PHILADELPHIA 76ERS: LA FINE DI “THE PROCESS”.
Record 2018/19: 51-31.
IN: Al Horford (FA); Josh Richardson (Trade); Matisse Thybulle (Draft); Raul Neto (FA); Trey Burke (FA); Kyle O’Quinn (FA); Maryal Shayok (Draft, two-way); Norvel Pelle (two-way).
OUT: Jimmy Butler (Sign&Trade); J.J. Redick (FA); T.J. McConnell (FA); Boban Marjanovic (FA); Amir Johnson (FA); Greg Monroe (FA); Jonathon Simmons (Trade).
Roster:
PG: Ben Simmons (S), Raul Neto, Trey Burke.
SG: Josh Richardson (S), Zhaire Smith, Matisse Thybulle, Shake Milton, Furkan Korkmaz, Maryal Shayok, Haywood Highsmith.
SF: Tobias Harris (S), Mike Scott, James Ennis III, Isaiah Miles.
PF: Al Horford (S), Jonah Bolden, Norvel Pelle.
C: Joel Embiid (S), Kyle O’Quinn, Christ Koumadje.
RECAP STAGIONE 2018/19
Non è difficile ricordare come si è chiusa la scorsa stagione: quel buzzer beater di Kawhi Leonard in Gara7 rimarrà senz’altro nella memoria collettiva della Lega e del mondo intero.
I 76ers sono arrivati a quell’incontro con la storia dopo una stagione tanto esaltante quanto travagliata.
Il biglietto da visita di Elton Brand, GM esordiente nominato dopo la brutta storia di Bryan Colangelo e dei suoi account twitter, è stata una trade che ha subito messo in chiaro il suo progetto: via i due gioiellini del Process Saric e Covington, dentro una superstar trentenne al suo peak come Jimmy Butler.
Ma non era abbastanza, alla trade deadline scoppia un altro fuoco d’artificio: quasi a voler ulteriormente estirpare un possibile fantasma di Sam Hinkie ancora aleggiante nei corridoi del Wells Fargo Center, partono anche il tanto problematico quanto promettente Markelle Fultz, l’ottimo rookie Landry Shamet e un asset importante come la scelta unprotected dei Miami Heat al draft 2021 per consentire, come portata principale, l’inserimento di Tobias Harris, alla sua miglior stagione in carriera (e ultima del suo contratto, come Butler).
Oltre all’ex Clippers, in quel giorno folle arrivano Mike Scott, Boban Marjanovic, James Ennis, Jonathon Simmons e, per completezza, Malachi Richardson. Salutano Wilson Chandler e Mike Muscala.
I 76ers si presentano così alla post-season con uno starting five eccellente ma senza chimica, solo 160 minuti giocati insieme, supportato per la prima volta da una panchina solida e affidabile, ma non completa. Le aspettative però sono già molto alte.
E così, dopo aver strapazzato i Brooklyn Nets, arriviamo ad una delle migliori serie della scorsa stagione. Sette gare dure, fisiche, nervose, come da tradizione della Eastern Conference, che lasciano rimpianti (le sconfitte in Gara 4 e 5), dubbi (“what if…” Joel Embiid fosse stato al 100%?) e, ovviamente, le lacrime proprio della star africana alla fine, distrutto come e più di ogni tifoso.
Dopo tutto questo, si apre il valzer dell’offseason. Un draft sottotono ed enigmatico (“Will make sense soon…” dichiara Brand nella conferenza stampa successiva) che porta in Pennsylvania i talenti, difensivi in particolare, di Matisse Thybulle e della sorpresa in Summer League Maryal Shayok, “the maple KD”.
Dopo il draft arriva il momento della free agency, più caotica che mai.
La notizia più sicura era il rinnovo di Tobias Harris, arrivata con qualche giorno di ritardo e uno sconto di una decina di milioni rispetto al max salariale previsto. Poi, in pochissimo tempo, l’ennesimo stravolgimento: Jimmy Butler vuole solo Miami e forza la trade con gli Heat, dalla quale arriva Josh Richardson. Il grosso dello spazio salariale rimasto finisce, più o meno inaspettatamente, in un quadriennale ad Al Horford, per un quintetto ancora una volta imperfetto ma dall’elevato potenziale.
Gli addii più dolorosi, Butler a parte, sono sicuramente quelli di J.J. Redick, diretto a New Orleans, e di T.J. McConnell, l’anima del Process.
Prima di sbilanciarci in giudizi sulla free agency 76ers in termini di giusto/sbagliato, bisogna riconoscere che ogni mossa effettuata da Elton Brand, a partire dal draft, è risultata come parte coerente di un progetto unitario. Da questo punto di vista, possiamo considerare la free agency appena passata come ben condotta.
COSA ASPETTARSI DALLA STAGIONE 2019/20
Il tempo a disposizione è il miglioramento più importante rispetto alla stagione passata: una squadra già pronta a partire dai primi appuntamenti ufficiali è un evento effettivamente nuovo per i 76ers dell’era “Process” e dunque anche per l’allenatore che in questi anni li ha sempre guidati, Brett Brown.
Ogni anno che passa, la figura dell’HC Sixers diventa sempre più divisiva tra fan e comunità on-line, frutto di una filosofia di gioco riproposta stagione dopo stagione senza molte trasformazioni, con risultati certamente non negativi ma nemmeno inattaccabili.
Josh Harris ha dichiarato che la scorsa stagione il posto di HC non è mai stato in dubbio, indipendentemente dai risultati ai PlayOff. Una scelta corretta, visti sia i sopracitati stravolgimenti eseguiti a stagione in corso, sia un lavoro di aggiustamenti (emerso forse in maniera più evidente che negli altri anni) che lascia intravedere ancora del potenziale inespresso nelle capacità dell’ex assistente di Popovich.
Quest’anno Brown è però chiamato ad allenare una contender dichiarata ed è difficile pensare che, salvo grossi infortuni o drammi in spogliatoio, riesca a tenere il posto al termine di una eventuale stagione deludente.
Il quintetto titolare sarà Simmons, Richardson, Harris, Horford, Embiid. È una lineup fatta di giocatori intelligenti, alti, intercambiabili e bravi a passare la palla, perfetti per il gioco di Brown, ma è evidente che le spaziature saranno un problema presente, almeno quanto lo è stato la scorsa stagione. Non solo: anche i momenti di shot creation dal palleggio potrebbero essere carenti in qualità e quantità vista l’assenza di un campione della categoria come Butler.
Le sfide per Brett Brown
La filosofia di gioco di Brett Brown è ormai nota: non è una filosofia invasiva, lascia molto spazio agli interpreti nelle letture e nelle decisioni, forse troppo, e lo stesso Brown ha dichiarato di essere molto più improntato sull’allenare un basket organico piuttosto che su uno improntato alle singole giocate prestabilite. È una visione abbastanza drastica (Brown ha definito “sopravvalutata” la parte del suo lavoro relativa al play calling) che permette di capire abbastanza bene due o tre problemi fondamentali del gioco dei 76ers: uscite da time-out, situazioni nel clutch time, gioco stagnante e, conseguentemente, palle perse.
Il legame col primo elemento è lampante: una scarsa attitudine a chiamare le giocate rende, per semplice mancanza di esperienza, queste ultime molto più meccaniche nella loro attuazione quando sono necessarie. Questo è stato un problema gravoso per la squadra, pagato spesso con una sconfitta negli ultimi minuti.
Gli altri due problemi rappresenteranno invece la Sfida per Brown nella prossima stagione dopo essersi ripresentati anno dopo anno.
I nuovi inserimenti nel quintetto, Richardson e Horford, se confrontati con la coppia partente Redick-Butler, potrebbero avere i mezzi per migliorare il gioco Sixers da alcuni punti di vista, rischiando però di rappresentare anche un peggioramento da altri.
Tenendo bene a mente che il basket non è una somma di elementi isolati, possiamo provare a fare un confronto statistico tra le due coppie nei due aspetti principali per la costruzione di un gioco fluido ed efficace nel 2020: il tiro da 3 e l’abilità nel passare la palla.
Il primo è un netto peggioramento rispetto alla coppia precedente, sia per volume che per percentuale di realizzazione (4/11 il combinato a partita della coppia Redick-Butler, 3/9 quello dei nuovi arrivati). Anche immaginando un miglioramento delle percentuali di Richardson, dato dal sicuro abbassamento della pressione difensiva su di lui, è difficile immaginare che sarà capace di esercitare la stessa gravity che la nuova guardia dei Pelicans generava, rendendolo spesso il bersaglio primario dei defensive plans avversari.
D’altro canto, Horford rappresenta sicuramente una maggiore costanza rispetto a Butler e anche una maggior disposizione a stazionare sul perimetro in attesa dello scarico, compito che il nuovo Heat spesso infrangeva danneggiando le spaziature già precarie. Ovviamente, il nuovo acquisto 76ers difficilmente avrà la capacità di accendersi per brevi tratti di partita, in particolare nei momenti più determinanti della partita, caratteristica invece peculiare di uno scorer come Butler.
La capacità di far girare bene la palla potrebbe essere. invece, il miglioramento più importante apportato dalla nuova coppia.
Un veloce confronto statistico tra Redick e Richardson rivela una sostanziale parità a vantaggio di Redick per quanto riguarda le palle perse:

ma una vittoria per Richardson in tutti i campi relativi agli assist:

Se dunque sarà difficile veder Richardson eguagliare l’importanza di Redick per quanto riguarda lo spacing ed il tiro da 3, è quasi certo che l’ex Heat fornirà un’opzione molto più valida su cui appoggiarsi, specialmente nelle molte situazioni di gioco stagnante, durante le quali Redick, ottimamente marcato, non poteva assumere il ruolo di ricevitore per chiare mancanze tecniche. Mancanze che Richardson colma, forte anche di un’esperienza, pur non eccellente, da point guard la scorsa stagione dopo l’infortunio di Goran Dragic, che si va ad aggiungere ad un ultimo anno NCAA giocato nella stessa posizione. C’è dunque del materiale su cui Brown potrà lavorare per sfruttare la sua nuova shooting guard da portatore di palla aggiuntivo, come fatto, ottimamente, con Butler durante la scorsa stagione.
Ancora una volta, il confronto tra Butler e Horford evidenzia due tipologie di giocatori agli antipodi.
Da un lato troviamo un giocatore che, nella stagione 2017-18 a Minnesota, ha segnato per il 60% delle volte tiri non assistiti. Tra i tiri che si è preso, solo il 16% sono stati in situazioni di catch and shoot. Butler ha tirato generalmente dopo aver tenuto il pallone in mano tra i due e i sei secondi di tempo, essendo marcato nel 55% dei casi.
Questi dati si sono addolciti la scorsa stagione, a causa del maggior talento in squadra e delle diverse responsabilità affidategli (la percentuale di tiri marcati è calata del 10%, aumentati anche i tiri senza effettuare palleggi e 51% di punti assistiti), ma la situazione di gioco ideale per Butler è più simile alla prima che alla seconda, con lui alla guida offensiva di una squadra, libero di creare come meglio crede.
Quattro statistiche per capire quanto Al Horford sia distante da Jimmy Butler: 80% di punti assistiti, il 47% delle volte in situazione di catch and shoot, 7 volte su 10 senza effettuare un singolo palleggio e da smarcato il 59% dei casi.
Concludiamo il confronto notando che Al Horford la scorsa stagione ha effettuato più passaggi di quanti ne abbia ricevuti (42 a 39 il confronto), al contrario di Butler (differenza di -5 nel post All Star Game, quindi con Tobias Harris a roster). Un campione molto condizionato dagli inediti compiti da point guard secondaria: basti pensare che effettuava 10 passaggi in meno a partita prima di quel periodo, da 24 a 34.
C’è da vedere come questi cambiamenti si tradurranno in campo quando i 76ers non riusciranno a far girare il loro gioco fatto di transizioni e ricerca veloce del mismatch, perché da un lato la maggior disposizione al gioco associativo di Horford e le maggiori abilità da palleggiatore di Richardson aiuteranno senz’altro a tiri forzati e palle perse, dall’altro, Butler è certamente un giocatore dal quale vuoi andare quando c’è da prendere un tiro in una situazione sfavorevole.
La soluzione dipenderà dalle capacità del trio che avrà le chiavi dell’attacco in mano.
I Big Three dell’attacco: Joel Embiid, Ben Simmons, Tobias Harris
Ogni elemento di questo terzetto avrà un impatto fondamentale e ben definito sull’attacco dei Philadelphia 76ers.
Ben Simmons
Ben Simmons arriva alla sua terza stagione col suo stile di gioco unico ed estremamente divisivo. Nonostante i classici video estivi pieni di triple e le parole ottimiste di chi gli sta intorno, è stato Ben Simmons stesso a considerarsi come ancora nel mezzo di un lungo percorso, che è dunque lontano dal punto di arrivo. Avremo quindi un’altra stagione senza tiro, questo dovrebbe essere abbastanza chiaro.
Cosa c’è di diverso? Innanzitutto alcune sensazioni, nelle parole di Brown e di Simmons stesso, che lasciano presagire se non altro forti motivazioni e una rinnovata fiducia. Simmons ha infatti dichiarato di essersi rinnamorato del gioco in quest’estate durante gli intensi allenamenti a cui si è sottoposto. Il suo allenatore ha parlato di una “confidence” che l’ha fatto brillare negli allenamenti.
L’altra novità risiede ancora una volta nella sostituzione Butler-Horford. Proprio per le differenze evidenziate in precedenza, emerge chiaramente che il fit col nuovo compagno è sulla carta di gran lunga più efficace.
In ultimo luogo, a Simmons sono richiesti dei miglioramenti principalmente per quanto riguarda la tenuta mentale nei 48 minuti, a maggior ragione in questa squadra, attualmente sprovvista sia di un palleggiatore secondario sicuro in quintetto sia di un backup affidabile in panchina.
Abbiamo visto spesso brutti momenti della squadra coincidere con fasi di deconcentrazione da parte di Simmons, espresse in scarsa attitudine ad un gioco aggressivo ed una scarsa ricerca del duello contro il diretto marcatore, spesso facilmente battibile fisicamente. A questo bisogna aggiungere una prevedibile crescita, data più che altro dalla sempre maggiore esperienza, nelle letture e nelle decisioni. Più tiri liberi e meno palle perse insomma.
Joel Embiid
Joel Embiid si appresta ad entrare al suo sesto anno nella Lega come una delle sue facce più riconoscibili e riconosciute, ormai abbastanza certo di essere uno dei migliori 10 giocatori al mondo. A lui verrà richiesto di prendere di nuovo il ruolo di go to guy, compito lasciato a Butler la scorsa stagione, riconosciuto da Embiid stesso come la prima soluzione offensiva più di una volta. Per farlo, possiamo immaginare che tornerà ad occupare con più frequenza il suo angolo di paradiso, il post basso.
In questo caso, la presenza di Horford potrebbe essere più problematica. Se è vero che il 48% dei suoi tiri sono arrivati in catch and shoot, è anche vero che un altro 43% sono tiri presi a meno di 3 metri dal canestro. Insomma, i prossimi Sixers giocheranno con due centri che, per quanto atipici, rimangono tali. È molto probabile che si alterneranno per lunghi tratti della partita, ma è quasi sicuro che saranno contemporaneamente sul parquet nei momenti decisivi. Sta ancora una volta a Brown far funzionare le cose.
In questa stagione ci si aspettano dei miglioramenti da parte di Embiid. Dovrà senz’altro gestire meglio il pallone, fare scelte meno avventate e conseguentemente perdere meno palloni (anche se le stesse mosse “sbagliate” si sono spesso tradotti in falli subiti, secondo nella Lega per liberi tentati). Il tiro da tre va invece perfezionato, specialmente nella sua “gestione”. A marzo 2018, Brown dichiarò che secondo lui Embiid dovrebbe tirare dalle 6 alle 8 triple a partita.
È un’affermazione decisamente esagerata, ma è indubbio che l’allenatore si aspetti un contributo continuo da parte di Embiid al gioco perimetrale. Aspettative che avevano portato al “rumor” di un Embiid scontento per il suo utilizzo eccessivamente perimetrale dopo l’arrivo di Jimmy Butler.
Oggi le difese spesso lasciano Embiid liberissimo di prendersi una tripla, una soluzione certamente meno efficiente di un JoJo che entra in area. La stella Sixers si è spesso lasciata prendere la mano (si pensi al 3/12 complessivo nelle Gare 5 e 7 contro i Raptors per prendere l’ultimo esempio disponibile) e deve sicuramente leggere meglio queste situazioni in cui viene battezzato.
Un ultimo aspetto del suo gioco da migliorare è la capacità di tagliare a canestro dopo il blocco. Embiid ha sempre preferito allargarsi per crearsi il tiro e i suoi tagli spesso risultano lenti e mancanti dell’esplosività necessaria. Se è vero che neanche quest’anno potrà contare su una guardia molto abile nei pick and roll con i lunghi, è vero anche che parliamo di una delle giocate fondamentali per il suo ruolo nonché uno dei modi più efficaci per segnare.
Per il resto, parliamo di un giocatore che potrebbe lanciarsi in una campagna per il premio di MVP della prossima stagione, forte di un enorme impatto difensivo ormai acclarato e di elevatissime responsabilità offensive in una delle squadre favorite.
Tobias Harris
Last, ma decisamente not least, Tobias Harris. L’investimento salariale sull’ex Clippers rende bene le aspettative e l’importanza che l’ala ha nei prossimi 76ers. È senza dubbio l’X Factor della stagione, il cui esito dipenderà in una parte considerevole dal suo rendimento in tre aspetti del gioco: tiro da tre, shot creation e difesa.
Arrivando alla trade deadline, Harris ha avuto pochissimo tempo per adattarsi al suo nuovo ruolo, dovendo passare da primo terminale offensivo dei Clippers ad elemento di supporto per il gruppo. Il numero di tiri non ha subito cali drastici (da 15.5 a 14.8 a partita), ma di certo non erano tiri costruiti per lui e della stessa qualità. Questo ha portato, per la prima volta dopo 3 stagioni, ad una percentuale da 3 al di sotto del 40% (32.6%).
Nella prossima stagione invece Harris tornerà ad essere un elemento cardine dell’attacco della sua squadra. Tornerà ad avere la palla in mano, parola di Brand, e molte più libertà creative.Continuerà a crescere il numero di pick and rolls giocati ed è certo che Harris avrà una grande responsabilità in merito. Già all’inizio degli scorsi PlayOff la media di azioni giocate in p’n’r era passato dai 3.6 della Regular Season a 6.3 (più delle 5.1 coi Clippers). Ancor più importante è che anche l’efficienza era migliorata, seppur di poco, passando dagli 0.9 punti ad azione coi Clippers (nono nella Lega tra i giocatori con tre pick and rolls giocati a partita ed almeno 50 partite giocate) ad un più solido punto pieno ad azione.
L’enorme contratto firmato quest’estate parte però dal presupposto che Harris non solo confermi quanto fatto vedere a L.A., ma che continui anche il percorso di costante miglioramento espresso stagione dopo stagione. In particolare, ci si aspetta che le capacità da “iso creator” migliorino.
Prima di tutto, Harris dovrà trovarsi molto più a suo agio palleggiando. Ad oggi risulta lento e macchinoso per potergli affidare un numero solido di isolamenti. Non gli si può certo chiedere di diventare Durant, ma dei miglioramenti sono necessari. Nella serie contro i Raptors per esempio, Siakam gli ha più volte rubato la palla in 1v1. Certo, parliamo di un difensore d’élite, ma è lecito aspettarsi che Harris avrà sempre di fronte il miglior difensore tra le ali avversarie addosso e limitare le palle perse deve essere l’obiettivo numero 1 della prossima stagione.
Col ball-handling, dovrebbe migliorare anche la capacità di penetrare a canestro, una delle parti più involute del suo gioco dall’arrivo a Philadelphia. Harris ha infatti registrato la percentuale più bassa di layups e schiacciate in carriera, nonostante fosse al career high prima della trade. Penetrando più spesso, Harris dovrà anche abituarsi a cercare maggiormente il contatto fisico con l’avversario, aumentando il numero di falli subiti. I 3,5 tiri liberi a partita che conquistava ai Clippers la scorsa stagione sono decisamente troppo pochi per uno scorer di primo livello.
Come anticipato, la valutazione sull’impatto di Harris passerà anche da come lavorerà nella sua metà campo.
La miglior difesa della Lega?
Se l’attacco lascia dubbi molto importanti ancora aperti, è evidente che il nuovo quintetto ha il potenziale per mettere in scena una delle migliori difese della storia NBA.
Richardson è un upgrade smisurato rispetto a Redick e Horford va a formare con Embiid il miglior frontcourt difensivo della Lega.
Parlando delle potenzialità della squadra nella propria metà campo, Ime Udoka, nuovo lead assistant di Brown, è apparso più che entusiasta (“It’s a dream if you’re a defensive coordinator”, “It’s almost like being in a candy store”), ed è abbastanza facile capire perché.
Innanzitutto, l’altezza totale del quintetto titolare è 28 cm superiore all’altezza media delle starting lineups della scorsa stagione (407 inches contro 396), secondariamente è aumentata anche la wingspan, passando dai 190 cm di Redick ai 208 di Richardson, e dai 203 cm di Butler ai 216 di Horford. Ma non è solo una questione di atletismo, ovviamente. Tutti i titolari, escluso Harris, hanno ricevuto almeno 2 voti per l’inserimento nel secondo quintetto difensivo della scorsa stagione (Horford 4, Richardson 3, Simmons 2), testimoniando l’appartenenza alle élites difensive dei rispettivi ruoli.
Appare chiaro che Tobias Harris sarà il bersaglio principale degli attacchi avversari, e lui stesso è il primo a saperlo e, stando alle sue parole, sta lavorando per non essere l’anello debole della difesa. A peggiorare la situazione sarà la compresenza in campo delle due torri, Horford e Embiid, nei momenti importanti che relegherà Harris al terzo spot anche in difesa, ruolo in cui spesso ha dimostrato difficoltà dovute principalmente alla scarsa mobilità laterale.
Parliamo in ogni caso di un “anello debole” da un punto di vista relativo. Tutti i team hanno un giocatore che cercano di “nascondere” in difesa e Brett Brown dovrà farlo con un giocatore il cui Defensive Real Plus/Minus in carriera finora è di -0.4, non un difensore scarso quindi, ma nella media. Se a questo aggiungiamo la possibilità da parte dei compagni di squadra di cambiare facilmente marcatura indipendentemente dal ruolo, non c’è davvero molto di cui preoccuparsi.
Una grande novità della difesa 76ers è che forse non subirà così tanto l’assenza di Embiid. Nelle sue tre stagioni, con lui in campo la squadra ha chiuso le stagioni rispettivamente nel 97°, 96° e 87° percentile per punti concessi a possesso. A questi dati straordinari, si sono sempre accompagnate statistiche mediocri per efficienza difensiva quando Embiid non era in campo. La scorsa stagione, per esempio, si passava dall’essere la terza miglior difesa della lega per punti concessi su 100 possessi (106,3) all’essere alla pari con i Washington Wizards (113.9 punti concessi).
Con l’arrivo di Horford e la presenza in panchina di veterani (Ennis, Scott) e talenti difensivi (Thybulle, Smith, Bolden), la situazione dovrebbe equilibrarsi, permettendo periodi di riposo più lunghi ad Embiid durante le partite.
L’impatto dalla panchina: problemi e possibilità
Uno dei problemi più evidenti durante la scorsa stagione era l’assenza di validi opzioni in uscita dalla panchina. Problema tamponato a regular season in corso e, forse, risolto nell’offseason.
Quest’anno, il coaching staff può contare su un gruppo di giocatori che offrono molte possibilità di sperimentare con diverse lineup in base ai diversi bisogni.
Si potrà accontentare Simmons con una lineup piccola e veloce tutta transizioni e spacing grazie a giocatori come Scott e Bolden, potrebbe esserci la possibilità di migliorare ulteriormente la difesa utilizzando mastini quali Ennis III, Smith o Thybulle da 3 al posto di Harris o accontentare quest’ultimo dandogli la possibilità da giocare da 4, in particolare se uno tra il rookie e il sophomore mostreranno gli attesi miglioramenti al tiro da 3. Anche Embiid potrebbe avere una “sua” lineup, qualora almeno uno tra Neto e Burke si rivelasse una backup point guard efficace con costanza, dando la possibilità di giocare con 4 giocatori esterni e lasciando Embiid di fare a pezzi l’avversario in un’area tutta per sé.
Proprio la posizione di “vice Simmons” è forse quella che lascia più perplessità. Provando ad eliminare la componente affettiva nel valutare il gioco di McConnell, molto difficile, bisogna in ogni caso riconoscere che il nuovo giocatore dei Pacers garantiva una gestione della palla sicura, buone letture e una grande carica agonistica che ha sempre impattato positivamente i compagni di squadra.
Nella prossima stagione, invece, i 76ers dovranno di volta in volta decidere a chi rivolgersi, potendo contare su due giocatori uguali nel ruolo ma estremamente diversi nella sua interpretazione.
Il problema è che, attualmente, nessuno dei due garantisce un rendimento pari a quello di McConnell. Raul Neto ha semplicemente poca esperienza: 200 partite giocate, 14 minuti di media, mai un elemento fondamentale nelle rotazioni. Trey Burke è invece un giocatore inizialmente etichettato come bust, ritrovatosi grazie alle due ultime stagioni in una pessima squadra come i Knicks. Ha giocato 162 partite in più del brasiliano, ma è tutt’altro che una fonte di sicurezza.
Per quanto riguarda il loro modo di giocare, entrambi hanno utilizzato il pick and roll come azione primaria nella scorsa stagione, ma se Neto è un “pass first” player, allora Burke è un giocatore “point first”, che spesso ha utilizzato i p’n’r per crearsi un tiro proprio piuttosto che per smarcare un compagno. Infatti, gli isolamenti compongono una parte importante nella distribuzione del gioco di Burke, più del doppio di quanto lo siano per Neto. La situazione si ribalta per quanto riguarda le situazioni in spot up (dati Synergy Sports via The Athletic).
Personalmente, ritengo che Neto parta avanti nelle rotazioni perché offre una maggiore stabilità con la palla in mano ed è un miglior difensore. Burke credo possa essere un’arma tattica interessante, da liberare in situazioni in cui vi è un disperato bisogno di uno shot creator guidato dall’incoscienza più totale. C’è da notare che probabilmente sarà in campo solo quando anche Embiid lo sarà (è l’unico capace di limitare le sue enormi lacune difensive) e potrebbero nascere delle soluzioni efficaci dal pick and roll tra i due.
BEST-CASE SCENARIO
Harris continua a migliorare, la squadra trova la quadratura del cerchio e, grazie alla profondità del roster, riesce a colmare le mancanze al tiro e a garantire ad Embiid il riposo necessario.
Regular Season chiusa col miglior record della Lega, Simmons conquista finalmente l’All Star Game e Harris finisce nei classici articoli “who has been snubbed for the All Star Game”. Ai playoff il trio Simmons-Horford-Embiid riesce a gestire Antetokounmpo nelle finali di Conference e va a giocarsi l’anello contro i Clippers, vincendo e prendendosi la rivincita su Leonard.
WORST-CASE SCENARIO
La squadra non riesce a funzionare e il gioco si inceppa troppo spesso per problemi di spacing. Harris non gioca ad un livello abbastanza alto e si finisce in ogni caso per caricare eccessivamente Embiid, stavolta in attacco e non in difesa. La stella inizia ad avere acciacchi fisici ad un mese dall’inizio dei PlayOff, che gioca ma senza mai dare l’impressione di essere pienamente in forma.
Si arriva faticosamente alle Finali di Conference contro i Bucks che riescono a strappare una vittoria sofferta. Brown viene licenziato e si individua in Ben Simmons la ragione dei fallimenti, portando ad un ennesimo stravolgimento in squadra.