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La trasformazione di Brandon Ingram

Giuseppe Crociata by Giuseppe Crociata
1 Marzo, 2020
Reading Time: 8 mins read
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Ingram
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Nella Preview della stagione dei Pelicans, qualche settimana fa, vi abbiamo chiesto se foste pronti ad “immergervi nella Zion Era“. Sfortunatamente, a causa di un intervento ad un ginocchio, la Zion Era dovrà aspettare almeno fino a dicembre di quest’anno. A prendere il suo posto di go-to-guy, però, in una New Orleans in cui Jrue Holiday è partito a rilento, è stato Brandon Ingram. L’ex Lakers ha messo a referto, nelle sue prime nove partite con la maglia dei Pelicans, cifre paurose: 25.9 ppg/ 7.3 rpg/ 3.9 apg/ 0.9 bpg, tirando con il 53.7% dal campo (63.3 di TS%). Il tutto in 32 minuti di media a partita.

Ciò che fa più piacere, oltre alle sue medie da Most Improved Player, è l’atteggiamento di Brandon che, al contrario di come viene spesso descritto dai più, è tutt’altro che svogliato.

In questo avvio di stagione, aldilà di alcuni aspetti del gioco in cui sembra essere migliorato in maniera esponenziale, di cui parleremo fra poco, ha mostrato molta grinta ed energia ogni qualvolta ha messo piede sul parquet; non era scontato, c’erano dubbi da parte dei tifosi (compreso il sottoscritto), ma Ingram ha risposto meravigliosamente, dimostrando di avere voglia di fare bene.

Entrando più nello specifico del gioco del ventiduenne, ciò che appare evidente guardando le sue partite è la confidenza con cui prende le decisioni e con cui agisce: mai un’esitazione, né quando si trova in situazioni in cui solitamente è a suo agio, come nelle penetrazioni o nei jumper dalla media, né quando, come per quanto riguarda il tiro da 3, è più facile che un giocatore come lui si trovi a pensarci due-tre volte prima di prendersi il tiro.

Ed è proprio il tiro da 3 la caratteristica che contraddistingue l’Ingram di questo inizio rispetto a quello della sua parentesi ai Los Angeles Lakers: se nelle prime 3 stagioni della carriera la sua percentuale dall’arco arrivava a malapena al 33% su 2 tentativi a partita, nelle prime nove partite ai Pelicans la percentuale è schizzata al 46.9% su 5.4 tentativi di media a partita:

In una squadra che, almeno sulla carta, ha così tanti problemi in termini di spacing, il miglioramento al tiro di BI è di cruciale importanza, per svariati motivi. Uno di questi è la possibilità di essere pericolosi anche a difesa schierata con un Ingram da marcare più stretto sul perimetro: non è un segreto che l’attacco, in casa Pelicans, non sia esattamente efficiente in queste situazioni. Anche per questa ragione ci si ritrova spesso a concludere nei primi secondi dell’azione (i Pelicans sono quarti per pace nella lega) anche quando, per farlo, si è costretti a forzare il tiro o il passaggio. L’opportunità di attaccare ANCHE negli ultimi secondi del cronometro dei 24 può solo che essere un vantaggio per Gentry e i suoi.

Altra caratteristica in cui ha fatto passi avanti è la lettura del pick&roll (ovviamente da ball handler): se la stagione scorsa arrivava a malapena a 0.8 punti per possesso con una FG% del 42.4%, in questo inizio di stagione le sue medie sono aumentate parecchio. Si parla di 1 punto a possesso, con una FG% del 53.3%, posizionandosi nel 79° percentile in questa particolare classifica. Per lettura del pick&roll, però, si intende anche la bravura nel creare il vantaggio per la squadra partendo dal blocco, e in questo Ingram è iniziato benissimo, scegliendo sempre il passaggio giusto nel momento giusto. Non male per un ragazzo di 6’7.

Qui di seguito potete vedere tre clip diverse con Ingram che gioca in ala il P&R contro i Nets. In prima battuta notiamo il classico snake&hold, poi un jumper in arresto e tiro dalla media ed, infine, un layup tutto frutto delle sue lunghe leve:

Se il tiro dall’arco così convincente può considerarsi una sorpresa, la sua capacità di concludere al ferro non stupisce: in questo inizio di stagione la sua percentuale al tiro dalla restricted area è del 64.4% (3.2 a partita su 5 tentativi), medie che non si distaccano di molto rispetto a quelle di giocatori come Irving o Harden:

Qualche giorno fa è arrivato il suo career-high di punti, contro i Brooklyn Nets dello stesso Kyrie. Sebbene NOLA abbia perso, BI si è messo decisamente in mostra segnando 40 punti. La varietà con cui ha messo a referto quelle cifre sono quasi degne di Kevin Durant, il quale si è congratulato con lui al termine della partita:

https://www.youtube.com/watch?v=OR5oUitsSPk

Fin qui abbiamo elogiato la parte offensiva del gioco di Ingram, ma come si sta comportando nell’altra metà del campo?

Qui la valutazione da fare è diversa: Ingram, che è sempre stato un difensore nella media, non ha mostrato grandi miglioramenti e con lui in campo la difesa di New Orleans, che di per sé al momento è un buco continuo, è peggiore in termini statistici: nei 289 minuti in cui BI era sul parquet, i Pelicans hanno concesso 117.6 punti per 100 possessi, a fronte dei 103.4 che sono stati concessi nei minuti in cui lui non ha giocato. Chiaramente il discorso riguardo al suo impatto sulla difesa è molto più ampio di quello che mostra questa statistica, ma è un dato da tenere in considerazione quando si parla dell’ex-Lakers.

In una difesa di squadra che, come detto prima, fa acqua da tutte le parti, Brandon, però, si è leggermente distinto per l’impegno che spesso mette nel difendere, anche contro giocatori più grossi di lui. Un esempio è stato il matchup con Kristaps Porzingis, contro cui ha retto bene, soprattutto quando il centro lettone ha giocato in situazione di post up:

Inoltre, le 0.9 stoppate e le 0.8 rubate a partita sono i dati più alti nella sua carriera. Ancora una volta, è bene ricordare che non si possono giudicare le abilità di un difensore da 2 raw stats, ma ciò è sintomo di una crescente consapevolezza di ciò che accade in campo e di un maggiore impegno. Dando poi un’occhiata più ampia, allargandosi a tutto il roster, appare evidente come gli istinti difensivi dei singoli siano importanti: non è un caso che i Pelicans siano primi per distacco in deflections. I problemi in difesa per i Pelicans non sono di certo nella difesa uno contro uno ma in transizione difensiva (ultimi nella lega per punti per possesso subiti) e nella difesa sul P&R (penultimi nella lega per punti per possesso subiti).

A cosa sono dovuti questi miglioramenti? La presenza di uno shooting coach con cui può lavorare regolarmente è un fattore molto importante, così come, probabilmente, lo stile di gioco della squadra che lo sta aiutando da questo punto di vista. Non è un caso, infatti, che la confidenza che sta mostrando Ingram in questo inizio di stagione sia comune a tutti i giovani del core dei Pelicans. Un altro esempio lo possiamo trovare in Alexander-Walker che, pur essendo un rookie, in certe occasioni gioca con la leggerezza di un veterano.

Altro fattore fondamentale che sta contribuendo alla crescita di Ingram è la pressione mediatica che, rispetto a quella che doveva sopportare ai Lakers, è diminuita drasticamente. Tra il peso di dover giocare nell’era post Kobe, il ritrovarsi un LeBron James in cerca del suo quarto titolo, le esigenze della tifoseria e svariati rumors su possibili trasferimenti (concretizzatisi nella trade che lo ha portato in Louisiana), la sua parentesi in giallo-viola è stata un macigno, psicologicamente. Eppure ha sempre detto di non essere influenzato dall’ambiente:

“Tutto quello che ho passato, dalla stagione da rookie in avanti, mi ha insegnato molto: come affrontare le critiche, come migliorare, come superare i momenti di crisi. Io gioco semplicemente a basket. Non sono preoccupato di quello che dice la gente di me e di quello dice che la gente dice sulla mia squadra. Quello di cui siamo preoccupati noi giocatori è di fare il nostro lavoro, stop”.

Queste le sue parole in una intervista per TheAthletic in cui, però, fa capire anche quanto la situazione nello spogliatoio fosse diventata particolarmente spiacevole da quando Anthony Davis ha chiesto la trade: “la situazione non mi ha influenzato. Tutta questa mer*da non mi è entrata in testa ma si stava diffondendo in spogliatoio. Non è tutto andato come avrebbe dovuto andare”.

New Orleans è in grado di dare ad Ingram la serenità che gli può permettere di fare bene con costanza, dandogli la possibilità di dimostrare il suo talento, e questo inizio fa ben sperare.

Tags: Alvin GentryBrandon IngramJrue HolidayNew Orleans Pelicans
Giuseppe Crociata

Giuseppe Crociata

Amante dello sport nelle sue diverse sfaccettature. Sogna di diventare un medico e prega ogni giorno affinché Zion non si spacchi il ginocchio.

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