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NBA Preview: Golden State Warriors 2019/20

Andrea Grosso by Andrea Grosso
13 Agosto, 2020
Reading Time: 11 mins read
0
Copertina Preview Golden State Warriors

Copertina a cura di Marco D'Amato

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GOLDEN STATE WARRIORS: È FINITA LA DINASTIA?

Record 2018/19: 57-25.

IN: Jordan Poole (Draft); D’Angelo Russell (Trade); Willie Cauley-Stein (FA); Eric Paschall (Draft); Omari Spellman (Trade); Glenn Robinson III (FA); Alen Smailagić (Draft); Alec Burks (FA); Ky Bowman (two-way); Marquese Chriss (FA).

OUT: Andre Iguodala (Trade); Kevin Durant (Trade); Damian Jones (Trade); Shaun Livingston (tagliato); Quinn Cook (FA); Jordan Bell (FA); Jonas Jerebko (FA); DeMarcus Cousins (FA).

Roster:

PG: Stephen Curry (S), Jacob Evans.

SG: D’Angelo Russell (S), Alec Burks, Jordan Poole.

SF: Klay Thompson* (S), Alfonzo McKinnie, Glenn Robinson III.

PF: Draymond Green (S), Omari Spellman, Alen Smailagić, Eric Paschall.

C: Kevon Looney (S), Willie Cauley-Stein, Marquese Chriss.

Quello che si prospetta per i Golden State Warriors è un anno di rinnovamento, tra addii importanti e carne fresca da amalgamare. La scorsa stagione, conclusasi in regular season con il primo posto ad ovest (57-25 il record), ha visto i due volte campioni NBA imbattersi durante i playoff in un cammino falcidiato da ripetuti infortuni: il più grave è sicuramente quello che ha eliminato KD prima dalla serie coi Rockets, e poi dalla quella con i Raptors, seguito da quello di Klay Thompson (che sarà ai box per buona parte della stagione imminente), da considerarsi la beffa finale. Il percorso di Curry e soci è quindi terminato con la sconfitta alle Finals, cedendo il passo a Toronto per 4-2.

Goodbye “Superteam”: come cambia la truppa di coach Steve Kerr

Anno di rinnovamento, dunque. L’ossatura storica degli Splash Brothers, a cui si aggiunge Draymond Green, dovrà tentare di condurre gli Warriors a rimanere comunque competitivi in una Western Conference mai come quest’anno così selvaggia; sarà infatti, dal 2015, la prima stagione in cui Golden State non partirà come unica favorita nella corsa al titolo. Tutto merito della ritrovata competitività di Lakers e Clippers, senza dimenticare la ricostituzione del duo Harden-Westbrook a Houston.

Come cambiano i giallo-blu della Baia? È evidente che, seguendo quanto affermato all’inizio, il superteam dell’anno scorso sia ridimensionato dai vari addii. Quello di Kevin Durant (Nets) su tutti, senza sottovalutare quello di Andre Iguodala (Grizzlies), fondamentale metronomo nella gestione dei quintetti di Kerr ai playoff, e contando anche quelli di DeMarcus Cousins (Lakers), Quinn Cook (Lakers), Shaun Livingston (che ha annunciato il ritiro) e Jonas Jerebko (BC Khimki). Insomma, il gruppo agli ordini di coach Steve Kerr ha subito un gran cambiamento.

Per sopperire ai congedi, la dirigenza guidata da Bob Myers ha dovuto inventarsi qualche mossa intelligente. In evidenza sicuramente il colpo ad effetto piazzato durante questa off-season. Rifirmando Durant, gli Warriors l’hanno potuto scambiare con D’Angelo Russell. Nella prima parte dell’anno, verosimilmente, l’ex play dei Nets partirà in backcourt accanto a Curry, aggiungendo playmaking alla squadra e permettendo al due volte MVP di dilettarsi nel suo eccellente gioco off the ball. Successivamente invece, con il ritorno di Klay Thompson (post All-Star Weekend) è probabile che Russell possa divenire sesto uomo. Il suo ingresso dalla panchina sarebbe comunque fondamentale per offrire un aiuto in cabina di regia e guidare il ritmo delle seconde linee.

Fra i lunghi, si ravvisa la firma di Willy Cauley-Stein (annuale da due milioni con player option per il secondo anno), centro che viene da quattro stagioni di alti e bassi a Sacramento, ma in grado di offrire -in rapporto ai minuti giocati- una discreta rim protection. In generale, il roster degli Warriors è stato rimpinguato dall’inserimento di un mix di giocatori di prospettiva e di qualche rodato cestista: Omari Spellman (ala grande classe ’97 da Atlanta), Glenn Robinson (ala piccola classe ’94 da Indiana) e Alec Burks (guardia classe ’91 di scuola Jazz) sono tre pedine cruciali per completare le rotazioni, considerando soprattutto la loro dimensione perimetrale. Vanno a completare il nuovo roster Jordan Poole, Alen Smailagic e Eric Paschall, tutti provenienti dallo scorso draft.

Almeno fino al ritorno di Thompson, il quintetto di partenza che ci si aspetta dovrebbe essere questo: Curry, Russell, Robinson III, Green, Looney. Quando invece tornerà a formarsi la coppia degli Splash Brothers, coach Kerr dovrà decidere come rimaneggiare gli starters: da un lato potrebbe relegare a sesto uomo di lusso Russell, dall’altro tentare un quintetto small con Klay da ala piccola al posto di Robinson III. La panchina non conta l’esperienza e la qualità degli anni scorsi, ma potrà comunque fare la propria parte.

Minutaggi, rotazioni e D-Lo: gli obiettivi “pratici” dei nuovi Warriors

Date le premesse, gli standard di Golden State sono stati decisamente ridimensionati rispetto agli anni passati. Come già anticipato infatti, non solo gli Warriors non apriranno la stagione da favoriti al titolo per la prima volta dal 2015, ma si trovano dietro diverse squadre che in estate si sono rinforzate considerevolmente. Secondo Las Vegas, il titolo di “squadra da battere” spetterà ai Los Angeles Clippers (+350), seguiti a ruota dai Lakers (+400) e con i Dubs che si piazzano solo al 7° posto (+1400). Quindi, se Cicerone aveva già sapientemente previsto “l’ozio con dignità” che ha caratterizzato le ultime 2-3 stagioni della franchigia, gli obiettivi sul campo per quella che verrà sono sicuramente più articolati. Ecco i tre punti chiave:

1) Gestione del minutaggio di Curry e Green

Il #30 e il #23 sono senza ombra di dubbio i pezzi più importanti del roster in assenza di Klay Thompson e la tentazione potrebbe essere quella di utilizzarli in modo massiccio per cercare di arrivare a metà stagione con il maggior bottino di vittorie possibile. La scorsa stagione Curry ha giocato una media di 33.8 minuti (69 partite), mentre Green si è attestato poco sotto, a 31.3 minuti (66 partite): realisticamente entrambi vedranno aumentare il proprio minutaggio, ma meno di quanto si potrebbe pensare.

Steve Kerr, infatti, ad inizio agosto aveva già messo le cose in chiaro: “E’ difficile dirlo senza che nessuno abbia ancora messo in piede in campo, ma so per certo che non li farò giocare 40 minuti a sera”. Inoltre, è assolutamente logico evitare l’azzardo di sovraccaricare i due, peraltro già reduci da cinque gite consecutive alle Finals, con il rischio di farli arrivare stremati a fine regular season e di renderli più vulnerabili agli infortuni. La parola d’ordine non può che essere “load management”.

2) Rotazione nello spot di ala piccola

Marzo 2020. Klay Thompson è tornato dall’infortunio e coach Kerr si appresta a decidere quale sia la soluzione volta a massimizzare il rendimento della squadra. L’#11 giocherà da 2 o da 3? A questa domanda ovviamente non c’è una risposta immediata e tutto dipenderà dai cinque mesi precedenti, in cui qualcun altro dovrà ricoprire il ruolo di ala piccola titolare. I nomi che si contenderanno l’invidiabile ruolo di (non) far rimpiangere KD sono tre: Alfonzo McKinnie, Glenn Robinson III e Alec Burks.

Tecnicamente quest’ultimo, sebbene sia il più esperto ed il più efficiente dei tre, è il meno quotato: probabilmente sarà chiamato a dare il cambio a Curry e Russell. Tra gli altri due la scelta si fa difficile, in quanto nessuno spicca per tiro dall’arco, efficienza offensiva, prestazioni difensive e doti di playmaking. Nonostante McKinnie abbia già vissuto un anno con i Warriors, Robinson III respira l’aria della NBA da più tempo, quindi potrebbe essere lui il candidato numero uno. Kerr comunque proverà varie soluzioni, testandoli a turno e ricercando la soluzione migliore per gli equilibri di squadra.

3) Russell o non Russell? Questo è il dilemma

Un altro punto fondamentale per i Dubs sarà capire come comportarsi con D-Lo. Le ipotesi per questa stagione sono solo due: tenerlo fino alla fine e poi valutare altre mosse d’estate, oppure tentare di scambiarlo in inverno. Riguardo il secondo scenario, non sono poche le voci che vedrebbero Russell già con un piede fuori dalla Baia, e alcuni azzardano i nomi dei possibili sostituti: da Robert Covington ad Aaron Gordon, passando per un ritorno a casa di Harrison Barnes.

Il GM Bob Myers è stato però molto chiaro fin dall’inizio sull’argomento. È vero che verba volant, ma le alternative potrebbero non rivelarsi migliori della situazione attuale, soprattutto se Russell si dovesse integrare a dovere nel meccanismo di Golden State. Bisognerà quindi aspettare il responso del campo, valutando il suo impatto offensivo, le dinamiche difensive e più in generale la convivenza cestistica con Curry e Thompson.

Pay attention: D-Lo e il reparto giovani

La squadra è oggettivamente peggiorata rispetto alla scorsa stagione, ma ci sono sicuramente un paio di situazioni interessanti da monitorare.

In primo luogo, riprendiamo in parte l’ultimo punto degli “obiettivi pratici”: l’integrazione di D-Lo nel sistema offensivo. L’attacco Warriors si piazza da anni sul fondo della classifica per quanto riguarda l’utilizzo del pick&roll, in quanto la fase offensiva è basata sul concetto diametralmente opposto di motion e playmaking diffuso. In parole povere: non c’è un vero e proprio playmaker e tutti i giocatori in campo sono costantemente in movimento.

Dire che il pick&roll sia la soluzione preferita di D-Lo, invece, è quasi riduttivo. Lo scorso anno l’ha giocato 920 volte (secondo solo a Walker, 971), praticamente come tutti i giocatori di Golden State messi insieme (995). L’integrazione dei due stili di gioco potrebbe non essere così proibitiva come sembra: quando l’attacco motion fatica ad ingranare infatti, soprattutto in contesti come i playoff dove le difese sono più attente, ricorrere a soluzioni di pick&roll potrebbe sbloccare la situazione e togliere punti di riferimento agli avversari.

 

Ma non solo. Russell porta con sé anche delle buone qualità di passatore, di cui beneficeranno su tutti Cauley-Stein e Looney, che non hanno praticamente mai avuto occasione di giocare con un playmaker da pick&roll di questo livello. Klay (quando rientrerà dall’infortunio) e Steph, invece, potranno permettersi il lusso di continuare a giocare off-ball, sicuri che il passaggio arriverà al momento giusto.

Steve Kerr dovrà sicuramente inventarsi qualcosa in difesa, ma nella metà campo offensiva non abbiamo particolari dubbi sul successo della convivenza Russell-Warriors.

In secondo luogo, bisogna tenere d’occhio la crescita dei giovani. Per la prima volta dal 2015 infatti, Golden State avrà seriamente bisogno di un contributo da parte delle proprie nuove leve per sperare di rimanere competitiva. Dopo aver azzeccato quasi ogni cosa tra il 2009 e il 2015, i Warriors hanno avuto un fisiologico periodo di magra dovuto in parte alla mancanza di pick (scambiate per costruire e mantenere la squadra che ha dominato l’NBA) e in parte ad errori nello sfruttare le poche scelte a disposizione.

Damian Jones (30° scelta al Draft 2016) non è cresciuto come sperato e si è rivelato inadatto a calcare un parquet NBA per una squadra con certe ambizioni, mentre Jacob Evans (28° scelta al Draft 2018) si è dimostrato ancora troppo acerbo per poter dare un reale contributo. La sua fiducia in campo è comunque migliorata da quanto è stato spostato al ruolo di PG, dove è diventato sempre più convincente, soprattutto nella Summer League appena conclusa.

Il suo ruolo nei Warriors 2019-20 potrebbe essere addirittura quello di gestire la second-unit stando alle parole di Kerr: “Lo vediamo come una point guard ora che lo conosciamo da un anno. Giocherà in quel ruolo a Las Vegas [Summer League]. So che sia Andre [Iguodala] che Shaun [Livingston] lo apprezzano molto. Ne ho parlato con loro e apprezzano il fatto che riesca a fare le giocate giuste e a vedere il gioco nel modo corretto, oltre ad essere robusto e forte. Ovviamente non è un grande tiratore, ma non sempre è necessario esserlo per stare nella lega. Daremo a Jacob tutte le opportunità che possiamo per gestire la palla il prossimo anno, entrare e garantirci alcuni minuti di qualità. Dopo dipenderà solo da lui”.

Jacob Evans on transitioning to playing more point guard: pic.twitter.com/MXerp7OfqI

— Connor Letourneau (@Con_Chron) July 2, 2019

Il coach dei Dubs spera quindi vivamente in una maturazione di Evans, abbinata magari ad un contributo a sorpresa di una delle scelte all’ultimo Draft (Jordan Poole 28° scelta, Alen Smailagic 39° scelta, Eric Paschall 41° scelta) e di Omari Spellman (arrivato via trade dagli Atlanta Hawks in cambio di Damian Jones).

Best/Worst-Case Scenario

Migliorare qualcosa rispetto alla stagione passata, visto il grande ridimensionamento estivo, è decisamente impossibile. Gli Warriors, come già abbiamo affermato più volte, si ritrovano con un roster decisamente meno talentuoso ed esperto e con molti nuovi innesti da collaudare, senza contare che Klay Thompson sarà out per metà stagione. A coach Steve Kerr non resta che l’arduo compito di inserire nella maniera corretta i nuovi arrivati nel sistema di gioco che caratterizza la franchigia. Sarà importante non solo dare continuità alla scioltezza offensiva, creando un veloce giro palla e sfruttando alla perfezione il gioco dei blocchi on e off the ball, ma trovare anche il giusto equilibrio difensivo, coprendo il più possibile le singole lacune difensive con la compattezza di squadra.

Un altro aspetto che sicuramente dovrà essere collaudato in maniera impeccabile è la panchina. Non avendo più tra le proprie file giocatori come Iguodala, Cook, Livingston e Jerebko, Golden State dovrà essere abile a creare delle rotazioni efficaci che permettano alla squadra di rimanere in una situazione di stabilità, sperando, come visto nello scorso paragrafo, in un buon contributo dei giovani. Con meno qualità ed esperienza a propria disposizione infatti, sarà fondamentale trovare i giusti accoppiamenti e creare un gioco che faccia leva su un ottimo gioco di squadra volto ad esaltare le capacità di ogni singolo elemento.

Infine, bisognerà vedere il rendimento di Curry, Russell e Thompson. L’argomento D-Lo è stato già trattato, quindi passiamo direttamente agli Splash Brothers. Il #30, chiamato ad un maggiore impiego, dovrà assolutamente garantire una regular season di alto livello; un Curry in grande stato di forma fa tutta la differenza per la squadra, essendo in grado di migliorare anche le prestazioni dei propri compagni. Il compito dell’#11 invece dipenderà dalla situazione in cui si troveranno i Dubs al suo rientro. Se Golden State sarà riuscita a disputare una buona prima metà di stagione, Thompson non avrà grandi pressioni; al contrario, se gli Warriors dovessero essere in difficoltà, Klay dovrà fin da subito mettere in piedi delle ottime prestazioni.

Ma come possiamo capire se Golden State è in difficoltà? Oltre ovviamente a guardare il modo di giocare della franchigia, bisognerà prendere come punto di riferimento il numero delle vittorie. Dal nostro punto di vista, la soglia minima a cui dovrebbero ambire Curry e soci è quella delle 45 W. In una Western Conference ultra-competitiva, gli Warriors dovranno fare molta attenzione al proprio piazzamento finale. Le due franchigie losangeline dovrebbero contendersi la testa della classifica, seguite dalle altre dirette concorrenti dei giallo-blu: Rockets, Nuggets, Blazers, Jazz e Spurs.

Nel migliore dei casi, se si venisse a creare un’ottima chimica di squadra, D-Lo si integrasse alla perfezione, la panchina e i giovani rendessero in maniera positiva, e Thompson rientrasse in un gran stato di forma, la truppa ai comandi di Steve Kerr potrebbe ambire al quarto posto. Se invece anche solo uno dei fattori precedentemente elencati dovesse venire meno, la franchigia di San Francisco dovrebbe accontentarsi di uno degli ultimi posti per i playoff, probabilmente il sesto o il settimo, rischiando di finire subito contro Lakers o Clippers. In ogni caso comunque, strani avvenimenti a parte, la partecipazione ai PO non dovrebbe assolutamente essere in discussione.


Articolo a cura di Alessio Busi, Andrea Grosso e Michele Laffranchi.

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Amante dello sport in generale (soprattutto il triathlon divano-cucina-letto), spera di riuscire a fare una comunicazione seria e di qualità, anche se i risultati lo accostano ad un tiro libero di Shaquille O'Neal. Si rispecchia nella frase "Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better".

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