Jaylen Brown ha appena firmato una estensione contrattuale da 107 milioni di dollari spalmati su 4 anni. La firma, che si inserisce in una sequela di rinnovi come quelle di Sabonis, Hield, Murray, Siakam, arrivati sul filo del rasoio della deadline per l’estensione dei rookie-contract, fissata per lunedì 21 ottobre ore 18 E.T, ha dato il definitivo settaggio al roster dei Celtics per l’anno 2019-2020, e per gli anni a venire.

La cifra non è quella che avrebbe potuto ottenere a luglio 2020, ma rimane comunque di un valore che si approssima ad un max-contract. Si tratta di 103 milioni garantiti più una serie di bonus che potrebbero far salire il totale a 115 (4 milioni di bonus likely e 8 milioni di bonus unlikely). Tutto questo, inserito nel contesto di una squadra che sta cercando di fare il salto dal livello-decenza al livello-eccellenza, porta all’inevitabile domanda: li vale o meno questi soldi in questo determinato momento? Alla fin fine il nocciolo della questione risiede in come si vuole rispondere alla domanda e da che punto si guarda il problema. Se la firma di Smart poteva sembrare ancora abbastanza favorevole ai Celtics in termini numerici (52 milioni in 4 anni), quella di Brown si colloca in un piano del tutto differente.
Analizziamo innanzitutto il contesto, che troppo spesso si tende a tralasciare per focalizzarsi unicamente -e quindi perdersi- sulle abilità del singolo giocatore. I Celtics stanno per arrivare al compimento, cronologicamente parlando, del percorso di rebuilding iniziato con lo smantellamento dei BIG 3 + Rondo. Gli asset che Ainge ha accumulato nel corso degli anni stanno finendo, ed il core di oggi -soprattutto con la firma di Brown adesso e di Smart la scorsa stagione- sarà molto probabilmente quello che vedremo i prossimi anni. Si potrebbe anche dire che nella timeline che specifica ogni singola franchigia, Boston abbia sorpassato l’epoca di Horford (il vero grande all-star firmato e sfruttato a pieno nel post-2013) e si stia dirigendo verso il periodo Walker-Tatum-Brown.
A questo punto del percorso, bisogna scegliere se resettare tutto o provare a giocarsela con quello che si ha a disposizione, puntando su exploit e su singoli eventi favorevoli e accidentali che molto spesso possono comparire lungo il cammino (esempio lampante è stato il caso Raptors-2019: “Leonard selvatico appare” nell’erba alta, ci si guadagna l’entrata alle Finals di diritto, e si incontra una squadra in back-to-back-to-back martoriata dagli infortuni. Risultato? vittoria).
Le recenti conferme di Smart e di Brown sono segnali molto chiari che questi sono i pezzi con cui Ainge vuole provare a giocarsela nei prossimi anni. E anche i bonus sul rinnovo appena firmato da Jaylen sembrano indicare la via che i Celtics hanno scelto per lui e per lo stesso futuro della franchigia: i 12 milioni di dollari non garantiti sono a loro volta suddivisi in 4 milioni ottenibili più facilmente, cioè se Brown giocherà 65+ partite, la squadra vincerà almeno 49 gare e raggiungerà il secondo turno di playoff; gli altri 8 milioni, 2 a stagione, li potrà guadagnare solo in caso di vittoria di MVP, DPOY o se verrà inserito in uno dei tre quintetti All-NBA.
Obiettivi che sembrano attualmente non alla portata di JB, ma che fungeranno da stimolo per il ragazzo e che allo stesso tempo fanno capire come Ainge e Stevens credano nelle sue potenzialità (anche Horford a Philadelphia e nel rinnovo di Hield coi Kings sono stati inseriti bonus simili).
È pensiero di chi scrive che il filo conduttore delle ultime azioni di mercato sia quello ormai di saltare in pista con quello che si ha, e sperare che ciò risulti vincente. La conferma di questa linea di pensiero potrebbe essere confermata l’anno prossimo, con il rinnovo di Tatum. Perso il treno-KD, sfumato il sogno AD, lasciato partire Kyrie, i pezzi per continuare, virtualmente, ci sono tutti (o quasi): una PG top nel ruolo, che Stevens non ha mai sdegnato; delle ali forti difensivamente, capaci di tenere su tutti e con potenziale anche nella metà campo offensiva; lunghi rimbalzisti e giocatori di pick-n-roll (questo l’unico campo che manca).
Nessuna vera superstar, ma tanti solidi giocatori, magari anche al di sopra della media per una squadra da semplici playoff, e qualche eccellente giocatore. Brown sta chiaramente nella prima categoria, e con questa firma Ainge si è assicurato un altro tassello per 4 anni, con la speranza che Jaylen possa fare lo step successivo per passare di categoria.
Il concetto di per sé non è sbagliato. Nulla vieta a Tatum di risvegliarsi All NBA tra 3 anni, nulla preclude a Walker di scavalcare Irving come PG al top dell’est, nulla vieta a Kanter di iniziare a giocare anche sulla metà campo difensiva, nulla vieta a Williams di crescere come uno dei migliori rim-protector della lega e nulla vieta a Brown di riuscire a confermarsi in questa squadra come la terza opzione offensiva di una squadra che mira alle Finals. Di certo, non era nei piani di Ainge strapagare un suo giocatore senza aver avuto conferme tangibili e durature dallo stesso sulle sue reali capacità, ma non per questo è necessario fasciarsi la testa prima di essersela rotta.
La firma di Brown, quindi, rientra nel piano di riserva dei Celtics. Più che far scappare un giovane che qualcosa ha dimostrato, che tanto deve e può ancora far vedere, è meglio assicurarsi la sua firma e provare a sfruttare le pedine che si hanno. È stato così con Smart, è stato così con Brown, probabilmente sarà così anche con Tatum.
Arriviamo quindi al giocatore. Jaylen Brown merita i soldi che gli sono stati offerti? La risposta più ovvia (e forse la più giusta) è no, almeno non al momento. Il 22enne ha tenuto raw-stats piuttosto mediocri (13.9 ppg con il 47% dal campo e il 34% da 3; 4.2 rpg; 1.4 apg), ed in calo rispetto all’anno precedente nonostante uno dei maggiori USG% della squadra (terzo). Si può obiettare che il motivo possa essere l’inserimento di Hayward nelle rotazioni con conseguente sovraffollamento nel ruolo, ed un contesto saturo di negatività che certamente non ha aiutato le prestazioni di nessuno a roster, sta di fatto che il passo indietro cui abbiamo assistito la scorsa stagione è rilevante e non può essere del tutto scusato.
A maggior ragione, arrivano conferme dalla competizione FIBA, in cui Brown si è dimostrato ancora una volta giocatore che riesce a garantire un certo tipo di standard, che magari ha exploit di tutto rispetto e partite in cui sfiora il dominio, ma che ricade sempre in un nulla di fatto, sul quale non puoi fare affidamento per più partite di fila (o, tradotto in termini NBA, che ha alti e bassi lunghi qualche manciata di partite).

Ma che tipo di giocatore è il numero 7 bianco-verde? Un 2-3 con un fisico invidiabile, capace di difendere su giocatori ben più prestanti di lui, con eccellenti capacità difensive. Offensivamente, invece, rimane un tiratore discontinuo, che l’anno scorso passava dal tenere il 42% da 3 un mese al 28% il mese successivo, per poi tornare al 42%; è un eccellente giocatore in transizione (2.9 punti da TO avversario); un palleggiatore particolarmente instabile (anche se su questo fondamentale pare aver lavorato assiduamente) ed un buonissimo finisher al ferro:
Considerato tutto questo, 107M in 4 anni sono un segnale di forte fiducia da parte del front-office dei Celtics. Che cosa si spera diventi Brown? Un giocatore alla Iguodala? Un borderline All-Star? Un All-Star? Secondo me, nella migliore delle ipotesi, Brown può diventare un giocatore da 18-19 di media in una squadra che fa della corsa, dell’intensità difensiva e dell’alto pace i suoi mantra di gioco. Non ha le capacità per essere un game-changer, e non ha nemmeno l’incostanza e la supponenza per scoppiare e sfumare nell’anonimato.
Tutto sommato, 115 milioni sembrano troppi per il suo valore reale, ma probabilmente sono giusti nell’ipotesi di una fioritura completa, e sono certamente una necessità per accaparrarsi i servigi dell’ala dalla Georgia, soprattutto in un periodo in cui i giocatori così buoni in difesa e così promettenti in attacco fanno gola a molte squadre.
Un altro punto di vista da cui si può valutare la situazione è quello della pressione. Brown si è liberato in un solo colpo dell’ansia e dei dubbi sul suo futuro, e del fardello di dover a tutti i costi dimostrare qualcosa a qualcuno per ottenere il compenso che a lui pare dovuto. In un contesto che ha bisogno fin troppo di rimanere lontano dai riflettori, dai gossip e dalle speculazioni per un periodo di tempo, i Celtics sono riusciti ad eliminare una possibile fonte di distrazione non solo per la guardia 22enne, ma per l’intera squadra. Di certo, le aspettative saranno alte, ma in fondo a quale giocatore non è richiesto di spaccare il mondo, e da quale giocatore non ci si aspetta il massimo?
Infine, non bisogna scordarsi che anche nel caso in cui Brown non riesca a soddisfare appieno le aspettative (di esempi è pieno il mondo, basti pensare a Wiggins o a Otto Porter), potrebbe essere utilizzato come pedina di scambio per un’eventuale ricostruzione da zero, scenario che si profilerebbe all’orizzonte se anche questo roster composto da nuovi innesti di tutto livello dovesse fallire miseramente.
In conclusione, la firma di Brown è sì un azzardo, ma anche una necessità. Il senso di lasciare andare lo stesso senza avere un adeguato rimpiazzo all’orizzonte e con ancora la possibilità di dire la propria opinione in una Eastern Conference ancora senza un padrone stabile sarebbe stato, per i Celtics, rasente lo zero. La speranza è che ovviamente il processo di crescita di Jaylen possa culminare nel migliore dei modi, onorando l’onerosa scommessa intrapresa da Ainge.
Articolo a cura di Alex Di Marcantonio e Federico Peschiera.