Per chi ancora non lo sapesse, chi scrive ha un debole atavico per Zach Lowe e le sue ten things: un articolo settimanale in cui elenca le dieci cose che gli sono e non gli sono piaciute della settimana NBA; probabilmente il pezzo giornalistico che più ammiro del panorama oltreoceano.
Per questa sorta di emulazione mista ad ammirazione sfrenata, ho proposto di uscire, con l’aiuto di altri autori della redazione, con un pezzo bisettimanale che raccolga le dieci cose che più ci sono e non ci sono piaciute del parco giochi NBA. Non aspettatevi sempre le dieci storie più di tendenza, anzi, non aspettatevele mai: qua dentro troverete cose che ci sono saltate agli occhi quasi per caso, cose che non ci aspettavamo di vedere. Non arrabbiatevi se non troverete le dieci cose che pensavate di leggere, perché raramente andrà così.
Ecco a voi i Ten Talking Points di questo inizio di Regular Season NBA:
1) LeBron vs Luka è il duello che vorremmo vedere in una serie di playoff
Per chi se lo fosse perso, venerdì notte LeBron e Doncic hanno dato vita ad uno degli scontri più belli di questa Regular Season fino ad ora. Tra le altre cose, i due sono diventati rispettivamente il più giovane ed il più vecchio ad aver mai registrato una tripla doppia da 30+ punti e 15+ assist, nonché gli unici due avversari ad averlo fatto nella stessa partita:
LeBron non è stato pressoché mai il difensore designato di Luka, che ha torturato a turno Avery Bradley e Kentavious Caldwell-Pope soprattutto nel terzo quarto, in cui ha segnato o assistito 23 dei 27 punti di Dallas:
Se da una parte Doncic ha sfoggiato in più occasioni il suo marchio di fabbrica, lo stepback da 3 punti, dall’altra parte LeBron non ha voluto essere da meno, prendendo per mano i Lakers nei momenti più delicati della partita, chiudendo egli stesso con un buon 4/9 da 3 e mettendo un paio di canestri decisivi nel supplementare:
LeBron contro Luka non è solamente uno scontro tra un campione ed un futuro tale nato col mito del primo, è anche lo scontro tra il giocatore più iconico della passata generazione -promemoria quotidiano che quella appena cominciata è la diciassettesima stagione di LeBron- e quello che promette di essere la sua controparte per la generazione futura. Se esiste un Dio del Basket, avremo uno scontro LeBron vs Luka ai playoff.
2) Jonathan Isaac è il prototipo del difensore perfetto
Mentre tutti quanti erano concentrati su altre cose, nel finale della stagione gli Orlando Magic di Clifford si sono trasformati in una corazzata difensiva. Quest’anno non hanno cominciato in maniera troppo diversa (quarti per defensive rating), anche se per ora l’attacco non sta girando a dovere, figlio anche di una partenza con la mano fredda di Aaron Gordon. Il caposaldo della difesa Magic della seconda metà della scorsa stagione era stato senza dubbio Jonathan Isaac, e nulla è cambiato sostanzialmente in queste prime due settimane di gare:
Isaac sta girando a 2,5 stoppate ed 1,5 rubate a partita in soli 29,7 minuti di utilizzo, marcando quasi sempre il miglior giocatore della squadra avversaria. Contro di lui gli avversari tirano col 29,7% dal campo, e la sua rapidità nel coprire porzioni verticali di campo unita alla sua wingspan fanno sì che riesca a contestare o stoppare tiri improbabili per i più:
Di certo Isaac non è ancora un Bronzo di Riace in termini di massa muscolare, ma è sempre più capace di assorbire contatti in post. La sua verticalità, unita alla capacità di effettuare molto rapidamente un secondo salto istanti dopo essere tornato a terra, sta dando fastidio a molti centri:
Benvenuti nel magnifico mondo di Jonathan Isaac!
3) Pascal Siakam ha iniziato a prendersi triple dal palleggio
Vi ricordate i dubbi sollevati sul max a “quello col nome esotico” ai quali il sottoscritto aveva parzialmente contribuito? Ecco, dopo sole cinque partite sembrano già abbastanza stupidi.
Una delle mie teorie preferite è che, storicamente, i giocatori che hanno facilità a concludere a canestro con alte percentuali ed alti volumi sono quelli che dominano l’NBA. Prima sono venuti i grandi centri, mentre negli ultimi vent’anni è stata la volta delle ali fisicamente imponenti (LeBron su tutti).
Come detto più volte in diversi episodi del podcast, se sai concludere a canestro col 60% o più e sai trovare con regolarità i compagni sul perimetro, allora sei una superstar NBA. In alternativa, se il playmaking non è il tuo forte, per arrivare a quei livelli devi sviluppare diverse dimensioni a livello di scoring, generando canestri per te stesso da altre posizioni del campo. Questo, nell’era dello Sprawlball, citando Goldsberry, può significare una sola cosa: prendendosi triple dal palleggio.
Siakam nella scorsa stagione si era affermato come uno dei tiratori più mortiferi dall’angolo, infilando il 41,6% dei suoi tentativi da quella mattonella, prendendosi peraltro il 68,2% dei suoi 2,7 tiri da 3 proprio da quella posizione. Per necessità o per incapacità di fare altrimenti, lo scorso anno il 97,5% delle triple prese da Siakam erano assistite da un compagno. Quest’anno, questo numero è sceso al 71,4%:
Non solo: il numero di triple prese da Siakam è raddoppiato rispetto allo scorso anno (5,5 vs 2,7), ed anche le percentuali sono aumentate (42,4% contro 36,9%). Inevitabilmente, questo significa ancora più spazi per il camerunense, sia per andare a canestro che per assistere compagni, dal momento che gli avversari si troveranno sempre più costretti a rispettare le sue finte di tiro:
La risposta ai dubbi di cui sopra potrebbe essere stata più facile da trovare di quanto si crede: sì, Siakam è un giocatore da max.
4) Nikola Jokic è lontano dai suoi giorni migliori
Potete guardarla dal lato che volete: il Nikola Jokic di queste prime partite è lontano parente di quello ammirato nella scorsa stagione. Il serbo è apparso svogliato, lento sia nei movimenti che nelle letture dal passaggio, non in grado di armare i suoi tiratori come ci aveva abituato. Uno Jokic in forma, nell’azione qui sotto, avrebbe trovato l’uomo libero in angolo in men che non si dica, o avrebbe provato a prendersi quantomeno due liberi:
Tutte le cifre di Jokic sono in calo rispetto alla scorsa stagione, ma la più preoccupante è la voce “assist potenziali”, scesi dai 12 della scorsa stagione ai 9 della presente. Morale della favola: il crollo delle cifre di Jokic e del gioco di Denver non è da ricercarsi tanto nelle scarse percentuali al tiro dei compagni, quanto nell’inadeguatezza dell’inizio di stagione di Jokic stesso, che non sembra nemmeno intenzionato a tentare di difendere (quest’anno sta concedendo il 73.9% al ferro agli avversari):
In carriera, nelle vittorie di Denver Jokic ha fatto registrare +23 di Net Rating, nelle sconfitte +1, a rimarcare un’altra volta come le nottate no della squadra coincidano con quelle di Joker, che finora sta facendo registrare l’Offensive Rating più basso della sua carriera se escludiamo la stagione da rookie. Il punto più basso della stagione finora è stato senza dubbio, però, l’umiliazione ricevuta giovedì notte su entrambi i lati del campo da Okafor, che ha seriamente messo a dura prova i nervi di Jokic:
Jokic è riuscito a rimanere in campo solamente 27 minuti nella sconfitta di 15 contro i Pelicans, producendo una deludente prestazione da 13+6+6 e -16 di plus minus, mentre Okafor ha messo a referto 26 punti con 8/13 al tiro, il tutto con un solido +19, dando l’impressione di poter dominare il serbo in ogni singola situazione di gioco:
Denver ha bisogno del miglior Jokic, non tanto per racimolare più vittorie, ma per continuare nel percorso di crescita di tutto il roster.
5) I Suns sono una squadra di basket
Sono solamente cinque partite, ripetiamolo tutti assieme, ma sì, i Phoenix Suns sembrano aver trovato una loro identità. Dopo cinque partite, quattro delle quali senza il loro secondo miglior giocatore (DeAndre Ayton), i Suns hanno l’ottavo offensive rating della lega (109) e il settimo defensive rating (100,5). La cosa che più colpisce l’occhio dopo la scorsa stagione è senza dubbio la circolazione di palla, che per ora sembra essere la migliore della lega o quasi, sensazione certificata dall’Assist Percentage più alta tra le 30 franchigie (68,8%):
In ogni situazione incontrata fino a questo momento (i Suns hanno avuto uno dei calendari più complicati della lega sulla carta, avendo incontrato Sacramento, Denver, Clippers, Utah e Warriors), la squadra di Williams è riuscita a non perdere la pazienza e a cercare la soluzione migliore per arrivare al canestro in ogni occasione, senza forzare tiri affrettati e con la consapevolezza che a volte si può costruire un buon tiro anche dopo 20 secondi di azione:
L’uomo in più in questo inizio di stagione dei Suns è stato senza dubbio Baynes, che sta approfittando dell’assenza di Ayton per far registrare 15 punti, 5,7 rimbalzi e 3,2 assist in soli 23,2 minuti a gara, prendendosi poco più di quattro triple a partita e convertendole col 46,2%:
La shotchart di Baynes contro Golden State, partita che ha chiuso con 24 punti, 12 rimbalzi e 7 assist in 28 minuti, è quanto di meglio un allenatore possa desiderare da un suo lungo:

A questo l’australiano ha finora aggiunto la solita difesa rocciosa e le sue doti da leader vocale della squadra, che sembrano addirittura aver risvegliato i sopiti istinti difensivi di Devin Booker:
Sono solo cinque partite, ma i Suns sembrano una squadra di basket, e già questa è una novità.
6) L’attacco stagnante dei Kings
Personalmente non facevo parte della schiera di chi vedeva i Kings ai playoff, ma non mi aspettavo nemmeno che si sarebbero presentati così acerbi ai nastri di partenza. Due sono stati i problemi più evidenti della squadra di Walton: il primo, la pessima difesa (quintultimi nella lega per Defensive rating a quota 112,4); il secondo, l’attacco a metà campo (quintultimi per tiri da 2 assisititi, solo il 41,7%). Sacramento troppo spesso ha sbagliato l’esecuzione dell’azione nei primi dieci secondi, finendo per trovarsi costretta a giocare uno contro uno con una disposizione dei giocatori sul campo che non glielo consentiva. La logica conseguenza sono le palle perse e i canestri subiti in transizione (la difesa in transizione era un problema già l’anno scorso, quest’anno la situazione è peggiorata):
Durante il corso delle partite sembra che i giocatori di Sacramento non abbiano ancora avuto modo di conoscersi, e non si siano nemmeno mai guardati l’un l’altro in video. La quantità di cose sbagliate in questa azione fa rabbrividire: primo, i tre attaccanti non coinvolti nel movimento sono completamente fermi, ed anche volendo Bogdanovic non ha un angolo di passaggio libero per trovare un tiratore da 3 (il trovare tiratori liberi sul perimetro sta essendo un problema per Sacramento, che è sestultima nella lega per percentuale di triple assistite); secondo, il p&r Bogdanovic-Dedmon è la fiera dell’orrido:
Il più spaesato di tutti è sembrato proprio Fox, la stella della squadra, la cui crescita era stata proprio una delle ragioni primarie dell’inaspettata crescita di Sacramento la scorsa stagione. Dal momento che gli avversari stanno levando possibilità in transizione a Sacramento rispetto alla passata stagione (concausa è anche la costruzione del roster di Sacramento, inadatto al gioco in transizione in assenza di Bagley, soprattutto nello spot da 5), Fox è sembrato spesso cercare la soluzione personale, o comunque affrettare passaggi laddove non ci sono linee:
Non è inusuale, in queste prime partite, vedere Fox saltare a canestro, per poi decidere a chi dare il pallone una volta trovata sbarrata la strada, e le quasi quattro palle perse a partita ne sono la riprova:
La stagione è lunga, e a quanto pare una pretendente ai playoff è stata appena tagliata fuori dalla corsa, ma se Walton vuole tenere al sicuro la propria panchina e far fare il salto di qualità ai Kings, molte cose devono cambiare in un lasso di tempo molto breve.
7) Malcolm Brogdon è anche un buon portatore di palla primario
C’erano diversi dubbi su Indiana prima di questa Regular Season, e uno dei principali riguardava Malcolm Brogdon, in particolar modo il suo playmaking. Nei suoi tre anni a Milwaukee, Brogdon non ha mai avuto uno usage rate superiore al 20,7%. Quest’anno sta girando al 26,6%. Questo era abbondantemente atteso nel periodo di assenza di Oladipo, quel che non era atteso era che Brogdon girasse a 22,6 punti (!) e 10,2 assist (!!!):
La cosa che di certo farà piacere al front office di Indiana è che, insieme al quasi triplicarsi degli assist (il suo career high era 4,2), non è arrivato anche un significativo aumento di palle perse (solo 2,4 a partita). Certamente, avere come partner di pick&roll Sabonis e Turner facilita il compito:
Certo, molto probabilmente Brogdon non sarà mai il passatore più “flashy” della lega (non mi ricordo di aver visto un’imbeccata dal lato debole, per dirne una), ma sembra sempre avere un piano B ed un piano C pronti qualora non andassero bene le sue prime opzioni, come nella clip qua sotto, in cui il posizionamento di Drummond impedisce sia il lob per Turner che il pocket pass per Sabonis (o meglio, complica l’eventuale conclusione di Sabonis), la strada al canestro è sbarrata, ma legge l’azione bene e trova TJ Warren in angolo:
Allo stesso tempo, l’efficacia di Brogdon non ha subito un crollo drastico (58,5% vs 61,4% di True Shooting rispetto all’anno scorso), soprattutto sui DHO (quarto nella lega a 1,23 punti per possesso). Malcolm Brogdon si sta caricando sulle spalle l’intero peso della gestione dei possessi dei Pacers, come dimostrato anche dai 20 assist potenziali a partita (terzo dietro di pochissimo a Westbrook e LeBron), e sembra che Indiana possa stare in linea di galleggiamento fino al ritorno di Oladipo.
8) Finalmente ci accorgiamo che Westbrook è il miglior playmaker della lega
Finalmente Russell Westbrook gioca in una squadra con delle spaziature, ed è tutto molto bello. Russell porta sostanzialmente due nuove dimensioni al playmaking di Houston: il gioco in transizione e il trovare compagni liberi in angolo dal lato debole.
Per quanto Harden sia elite nelle situazioni a difesa schierata e nel trovare i compagni passando dalla sua mano forte, non si può dire che sia uno che anticipa le situazioni, che detti il posizionamento dei compagni con dei passaggi come nella clip qua sopra. Russell non ha mai assistito tanti punti quanti quest’anno, e lo sta facendo con lo usg% più basso dalla sua stagione da sophomore. I passaggi ciechi, o dal lato debole, sono l’altra grande area di forza di Russell che non abbiamo quasi mai potuto ammirare nella sua carriera, a causa della disgraziata costruzione del roster di OKC negli anni passati:
Auguri a difendere uno dei due migliori tiratori dall’angolo dell’ultima decade (grazie di nuovo, Goldsberry) quando hai di fronte anche uno con la capacità di letture di Westbrook che, a 31 anni e diversi infortuni alle ginocchia sul groppone, riesce ancora a chiamare a sé due/tre uomini ogni volta che attacca il ferro:
9) Shai Gilgeous-Alexander sa arrivare al ferro
Che, per il momento, non implica anche che sappia concludere al canestro. il sophomore dei Thunder ha però dimostrato una facilità incredibile di arrivare al ferro (sesto nella lega per “drives”, 17 a partita). Parte di questa è dovuta al rispetto che Shai si è guadagnato sul perimetro col tiro da 3, parte al buon mix di ball handling e finte di corpo che ha nel suo arsenale:
Nell’inizio di questa stagione, che lo sta vedendo girare a quasi 22 punti e 7 rimbalzi, Shai ha dimostrato anche miglioramenti nel creare separazione dall’avversario e nell’assorbire i contatti a canestro, di converso aumentando anche il numero di liberi tentati per partita (da 2,4 a 6,2):
C’è ancora tanto lavoro da fare, soprattutto in termini fisici (una volta arrivato a canestro conclude comunque solo col 53,8%), ma l’arsenale di hesitation moves, appoggi alla tabella in controtempo e comprensione delle situazioni di gioco (letture in situazioni di p&r su tutte, ma anche scarichi in angolo sulla penetrazione) lascia ben sperare sul fatto che Shai possa diventare il tipo di scorer che va per la maggiore negli ultimi tempi: quello che si prende principalmente tiri nel pitturato e dall’arco.
10) Tristan Thompson può fare comodo a molte squadre
Tristan Thompson sa fare due cose (più forse un’altra): prendere rimbalzi, rollare forte a canestro e, a volte, difendere il pitturato. In questo inizio di stagione sta facendo tutte e tre le cose come mai aveva fatto in carriera:
Al momento Thompson è il secondo miglior giocatore in una squadra che non ha nulla da chiedere a questa stagione, se non sviluppare al meglio le proprie giovani guardie, e proprio questa è la ragione principale, assieme al suo contratto in scadenza da 18 milioni, che lo rende l’indiziato primo ad essere mosso in cambio di scelte o altri giovani giocatori a stagione in corso. Thompson ha solamente 28 anni, è ancora atletico e fino ad un paio di anni fa aveva anche dimostrato un’ottima “durabilità” e avversione agli infortuni. Di certo potrebbe fare comodo ad una squadra con velleità da playoff che avesse contratti da muovere e a cui mancasse profondità sotto canestro:
Thompson sta girando a 17,6 punti, 11,4 rimbalzi e 1,8 stoppate a partita, tutti career high. Di certo non potrebbe avere lo stesso ruolo qualora andasse in una contender o comunque in una squadra che ha intenzione di fare un lungo viaggio ai playoff, ma aspettarsi da lui 20 minuti di energia dalla panca sarebbe più che realistico: