DETROIT PISTONS: ALLA RICERCA DELLA CONTINUITÀ
Record 2018/19: 41-41
IN: Sekou Doumbouya (Draft); Louis King (two-way); Derrick Rose (FA); Markieff Morris (FA); Tim Frazier (FA); Jordan Bone (two-way); Christian Wood (FA).
OUT: Wayne Ellington (FA); Reggie Bullock (FA); Ish Smith (FA); Glenn Robinson III (FA); Jose Calderon (Free Agent); Zaza Pachulia (ritirato).
Roster:
PG: Reggie Jackson, (S), Derrick Rose, Tim Frazier.
SG: Bruce Brown (S), Luke Kennard, Langston Galloway, Khyri Thomas.
SF: Tony Snell (S), Joe Johnson, Sekou Doumbouya, Sviatoslav Mykhailiuk.
PF: Blake Griffin (S), Markieff Morris
C: Andre Drummond (S), Thon Maker, Christian Wood.
I Detroit Pistons si presentano alla nuova stagione con un roster molto simile all’anno scorso. È importante notare però, che, grazie alle variazioni a roster, i Pistons sono ad oggi una squadra meglio assemblata e con più frecce nel suo arco rispetto a quella dell’anno scorso. Il roster, da 16 uomini al momento, necessita di un taglio, sicuramente uno fra Wood, Khyri Thomas, Mykhailiuk e il veterano Joe Johnson: il primo è probabilmente il più sicuro del posto, dato il numero limitato di lunghi in squadra.
Per una semplice questione temporale, lo scambio in sede di Draft con i Bucks che ha portato Tony Snell e i diritti su Kevin Porter Jr. (girato ai Cavs) per il contratto in scadenza di John Leuer e una TPE, risulta fra le mosse della stagione scorsa e quindi non è stato inserito.
RECAP STAGIONE 2018/19
I Detroit Pistons negli anni recenti hanno sempre mostrato problemi nella continuità di gioco e risultato: la stagione passata non ha riservato eccezioni. Basti pensare che nelle prime 20 gare i Pistons sembravano poter davvero ambire ad essere una potenza della Eastern Conference: 13 le vittorie, inclusa quella inaspettata contro i Golden State Warriors, sicuramente il momento più alto della stagione:
Nella striscia di gare successive, però, i Pistons si sono assestati ad un record di 22-29, precipitando fino al decimo posto.
Fortunatamente, l’ultimo tratto di montagne russe è stato in discesa. Chiudendo con un record di 19-12, i Pistons si sono aggrappati all’ultimo biglietto per la post-season, in quella pazzesca corsa che ha visto ad Est cinque squadre distanziate da sole tre vittorie, con Heat e Hornets fuori di un soffio. Un Griffin malconcio (nonché assente nelle prime due partite) e una differenza sia tecnica che motivazionale abissale, hanno determinato poi l’uscita con uno sweep in una delle serie più a senso unico della storia contro i Bucks.
Proprio nel breve cameo ai Playoffs sono emerse in maniera auto-evidente le problematiche nella squadra allenata da Casey, le stesse in generale viste in ogni momento di difficoltà nel corso della stagione: scarsa produzione offensiva, incapace di sostenere un pace così basso (terzultimi nella lega), una difesa incostante e vistosi cali mentali.
QUINTETTO E POSSIBILI ROTAZIONI
Quando i Pistons annunciarono il nuovo coach in Dwane Casey, forte del premio del Coach of the Year ma anche del secondo sweep di fila contro i Cavs (in quel massacro storico definito giornalisticamente come LeBronto), le aspettative nella Motor City erano un filo più ottimistiche del solito.
La speranza era riuscire a superare quel circolo vizioso in cui si era aggrovigliata la pallacanestro di Van Gundy. La ricerca ossessiva del pick&roll centrale Jackson-Drummond, pur accompagnata dalla crescita di Tobias Harris prima e Blake Griffin poi come creatori palla in mano, non aveva sortito i risultati sperati.
Sebbene il risultato finale, il primo avvento ai Play-off dopo due anni, sia stato per lo più coincidente con le aspettative dei tifosi (lo scarto con le squadre più attrezzate dell’Est era ed è tutt’ora molto evidente), è la modalità di arrivo che non convince appieno. Insomma, i Detroit Pistons non hanno mai dato l’impressione di poter impensierire, in contesti competitivi, le squadre di livello più alto. I numeri a volte sono crudeli, e il -23.5 di Net Rating mantenuto nelle quattro partite contro Giannis è davvero impietoso.
Lo “zoccolo duro” in quintetto (Jackson, Griffin, Drummond) rimane invariato: abbiamo quindi due novità nelle posizioni di 2 e 3, ovvero Bruce Brown e Tony Snell. Entrambi presentano caratteristiche che li rendono aggiunte (per B.B. è una promozione in realtà) molto intriganti.
Brown è una guardia ben piazzata fisicamente, che pur non avendo disputato una stagione d’esordio esaltante, può risultare funzionale nel contesto tattico giusto. Si è presentato molto bene nella Summer League, mostrando ottime letture sia come portatore di palla (leader della SL di Las Vegas con 8.3 assist a partita), che come tagliante dal lato debole. In video due ottimi scarichi verso i tiratori e un 1vs1 sfruttando il mismatch:
In maniera simile, Tony Snell risulta un altro profilo che ben si incastra nella pallacanestro di Casey, che ha già allenato giocatori molto simili (tiratori con buoni istinti difensivi). Il suo inserimento in attacco è naturale, ed è facile immaginare un’ottima asse di passaggio con Blake Griffin, un po’ come a Milwaukee con Giannis. Guardate queste due giocate, sostanzialmente identiche:
Va da sé che, in un quintetto del genere, la maggior parte del carico offensivo passi dalle mani di Griffin, che con Casey è la Point Forward della squadra e creatore primario di gioco. La stagione appena passata può essere a ragione considerata la migliore nella carriera di Blake Griffin, che ha fatto registrare career-high o quasi in molte statistiche, concludendo quando con un tiro o un assist 3 possessi su 10 quando in campo, dato più alto in carriera.

Il più impressionante rimane comunque la capacità di segnare con un’efficienza offensiva elevatissima pur tentando ben 522 triple (189 quelle a segno), dopo averne realizzate appena 144 in sette anni e mezzo con la maglia dei Clippers:

È quindi in definitiva possibile aspettarsi un miglioramento negli schemi offensivi di Casey, con Snell e Brown ad agire in maniera complementare al ruolo accentratore di Blake. Ci sarà bisogno comunque di implementare nuovi schemi offensivi, magari motion, che garantiscano un numero maggiore di movimenti senza palla e tagli. Sicuramente sarà dovere del coach diminuire il carico offensivo, quando possibile, dalle spalle di Blake, magari diminuendo il numero di possessi in post (l’anno scorso ben 8.4 a partita, quinto nella lega), in modo da averlo con maggiore freschezza nella post-season.
LE RISERVE
Dalla panchina il quintetto verrà “orchestrato” da Rose, reduce da una buona stagione a livello realizzativo (la sua migliore dal punto di vista della TS%). Sostituire Ish Smith, che ha avuto un ruolo chiave negli ultimi anni, non sarà facile. Il suo apporto era determinante soprattutto nei quarti quarti, in cui riusciva col suo stile di gioco sincopato a portare brio allo statico attacco targato Pistons. Non a caso ha chiuso la stagione col terzo usage rate di squadra nel quarto quarto (21,7%, quasi il 70esimo percentile, dato molto alto per una guardia passing-first dalla panca) e uno spaventoso +16.2 di Net Rating nell’ultima frazione di gioco.
Qui sotto un esempio del suo stile di gioco, letale specie in transazione, impareggiabile per rapidità d’esecuzione perfino dai suoi compagni di squadra:
Ciononostante Casey si è detto estremamente impressionato da D-Rose e lo considera un notevole passo in avanti. In ogni caso, ricordando la storia recente di Rose (e tenendo a mente le appena 27 partite saltate in 3 anni da parte di Ish), come assicurazione si è deciso di investire anche su Tim Frazier, che da terza PG può rappresentare veramente un lusso.
A completare il quintetto delle riserve ci sarà il brio e la lucidità di Kennard, l’energia di Maker, lo scoring di Morris e l’imprevedibilità di Galloway, con il rookie Doumbouya, giocatore più giovane della lega, che difficilmente avrà spazio già da quest’anno. Wood e Joe Johnson dovrebbero, salvo sorprese, chiudere il quadro.
Kennard in particolar modo offre bilanciamento e punti alla second unit, ed effettivamente il suo skill set, che oltre all’ottimo tiro da fuori (40.3% nelle prime due stagioni) prevede buone letture da ball handler, sarebbe tappato qualora partisse da titolare:
Anche lui è risultato più che positivo nella metà campo avversaria, specie nei momenti decisivi della partita. Più problematico invece è il suo rendimento dall’altro lato del parquet, dove istinti non eccezionali e mezzi atletici inferiori alla media lo rendono spesso e volentieri bersaglio degli attacchi avversari.
COSA ASPETTARSI DALLA STAGIONE?
I Detroit Pistons si affacciano a questa stagione con prospettive non molto diverse dagli anni passati. Sono anni ormai che a Detroit sono abituati ad ottime partenze, per poi perdersi nel cammino: evidentemente non era una questione legata solo a Van Gundy. Nella stagione passata, nonostante l’arrivo del COY Dwane Casey, si sono ripetute le solite problematiche già note agli analisti e ai tifosi.
Jackson e Drummond non sono ancora riusciti, nonostante il loro status di team leader, ad esprimersi costantemente ad alti livelli all’interno della singola partita e dell’intera stagione: non è raro vederli all’interno della stessa partita, a distanza di un quarto, bloccarsi (o, viceversa, sbloccarsi) in maniera preoccupante. Molto spesso iniziano a prendere decisioni offensive e difensive deleterie, quel tipo di giocate che nei momenti chiave finisce per costarti la partita.
Questo è vero soprattutto per Reggie, che utilizza ogni momento a suo avviso buono per imporre il proprio volere sugli avversari, con risultati discutibili. Complice il calo fisico, e nonostante un’ultima stagione discreta, è ancora lontano dal livello mostrato all’inizio dell’esperienza a Detroit. Non bisogna dimenticare inoltre che è all’ultimo anno di contratto, e difficilmente riuscirà in free agency a firmare a cifre simili e con ambizioni da titolare in squadre che puntano ai PO, sebbene sia dichiaratamente questa la sua volontà.
I problemi dei Pistons sono quindi spesso legati a momenti della partita in cui la squadra subisce vistosi cali a livello mentale. Lo stesso Blake Griffin, complice un fardello di responsabilità oltre le massime capacità umane, ha accusato nel corso della stagione problemi simili. A questo punto ricucire i parziali risulta davvero complesso, se non hai la capacità di garantire produzione offensiva ad alto ritmo.
Un’altra chiave della stagione in quel di Motor City, per quanto possa risultare banale dirlo, è la salute fisica. Due giocatori chiave come Griffin e Rose sono universalmente riconosciuti per la loro soggezione agli infortuni. Come se non bastasse anche Reggie Jackson nelle ultime stagioni, tranne proprio quella passata, ha mostrato una certa inclinazione a tal proposito, saltando all’incirca una partita ogni quattro da quando a Detroit.
BEST/WORST-CASE SCENARIO
La posizione dei Pistons in classifica potrà variare parecchio. C’è da dire che la Eastern Conference sembra più che abbordabile per quanto riguarda un posto nella griglia Play-off; i Pacers sulla carta si sono indeboliti, così come Raptors e per certi versi anche i Celtics.
Derrick Rose al Media Day ha dichiarato che, come la vittoria dei Toronto Raptors insegna, tutto è possibile, e che nel suo palmarès manca solo un titolo. Non serve tuttavia un genio per capire che si tratta di semplici frasi di circostanza, per motivare un ambiente da troppo tempo in un limbo di mediocrità. Nel migliore dei casi i Pistons raggiungono il 50%, o lo superano di poco (42-40, un 43-39 sarebbe già un pelo al di sopra delle aspettative), puntando alla sesta piazza. Casey riesce a dotare i suoi di un gioco più veloce, con ottimo contributo dalla panca, e Detroit riesce a fare il primo upset dei Play-off 2020, uscendo al Secondo Turno per 0-4.
Nel peggiore arrancano sulle 34-35 vittorie finendo intorno alla decima posizione ad Est, dando una mazzata definitiva al progetto attuale: si dovrà quindi ricostruire una squadra nel minor tempo possibile intorno al contrattone di Griffin, la “futuribilità” di Brown, Kennard e Doumbouya e, chissà, magari anche Andre Drummond.
Articolo a cura di Tommaso Marchionni e Mattia Torre.