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Zion

Claudio Pellecchia by Claudio Pellecchia
10 Settembre, 2019
Reading Time: 8 mins read
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«L’altra sera ho visto un ragazzo di Duke  

abbastanza impressionante.

Non so nemmeno se sia il caso di nominarlo.

Pensavo che uno come LeBron passasse una volta ogni tanto

ma, a quanto pare, il prossimo sta già arrivando».

(S. Kerr)

 

«Zion è il miglior atleta

che abbia mai avuto la possibilità di allenare qui a Duke».

(M. Krzyzewski)

 

Avevo quasi del tutto abbandonato l’idea di scrivere di Zion Williamson: tutto era già stato detto (da gente molto più preparata e competente dello scrivente, of course), poco o nulla c’era ancora da dire su “The Next Big Thing” – nel senso letterale del termine: i suoi 130 chili, 17 in più di LeBron James, distribuiti su 201 cm, lo rendono il secondo giocatore più pesante di NBA e NCAA dietro Boban Marjanovic – del basket a stelle e strisce e non solo. Poi, però, ho visto questa foto, talmente ai confini della realtà da spingere qualcuno a interrogarsi sulla sua effettiva veridicità, e mi è tornato in mente un articolo di Kevin O’Connor su The Ringer in cui si spiegava come e perché Zion fosse qui per «fondere il nostro cervello ancora e ancora». Il pezzo è successivo all’esordio stagionale di Duke – la «Greatest Hits di coach K.» secondo Jonathan Tjarks – contro Kentucky, sufficiente a far scrivere a un giornalista che dovrebbe averle viste tutte o quasi che «c’è stata una sola partita e abbiamo visto molti lati di Williamson. nei prossimi cinque mesi impareremo tutto ciò che c’è da sapere e ci divertiremo parecchio lungo il percorso.  L’opening night è stato solo un test. Duke ha distrutto Kentucky. Cosa accadrà ad avevrsari come Hartford, Eastern Michigan e Princeton? Il prossimo avversario di livello è Clemson il 6 gennaio». La data della foto – oltre che di questa schiacciata all’interno di una gara da 25 e 10 rimbalzi – che sembra fake ma fake proprio non è. E, anche se lo fosse, sarebbe comunque credibile in quanto perfettamente aderente all’idea di freak tecnico, atletico e totalmente sovradimensionato rispetto ai pari età.

Nel raccontare l’esordio di Zion in maglia “Blue Devil” O’Connor scrive ancora: «Ha proporzioni fisiche simili a quelle di Barkley; è molto più esplosivo del primo Blake Griffin; e con le sue abilità di passatore è in grado di trovare i compagni liberi alla maniera di Draymond Green. Lui rappresenta la sintesi delle caratteristiche che permettono a un giocatore di front-line di avere successo nella moderna NBA».

 

Si tratta di un sistema collettivo di sensazioni e percezioni condivise che, però, non sembrano aver ancora risposto alla domanda fondamentale, soprattutto in chiave Draft 2019: “Cos’è esattamente Zion Williamson”? Il quesito non è poi così scontato, soprattutto se si considera l’attuale difficoltà ad inquadrarlo in una categoria che aiuti a stimarne le potenzialità e i margini di crescita a medio-lungo termine: come se definirlo “power forward” o, più genericamente, “all around player” fosse sottostimante del suo effettivo impatto, presente e futuro, sul Gioco. Fateci caso: gran parte degli articoli che avete letto, leggete e leggerete sul fenomeno da Salisbury finiscono con il concentrarsi (e, forse, non potrebbe essere altrimenti) sulla dimensione fisica – con il celebre “Zion Williamson is the Best Mixtape Player of our Generation!! The Next Lebron!?” del marzo 2017 a segnare il trend della narrative successiva – quasi dimenticando di far notare che Zion è molto di più di schiacciate chiuse staccando dalla linea di tiro libero o di stoppate irreali al limite (e, talvolta, oltre) del goaltending e dell’incolumità fisica. Non a caso Lorenzo Neri e Lorenzo Bottini hanno scritto su Ultimo Uomo che «Zion è entrato di prepotenza negli highlights con quella sua combinazione fisica che gli ha donato un corpo da tight-end della NFL e piedi da ballerina creando un mix difficilmente ripetibile di forza, agilità, reattività e elevazione irreale. Il tutto perfettamente funzionale al tipo di pallacanestro che propone in campo, senza disdegnare alcuni aspetti tecnici di riguardo (soprattutto su proprietà di palleggio e passaggio) che nelle prime partite gli ha permesso di segnare 76 punti con solo 39 tiri».

E vediamoli questi highlights…

 

Chiedersi cosa sappia (o non sappia) fare Williamson e (provare a) delinearne le caratteristiche di base significa, perciò, capire quanto, come e in che termini l’aura di predestinazione che gli è stata cucita addosso possa corrispondere a qualcosa di concreto.

Partiamo col dire che la multidimensionalità sui due lati del campo mostrata nelle prime 13 partite a livello collegiale è in linea con l’idea di un basket positionless che governa la moderna NBA e che coach K. ha in mente fin dal tour canadese di quest’estate per provare a gestire le risorse all’apparenza infinite di un superteam che si trova nella non semplice condizione di non poter perdere. In questo contesto di “liberismo” tecnico e tattico, Zion (così come R.J. Barrett e, parzialmente, Cam Reddish) ha ampia libertà d’azione, ricoprendo di volta in volta il ruolo maggiormente funzionale alla singola fase della gara e adattandosi a ciò che gli avversari gli oppongono tanto dal punto di vista offensivo che da quello difensivo. Una situazione cui è abituato fin dai tempi del liceo, con la sua debordante fisicità che diventa il mezzo privilegiato per esprimere la restante parte del suo skillset, come testimonia quest’intervista rilasciata al Charlotte Observer nel novembre 2016: «Non so da dove venga il mio atletismo ma l’ho accettato. Adesso ho imparato a costruirmi il mio ball handling e, oggi, che mi marchi una guardia o un’ala forte non fa molta differenza».

Quattro istantanee che isolano i principali movimenti di Williamson nella metà campo offensiva: nelle prime due l’insospettabile capacità di prendere la penetrazione dal palleggio è facilitata, oltre che da un primo passo sostanzialmente immarcabile, da un movimento di piedi da esterno puro e da una coordinazione e da un mantenimento del controllo del corpo che gli consente sia di assorbire il contatto per il potenziale gioco da tre punti (poco oltre il 70% ai liberi in questa stagione) sia di ovviare alle situazione in cui sembra poter andare in overdrive; nella terza, per la verità poco sfruttata fino a questo momento da coach K., si evidenzia come il #1 possa essere coinvolto in ambo le fasi del p&r senza perderne in efficacia; nell’ultima il modo di difendere il pallone spalle a canestro prima di svitarsi sul perno per la conclusione frontale lasciano intravedere fondamentali notevoli per un futuro giocatore di post. Di fatto, quindi, non sembra esserci avversario che non sia alla sua portata, tecnica e fisica

 

Non mancano, comunque, i dettagli su cui lavorare, primo fra tutti il jumper. Non inganni il 66% abbondante dal campo del suo anno da freshman: a livello di meccanica, fluidità e velocità di rilascio (oltre che di un’accettabile dimensione perimetrale: 19% da tre punti per appena 1.6 triple tentate di media), Zion è un giocatore totalmente da (ri)strutturare, soprattutto per quel che riguarda la creazione di un tiro dal palleggio e la costruzione di un canestro in allontanamento. E, nonostante l’ottima base su cui lavorare, il linguaggio del corpo del diretto interessato non sembra facilitare il compito: molte volte, infatti, Williamson sembra quasi “accontentarsi”, conscio di poter andare dentro ogni volta che vuole e rinunciando a prendersi tiri comodi piedi per terra. E dire che la sua abilità dal palleggio gli consentirebbe di generare costantemente separazione dal diretto marcatore:

Come in questo caso

 

Allo stesso modo, la statline non rende assolutamente giustizia alle sue qualità di passatore: i 2.2 assist di media non sono uno specchio fedele della capacità di Zion di condurre la transizione dopo il rimbalzo o la palla recuperata (2.1 di media). Nello showdown contro Kentucky sono stati due gli assist, con tanto di palla schiacciata a terra, a rifinire le azioni sigillate da Reddish prima e Barrett poi, a dimostrazione di una notevole capacità di read and react anche quando la velocità d’esecuzione richiesta è particolarmente elevata:

La tranquillità della ripetizione…

 

Difensivamente, poi, il discorso si complica. Ad oggi, infatti, è difficile dire cosa Zion possa dare nella sua di metà campo: il suo essere così troppo superiore a livello fisico rende sostanzialmente impossibile quanto e come le sue indubbie doti da “rim protector”, siano in grado di emergere anche in un contesto NBA, quando troverà finalmente qualcuno alla sua altezza da questo punto di vista. Di base, comunque, sembra trovarsi molto più a suo agio quando può agire in regime di roaming, assecondando i suoi notevoli istinti off the ball, che in un sistema di rotazioni e scivolamenti codificati. Il resto ce lo mette lui con l’atletismo di cui sopra, ma, come detto, per ora basta e avanza:

La “chase-down block” arrivando in corsa dal lato debole è già un marchio di fabbrica che attende solo di essere esportato anche al piano di sopra

 

Tornando, quindi, alla domanda iniziale: non sappiamo ancora cosa sia Zion Williamson. E non possiamo saperlo. Non con assoluta certezza, almeno, soprattutto se si sceglie di derogare da un racconto incentrato esclusivamente sulle sue doti fisiche. Il motivo è molto semplice: non c’è mai stato uno così, uno che rende relativo qualsiasi termine di paragone, fosse anche quel LeBron James cui viene accostato sempre più di frequente: «Se pure si volesse fare un confronto bisognerebbe inventarselo del tutto» disse tempo fa l’analyst Jay Bilas. «Certo ci sono stati, in passato, giocatori che avessero due o tre qualità simili alle sue ma mai nessuno che potesse disporre del pacchetto completo».

Solo il tempo, quindi, potrà dare forma a speranze, aspettative, eventuali delusioni. Tempo che, naturalmente, è dalla sua parte: «È come trovarsi in un film. Dici sempre che vuoi farne parte ma non te ne rendi conto fin quando non ci sei dentro. Alti e bassi, allenamenti duri, partite ancora più dure. Ma per me, per qualcuno come me, è tutto relativo: voglio divertirmi quando gioco, esattamente come quando guardo un film». Come quel Matrix, in cui Zion è il nome della città dalla posizione ignota e dalle origini ancor di più, cui non si crede fin quando non ce la si ritrova davanti. Da Zion a Zion, in fondo, da finzione a realtà (e viceversa) il passo è stato breve. Brevissimo.

Tags: DukeNCAAZion Williamson
Claudio Pellecchia

Claudio Pellecchia

Giornalista di e per sport, sogna di risvegliarsi un giorno in un mondo dove Shaq e Kobe non hanno mai litigato e Tracy McGrady ha una schiena normale. Autore di libri a tempo (molto) perso, finge di capire qualcosa di basket qui, su Rivista Undici ed Esquire.

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