. In alto troviamo a confronto la durata media di ogni “tocco” di Booker fra la stagione passata e quella attuale. Come si vede, in questo inizio di regular season sono aumentati i possessi brevi, in cui Booker non tiene la palla per più di due secondi, e sono aumentati anche i possessi “medi”. Diminuiscono drasticamente, invece, le situazioni in cui la guardia dei Suns tiene fermo il pallone per più di 6 secondi, segno di come Devin sia molto più a suo agio all’interno del sistema offensivo, favorendo un gioco fluido e di movimento.
Nel secondo grafico, invece, viene messo in evidenza come il nuovo sistema offensivo di Phoenix favorisca Booker stesso, permettendogli di prendere tiri con più spazio. I dati sono in riferimento alla difesa sui tiri presi dal #1 a più di tre metri dal canestro – a distanze minori si parla di tiri al ferro, situazione in cui normalmente si ha sempre un difensore vicino – e mostra come, quest’anno, le soluzioni prese con l’uomo addosso (very tight) siano diminuite molto. Diminuiscono anche i tiri presi con un difensore vicino (tight), a dimostrazione di come il costante movimento di uomini e palla – e la presenza quasi costante sul parquet di cinque floor stretcher – consenta anche a Booker di prendere tiri migliori.
Imparare a giocare off the ball è un passaggio fondamentale che tutti i grandi tiratori prima o poi devono compiere. Booker avrà sempre occasione di creare palla in mano a giochi rotti, ma imparare a sfruttare la sua gravity non potrà far altro che giovare alla sua pericolosità offensiva e in generale al gioco dei Suns.
Moving Forward
La regular season è appena iniziata ed è prestissimo per dare qualsiasi verdetto. Nonostante ciò, non è azzardato considerare l’avvio dei Suns sorprendente. La filosofia di James Jones di alzare il floor della squadra sta dando i suoi frutti, ma il proseguo di stagione è legato a doppio filo con una serie di incognite. La salute di Rubio e il rendimento di Baynes sono ad esempio due fattori dal difficile pronostico, data la storia pregressa di infortuni dello spagnolo e la straordinarietà dei numeri messi insieme finora dall’australiano. Il ritorno di Ayton è un altro punto di domanda: quanto si integrerà all’interno del nuovo stile di gioco della squadra? Come gestirà Williams le rotazioni dei suoi lunghi? Sono tutti fattori che possono traghettare l’annata dei Suns in una direzione così come nell’altra.
Phoenix ha avuto finora l’ottava Streght of Schedule della lega, un dato che lascia ben sperare sull’affidabilità delle prestazioni viste in campo. Vittorie importanti contro squadre come Clippers, Jazz e Sixers potrebbero essere un ulteriore segnale che l’avvio dei Suns non è solo un fuoco di paglia.
Il roster possiede comunque ancora notevoli margini di miglioramento: come detto, Saric e Kaminsky non stanno performando al meglio, e Bridges, così come anche il rookie Cameron Johnson hanno ampie possibilità di portare il proprio contributo al livello successivo. Dato anche l’impatto – almeno offensivo – che DeAndre Ayton dovrebbe portare al suo rientro, c’è più di qualche ragione per i tifosi Suns per essere fiduciosi sul futuro.
E questa, forse, è l’inversione di tendenza più importante di tutte.