Cos’è il dolore? “Il dolore allorché è profondo e vero è un peso che non si sgrava mai dal cuore“, risponderebbe un noto poeta inglese originario di Stratford-upon-Avon.
Torneremo sul tema dell’intimità del dolore e del suo impatto sull’animo del protagonista di questa digressione più avanti. Correva l’anno 2013, precisamente il giorno 27 giugno. Gli occhi di tutti gli appassionati di basket al mondo sono puntati sul bellissimo Barclays Center di New York, sede del draft Nba. Alla venticinquesima scelta i Los Angeles Clippers selezionano, da North Carolina, Reggie Bullock. Il giorno probabilmente più bello della sua vita.
Però, come quando nelle soleggiate giornate estive all’improvviso giunge un temporale, un anno esatto dopo, l’anima del ragazzo di Kinston si squarcia e fa la conoscenza di colui di cui abbiamo parlato nella prima riga, il dolore, e nel modo più folle e crudele possibile. Sua sorella, Mia Henderson, viene brutalmente massacrata a coltellate a Baltimora il 14 luglio 2014.
Bisogna fare un excursus narrativo per rendere tutto più chiaro: Mia Henderson nasce Kevin Long, e sceglie di divenire donna durante gli anni del liceo. Il fatto di avere una sorella transgender all’inizio blocca il rapporto tra i due, con Reggie che continua a riferirsi a lei come “Kevin”. Il rapporto tra i due si evolve in seguito e diviene meraviglioso, col giovane che afferma più volte di avere imparato tantissimo dall’atteggiamento positivo, nonostante gli occhi indiscreti di chi la giudicava per la sua scelta, e dalla sua forza d’animo.
Il fatto che la Henderson fosse transgender fa emergere un dato molto più che inquietante riguardante la società statunitense e il rapporto con la comunità LGBT: il tasso di omicidi nella popolazione comune, negli Stati Uniti, è di 1 ogni 12000. Il tasso di omicidi di donne di colore transgender, come Mia, è di 1 ogni 2600. Cinque volte peggiore.
Tornando al fatto di cronaca, il colpo su Reggie è cosi violento che rifiuta di parlarne per due anni, si chiude in se stesso e rimane da solo a lottare con un peso insostenibile come quello di aver perso un caposaldo assoluto della propria vita. Dal paradiso all’inferno in appena dodici mesi, dal sogno della vita all’abisso più oscuro in cui anche il basket perde significato, come tutto il resto.
Sulla personalità di Reggie Bullock ci dice tantissimo Arash Markazi del Los Angeles Times, che racconta del loro incontro quando la guardia militava ancora nella parte biancoblu di L.A.: lo descrive come un ragazzo di educazione e gentilezza estreme, in assoluto il più interessato e curioso di conoscerlo e il più aperto al dialogo, tanto da divenire suo amico personale e affermare a fine stagione di conoscere molto meglio lui rispetto a Chris Paul o Blake Griffin, giocatori certamente più in vista a livello mediatico.
Lo strappo nell’anima non accenna a ricucirsi e probabilmente non lo farà mai, ma Reggie prende una decisione forte che lo fa stare in pace con se stesso e che gli permette di portare alti i valori e la memoria di sua sorella: diventa un attivista a favore della comunità LGBT. Sarà il suo modo per far risuonare ancora la voce di Mia: la voce della “spina dorsale della sua famiglia“.
I suoi interventi da attivista in questi anni sono stati innumerevoli ed è pian piano diventato uno dei simboli più amati da quella che negli Stati Uniti è una comunità sicuramente enorme ma che tanti faticano ancora ad accettare e che ha portato ad agghiaccianti fatti di cronaca nera: la notte dell’11 giugno 2016 un ragazzo, Omar Mateen, ha trucidato in un locale a prevalenza di clientela gay di Orlando, il Pulse, oltre 49 persone e ferendone più di 60. Un dato del 2011 segnala che in Usa il 20% dei crimini d’odio sono a danno di persone facenti parte della comunità LGBT.
Tra le battaglie che hanno reso più fiero Bullock c’è certamente quella alla cosiddetta legge 49 che è stata discussa nello stato del South Dakota e contro cui l’atleta si è scagliato personalmente appoggiando l’Athlete Ally: in breve, la legge voleva legare al sesso di nascita, e non a quello eventualmente acquisito, la possibilità di prendere parte a competizioni sportive e in caso di impossibilità di stabilire un sesso sarebbe stata prevista una visita medica per accertarlo e poter prendere parte. Grazie all’impegno anche di Bullock che si è espresso contro la legge del Senato del South Dakota, che la stessa è stata bocciata:

L’impegno di Reggie Bullock è diventato così importante e costante da occupare grandissima parte del tempo libero del giocatore, sempre pronto a ergersi contro le ingiustizie a sfavore del mondo LGBT. Gli esempi del suo impegno sono incalcolabili, e tutti volti ad onorare la memoria di Mia.
Bullock ha stretto anche un grande rapporto con Jason Collins, primo giocatore NBA a dichiarare di essere omosessuale. Il caso all’epoca della rivelazione, nel 2013, fece scalpore: si trattava del primo giocatore delle major league statunitensi a fare coming out (oltre a Glenn Burke, giocatore di baseball, il cui caso, tuttavia, fu del tutto ignorato dai media). Il 6 maggio 2013 la pubblica ammissione di Collins arrivò sotto forma di una toccante e meravigliosa lettera scritta sullo storico Sports Illustrated: “Sono un centro NBA di 34 anni. Sono nero. E sono gay“.
Due mondi, quello di Reggie e quello di Jason, che si sono incrociati spesso nella battaglia comune e per motivi diversi: il primo perché guidato nel cuore e nella mente dall’ideale di quella che definisce la “backbone of family”, la sorella; l’altro perché dalla sua rivelazione lotta per essere accettato anche in un mondo che ha nel machismo una sua componente preponderante.
Come nell’Nba Voices for LGBT, in cui i due hanno collaborato per insegnare a giocare a basket a degli adolescenti omosessuali:
Come affermato da Collins proprio in occasione dell’Nba Voices for LGBT, Reggie sembra riuscire a trarre grandissima energia dal suo dolore, lo vuole convertire in altro, nel fare del bene a chi ha bisogno. Non è raro vederlo capeggiare il gay pride in varie città degli Stati Uniti e, addirittura, annualmente organizza numerosi eventi in merito.
Il riconoscimento più bello all’impegno del giovane è sicuramente la sua nomination al Muhammad Alì Sport Humanitarian Sports Award, premio giunto alla settima edizione e intitolato alla memoria del miglior pugile di ogni epoca, ma ancora prima al suo impareggiabile e instancabile impegno nel sociale, a favore delle minoranze e contro ogni tipo di guerra. Alì, rifiutando di andare al fronte nell’assurda guerra del Vietnam, venne squalificato e spogliato di tutti i titoli di campione e perse tre anni di carriera, in cui non si tirò indietro nemmeno di un passo dalla sua decisione e, anzi, ribadì la sua totale contrarietà a un conflitto così inutile e sanguinoso.
Il premio istituito in suo onore ha visto nel 2019 trionfare l’ex giocatore di football Chris Long, altro uomo dagli ideali incredibili: ha donato intere settimane o mesi del suo stipendio per costruire scuole, ospedali ed aiutare i bisognosi.
Gli ultimi fatti di cronaca
L’anima candida di Reggie Bullock, dopo il dramma del 2014 e la tremenda dipartita dell’amata sorella, ha recentemente subito un altro colpo devastante. Siamo ancora a Baltimora, cinque anni dopo la morte della Henderson, città che conferma il suo assolutamente terrificante tasso di criminalità ed omicidi: 283 morti violente nel solo 2019, 663 persone ferite da atti violenti nello stesso anno. E l’incubo, lunedì scorso, è ricominciato: Keiosha Moore, seconda sorella di Reggie Bullock, è caduta vittima di una delle due sparatorie che hanno gettato in un lago di sangue Baltimora.
Si può morire due volte? Si può morire due volte, si. Reggie Bullock è morto due volte, è morto nel 2014 ed è morto nel 2019. Dalla prima è rinato, grazie al suo animo e alla forza che Mia gli ha lasciato. La seconda, però, è un colpo basso tremendo, perché il dolore conosciuto torna dentro il giocatore come una seconda scossa di terremoto colpisce una zona già devastata.
Bullock salterà gran parte di questa stagione perché sta recuperando da un importante infortunio alla colonna vertebrale. In apertura di pezzo avete visto citata una frase di Williams Shakespeare in merito al dolore del cuore. Il dolore nel cuore di chi subisce due perdite così ingiuste, entrambe in modo violento, è incommensurabile:

“Niente sarà più come prima“, ha aggiunto. No, Reggie, niente sarà più come prima. Dal paradiso all’inferno, due volte in cinque anni. Il dramma dell’intera famiglia Bullock pone giganteschi interrogativi sulla sicurezza negli Stati Uniti: l’uso sconsiderato delle armi sta superando ogni accettabile limite. Nel grafico seguente lo scioccante dato sul possesso di armi negli USA: ci sono 644 milioni di armi detenute da civili al mondo e il 42% di queste sono detenute da Statunitensi:

Il tasso di omicidi da armi da fuoco, come quello in cui è caduto Kaiosha Moore, è altrettanto folle rispetto al resto del mondo:

La società americana si conferma come tra le più violente al mondo, e il caso dei due omicidi che hanno colpito la famiglia Bullock è noto poiché si tratta di un giocatore in vista nella lega più grande del mondo: qualcuno si chiede quanti episodi simili accadono a persone comuni negli Stati Uniti? La politica, e non Reggie Bullock, hanno responsabilità nel non essere riusciti a proteggere Mia, Kaiosha e altre migliaia di vittime di crimini violenti.
La speranza, l’augurio da fare a Bullock, è di non perdere la speranza e di riuscire a tornare ad aiutare gli altri come ha sempre fatto: la peggiore sconfitta per tutti sarebbe perdere una persona preziosa come lui. Il dolore non andrà mai via, Reggie, come diceva quello di Stratford-upon-Avon. E chi scrive conosce quel dolore, per motivi diversi dai tuoi. L’anima lacerata non tornerà mai come prima, si può solo cercare di rendere orgoglioso chi ci viene portato via onorandone la memoria e la vita. Niente sarà come prima, hai ragione, Reggie.