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Lonzo Ball’s shooting form: evoluzione e prospettive

Teodoro Cidonio by Teodoro Cidonio
10 Settembre, 2019
Reading Time: 5 mins read
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Persino LeBron James, nel marzo dello scorso anno, aveva deciso di mimare con ironia la shooting form di un rookie sbarcato in NBA da appena qualche mese. L’evento, verificatosi nel corso del pre-partita di Cavaliers-Bulls, aveva preceduto, ironicamente, una conclusione di serata amara per la squadra allenata da Tyronn Lue, sconfitta per 93-99. Si trattava dell’ennesima dimostrazione di scherno nei confronti di Lonzo Ball e delle sue meccaniche di tiro decisamente particolari. La scarsa ritrosia dimostrata di fronte alle telecamere dal padre LaVar, unita all’importanza della scelta che aveva sancito il suo matrimonio con i Los Angeles Lakers, non aveva sicuramente contribuito a calmare le acque agitate in cui si trovava il rookie di Anaheim. Sottovalutato come difensore, Lonzo era diventato l’imputato di un processo mediatico il cui reato non è tuttora entrato in prescrizione.

Che la forma di tiro di Lonzo fosse particolare non costituiva segreto neppure ai tempi del college. Tantomeno mentre Adam Silver annunciava il suo nome nella notte del 2017 NBA Draft. Lo fosse anche stato non sarebbe sicuramente durato a lungo, viste le statistiche offensive inanellate nel corso della sua prima stagione all’interno della lega. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, a finire nell’occhio del ciclone sono stati i tentativi dalla lunga distanza, attraverso compilation di video su Youtube, tra tristi airball e mattoni lanciati addosso al tabellone. Eppure, nonostante l’ilarità generale, le statistiche dal perimetro di Ball (.315) non si discostavano poi molto da quelle di altri rookie appartenenti alla stessa draft class come Dennis Smith Jr. (.325), De’Aaron Fox (.329) e Donovan Mitchell (.331). Avrebbero invece dovuto far preoccupare maggiormente, o perlomeno far sollevare qualche sopracciglio, le difficoltà sui tentativi at the rim, vitali per un giocatore con simili caratteristiche realizzative. Un settore in cui i numeri ottenuti dal numero 2 losangelino (.494) aggravavano le differenze già presenti rispetto alla concorrenza di Fox, Smith Jr. e Mitchell (rispettivamente .647, .637 e .608)

Ciò che però ha contribuito, in maniera sostanziale, ad isolare Lonzo Ball rispetto alla maggioranza degli altri giocatori è stata l’incidenza che la sua forma di tiro ha avuto sulle potenzialità offensive. Un’influenza derivante da particolari meccaniche le cui peculiarità non sono esattamente complicate da rilevare, a partire dal posizionamento dei piedi non indirizzati verso il canestro e dal punto di rilascio del pallone, situato alla sinistra del capo nonostante la mano dominante sia in realtà quella opposta. Tali caratteristiche, unite al maggior lavoro di sostegno compiuto dalla mano di supporto (il pallone si separa prima da indice e medio mancini) generano un’articolazione innaturale delle braccia ben distante dalla cosiddetta “waiter position”, caratterizzata invece dall’angolo a 90 gradi formato dal braccio dominante.

I cambiamenti effettuati nel corso della offseason hanno in parte posto rimedio a questa situazione, concentrandosi in particolare sulla raccolta ed elevazione del pallone, oltre che sul set point del tiro. Non è infatti più la spalla destra a guidare i movimenti, evitando così la strana mozione circolare necessaria per portare la palla sul lato sinistro del corpo, ma causa anche di numerosi errori nell’allineamento verso il canestro. Nelle prime partite di questa stagione si nota invece una consistente attenzione nel fare in modo che la palla si trovi già sul fianco mancino così da limitarsi ad un semplice sollevamento verticale.

Simili correzioni, unite ad un innalzamento del set point e ad un suo avvicinamento alla sezione centrale del volto permettono al gomito di posizionarsi con un’angolazione più comoda rispetto alle precedenti meccaniche, incapaci di trasmettere in maniera efficiente l’energia dalle gambe e bisognose di uno sforzo maggiore attraverso i movimenti del polso.

Gli effetti sul gioco offensivo di una shooting form così particolare sono stati evidenti, come si può intuire anche semplicemente guardando il ristretto numero di mid-range tentati sia al college che nell’anno e mezzo trascorso dal suo approdo in NBA. Le limitazioni che ne condizionano le scelte nella metà campo avversaria hanno difatti un impatto particolare per quanto concerne l’abilità di finalizzare all’interno del perimetro e gli accorgimenti difensivi adottabili dagli avversari. Ne è esempio la grande difficoltà nell’aggredire un difensore sulla destra e portare a termine con successo un pull up. Una criticità strettamente legata al bisogno di spostare il pallone dalla naturale posizione di palleggio fino al lato opposto del corpo, facilitando la difesa ed esponendo Lonzo ad un maggiore rischio di perdere il pallone.

Diminuiscono, ma non scompaiono completamente, le asperità qualora il percorso verso il canestro scelto da Lonzo sia quello alla sua sinistra. Pur disponendo di buone capacità di controllo, fino allo scorso anno le meccaniche utilizzate hanno sempre avuto la necessità di raccogliere la palla sulla mano destra prima di iniziare la sequenza di rilascio. Sia perché la proiezione della spalla destra in avanti consentiva una maggiore spinta da riversare nel tiro, sia per le vere e proprie caratteristiche fisiche del giocatore (left-eye/right hand dominant). In tal senso, Ball dovrà migliorare ulteriormente proprio nella gestione di queste prime fasi nel processo di tiro, cercando il modo più efficace per condurre il pallone fino al proprio set point senza rischiare di facilitare eventuali interventi difensivi avversari.

Alla luce di simili limitazioni non sorprende l’utilizzo che Lonzo abbia fatto dello step back, essenziale in numerose situazioni per creare una anche minima separazione nei confronti dell’avversario. Nel corso della stagione 2017/2018, in un lasso temporale di 52 partite, Ball è ricorso a questo strumento in 26 occasioni diverse (5,6% dei tiri totali), con una frequenza superiore rispetto ad ogni altro componente dei Los Angeles Lakers (Jordan Clarkson: 24 tentativi, 2.8%, Brandon Ingram: 20 tentativi, 2.8%) ma soprattutto con un ottimo tasso di conversione (57.7%). Anche un’arma interessante come questa offre, però, ai difensori preziosissime linee guida su come comportarsi in caso di match up, sia per quanto riguarda la difesa in caso di screen (over e non under) che nel caso egli decida di avventurarsi all’interno del perimetro.

Non sorprende di conseguenza la preferenza da lui espressa nei confronti della linea da tre punti e del pitturato. Nella stagione in corso, su un totale di 151 tentativi, solamente 16 di questi sono stati dei tiri dalla media distanza, con una netta predilezione verso le situazioni di catch and shoot. Dal suo approdo in NBA fino ad ora questo tipo di conclusioni si è equivalso con quelle in pull up, attestandosi su percentuali vicine al 30% ma molto lontane da quelle di giocatori come De’Aaron Fox (46% pull up, 13% catch and shoot), di Dennis Smith Jr. (45% pull up, 16% catch and shoot) e di Donovan Mitchell (40% pull up, 15% catch and shoot).

Per quanto sia vero che le percentuali realizzative siano sicuramente migliorate rispetto a quelle ottenute nel corso della stagione passata, è altrettanto certo che non siano affatto scomparsi tutti gli ostacoli illustrati in questo articolo. Lonzo Ball richiede tempo e pazienza, ma soprattutto attenzione nel suo utilizzo e nella sua integrazione all’interno di un gioco che sia allo stesso tempo capace di esaltarne i punti di forza e di nasconderne le criticità. La palla ora passa in mano ad i Lakers, che devono decidere se, in ultima istanza, per loro ne valga davvero la pena.

Tags: Lonzo BallLos Angeles Lakers
Teodoro Cidonio

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