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L’era dei Dynamic Duo

Lorenzo Olivieri by Lorenzo Olivieri
18 Gennaio, 2020
Reading Time: 13 mins read
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Dynamic Duo

Copertina a cura di Sebastiano Barban

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In molti ricorderanno la squadra che di fatto lanciò il concetto di big three o, come chiamati più di recente, superteam: furono i Boston Celtics del 2008 a inaugurare l’epoca che poi ha visto fiorire agglomerati di talento come i Miami Heat e i Cleveland Cavaliers di LeBron James e la dinastia Warriors di Curry, Thompson, Green e Durant. Non che in altre epoche non si siano visti dei superteam, anzi: quasi sempre ne sono apparsi, in cicli regolari, nella storia della NBA. I primi a venire in mente sono sicuramente i Chicago Bulls di Michael Jordan, i Boston Celtics di Larry Bird e i Los Angeles Lakers di Magic Johnson e Kareem Abdul-Jabbar.

L’ultimo decennio, però, è stato incontrovertibilmente il decennio dei big three. Oggi, invece, con la caduta dell’Impero della Baia e lo sgretolarsi dell’ultimo, vero superteam, i Golden State Warriors, tutta la NBA sembra più orientata alla soluzione del dynamic duo. Invece di ammassare talento, le squadre sembrano più propense ad ingaggiare due superstar e a costruire intorno a loro un nucleo di buoni/ottimi role player funzionali allo stile di gioco delle stelle a disposizione – almeno questo è il concetto alla base, non sempre applicato alla perfezione, come vedremo.

Perchè questo cambio di tendenza? Banalmente perchè mettere insieme due superstar è più facile che metterne assieme tre o tre e mezzo. Se si analizzano i maggiori agglomerati di talento della storia, si nota che tutti sono nati in condizioni particolari e difficilmente riproducibili. Non è quindi un modello che può funzionare stabilmente e, posto che prima o poi i superteam rispunteranno e torneranno a dominare, resta più conveniente prendere la strada dei dynamic duo.

Quali sono quindi i dynamic duo favoriti per il titolo?

Kawhi Leonard – Paul George

L’unico dynamic duo che non vedremo per un po’, e potenzialmente il migliore di tutti. La coppia di ali assemblata dai Los Angeles Clippers in estate non ha probabilmente eguali nella storia della lega, data la combinazione di talento, versatilità e capacità di dominare sui due lati del campo. Purtroppo non c’è ancora una data di rientro per PG13, che salterà la prima manciata di partite e rientrerà probabilmente solo a novembre inoltrato.

I Clippers hanno già dato dimostrazione di essere una squadra solida battendo i loro “cugini”, i Los Angeles Lakers, nella partita d’esordio della regular season, pur senza Paul George. Kawhi Leonard ha dato l’impressione di aver ripreso esattamente da dove aveva lasciato alle scorse Finals e il supporting cast sembra potersi adattare perfettamente alle due superstar. Resta da vedere come Doc Rivers deciderà di gestire i finali di partita, se Lou Williams starà in campo assieme a Leonard e George e chi dei tre gestirà maggiormente il pallone in quei frangenti.

In attacco le possibilità sono infinite, essendo Kawhi e PG13 due splendidi interpreti del pick and roll ed essendo entrambi pericolosi lontano dalla palla. Basta mettere due attaccanti di quel livello in un set dinamico come i pistol spesso giocati da Doc Rivers per far aprire un ventaglio di opzioni disarmante. Quello che fa però letteralemente paura di questi Clippers è la loro difesa. Un quintetto con Patrick Beverley, Landry Shamet, Kawhi Leonard, Paul George e Montrezl Harrell è a tutti gli effetti ingiocabile per versatilità, tecnica e tenacia difensiva, e sicuramente molti dei successi dei Clippers verranno costruiti nella propria metà campo.

I Clippers dispongono quindi di due armi letali nel pieno dei loro prime e di role player in grado di compensarle perfettamente. Cosa può andare storto? Tante cose, naturalmente, perché se così non fosse la NBA sarebbe noiosa. Il primo, grande interrogativo sono gli infortuni: Leonard è stato centellinato la passata stagione per permettergli di arrivare relativamente fresco alle Finals, e i Toronto Raptors in questo sono stati maestri. Resta da vedere se sarà possibile centellinarlo di nuovo allo stesso modo – data anche l’assenza iniziale di George – e se i Clippers saranno in grado di farlo in maniera altrettanto efficace.

Anche su Paul George e la sua salute, ovviamente, ci sono diverse incognite. Le operazioni subite alla spalla non sono una passeggiata e, per un tiratore come lui, un infortunio del genere e le ripercussioni che può avere non sono da sottovalutare. Rimane da vedere quando e come tornerà e quanto tempo ci metterà ad assortirsi con Leonard. Tutto questo tempo perso potrebbe costringere i Clippers a lasciare per strada qualche partita di troppo e, in una Western Conference così agguerrita, perdere il fattore campo in una o più serie di playoff potrebbe fare la differenza fra l’accesso o meno alle Finals.

Anche sulla convivenza delle due superstar permangono, ovviamente, pareri scettici. Il fatto che teoricamente possano convivere non vuol dire che lo faranno, e il rischio che il giochìno si rompa prima del tempo, con accentratori di quel livello, è sempre dietro l’angolo. Fatte queste premesse, però, secondo chi scrive Paul George e Kawhi Leonard sono il dynamic duo con più chance di arrivare in fondo. È buffo se si pensa che questi due giocatori furono draftati entrambi da Indiana in due draft consecutivi – anche se Leonard fu subito girato agli Spurs per George Hill. I what if si sprecano, ma finalmente, dopo tanti anni e per vie traverse, avremo l’opportunità di vedere cosa sarebbe potuta essere la NBA se questi due fossero rimasti insieme fin da subito.

LeBron James – Anthony Davis

Saltiamo da una sponda all’altra della Città degli Angeli per parlare del secondo, grande dynamic duo formatosi in estate, che ha visto Anthony Davis raggiungere LeBron James in gialloviola. Trattandosi dei Lakers, lo scambio è stato preceduto da una telenovela durata mesi, ma alla fine è arrivato ed è anche costato salato: per accaparrarsi i talenti di AD, infatti, i gialloviola hanno dovuto privarsi di tutto il loro young core, eccezion fatta per Kyle Kuzma. Il sacrificio, però, è stato fatto volentieri: la possibilità di avere a roster due dei primi cinque-sei giocatori NBA non ha prezzo. Basterà però per rendere i Lakers nuovamente una contender?

La risposta è difficile, e il dynamic duo gialloviola presenta molte più incognite di quello dei loro cugini. Anzitutto perché LeBron, pur continuando a essere LeBron, va per i 35, ha 17 lunghe, logoranti stagioni NBA sulle spalle e Dio solo sa quante partite. Se fino ad un paio di anni fa era sufficiente la sua presenza per rendere una squadra automaticamente una contender, oggi non è più questo il caso. Come detto, resta uno dei migliori giocatori in circolazione – e se dovesse arrivare alla postseason relativamente sano, “brace yourself, Playoff LeBron is coming” – ma chiaramente non può più trascinare una squadra per cento e più partite fino al titolo NBA.

A questi problemi la soluzione doveva essere appunto Anthony Davis, fuoriclasse nel pieno del proprio prime, candidato MVP la scorsa stagione, il quale però aggiunge altre incognite all’equazione, invece di risolverne. Sì, perché il povero Davis soffre da sempre di crisi d’identità: non è un centro, non è un esterno, insomma, un po’ come Balto, sa solo quello che non è. O meglio, quello che non vuole essere. Perché è palese anche ai muri che AD farebbe letteralmente il vuoto giocando da 5, magari con LeBron da 4. Questo però è un discorso che il nativo di Chicago proprio non vuole sentire, nonostante la timida apertura espressa nell’intervista al Media Day.

AD on playing center: pic.twitter.com/EabGQOf03u

— Anthony F. Irwin (@AnthonyIrwinLA) September 27, 2019

In questa direzione guarda anche lo stesso Rob Pelinka, e tutte le strade sembrano condurre verso un mondo dove Davis da 5 giocherà solo lo stretto necessario. Basti pensare alla conferma di JaVale McGee e alla firma di Dwight Howard, due centri veri, che occuperanno la maggior parte dei minuti in quel ruolo. La sensazione è stata confermata anche da coach Frank Vogel, che nel debutto stagionale contro i Clippers ha quasi sempre affiancato Davis a un centro tradizionale.

Il problema di queste lineup è che chiudono troppo il campo. I Lakers sembrano di fatto una squadra anni ’90, solo che quel tipo di squadra non può funzionare nella NBA del 2020. Davis è una minaccia credibile da oltre l’arco ma non è un tiratore – e non si vuole perdere troppo la sua pericolosità principale, che è vicino a canestro – e lo stesso James non è di certo un tiratore irresistibile. Tolto McGee, che in attacco è efficace solo in situazioni particolari, chiudono il quintetto più utilizzato da Vogel Danny Green ed Avery Bradley.

Ora, Green e Bradley sono sicuramente due giocatori in grado di stare accanto a James e Davis, ma probabilmente non sono abbastanza. LeBron è l’unico vero creatore di gioco in una lineup del genere, e iniziare ogni volta l’attacco, per un trentacinquenne col suo chilometraggio, anche se c’è scritto James sulla maglietta, non è pensabile. La soluzione ideale sarebbe che The King giochi più off the ball, ma a quel punto non c’è più nessuno in grado di creare gioco. Allo stesso tempo, la pericolosità del pick and roll James – Davis, sulla carta non difendibile, è portata via da un campo chiuso, in cui difficilmente uno dei due potrà prendere un vantaggio chiaro. Una difesa élite, aggressiva e attenta come quella dei Clippers ha già mostrato tutti i limiti di un quintetto del genere.

“We want a decade of dominance out of [Davis] here. […] We’ve got to do what’s best for his body, and having him bang against the biggest centers in the West every night is not what’s best for his body, the team, or the franchise.”

Rob Pelinka

Le cose sicuramente cambieranno quando rientreranno Kyle Kuzma e Rajon Rondo. Forse con Kuzma, Vogel deciderà di provare Davis da 5 allargando il campo, e Rondo potrà far rifiatare LeBron allontanandolo dal controllo diretto del pallone. Anche qui, però, l’efficacia di un quintetto con Rondo – X – James – Kuzma – Davis, ammesso che si decida di testarlo, resta tutta da verificare.

Tutto ciò senza neanche tenere in conto dei problemi fisici delle due superstar, un tema sempre caldo soprattutto per AD, la cui carriera è stata finora costellata di infortuni. Insomma, il talento è tutto lì da vedere e il potenziale c’è. La sensazione però è che ci siano fin troppe incognite perchè possa andare tutto liscio, e che i Lakers non abbiano costruito proprio il roster perfetto da affiancare al loro dynamic duo. Vedremo se il proseguo della stagione smentirà o confermerà questi dubbi.

James Harden – Russell Westbrook

Mike D’Antoni è considerato un genio, e non a torto. Ci voleva un genio per far funzionare assieme due giocatori ball dominant come James Harden e Chris Paul. Non solo farli funzionare, ma portarli a un infortunio e una sciagurata prestazione balistica dalle Finals – e di conseguenza probabilmente dal titolo NBA. Quest’anno D’Antoni sarà chiamato a compiere l’ennesima magia per far coesistere un dynamic duo ancora più problematico, che vede Russell Westbrook sostituire CP3.

Dando per appurato che Harden possa rimanere ai livelli stratosferici dell’anno passato – cosa tutt’altro che scontata, comunque – permangono molti dubbi sulla convivenza di queste due superstar. Chris Paul, infatti, pur necessitando del pallone esattamente come Harden e Westbrook, era anche pericoloso sugli scarichi grazie alle sue ottime doti balistiche. Non si può dire lo stesso di Westbrook, tiratore da 31% da tre in carriera, che ha chiuso la scorsa stagione con appena il 29% su quasi 6 tentativi a partita. Questo ovviamente renderà la sua collocazione in campo ancora più complessa quando giocherà insieme a Harden, il quale è sempre stato abituato ad avere Capela e tre tiratori affidabili insieme sul parquet.

Chiaramente ci sono anche aspetti positivi per questo scambio, non ultima la differenza di età fra CP3 e RW0, con la Point God che aveva iniziato a mostrare evidenti segni di declino fisico. Russ invece è più fresco, resta una belva atletica come poche se ne sono viste nella storia dell’NBA. È anche un passatore sopra la media e questo è sempre un bene, quando tutti gli altri giocatori in campo sono tiratori o lob catcher.

Stilisticamente, la differenza col passato è grossa: si passa dalla cerebralità di Paul alla frenesia muscolare di Westbrook, e la speranza è che il suo primo passo – non più quello dei tempi d’oro ma comunque devastante – possa elettrizzare tutto l’ambiente. Certo, il problema della convivenza con Harden non è da poco, ed entrambi dovranno imparare a non pestarsi i piedi, ma la freschezza atletica di Westbrook potrebbe fare la differenza ad aprile e maggio inoltrati, quando inevitabilmente il Barba calerà. I Rockets si trovano al momento nella strana posizione di essere forse più pretender che contender, ma l’ovest è più aperto che mai, e le loro chance di arrivare in fondo non sono inferiori a quelle di altri top team, se il loro nuovo dynamic duo funzionerà correttamente.

Per ora, all’esordio stagionale, si sono arresi ai Bucks dopo aver dilapidato un vantaggio di 17 punti. Harden e Westbrook hanno avuto una serata balistica meno che mediocre, ma non è sembrato ci fossero grossi problemi in campo per Houston, che ha eseguito il classico piano partita fatto di triple e tiri nel pitturato. La sensazione è, anzi, che Westbrook possa aggiungere qualcosa in situazioni che i Rockets non esplorano molto spesso: in un paio di occasioni Russ è stato lasciato in isolamento in post basso, spalle a canestro, e ha servito molto bene i giocatori in movimento sul lato debole.

Insomma, nella prima uscita pare che i problemi di convivenza tra le due superstar possano essere stati ingigantiti, ma si sa, una partita non fa primavera e servirà un campione molto più ampio di gare per valutare la loro coesistenza.

Ben Simmons – Joel Embiid

L’ultimo dynamic duo nella lista di contender è anche l’unico che non si è formato in estate ma coesiste già da alcune stagioni. Ben Simmons e Joel Embiid sono arrivati a un tiro fortunoso di Leonard dalle Conference Finals e, nonostante la perdita di Jimmy Butler, i Philadelphia 76ers ci riprovano quest’anno, convinti che sia arrivato il loro momento.

Pur giocando insieme da alcuni anni, in molti si chiedono ancora se i due pupilli di Phila possano davvero vincere un anello insieme. Questi dubbi sono stati più volte confermati dal campo e da situazioni che hanno visto l’attacco dei Sixers stagnare, diventando improduttivo. Ciò è successo in più occasioni anche la passata stagione, seppure l’arrivo di Butler prima e di Tobias Harris poi avrebbero dovuto tamponare il problema.

Ritorna ancora una volta alla ribalta l’annosa questione del jumper di Simmons, visto come principale causa dei problemi offensivi dei Sixers. Una maggiore pericolosità perimetrale del prodotto di LSU porterebbe grossi benefici tattici per i suoi compagni perché, allo stato attuale, Simmons ed Embiid tendono a concludere le loro azioni in zone di campo pericolosamente vicine.

Si vedono tuttavia segnali incoraggianti sul piano della chimica di squadra e dell’equilibrio dell’attacco, come messo in evidenza dall’esordio vincente contro i rivali dei Boston Celtics. Phila ha disputato una partita solidissima, mandando tutto il quintetto oltre la doppia cifra con prestazioni dominanti proprio del dynamic duo Simmons – Embiid.

Le variazioni tattiche che Brett Brown può mettere in campo sono molte, e vanno da quintetti altissimi allo small ball senza soluzione di continuità. Harris e Richardson sembrano degli ottimi bilanciatori di gioco, per non parlare di Horford, vero e proprio barometro e playmaker aggiunto. La difesa poi sarà con ogni probabilità il vero punto di forza della squadra di Brown. Atletismo, taglia fisica, tecnica e intelligenza difensiva si sprecano nel quintetto titolare dei Sixers, anche se resta da testare quanto un quintetto con Embiid e Horford assieme in campo possa correre dietro a lineup più veloci e aggressive.

Embiid e Simmons sembrano inoltre più affiatati che mai, sono consapevoli di essere i punti cardine di un progetto che prevedere il titolo come obiettivo finale, e pare vogliano assumersi al 100% le loro responsabilità accogliendo la sfida. A est hanno solo i Bucks a frapporsi fra loro e le Finals, ma la squadra di Antetokounmpo non è un scoglio da poco da superare.

Menzioni d’onore

Kyrie Irving – Kevin Durant

Non va di diritto nei migliori dynamic duo di questa stagione perché, con ogni probabilità, Durant lo vedremo direttamente l’anno prossimo, o comunque per uno spezzone di regular season troppo corto per poter inserire questo duo tra le contender. Brooklyn ha però un core molto interessante e anche in qualche modo futuribile, anche se è difficile immaginare che tutti i pezzi rimangano al loro posto nelle prossime stagioni. Ad ogni modo, Irving e Durant hanno abbastanza talento per poter affrontare chiunque nella NBA, e se riusciranno ad amalgamarsi per bene quando saranno in campo insieme, saranno una delle più divertenti ed elettrizzanti coppie dell’intera lega.

Damian Lillard – CJ McCollum

Dopo l’exploit della passata stagione, i Portland Trail Blazers sembrano essersi messi definitivamente sulla mappa, grazie a delle prestazioni stellari di uno dei più longevi dynamic duo in questa lista. Lillard e McCollum, infatti, seminano il terrore nelle difese avversarie da diversi anni a questa parte.

Con alcune mosse estive come l’arrivo di Hassan Whiteside, Portland vuole assurgere definitivamente allo stato di contender, ed è sicuramente fra le migliori cinque squadre a Ovest. Questo però, a mio avviso, non basta a mettere il duo Lillard – McCollum al livello dei primi quattro citati. Tenete sempre gli occhi sull’orologio, però, perché “everytime is Dame Time“.

Jamal Murray – Nikola Jokić

Anche i Denver Nuggets sono ormai definitivamente sulla mappa, dopo la bella stagione regolare e gli entusiasmanti playoff dell’anno scorso. Alla franchigia del Colorado sembra ancora mancare il fantomatico centesimo per fare l’euro, o il dollaro, ma hanno un dynamic duo giovane, talentuoso e affiatato su cui contare. Con Murray e Jokić a imbastire alcuni dei giochi a due più inusuali che si possano vedere – in cui ad esempio è Murray a bloccare per il Joker – a Denver ci sarà da divertirsi ancora per quest’anno e, si spera, per gli anni a venire.

Tags: Anthony DavisBen SimmonsDynamic DuoHouston RocketsJames HardenJoel EmbiidKawhi LeonardLeBron JamesLos Angeles ClippersLos Angeles LakersPaul GeorgePhiladelphia 76ersRussell Westbrook
Lorenzo Olivieri

Lorenzo Olivieri

Nato a Brindisi, ci ha messo appena sette anni a capire che il basket fosse lo sport più bello del mondo. Lo ha praticato per circa i vent’anni successivi, arrivando a buon livello, e lo ha guardato dal divano fino al più alto livello possibile. Il suo primo amore in NBA è Tracy McGrady, e sta ancora aspettando di trovare il secondo. Oltre al basket, ama la cultura nerd ed è un gamer incallito.

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