HOUSTON ROCKETS: LA CONTENDER DI CUI NESSUNO PARLA
Record: 53-29
IN: Russell Westbrook (trade); Thabo Sefolosha (FA); Tyson Chandler (FA); Ben McLemore (FA).
OUT: Chris Paul (trade); Iman Shumpert (FA).
Roster:
PG: Russell Westbrook, Austin Rivers;
SG: James Harden, Ben McLemore, Gerald Green;
SF: Eric Gordon, Danuel House, Thabo Sefolosha;
PF: PJ Tucker, Gary Clark, Ryan Anderson;
C: Clint Capela, Tyson Chandler, Nene.
Vendetta e titolo: dopo la cocente sconfitta contro i Golden State Warriors alle Western Conference Finals 2016/17, gli Houston Rockets, usciti da una serie da 7 gare di fuoco in cui si sono anche ritrovati privi di Chris Paul sul più bello, non avrebbero potuto fissare obiettivi diversi. Perso un giocatore chiave come Trevor Ariza, che da free agent è andato ai Suns in cerca di un contratto più remunerativo, i Rockets, che sarebbero stati ben contenti di ripresentare lo stesso roster nell’anno seguente, hanno deciso di puntare su James Ennis e Carmelo Anthony per il ruolo di ala piccola, sperimentando un progetto che è naufragato dopo una decina di partite.
In questa breve striscia di gare, Melo, in cerca di riscatto personale, ha registrato 13.4 punti a partita col 40.5% dal campo e il 32.8% da 3 e, nonostante le buone apparizioni iniziali e le accomodanti premesse concordate con D’Antoni, secondo cui il suo ruolo sarebbe stato quello di un valido spot up shooter con un carico di responsabilità non indifferente in ISO (e questo perché, seppur atleticamente in fase calante, Anthony giocava pur sempre in un sistema in grado di facilitare e valorizzare situazioni del genere), le cifre registrate e il suo atteggiamento, riluttante ad accettare un ruolo di comprimario, non lo hanno salvato da un divorzio anticipato, complice anche un pessimo inizio di squadra da 4 vittorie e 6 sconfitte. Tagliato Melo, i Razzi hanno vinto 5 delle successive 6 partite, dando così l’impressione che il problema con l’ala di Brooklyn fosse più legato allo spogliatoio che al campo. Ritrovate la carica e la positività perse nel primissimo periodo della stagione, Houston, pronta a riallineare le prestazioni di squadra con le aspettative di una contender, ha cominciato a fronteggiare una interminabile serie di infortuni.
Tra i più importanti, ci sono quelli legati a un pollice di Capela e alle ginocchia di Gordon e Paul. Con 3 starter su 5 fuori per svariate partite, il GM Morey ha optato su Austin Rivers, Kenneth Faried (pescati dalla FA) e Danuel House Jr. (promosso dalla G-League), trovando in loro una buona risposta sia come titolari temporanei sia come role players a squadra nuovamente a pieno servizio.
Senza nulla togliere al contributo delle nuove aggiunte e del GM, gran parte dei successi sono, però, merito dell’ennesima stagione di James Harden ai limiti dell’incredibile: con la squadra aggrappata a malapena alla corsa playoff, i Rockets sono stati sorretti da un Barba in versione Atlante, che, con una striscia di 32 gare consecutive da almeno 30 punti (tra cui 9 gare da 50+ punti e 2 da 60+ punti), ha ribaltato le sorti di una stagione ricca di assenze, rendendosi protagonista assoluto di un periodo da 21 W – 11 L e dimostrando ancora una volta di essere un giocatore offensivamente quasi senza limiti.
Migliorata la fase difensiva e ritrovato il solito attacco spaziale grazie al ritorno dei titolari nella seconda metà della stagione, Houston ha chiuso la Regular Season al quarto posto (53 W – 29L).
Ai Playoff, dopo aver battuto gli Utah Jazz in una dura serie di 5 gare, i Rockets si sono nuovamente trovati di fronte ai Golden State Warriors, visti ormai da Harden & co. come una sorta di “boss finale” che li separa da tempo dall’anello.
Dopo un iniziale svantaggio di 2-0, Houston è incredibilmente riuscita a pareggiare la serie sul 2-2; in un clima già ampiamente euforico, l’infortunio in gara 5 di KD sembrava spostare definitivamente il peso della bilancia a favore dei texani.
Contro qualsiasi previsione, però, l’infortunio di Durant si è rivelato un grosso vantaggio per Golden State, che, ritrovatasi costretta a tornare alla versione total “Splash”, ha messo in campo un nuovo (vecchio) sistema di gioco per cui i Rockets non sono riusciti a trovare i dovuti aggiustamenti difensivi.
In più, un redivivo Steph Curry, che stava disputando fino a quel momento la serie di playoff più anonima della sua carriera, è riuscito a portare a casa gara 5 e 6, eliminando per l’ennesima volta gli Houston Rockets, ora più feriti che mai nell’orgoglio. Qui di seguito la tripla di Curry che, difatto, ha chiuso la serie.
Riemergono così le incertezze di inizio stagione e D’Antoni sale sul banco degli imputati: il suo gioco, statisticamente paradisiaco per i suoi giocatori (Harden su tutti), non si è mai rivelato in grado di superare in toto le difficoltà dei playoff, dimostrandosi a tratti monodimensionale e, quindi, limitato (0-27 da tre non suggerisce niente?).
Ora che entrerà nel suo ultimo anno di contratto coi Rockets (ancora non ci sono stati discorsi riguardanti il rinnovo), D’Antoni dovrà smentire le critiche coi fatti. Via Paul e dentro Westbrook per un nuovo assalto al titolo: nessuno a Houston può più sbagliare.
ROSTER 2019-20 ED X-FACTOR
Il roster, ad eccezione della trade che ha scambiato
Westbrook per Chris Paul, non ha subito particolari modifiche. Col core rimasto
intatto per volontà sia di Harden che del GM, le uniche novità riguardano il
back end della rotazione.
Vediamo, quindi, come si struttura una rosa che Morey ha definito come “una
terra di opportunità”.
Non ci sono dubbi sugli starter:
PG: Russell Westbrook;
SG: James Harden;
SF: Eric Gordon;
PF: PJ Tucker;
C: Clint Capela.
Eric Gordon sarà la SF titolare almeno inizialmente: non escludiamo infatti che House conquisti il posto a stagione in corso, con Gordon da 6th man per cercare di tenere sempre in campo almeno uno tra lui, Harden e Westbrook. La terza arma offensiva dei Rockets, dopo la sua grande stagione nel 2018-19, culminata al primo turno dei playoff con un’ottima difesa su Donovan Mitchell e il 61.9% di TS%, ha dichiarato di voler ulteriormente migliorare la sua difesa perimetrale ed il suo range di tiro durante l’estate. La sua efficienza in tante situazioni di gioco (1v1, tiro da fuori, conclusioni al ferro e difesa) è valsa un ricco rinnovo contrattuale, nonostante le problematiche a rimbalzo (è nel 3rd percentile tra le ali nella percentuale a rimbalzo difensivo).
È stato confermato anche Capela, che in Westbrook potrebbe trovare un altro compagno ideale (oltre ad Harden) per giocare pick and roll e concludere al ferro. Considerando che, durante lo scorso anno, Harden ha assistito Capela per 220 volte e Westbrook ha assistito Adams per 184 volte (creando, rispettivamente, la prima e la seconda migliore connessione della stagione), l’aspettativa per lo svizzero è quella di una immensa generazione di punti nel pitturato, insieme ad un miglioramento nella fase difensiva. Infatti, nonostante abbia confermato le sue doti da rim protector di livello durante la stagione passata, le non troppo soddisfacenti prestazioni in difesa nella serie contro Golden State (appuntamento più importante di tutto l’anno cestistico) hanno lasciato intendere che Capela possa e debba ancora migliorare.
Per quanto riguarda la panchina, il discorso si complica. Houston ha messo sotto contratto Thabo Sefolosha, firmato con un minimo salariale da veterano interamente garantito e dalla durata di un anno, garantendosi un innesto la cui qualità sarà legata principalmente alle condizioni fisiche del giocatore, messe in dubbio dall’infortunio al collaterale del legamento che ha influenzato pesantemente le sue ultime stagioni. Qualora sano ed in grado di disputare un corposo numero di partite, i Rockets potrebbero aver trovato in lui un difensore di livello, oltre che un discreto tiratore dal 35.2% da tre in carriera e il 40.9% nelle ultime due stagioni (caratteristiche di un profilo che a Houston non si vedeva dai tempi di Ariza e Mbah a Moute).
Sefolosha, grazie alla sua stazza e alla sua mobilità laterale, risulta essere un difensore altamente versatile – oltre che un giocatore di esperienza e un ottimo comunicatore difensivo – in grado di marcare sia piccoli rapidi che top forward delle dimensioni di LeBron. Nelle sue 50 gare disputate coi Jazz, ha registrato un buon Def Rtg di 99.5.
Firmati anche Nené e Tyson Chandler con minimi da veterano, Morey ha dichiarato l’intenzione di portare il roster (al momento fermo a 11 contratti garantiti) a 15 giocatori più due two-way players. Il bacino di opzioni è ampio: ci sono i rookie dello scorso anno Gary Clark e Isaiah Hartenstein (entrambi con dei parzialmente garantiti), Michael Frazier (contratto non garantito), l’ex scelta da lottery McLemore e il ritorno del cecchino Ryan Anderson (entrambi con contratto parzialmente garantito). Inoltre, ci sono gli Exhibit-10 (che si giocheranno i two-way contracts) di Chris Clemons, Shamorie Ponds e Jaron Blossomgame.
Ci sono quindi 4 posti per 6 uomini, escludendo gli Exhibit-10/two-way contracts. Morey ha già riferito a Hartenstein di essere parte del progetto, mentre sono già stati investiti tempo e fiducia nell’ex rookie Clark e in Frazier, MIP della G-League ed elemento chiave nel titolo degli RGV Vipers.
Ben McLemore, che ha dato l’impressione di avere migliorato la meccanica di tiro, avrà principalmente due compiti offensivi: il primo, da attuare a difesa schierata, consisterà nel posizionarsi sul perimetro per creare lo spacing ottimale per il primary ball handler (ruolo che affronteremo dopo); il secondo, da attuare in transizione, riguarderà un rapido posizionamento negli angoli. In ogni caso, le situazioni di catch and shoot saranno il pane quotidiano del suo gioco.
L’ex prima scelta assoluta Anthony Bennett, invece, reduce da buone stagioni disputate in G-League, sarebbe dovuto essere parte del progetto. Infortunato ad un ginocchio e costretto al relativo intervento chirurgico, Bennett è stato tagliato durante la preseason, annullando un ritorno in NBA che avrebbe potuto riscattare la brutta fama guadagnata nei suoi anni nella lega: pur tenendo presente il livello della lega in cui ha giocato, le stats avanzate registrate erano eccellenti e tipiche di un giocatore che avrebbe calzato a pennello per la Moreyball (a cominciare dal 43.4% da tre negli ultimi tre anni).
Da non sottovalutare la firma di Ryan Anderson, che lo riporta ad un sistema che ha già conosciuto alla perfezione e in cui potrebbe portare spacing e triple a ripetizione, nonostante le sue gravi carenze in difesa.
Per riassumere, quindi, c’è da dire che la corsa per i posti finali del roster è apertissima e sarà importante non trascurarne i vincitori: come dimostrato da House Jr. durante la scorsa stagione, anche negli ultimi posti si può trovare un importante aiuto per le proprie stelle, soprattutto quando si tratta di giocatori specializzati.
E proprio Danuel House Jr. potrebbe essere l’X-factor di questa stagione: fresco di un sorprendente anno, in cui si è conquistato un posto in prima squadra a stagione in corso grazie alle sue abilità da spot up shooter (41.6% da 3, 45.3% su assist di Harden), per House potrebbe essere in arrivo un’altra stagione di sorprese: la sua stazza, il suo atletismo, le sue capacità di realizzazione in transizione (1.36 ppp), di leggere i closeout per finire al ferro e di rimanere in ritmo al tiro anche senza avere la palla tra le mani potrebbero portare i Rockets ad un ulteriore upgrade in attacco, dal momento che queste sono le caratteristiche di un comprimario teoricamente perfetto per il duo Harden/Westbrook.
Ma il potenziale di House non si esaurisce nell’ambito realizzativo, come suggerito da qualche dato registrato sia in G-League che in NBA: dopo aver tenuto una media di 3.7 assist a gara con i Vipers, House è stato il quinto giocatore dei Rockets per assist a partita (3.5), mostrando discretissime doti da playmaker e passatore che, durante un torneo amichevole di quest’estate, la NEX Pro League, hanno dato motivo di credere che siano anche migliorate.
Fermo restando che non dobbiamo – né possiamo – aspettarci che i miglioramenti mostrati in un campionato amichevole vengano ripetuti ai più alti piani del basket mondiale, è doveroso dire che in realtà l’IQ di House per le letture di gioco, specie per le azioni di drive and kick (giocata tipo dei Rockets), è già tornato utilissimo per il sistema di D’Antoni: volendo analizzare la distribuzione dei suoi passaggi nella scorsa stagione, anche se sulla base di un campione decisamente ridotto, risulta infatti chiara una certa intesa con Green, Rivers e Tucker, mentre la generazione per Capela al 71.4% è semplicemente impressionante.

Di certo, la partecipazione di House alla creazione del gioco non sarà una questione di vita o di morte, avendo già il giocatore il suo fit con la squadra e avendo questa una spinta creativa più che sufficiente già nel solo backcourt, ma concedere a House (13.7% di Usg Rate durante la scorsa stagione) un po’ più di tempo con la palla in mano potrebbe risultare un’ulteriore valida opzione nell’attacco dei Rockets (e, magari, concedere qualche attimo di riposo in più ad Harden e Westbrook).
PUNTI DI FORZA E DEBOLEZZA
Dati alla mano, offensivamente i Rockets sono stati la miglior squadra della lega. Alla permanenza di Harden, che, stagione dopo stagione, continua a confermarsi uno degli scorer più prolifici di sempre, l’aggiunta di una point guard floor general e iper atletica come Westbrook potrebbe far girare ad un ritmo ancora superiore gli ingranaggi di una macchina già ben rodata.
Houston punta sulla presenza di tiratori in ogni posizione, sulla capacità di mettere ognuno di essi nelle condizioni ideali e sulla possibilità di concretizzare questi obiettivi come nessun’altra squadra nella NBA.
Tolto Westbrook, il core del team è ormai lo stesso da anni, e la loro continuità di progetto e alchimia di squadra sono un punto di forza di spessore. Se riuscissero a far entrare rapidamente l’ex Thunder nei meccanismi di gioco, risulterebbe difficile anche solo pensare a come si possa fermare una corazzata così strategicamente pronta. Cominciamo quindi con una rassegna delle caratteristiche di Westbrook, soffermandoci su come queste, nonostante risultino molto diverse da quelle di Chris Paul, possano essere integrate nel sistema di Houston e nella convivenza con Harden.
COME GIOCHERANNO CON WESTBROOK?
In questi ultimi anni, non potremmo parlare di due superstar più agli antipodi rispetto ad Harden e Westbrook. È come vedere Batman e Joker nella stessa squadra: uno è un giocatore chirurgico, un freddo calcolatore che cerca di massimizzare ogni opportunità che si potrebbe realizzare; l’altro è un giocatore istintivo e deflagrante, che sfrutta la sua esplosività e il suo atletismo per una creazione perenne di opportunità per altri giocatori o, in alternativa, una soluzione realizzativa personale dettata, fin troppo spesso, più dal momento che da un gameplan organizzato.
Entrambi, però, hanno sempre pesantemente condizionato lo stile di gioco delle intere squadre di cui hanno fatto parte.
Con l’innesto di Paul, i Rockets hanno indirizzato il loro sistema verso un basket estremamente analitico, affidandosi all’isolamento, alla minimizzazione della circolazione di palla tra giocatori e ad un pace particolarmente basso, mettendo in atto, di conseguenza, una pallacanestro lenta e giocata prevalentemente a difese avversarie schierate. Il passaggio dall’efficienza calcolatrice di CP3 al killer instinct di Westbrook si potrebbe rivelare perfetto o traumatico sulla base delle risposte che il campo darà ai diversi interrogativi che esporremo in questa preview.
Com’è possibile che formare una coppia di giocatori così dominanti potrebbe rivelarsi un danno per la squadra? Potremmo dire, in una maniera banalmente riassuntiva e che cercheremo di esplicare al meglio nel resto della preview, che i risultati della loro convivenza dipenderanno quasi esclusivamente dagli adattamenti dell’uno nei confronti dell’altro.
Cominciamo col dire che le differenze tra Russell Westbrook e Chris Paul sono difformità per cui è impossibile una sostituzione automatica: per quello che è il loro stile di gioco e il modo in cui condizionano i sistemi in cui militano, è utopistico mettere uno al posto dell’altro e aspettarsi di non vedere stravolto l’intero gameplan di squadra. È per questo che daremo particolare importanza alle modalità di impiego di Westbrook, superstar della lega che va ad aggiungersi nella squadra di un’altra superstar (evento mai verificatosi in 11 anni di carriera).
Primissimo aspetto tattico che verrà fortemente influenzato, se non rivoluzionato, dallo scambio Paul-RW0 è il ritmo di gioco che verrà adottato.
Durante gli 11 anni di Westbrook a OKC, i Thunder sono sempre stati tra le prime 8 squadre con la più alta percentuale di giocate generate da una transizione (fonte dati: Cleaning the Glass): solo il 76% delle loro azioni offensive sono state giocate contro una difesa schierata (“half-court plays”), piazzandosi al penultimo posto nella lega.
Al contrario, i Rockets hanno giocato ben l’82% delle loro azioni a difesa schierata, salendo all’83% nei playoff. A ritmi così bassi, Houston ha adottato un approccio offensivo lento, per niente spaventato dall’idea di sfruttare ogni secondo del cronometro e basato sull’alternanza tra Paul e il Barba in un ruolo, che potremmo definire di playmaker principale (primary ball handler), avente il compito di concentrare le difese avversarie, grazie alla propria capacità di realizzazione on ball, per poi dirigere l’attacco verso la conclusione personale o lo scarico sui tiratori.
Questo attacco, che può sembrare forzatamente analitico o addirittura innaturale, si è rivelato efficiente al punto di aver sempre inserito Houston, dal 2016 ad oggi, tra le migliori due squadre della lega per OffRtg, seppur generando (conseguenza fisiologica del gioco a ritmo basso) un numero inferiore di occasioni rispetto alla media.
Tenendo presente il successo di questo attacco e il fatto che l’aggiunta di Westbrook non cambierà l’imprinting dei set offensivi, vediamo qui alcuni degli schemi maggiormente adottati nella Moreyball diretta da coach D’Antoni.
PISTOL
La composizione base di questo attacco, piuttosto semplice e tipicamente adottato prima che la difesa avversaria si schieri completamente, mira alla ricerca del mismatch ottimale o allo sfruttamento degli spazi lasciati aperti da una mancanza nelle rotazioni: una guardia porta il pallone, un’ala è posizionata all’angolo e un altro giocatore (solitamente un lungo) si schiera sul gomito o nei paraggi della linea dei 3 punti, facendo in modo che i tre giocatori vadano a formare una sorta di triangolo.
Questo è il punto di partenza per l’azione “Pistol”: il ball handler si avvicina in palleggio verso il giocatore nell’angolo, mentre il giocatore a ridosso della linea dei 3 punti si posiziona per ricevere un passaggio o portare un blocco per uno o entrambi i giocatori.
Ecco un esempio di attacco “Pistol” che i Rockets hanno giocato in preseason: Gordon si dirige da ball handler verso l’angolo, mentre McLemore gli esce incontro, fingendo un’impostazione di blocco per poi aprirsi verso il perimetro; Anderson, a ridosso della linea dei 3 punti, chiude il triangolo di cui prima.
In questo caso, McLemore legge bene la posizione del difensore sul ball handler e, dopo aver accennato il blocco, taglia verso canestro correndo in direzione parallela a quella di Gordon, garantendosi una linea di passaggio pulita e una via verso il ferro completamente libera.
PISTOL SHUFFLE FLOP
In questa variante del set “Pistol”, il ball handler (Chris Paul), una volta consegnato il pallone all’ala, taglia verso il centro dell’area (qui CP3 switcha con P.J. Tucker, che si va a posizionare all’angolo) per poi ripiegare sul lato opposto, dove l’altra superstar (James Harden) aspetta il blocco: la giocata è quindi identica a un normale set “Shuffle”, azione dove un giocatore taglia da un’ala all’altra per effettuare un blocco; a questo punto, però, Houston esce dallo schema tipico , prevedendo che la guardia, invece di sfruttare il blocco, viri verso la punta, dove può ricevere un handoff dal lungo.
SPAIN PICK AND ROLL
Diventata famosa grazie alla nazionale spagnola, da cui prende il nome, questa giocata è presto entrata nei playbook dei coach NBA, tra cui D’Antoni risulta uno dei più assidui utilizzatori.
Nel video in esempio, Harden, che con le sue capacità offensive è un giocatore perfetto per questo schema, porta palla; Harrell sale in punta per bloccare il difensore del Barba e giocare con lui un high pick and roll; Gordon, nel frattempo, imposta un back screen sull’uomo di Harrell – Al Horford – che confonde la difesa dei Celtics: Horford, trovandosi in una situazione davvero difficile (deve decidere se difendere su Harrell, che nel frattempo si è staccato dal blocco e lanciato in area, o su Harden, che gode di un buono spazio creato tra lui e Smart dal blocco di Harrell), rimane sul pitturato. Isaiah Thomas, altro difensore biancoverde coinvolto, non comunica in tempo con i compagni e resta anche lui nel pitturato per tentare di impedire un eventuale passaggio per Harrell. Nel frattempo, Gordon è uscito dall’area e si è posizionato dietro la linea dei 3 punti, pronto ad offrire, con un tiro wide open, un’ottima soluzione alternativa. Dato il cattivo posizionamento della difesa, James Harden non ha bisogno di scaricare, entra in area e segna un layup facile.
Durante l’esecuzione di questi schemi nel training camp, Westbrook è stato spesso utilizzato come bloccante; sarà quindi opportuno che Russell (sulle cui doti da bloccante non sappiamo quasi nulla, avendo giocato in un sistema che, come si dirà, prevedeva fin troppi pochi movimenti senza palla in mano) si dimostri uno screener di livello.
Tornando a parlare di ritmi di gioco, Westbrook, come già detto, contrariamente alla filosofia Rockets e a una delle chiavi del loro successo in attacco negli ultimi anni, ha sempre cercato di creare il più ampio numero di possibilità realizzative, cavalcando l’onda di un ritmo sempre sostenuto. Non è detto, però, che un cambiamento radicale nello stile di gioco comporti automaticamente un peggioramento dell’efficienza di squadra; allo stesso modo, un maggior numero di possessi non implica automaticamente una maggiore qualità dell’attacco, né in termini di percentuali, né in termini di punti segnati, soprattutto quando viene effettuato in una squadra che, come ha fatto OKC fino ad ora, presenta un gameplan offensivo davvero carente. Molto probabilmente, a decidere se Westbrook dovrà dettare o seguire il ritmo sarà l’efficienza dei drive and kick (azione tipica sia dei Rockets che dell’ex Thunder) di cui si renderà regista.
Almeno in linea teorica, l’abilità di Westbrook nella creazione ad altà velocità e la quantità di tiratori disponibili lascerebbero intendere che un ritmo più svelto potrebbe portare un grosso beneficio alle prestazioni di squadra. Qualora ciò non dovesse accadere, però, sarà di fondamentale importanza che Westbrook rientri nei canoni delle tempistiche del così efficiente attacco Rockets dell’era Paul. E qui possiamo fissare il primo grande punto interrogativo riguardante l’inserimento di Westbrook in questi Rockets: sarà in grado di non rivelarsi un ostacolo alle esigenze di pace di squadra?
Dopo anni di un contesto in cui non è mai stato chiaro se un attacco così disorganizzato fosse il risultato dell’incompetenza del coaching staff di OKC o di una insensata frenesia di Westbrook, la stagione 19/20 potrebbe finalmente dare una risposta a dubbi che si sono dimostrati, finora, irrisolvibili; volendo però spezzare una lancia a favore di RW, c’è da dire che durante la scorsa stagione, attraverso accorgimenti ritmici e una migliorata versione da floor general, si è già dimostrato in grado di limare e adattare il suo presunto lato frenetico, ponendo Paul George in una condizione ottimale per disputare l’annata da MVP che ha avuto. C’è anche da dire, però, che anche durante questa stagione si è comunque registrato un differenziale importante con Russell fuori/dentro il campo (circa +2 possessi a partita).
Diversamente da quanto sostenuto da molti, però, con ogni probabilità non sarà necessario uno stravolgimento tattico: potrebbe bastare fare leva sui punti di forza del gioco di Westbrook, aprendo le soluzioni offensive di squadra verso la generazione in transizione e limitando, di conseguenza, l’ISOball “di sistema” fino ad ora (ab)usata. Ciò permetterebbe, nella migliore delle ipotesi e con una squadra pronta a posizionarsi in transizione, una varietà offensiva che renderebbe i Rockets letali anche in un aspetto del gioco che negli ultimi anni è stato il loro punto debole (quartultimo valore di pace di squadra durante la scorsa stagione).
Può convenire modificare un attacco che in questi ultimi anni si è rivelato così efficiente? Partiamo col dire che il gioco in transizione è generalmente molto più fruttuoso del gioco contro una difesa schierata: basta pensare che, nell’ultimo anno (fonte dati: Cleaning The Glass), il peggior attacco in transizione (Miami Heat) ha segnato con questo tipo di azione circa 12 punti per 100 possessi in più rispetto al miglior attacco half-court (Golden State Warriors).
Anche solo poche realizzazioni in transizione possono avere un effetto significativo sulle partite, soprattutto quando incidono sui ritmi generalmente più pacati dei playoff.
In realtà, i problemi delle transizioni di Houston non sono legati tanto alla loro efficienza (decimo miglior rate delle lega), quanto al volume, ossia al numero di possessi giocati in un frangente del genere. I Rockets si sono infatti piazzati fra le ultime 3 squadre della lega per tempo di possesso, tempo di possesso a seguito di un tiro sbagliato e tempo di possesso a seguito di un turnover avversario, registrando numeri eccezionalmente alti. Al contrario, i Thunder di Westbrook si sono piazzati ai primi posti di tutte le suddette categorie e al quinto, contro il 19esimo dei Razzi, nella classifica di fast break points.
Sicuramente non stiamo parlando di un miglioramento che avverrà in maniera immediata ed automatica, ma l’alta efficienza realizzativa di quasi tutti i Rockets e la spinta creativa di Westbrook suggeriscono che Houston potrebbe rivelarsi una macchina da punti anche in fase di transizione, anche senza perdere la propria identità offensiva; al contrario, questa potrà essere adottata anche nei contropiedi, sfruttando le capacità al tiro dei propri giocatori e lo spacing che questi possono garantire per rendere la difesa in transizione un inferno per qualsiasi squadra.
Qualche dato incoraggiante: durante lo scorso anno, mentre Westbrook teneva una media di 7 possessi a partita giocati in transizione, Clint Capela e Danuel House generavano, nei loro contropiedi, rispettivamente 1.38 ppp e 1.36 ppp, realizzando entrambi al 73% eFG e piazzandosi al 92nd e 90th percentile, mettendo a punto, quindi, cifre elitarie per un attacco in transizione
Leggermente più complessa è la questione riguardante la convivenza di questo nuovo duo nell’attacco contro difese schierate: in particolare, i dubbi si concentrano sulla rivedibile efficienza al tiro di Westbrook e sulla tendenza ball dominant quasi ossessiva di entrambi.
Nell’ultima stagione, RW0 ha tirato col 29% da 3 e col 43% dal campo su 20.2 tentativi a gara, tentando più tiri dal mid range a partita di tutti i Rockets assieme (2.6 – col 35% – contro 2.2), ha tirato male dalla lunetta (66%) ed ha confermato la rivedibilità della sua shot selection contro le difese schierate. La sua inefficienza off ball, dovuta alla mano non eccezionale e la totale assenza di movimenti senza palla in mano, completano il quadro con un’accezione profondamente negativa. E considerando che le “half-court plays” costituiscono in media il 79.9% negli attacchi delle regular season e una percentuale ancora maggiore in quelli dei playoff, è legittimo essere preoccupati dalla presenza di Westbrook.
Ma andiamo con calma: come già accennato quando abbiamo parlato dei futuri ritmi dei Rockets, il coaching staff di OKC non ha mai saputo dare un’identità offensiva a squadre spesso e volentieri piene di talenti (seppur spesso troppo simili tra loro); accanto alle colpe attribuibili a chi avrebbe dovuto redigere gameplan in grado di facilitare le superstars (o quantomeno disegnare qualcosa di diverso da 48 minuti di PnR centrale a due senza movimenti off ball), ci sono quelle di una dirigenza che, pur aumentando il talento del roster di stagione in stagione, non ha mai effettuato campagne di mercato volte a rinforzare le batterie di tiratori di una squadra con alcuni dei migliori accentratori di difese della lega (si tenga inoltre presente che è da anni che, indipendentemente dalle caratteristiche dei giocatori-franchigia, vincono il titolo solo squadre con determinate percentuali e un certo numero di tiratori affidabili).
Un discorso del genere permette di capire che, aldilà dei limiti tecnici di Westbrook, l’ambiente in cui Russell ha finora espresso la propria pallacanestro non è esattamente il contesto paradisiaco per un giocatore che non ha mai fatto dell’affidabilità al tiro il suo punto di forza: l’assenza di tiratori a buone percentuali (ammesso che oggi esista una squadra che possa definirsi competitiva senza) e un gameplan non in grado di evitare raddoppi e perfino triplicazioni di difensori (Portland durante gli scorsi playoff non si è fatta alcun problema a riguardo, preferendo lasciare metri e metri di spazio a chiunque avesse voluto tirare) hanno sicuramente influito sulle percentuali di Westbrook, costantemente marcato in qualsiasi posizione del campo. Almeno in teoria, niente di tutto ciò dovrebbe ripetersi a Houston: i Rockets vantano una delle migliori batterie di tiratori della lega e D’Antoni ha già ampiamente dimostrato di essere un coach decisamente interessato all’andamento della fase offensiva delle sue squadre.
Ma non stiamo parlando di un beneficio a senso unico: mentre lo spacing garantito dai tiratori Rockets promette molto più spazio di manovra per le entrate di Westbrook, Russell può promettere di elargire i loro benefici anche ai compagni, come dimostrato dal dato NBA-high dell’ultima stagione da ben 802 passaggi diretti ad un tentativo da tre punti; e se ad OKC queste 802 situazioni hanno avuto esito sempre incerto, la previsione (e l’augurio) per Houston è che Westbrook si rilevi una torcia umana lanciata in tonnellate di polvere da sparo.
Tralasciando l’ovvietà che una migliore percentuale al tiro comporta una migliore probabilità di successo, c’è un altro dato particolarmente incoraggiante: i periodi in cui OKC, durante la scorsa stagione, ha registrato il maggior numero di vittorie (anche con strisce da 7 W) sono stati i periodi con le migliori percentuali di squadra al tiro. Se la prerogativa delle squadre in cui dirige Westbrook è che meglio si tira e più si vince, il suo approdo ai Rockets è, potenzialmente, micidiale.


A rincarare la dose di buone aspettative sono le sue capacità in penetrazione e realizzazione al ferro, elitarie in NBA e uniche nel contesto Rockets (seppur calate nell’ultima stagione, non povera di problemi fisici). Russ, durante il 2018-19, è finito nel 63rd percentile tra i giocatori con almeno 10 drives a gara, registrando un dato che, sommato alla sua grande abilità nei drive and kick, lo rende uno dei giocatori più pericolosi in entrata, nonostante abbia giocato in una squadra fin troppo carente nello spacing. A Houston sarà obbligatorio per lui, dato lo spacing a disposizione, aumentare la sua efficienza al ferro; ossia, in soldoni, fare qualcosa di molto simile a ciò che ha fatto Antetokounmpo, che, da driver nella media, grazie al miglioramento dello spacing di squadra, ha registrato un notevole differenziale nella sua efficienza in entrata (+13%).
Altro aspetto su cui puntare, seppur spesso sottovalutato quando si parla di esterni, è il suo gioco in post-up, già esplorato ad OKC ed apprezzato da D’Antoni, che si è dichiarato pronto ad adottarlo. Nell’arco della scorsa stagione ha messo a referto 0.79 ppp con 2.7 possessi a gara ed il piazzamento al 22esimo percentile. Anche in questo frangente di gioco, il contesto dei Rockets dovrebbe sfruttare in maniera più efficiente le abilità di Westbrook quando questo volge le spalle verso il canestro, aprendo, con un matchup che – date le caratteristiche fisiche di RW – è spesso un mismatch, una discreta varietà di soluzioni.
Per concludere, la sua capacità a rimbalzo, fondamentale che ha rappresentato un grosso problema per i Rockets della scorsa stagione, potrebbe tornare molto ultile: seppur aiutato dal gioco di OKC, che ha fortemente puntato sui contropiedi interamente gestiti da Russell, Westbrook, nelle ultime 3 stagioni, è sempre stato in grado di concludere nella top 10 della lega per rimbalzi difensivi a partita (9.6 durante la scorsa stagione contro i 3.9 di Paul).
Avere un giocatore da +6 Def Reb a gara e in grado di ribaltare rapidamente l’azione per un attacco a proprio favore può fare tutta la differenza del mondo.
Potrebbero sorgere dubbi in riferimento alla difesa: Westbrook è potenzialmente un difensore on ball mostruoso (si pensi alla difesa proprio contro Harden in Thunder@Rockets di due stagioni fa), ma solitamente un difensore di livello accettabile (anche se altalenante in base al contesto: decisamente carente nella stagione 2016-17, più che buono nella stagione passata), aggressivo sul pallone, grazie alle sue caratteristiche fisiche e atletiche, ed eccellente nelle letture delle linee di passaggio. Il suoi problemi difensivi sono principalmente legati ai closeout e, più in generale, alla sua difesa off ball, fondamentale in cui si è saputo dimostrare disattento o mal posizionato; ma il sistema difensivo di Houston, fatto di heavy switch, potrà sopperire a queste mancanze del nuovo innesto, riducendone la responsabilità difensiva; d’altro canto, l’abilità di Russell in difesa sui post up (62nd percentile, 0.87 ppp concessi) e la sua possibilità di accettare cambi anche fino a tre ruoli rendono perfetto il fit, creando un ottimo punto a favore dei Rockets: permettendo alla difesa un’ampia rotazione, infatti, si punta anche a preservare maggiormente le energie delle proprie stelle per massimizzare la loro resa nella fase offensiva (come già successo per Harden in questi anni).
Ma in quale maniera Brodie & Beard dovranno evolvere il proprio gioco per trovare una compatibilità in campo che permetta una loro fruttuosa convivenza?
Un primissimo grosso dubbio sorge in relazione alla gestione dei molti minuti in cui Harden e Westbrook saranno insieme sul campo. È importante sottolineare, tra l’altro, che la capacità di Paul e Harden di giocare praticamente alla stessa maniera e agli stessi ritmi permetteva agli altri giocatori di non dover modificare sostanzialmente il proprio ruolo; con Westbrook, per quanto detto finora e quanto si dirà più avanti, questo non sembra possibile.
Per capire di cosa parliamo, possiamo usare come indice l’usage rate e, più in generale, il possesso del pallone da parte di due tra i giocatori più ball dominant di sempre. Partendo dal presupposto che entrambi dovranno sicuramente limitare la quantità dei propri possessi – dati alla mano – i numeri raccontano una storia meno drastica di quanto possa sembrare: nella scorsa stagione, infatti, Paul ha tenuto palla per il 20.6% del tempo, Harden per il 25.3% e Westbrook per il 21.4%.
La scorsa stagione, inoltre, Russ si è classificato 17esimo in tempo medio per possesso e 18esimo per dribbles per possesso, registrando dati più vicini a quelli di Conley (generalmente non ritenuto un playmaker avido di palloni) rispetto a quelli di CP3.
Non solo: nell’anno che ha preceduto l’approdo ai Rockets, il play di Lewisville ha tenuto palla per il 26% del tempo (quasi il 5% in più di Russ) e ha registrato una media di 86 tocchi a gara, contro i 91 a partita di Westbrook della scorsa stagione (registrati, però, a un ritmo più elevato e, quindi, con più possessi di squadra).
Insomma, questi numeri, almeno sulla carta, descrivono una situazione iniziale senza difficoltà insormontabili, fermo restando che, nella carriera di entrambi, i valori personali massimi degli usage rate stagionali hanno oltrepassato il 40%.
Parlando invece dei loro personali stili di attacco, Harden dovrà sicuramente recuperare il gioco off ball e da spot up shooter dal suo arsenale. E se è vero che ad oggi non sembra possibile trarre un vantaggio togliendo la palla dalle mani di un giocatore da una produttività on ball simile, è ritornando indietro fino all’ultima stagione del Barba ad OKC che possiamo trovare un dato molto interessante: Harden era ai primi posti nella lega per efficienza in catch and shoot, situazione che rappresentava il 34% dei suoi possessi e che convertiva con la bellezza di 1.34 ppp. Nella scorsa stagione, invece, il Barba ha giocato solo il 3% dei suoi possessi in catch and shoot, convertendoli con un buonissimo 1.29 ppp, mentre ha generato in ISO, entrando pure nella storia per punti prodotti in questa condizione, “solamente ”1.11 ppp. Quindi perché non sfruttare maggiormente uno dei più efficienti tiratori off ball della lega, invece di limitarlo a prendere in catch and shoot solo 70 delle sue 1028 triple tentate nell’ultimo anno? Con Westbrook in campo, questa opzione potrebbe essere maggiormente sfruttata, utilizzando Harden come ricevitore principale e restituendogli valore anche come off ball shooter.
Così come Harden, anche Westbrook avrà molto meno la palla in mano quando in campo con l’altra stella, motivo per cui sarà obbligatorio per lui trovare, insieme a D’Antoni, un modo per diventare efficace off ball. Mentre si spera nei miglioramenti al tiro promessi da Russ a fine stagione, il suo atletismo da solo potrebbe già rivelarsi abbastanza utile nelle situazioni in cui non tiene la palla in mano, sfruttando gli ampi spazi che verranno creati o contribuendo a crearne ulteriori.
Stando ai dati di Synergy Sports, Westbrook attacca il ferro in scenari di spot up la metà delle volte rispetto all’ultima volta che ha giocato con Harden: inutile dire che se Westbrook attaccasse con più costanza al ferro, dove è una minaccia più che concreta, la convivenza del duo sarebbe molto facilitata.
Sempre relativo alla sua efficienza (sia on ball che off ball), un altro aspetto del gioco che Russ dovrà riconsiderare, come già detto, è la sua shot selection, soprattutto per quanto riguarda i tentativi da dietro l’arco (che, a dirla tutta, almeno per il momento distaccano abbastanza pesantemente un giocatore come Brodie dalla Moreyball).
Nelle ultime 3 stagioni, Westbrook ha tirato con un pessimo 32% da 3 dalle zone centrali, ma ha registrato un valido 38% sulle corner three. Qualora Russell non dimostrasse miglioramenti al tiro, D’Antoni dovrà instillare in lui quel che Donovan non è mai riuscito a trasmettere: l’idea di un gioco più analitico e meno basato sul puro istinto e la foga, coadiuvato da un bacino di soluzioni alternative immenso.

L’idea, quindi, di lasciare una più ampia gestione delle half-court plays ad Harden e un ampio carico di responsabilità in situazioni di transizione e semitransizione a Westbrook, almeno per il momento, sembrerebbe la migliore base su cui costruire questo nuovo progetto.
Se tutti (o buona parte di) questi aspetti riusciranno a diventare realtà, allora Houston potrà permettersi di integrare il gioco calcolato di Harden (e Paul) con quello più aggressivo di Westbrook, rinnovando un sistema di gioco già efficientissimo verso una varietà di soluzioni forse senza pari, che permetterebbe ai Rockets di sognare davvero in grande.
Ultima ma non ultima, un P.S. a seguito dell’analisi tecnica, è una considerazione sul lato umano. Un lato che, nel caso del rapporto tra Paul e Harden, ha spesso lasciato a desiderare: gli atteggiamenti, i comportamenti e perfino le discussioni in campo hanno infatti reso chiaro che, nonostante quanto affermato nelle smentite ufficiali (che sono quindi apparse molto più di facciata che sincere), non ci fosse una pacifica convivenza tra le due persone, prima ancora che tra i due giocatori. Al contrario, Westbrook e Harden sono legati da una amicizia fraterna di circa 20 anni; non sorprende, quindi, che Harden stesso abbia fortemente spinto verso la trade che ha riunito questo duo, dicendo chiaramente a Morey che i due sanno come giocare insieme.
L’integrazione di Russell nello spogliatoio Rockets, inoltre, non dovrebbe essere particolarmente difficile: contrariamente a quanto comunemente creduto e a quanto farebbe credere l’esuberanza cestistica che sa contraddistinguere determinati momenti di Westbrook, The Brodie è stato definito da praticamente qualunque addetto ai lavori o giocatore come il compagno di squadra perfetto. A dimostrazione di ciò, si ricordi, ad esempio, che Alex Abrines ha avuto parole al miele per lui (Westbrook gli è stato vicino nel suo periodo di depressione), che Victor Oladipo lo considera come un fratello e l’ispirazione che gli ha permesso di fare il salto di qualità nel 2017-18, o che Paul George, appena abbandonata OKC, ha tuonato di non fare calunnie nei confronti di Westbrook, che, oltre a considerare anche lui come un fratello, non aveva, a suo parere, alcuna colpa nell’insuccesso Thunder e il suo conseguente addio alla squadra.
A destare dubbi riguardanti la personalità, invece, potrebbe essere James Harden: i non buoni rapporti instaurati con Howard e Paul si inseriscono perfettamente nel quadro creato dai diversi rumors negativi, usciti nel corso degli anni, riguardanti la sua persona. Obbligatorio dire, però, che mentre è emersa la netta sensazione che il rapporto con i comprimari sia incredibilmente migliorato col passare del tempo, creando quello che ha tutte le caratteristiche per essere definito un gruppo coeso, le personalità di Howard e Paul hanno avuto grandissimi problemi in tutti gli ambienti in cui hanno militato. Il gruppo di oggi e Russell Westbrook non dovrebbero creare alcun problema da questo punto di vista, ma qualora le personalità e gli ego del ritrovato duo dovessero malauguratamente iniziare a scontrarsi, le prestazioni di squadra potrebbero pesantemente risentirne.
In ogni caso, rimarrà saldamente in comune l’obiettivo di vincere il titolo, come già dichiarato in interviste e come già dimostrato dalla società, dal momento che per riuscire a portare Westbrook ai Rockets, Houston si è spogliata di una fetta potenzialmente importante di futuro, rendendo chiaro a fatti, prima ancora che a parole, che il progetto va all-in.
Nel caso in cui non fosse possibile arrivare all’anello, per questioni cestistiche e/o umane, sarebbe comunque difficile credere che Houston venga tagliata fuori dai playoff: Harden e Westbrook hanno già dimostrato di poter arrivare al primo/secondo turno della postseason con prestazioni da one man show e supporting cast nettamente inferiori sia per talento che per conformità ai loro stili di gioco. Con buona probabilità, quindi, data la mole di scenari possibili, che si concretizzeranno in base a come la squadra risponderà a tutti i dubbi riguardanti l’integrazione di questo nuovo roster, assisteremo ad una stagione piena di cambiamenti, di cui The Shot vi terrà costantemente aggiornati.
Articolo a cura di Giuseppe Catone e Alex Di Marcantonio.