Paul George MVP?
L’inizio di questa stagione NBA è stata scossa dall’approdo di LeBron James ai Lakers, una squadra in balia delle onde e senza una superstar a far seguire una linea guida. Al contrario di tutto questo caos, lontani da tutti i riflettori, gli Oklahoma City Thunder sono la vera rivelazione della stagione grazie ad un Paul George rinato e fortemente candidato al titolo finale di MVP. La stagione scorsa, la prima con OKC, aveva lasciato ottimi presagi di ripresa sulle prestazioni di un ragazzo che prima di infortunarsi gravemente alla tibia e perone nel 2014 era una delle superstar principali in NBA, al pari di LeBron e Durant.
Things are happening. pic.twitter.com/wUODw5RxLQ
— Up The Thunder (@UpTheThunder) February 15, 2019
Una piazza che lo ha accolto a braccia aperte e in poco più di un anno a questa parte, si è preso le redini della squadra in mano. I motivi sono principalmente tre: un grande carattere di leadership, una squadra che gli ha conferito piena consapevolezza dei propri mezzi e uno skill-set difensivo da far paura. Mentre ad Indiana aveva messo le fondamenta per diventare un All-Star moderno a 360 gradi, con Oklahoma sta dimostrando di meritare il suo status di Superstar attraverso una pallacanestro estremamente efficace alla causa e pulita nella gestione del gioco difensivo. Giocando accanto a Russell Westbrook, OKC è riuscita a conciliare due talenti puri ma con caratteristiche complementari; il numero 0, negli ultimi anni, si è ritrovato praticamente solo a caricarsi i suoi compagni e giocare d’inerzia, basandosi sulla sua estrosità offensiva, ma senza un solido reparto arretrato. Ora, con George che è capace di gestire ogni tipo di situazione difensiva, ha la velocità giusta di pensiero per poter anticipare le mosse dei propri avversari, ha grande fisicità per giocare sotto canestro a rimbalzo e, soprattutto, ha ridato vigore ed equilibrio ad una squadra totalmente caricata su Westbrook. Nel 2019, la Lega richiede sempre più giocatori del genere che riescono a legare il loro talento tecnico con quello fisico, ma senza essere individualisti. Ecco, Paul George si identifica perfettamente in queste caratteristiche.
Il miglioramento esponenziale di George è dato dallo studio approfondito sui dettagli del suo ruolo, che stanno facendo la differenza, e solo al suo livello si può capire davvero tutto quel lavoro quotidiano. L’aspetto più importante in casa OKC è stato di non far “scontrare” due giocatori dall’elevato tasso tecnico ma opposti per caratteristiche e carisma e ciò ha dato il via per far emergere completamente George, che sta viaggiando con la media di 28,7 punti, 8 rimbalzi, 2,3 palle rubate e 4 assist a partita. Quindi, è facile intuire che il terzo posto nella Western Conference di OKC non è un caso fine a sè stesso, ma è il frutto di un’evoluzione collettiva e di un gioco non più individualista.
Ad Oklahoma, questi risultati pazzeschi si riconducono ad un solo titolo: The Paul George Effect. Per tutta la stagione l’impennata delle prestazioni dei Thunder arriva dalla consistente differenza e presenza di George in tutti gli aspetti del gioco; con lui i tiri da 3 punti sono diventati un punto di forza, l’opposto delle scorse stagioni: su 428 tiri presi, George ne ha messi 172 e registrando una media del 40%. E ancora: quando George e Westbrook sono fuori dal campo, su 500 possessi, la squadra mette la media di 7,5 punti su 100 e il net rating senza di loro passa da un +10,8 ad un -11,4. L’esplosività e l’intelligenza sul parquet dell’ex stella di Indiana lo rende il giocatore con il maggior impatto statistico sul rendimento di OKC in tutta l’NBA. Chi avrebbe scommesso su una sua ripresa senza limiti? Pochi, se non pochissimi. Quando lo si ammirava con la casacca dei Pacers, tutti erano convinti di avere una nuova Star pronta il volo in breve tempo. Il Paul George di Indiana giocava come sta facendo adesso ed era l’unico trascinatore della squadra, tanto da portarli fino al primo turno dei Playoff nel 2015/2016 e nel 2016/2017.
La stagione di Paul sembra un percorso in continua ascesa a livello di giocate in campo e di numeri. Negli ultimi giorni, il web ha ristretto la corsa all’MVP a tre campioni: Antetokounmpo, Harden e lo stesso George. 47 punti, 12 rimbalzi e 10 assist contro i Blazers di Lillard che, alla domanda su chi sarebbe il giocatore che attualmente meriterebbe il premio di Miglior Giocatore della stagione, non ha esitato ad indicare il numero 13 di OKC.
“He’s at different level. After watching him over the last 10 games and seeing him tonight…that dude, he MVP.”
In tre gare contro Portland in questa stagione, George ha messo a referto 40 punti di media, 9.3 rimbalzi e 5,3 assist con una percentuale del 50% dal campo (35 su 70) e segnando 16 su 28 triple (57,1 %). Senza mezzi termini, possiamo etichettare i Blazers come la sua vittima preferita e, di conseguenza, la squadra che lo sta portando sempre più vicino al premio MVP. Lo si ammira essere un attaccante formidabile e un difensore strutturato e quasi perfetto. Le continue prove di forza da parte di George vanno a braccetto con le prestazioni d’alto livello degli OKC; Billy Donovan ha reso una squadra completamente affidata alle gesta di Westbrook, giocava letteralmente da solo, un collettivo coeso e pienamente coinvolto nella manovra di gioco. L’attacco di Oklahoma non è più Westbrook-centrico che ora si sta rendendo sempre più regista della squadra e non solo un martello pneumatico nell’area piccola (una media di 11,2 assist rispettabile per un giocatore del suo tipo). Cosi, tutti hanno la possibilità di mostrare il proprio gioco e George sta sparando circa undici triple a partita con una media di realizzazione del 46%, cioè superiore a quella stagionale del 41%. Ma la cosa impressionante sono i tentativi con cui si sta approcciando al mid range, oltre ad aver aumentato la precisione realizzativa. E anche nei tiri liberi sta andando nettamente sopra Westbrook – nove tentativi a partita dai sei precedenti – e una media vicina ai 33 punti.
Il caso di Paul George conferma di avere davanti non uno di quei giocatori sporadici puramente favolistici, ma in grado di essere un fenomeno su tutti i lati del campo, sia in attacco che in difesa, e si è ripreso da un infortunio che gli aveva creato molti problemi. Lui e Derrick Rose hanno avuto lo stesso percorso di crescita esponenziale e poi spariti per infortuni gravi ma proprio quando tutti si erano scordati di loro e snobbati, ecco il colpo di coda a riprendersi il posto che si meritano. Certamente sono due situazioni diverse, ed è innegabile che George sia davvero su un altro livello rispetto a Rose, ma è importante far capire che stiamo parlando di atleti dal talento immenso e una scintilla può fargli ritornare ai fasti passati. Il numero 13 di OKC ha fatto di quella scintilla il fuoco sempre acceso e presente ad ogni gara nel suo corpo.
Se Oklahoma si ritrova a lottare per le prime due posizioni della Western Conference, lo deve soprattutto a George e a Westbrook che si è reso più altruista delle passate stagioni. “Il passo indietro” del numero 0 era quello che avrebbe liberato il vero potenziale di questa squadra e la realtà lo conferma. Questa stagione il rapporto tra George e Westbrook è diventato qualcosa di reciproco nell’affiatamento e ha permesso di chiarire il ruolo di vero leader per l’ex Indiana Pacers. I Thunder sono tra le prime 3 difese – nonostante Andre Roberson non abbia giocato un minuto per tutta la stagione – in gran parte a causa di George, che è in testa al campionato nei recuperi e le palle vaganti recuperate mentre si classificano al secondo posto nelle deviazioni. Ad oggi, la sfida a Golden State è lanciata a tutti gli effetti e, con queste prestazioni impressionanti, OKC può giocarsela fino in fondo.