“Five! Five!” urlava Conley nella penultima partita di preseason contro i Kings per chiamare uno schema senza ottenere alcuna risposta da parte dei suoi compagni. Ad un certo punto Mitchell capisce e gli risponde: “Mike! Noi non abbiamo questo schema…”.
Dopo 12 anni nella stessa squadra, l’adattamento di Mike Conley non poteva che presentare delle difficoltà che mai aveva sperimentato in vita sua. Anche la terminologia può risultare problematica da apprendere (soprattutto in un sistema complesso come quello di Snyder) ma non per questo i Jazz hanno perso fiducia in Conley.
Bisogna stupirsi dell’andamento delle prime partite? No e tutta la squadra, consapevole del fatto che Conley avrebbe dovuto assestarsi ad una nuova vita, si è messa al lavoro dal primo momento. Mitchell appena tornato dai mondiali si è fiondato a Los Angeles per potersi allenare con il suo futuro compagno di backcourt. Ha anche organizzato una cena con la nuova squadra al completo per velocizzare il processo di amalgama, fondamentale per tutti gli innesti estivi ma soprattutto per Conley, che avrà il compito di dirigere l’orchestra Jazz di Salt Lake City.
L’uomo, prima ancora che il giocatore
Conley ha sempre mostrato poche emozioni sul campo da basket. È sempre stato freddo quando messo sotto pressione. È sempre stato abile nel fare la giocata giusta, il passaggio giusto, il tiro giusto, al momento giusto. È la ragione per cui è in NBA da oltre un decennio. È la ragione per cui è riconosciuto come uno dei migliori leader, nonostante non abbia mai fatto un All Star game. Ed è la ragione per cui i Jazz lo hanno inseguito per anni e alla fine lo hanno portato nello Utah grazie a uno scambio con i Grizzlies.
Ma, per Conley, non c’erano possibilità che rimanesse distante e freddo quest’ultimo venerdì sera. Il ritorno a Memphis per la prima volta per affrontare la squadra con cui si è creato un nome è un evento che non aveva bisogno di segnarsi sul calendario per ricordarselo. In molti modi, Mike Conley rappresentava i Grizzlies e il loro spirito. Tosto. Resiliente. Efficiente. Equilibrato. Non si può menzionare la città di Memphis e non pensare a Conley e quanto è stato importante per una intera generazione di amanti del basket e non. Ad oggi, guida la franchigia in punti, assist, palle rubate, partite giocate e canestri dal campo.
Giovedì, prima di scendere in campo per la prima volta da ex-Grizzlies ha detto a The Athletic: “Sarà dura perché ci saranno così tante emozioni. E poi, dovrò trovare un modo per provare a giocare una partita di basket”. Una volta terminata la partita, lo stesso Conley l’ha definita come “la più difficile della sua vita”.
Ma come è arrivato Mike Conley a questo punto? Perché è stato considerato uno dei 10 migliori nella sua posizione per così tanto tempo?
Ha una durezza mentale sul parquet che smentisce la sua personalità, sobria e calma.
Il suo grande amore è da sempre la pallacanestro, ma non per questo Mike Jr. è cresciuto pensando di avere una corsia preferenziale per la NBA. Ben presto ha iniziato a prendersi responsabilità, dall’ultimo anno di superiori fino all’esperienza ad Ohio State. Questo lo ha aiutato a diventare un esempio per i compagni. Lo ha aiutato quando si trattava di gestire una squadra. Lo ha aiutato ad essere diplomatico quando ha dovuto criticare i suoi compagni di squadra. Grazie a questa sua capacità, i suoi compagni lo hanno sempre ascoltato e lodato. Grazie a questo suo carisma, alcuni suoi ex compagni (Jeff Green ed Ed Davis) hanno deciso di seguirlo in questa sua nuova avventura, preferendo Utah ad altre squadre.
“È uno dei migliori compagni di squadra che io abbia mai avuto“, ha detto Green. “La sua professionalità, il modo in cui si comporta, la sua maturità: ha guadagnato moltissimo rispetto in tutto il campionato“. Non è un caso che Conley abbia vinto per tre volte lo sportmanship award, incluso l’anno scorso. Questi valori umani son stati traslati dal primo giorno di allenamento con i propri compagni di squadra. A livello tecnico, si inizia a vedere qualche miglioramento, ma si è ancora lontani dalle perfomances con cui Conley ha deliziato i tifosi dei Grizzlies.
Cosa è cambiato quest’anno?
Vi sono varie differenze tra il roster attuale dei Jazz e quello in cui Conley ha giocato negli ultimi anni a Memphis, riassumibili in tre fattori.
Per prima cosa, Conley non ha mai giocato con un 4 tattico. Da Randolph a Bogdanovic passando per Jaren Jackson Jr. gli adattamenti da mettere in pratica non sono di certo pochi. Questa novità comporta nuove spaziature, e lui da playmaker titolare è chiamato a mettere ordine e a gestire il posizionamento dei compagni. Queste difficoltà si tramutano per i Jazz in un 3PTA rate inferiore rispetto all’anno scorso, e a un numero minore di giocate per Gobert.
Lo stesso P&R se giocato con Bogdanovic vedrebbe il croato galleggiare sulla linea da tre allontanandosi dal pallone invece di prendere la direttrice verso il ferro:
Proprio Gobert rappresenta un secondo segno di discontinuità rispetto agli anni passati di Conley. Recentemente, il prodotto di Ohio State ha dichiarato come il passaggio schiacciato per terra per Gasol dopo un pick & roll per lui sia un automatismo. Lo stesso passaggio per il centro francese dei Jazz non è altrettanto efficace; Rudy per via della sua mole è al suo meglio quando viene innescato tramite un lob: Conley non ha ancora trovato i tempi giusti per servirlo puntualmente e Gobert si è recentemente lamentato dello scarso numero di palloni che riceve (il numero dei lob convertiti in schiacciate dal francese è passato da 5.1 a 2.3 a partita). Non è di certo una testimonianza del fatto che Gobert e i Jazz abbiamo perso fiducia in Conley: nell’ultima settimana il loro affiatamento è parso in miglioramento.
Ottava partita, il passaggio non è più un schiacciato a terra, ma un lob ancora non ben calibrato per i tempi di Gobert:
Decima partita, si inizia a vedere la chimica tra playmaker e centro con un lob disegnato perfettamente per Gobert:
L’ultima novità è legata a Mitchell, l’altra stella degli Utah Jazz. Tra tutte le guardie con cui Conley ha giocato, il prodotto di Lousville è sicuramente il più bisognoso di avere la palla tra le mani. Non a caso, il numero di palloni toccati da Conley per partita è diminuito del 25% circa: ad oggi è fra i playmaker titolari con il minor numero di palloni toccati a partita, mentre l’anno scorso risultava tra i primi. Questo potrebbe essere il cambiamento più grosso da affrontare per Conley: per lui avere la palla in mano è più che un’abitudine.
Il primo anno con Coach Quin
All’interno della NBA, lo stile di gioco dei Jazz è risaputo essere tra i più complessi in assoluto. Non solo per la terminologia, ma anche per il ritmo con cui i giocatori e il pallone si muovono ad ogni azione. La distribuzione dei tiri di Utah lo scorso anno rientrava perfettamente nella definizione della moneyball, ovvero la ricerca di tiri da tre o al ferro. Snyder, per ovviare alla mancanza di talento degli ultimi roster, ha sviluppato un sistema di passaggi e tagli che ha radici su queste scelte di tiro “analitiche”, chiamato advantage basketball. Ogni playmaker passato negli anni per i Jazz è stato messo sotto pressione da questo sistema di gioco così complesso. Non è un caso che Utah sia sempre stata tra le peggiori dieci squadre in termini di palle perse negli ultimi 6 anni:

Per rendere l’idea di queste difficoltà, prendiamo in esame il caso del predecessore. Rubio è stato in grado di limare quasi il 6% dal suo TurnOver rate rispetto a quanto aveva fatto nelle prime 14 partite (dal 24 a 18%). Conley aveva iniziato con quasi il 20% di TOV% e dopo la partita in Tennesse si è assestato attorno al 14.3%, ma non ci si lasci ingannare da questo miglioramento. Il dato attuale è ancora sopra alla sua media in carriera e ancora distante dal 9.1 di TOV% dello scorso anno
Proprio l’esperienza del catalano deve essere d’insegnamento per i tifosi mormoni: bisogna pazientare. Due anni fa Rubio risultò efficace nella seconda metà della stagione, una volta entrato negli automatismi dei Jazz:

Andando poi ad analizzare le prime partite in assoluto, si vede come nelle prime 14 Rubio avesse il 35% dal campo, il 25% da 3, con 3.8 TO (a fine anno invece il dato delle perse era di 2.6 TO a partita). Rubio aveva addirittura 92 tocchi a partita durante il mese di ottobre, ben 15 in più rispetto alla sua media in maglia Jazz. Conley sembra destinato ad un percorso quasi inverso. Da deus ex machina dei Grizzlies con 83 tocchi a partita durante la sua ultima annata nel Tennesse, oggi si attesta sui 68. Anche questo valore è in fase di normalizzazione rispetto ai 54 tocchi che aveva durante le partite del mese di ottobre.
Per venirgli in soccorso, nelle ultime partite coach Snyder ha cambiato le rotazioni. Ad inizio anno Conley era il primo ad essere sostituito per poi essere inserito a guidare la second unit, compito adesso affidato a Mitchell. Questo permette a Conley di essere più protetto da eventuali errori: risulta meno costretto a prendersi conclusioni e responsabilità in questo momento di adattamento, dividendo il campo soprattutto con gli altri titolari. In questa maniera Snyder lo ha leggermente deresponsabilizzato, concedendogli così di poter prendere il ritmo-partita prima di venire sostituito. Un modo per venirgli incontro, non di certo una dimostrazione del fatto che i Jazz hanno perso fiducia in Conley.
Analisi “fisica”
Lo scorso 11 ottobre Conley ha compiuto 32 anni, non pochi soprattutto considerando che è alla dodicesima stagione NBA. Per stimare quanto l’invecchiamento possa causare le odierne difficoltà, si prendono qui di seguito in esame degli aspetti differenti del suo gioco. Tali componenti sono prettamente legati alla forza e alla reattività che ha nelle gambe.
Per un giocatore delle dimensioni di Conley, i numeri di schiacciate e di stoppate non rappresentano degli indicatori affidabili. La percentuale sui tiri in catch and shoot può essere invece un dato interessante per capire se ancora mantiene la stessa spinta nelle gambe. Togliendo la sfortunata annata 2017-18 in cui giocò solamente 12 partite, nelle ultime sei stagioni Conley ha realizzato con continuità tra il 54% e il 64% di EFG%. Il dato attuale è del 59.2%, in linea con le sue tendenze in maglia Grizzlies. Niente che mostri segni di involuzione fisica.
A suonare il primo campanello d’allarme è invece la STL%. Il valore attuale è il più basso in carriera (1.6%) e lontano dal dato che gli valse la nomina nel second all-defensive team 2012-13 (3.4%). Questo calo è rappresentativo della sua minore esplosività nelle gambe. Il secondo e ancor preoccupante allarme può essere visibile nella sua distribuzione dei tiri:

Percentuali di realizzazione dei tiri a seconda della distanza dal ferro
Già l’anno scorso la percentuale dei tiri presi da Conley vicino al ferro è risultata essere molto inferiore rispetto alla sua media carriera. Quest’anno le sue conclusioni nella restricted area sono totalmente crollate (tra 0 e 1 metro). Vi sono vari motivi per un cambiamento così drastico, primo fra tutti la presenza di Gobert che è molto più stanziale rispetto a Gasol. Al contrario, la perdita di esplosività nelle gambe appare visibile soprattutto nel suo marchio di fabbrica: i floater dal palleggio. Il calo dal 49.4% dello scorso anno al 36% attuale per le conclusioni tra i 1-3[m] e dal 42.9% al 34.5% nei tiri tra i 3-5[m] è dovuto principalmente a questo specifico tiro. Il vero problema, prima ancora delle percentuali realizzative, è legato alla quantità di conclusioni prese in zone del campo poco efficienti:
La differenza tra i dati attuali e quelli dell’anno scorso non sarebbe così preoccupante se non fosse contestualizzata in un trend negativo. Tale constatazione risulta visibile grazie al confronto tra le percentuali dello scorso anno con quelle storiche. Ad oggi si notano, in particolare, delle difficoltà a battere il difensore dal palleggio. La conseguenza è che i centri avversari hanno maggior facilità ad aiutare sulle sue penetrazioni costringendo Conley a prendere tiri generalmente poco efficienti. Questo effetto è sicuramente accentuato più che mai in una NBA come quella del 2020 in cui il mantra è togliere i tiri al ferro. Se una volta li segnava con percentuali ben superiori alla media della lega, adesso si ritrova ad essere abbondantemente sotto media. Buona parte della sua inefficienza attuale risiede proprio in questo dato.
Se sulla selezione dei tiri c’è qualche dubbio sul fatto che possa migliorare, le percentuali odierne sono semplicemente troppo brutte per essere vere. Risulta comunque innegabile che un deterioramento fisico ci sia. Ammesso che sia così la realtà è una sola: ai Jazz non serve che Conley faccia le magie a cui ero costretto in maglia Grizzlies. Non vi sono motivi per pensare che i Jazz abbiano perso fiducia nei confronti di Conley, bisogna aspettare. Quando mentalmente sarà più tranquillo e in armonia con il resto della squadra, il suo rendimento risulterà più costante e in linea con le aspettative iniziali. La vera domanda a cui i Jazz sono chiamati a rispondere è: basterà per poter impensierire i due team di Los Angeles? O si dovrà chiedere a Conley qualche miracolo anche in maglia Jazz?