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Brook Lop3z

Alessandro Pagano by Alessandro Pagano
10 Settembre, 2019
Reading Time: 13 mins read
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Starà piangendo. Magari non esternamente, ma starà piangendo. Anche se vive uno dei momenti più significativi della sua carriera, in questo preciso istante la sua parte più interiore non riesce a gioire. Sì, perché oltre la pallacanestro c’è tanto altro, c’è tantissimo oltre quello che vediamo ogni sera sul parquet. Starà piangendo, così come starà piangendo Jim Calafiore (il disegnatore del personaggio della DC Comics Aquaman, NdR), suo grande amico. L’identikit del nostro personaggio non è semplice, immediato. Anzi. Paradossalmente, se tratteggiassimo solo i tratti esteriori, senza andare in profondità, ci troveremmo davanti ad uno dei personaggi che il compianto Stan Lee, uno dei suoi padri creativi, ha ideato.

PERSONAGGIO

Oltre le lacrime c’è un uomo di 213 centimetri, un armadio che porta a spasso la bellezza di quasi 120 chili, uno di quelli che se incontri su Wisconsin Avenue non puoi non farci caso. Quella profondità a cui facevamo riferimento prima è molto più astratta, molto più out-of-ordinary rispetto al vostro centro NBA.
Se iniziassimo a dipingere un ritratto, sarebbe complesso scegliere da che punto iniziare. Fratello minore di Alex e fratello maggiore di Robin, con l’ultimo della stirpe distante solo 8 minuti. Diatribe vecchie come il mondo, un po’ come Totò quando fa valere la sua maggiore età rispetto a Peppino. Eppure questo piccolo vantaggio lo accompagna per tutta la gioventù: viene scelto al Draft del 2008 – quello del redivivo D-Rose, dell’imperscrutabile B-Easy, di Mayo davanti a Russell e del Gallo – cinque posizioni prima, quasi come se la selezione naturale continuasse per mano di David Stern e dei New Jersey Nets. Come se non bastasse, ci sono dei gatti – in realtà sono delle vere e proprie divinità – che li dividono: Poupin (@poupinstagram) e Prince Edward Zephyr (@pezwardisking) sono la causa per la quale i due non condividono lo stesso tetto. L’alibi “pare che non vadano particolarmente d’accordo” ci ha convinti sempre il giusto ma è la formula istituzionale e va prese per ciò che è.*

Le bizzarrie di Brook Lopez non finiscono all’account Instagram del suo gatto. Oltre a proclamarsi una versa e propria karaoke superstar, c’è da scavare ancora a fondo. Può chiamare “casa” una palazzina di NoHo, non un posto dove è particolarmente brutto vivere. Essere a contatto con una realtà come quella di Hollywood, permette a Brook di sviluppare una creatività sopra la norma. La stessa sfocia in due grandi passioni: Star Wars e i fumetti. Per la prima, non iniziamo neanche a discutere. Vi basti sapere che il suo personaggio preferito è Lowbacca. Se il nome non vi dice nulla, potete stare tranquilli. Non è mai apparso in una serie TV e né tantomeno in una pellicola. Compare solo ed esclusivamente in una manciata di romanzi e fumetti. Livello: PRO. La seconda passione, invece, è molto più articolata. Studia scrittura creativa fin dai tempi di Stanford, quando le serate erano o sul divano di casa Lopez o sul divano di casa Pondexter in quel di Fresno. Tuttora Quincy ricorda che “non è cresciuto guardando la TV, ma leggendo e disegnando”.

A proposito di disegni, c’è qualcosa che aiuta ad inquadrare il fumettista che è in Brook. Frequenta una serie illimitata – quasi come la sua collezione di comics – di convegni sui fumetti e in un’occasione si trova a condividere con Jim Calafiore dei suoi disegni, un suo progetto “segreto”. In pochi oggi conoscono il storage-cabinet project di Bro-Lo (nomignolo ad uso esclusivo del fratellino Robin, NdR), un’opera fumettistica di non trascurabile grandezza. Brook ha realizzato una stanza con una libreria formata da 26 scomparti, uno per ogni lettera dell’alfabeto. In collaborazione con l’autore della DC Comics, crea un personaggio/supereroe diverso per ogni lettera, dando sostanzialmente vita ad una stanza dei fumetti unica al mondo.

LIFE #1

La vita sul parquet segue un andamento che avrebbe reso Calafiore, Lee o chi per esso fieri: la parabola del supereroe da North Hollywood segue alla perfeziona una sceneggiatura. Entrare nella NBA di 10 anni fa richiedeva delle caratteristiche ben definite, soprattutto se sei una top-10 pick. I numeri maturati nelle 53 gare giocate con la maglia dei Cardinal non sono neanche così impressionanti: in 1.485 minuti ha totalizzato 16 punti di media e poco più di 7 rimbalzi a partita. I Nets, però, puntano forte su un centro vecchio stampo, uno di quei lunghi che può dominare le aree NBA per un bel po’ di tempo. Se non siete così convinti, chiedete alla Marquette di Wesley Matthews. (Clicca qui per sapere perchè)
A Stanford Maples Pavilion tira 21 volte da 3 punti, con scarsi risultati (14.3% dall’arco). Tenete aperta la finestra, perché tornerà utile.

Siamo temporalmente nell’epoca in cui il “Flying Circus” di Kidd e Martin ha cambiato città e il solo Carter non regge il peso di un attacco privo di idee. Coach Frank, il vero ideatore insieme a Byron Scott di una delle squadre cult della NBA di inizio millennio, dura solo 16 partite (e 16 sconfitte) nella stagione 2009-10. Il nostro Bro-Lo giocherà 251 gare nel New Jersey ma il nostro focus statistico sarà leggermente differente da uno score tradizionale.
I dati che prenderemo in considerazione per confrontare Life #1 e Life #2 del proprietario dei diritti dello storage-cabinet project corrispondono alla 3P%, alla %FGA e al totale dei tiri presi in una singola stagione. Dunque, in 251 partite – equivalenti a 4 stagioni – giocate all’Izod Center, Brook Lopez ha tirato 3.359 volte, 5 delle quali con i piedi fuori dal perimetro. Nella stagione 2008-09, il 99.8% delle sue conclusioni erano rappresentate da tiri da 2. Nell’annata successiva si mantiene su quella cifra, mentre nel 2010-11 sale ancora (99.9%) prima di approdare al 100% nella sfortunata stagione 2011-12, quando bastano 5 partite per fargli fratturare il piede sinistro.
I 17.4 punti di media in queste prime stagioni NBA non sono obbligatoriamente sintomo di salute, soprattutto se analizziamo quelle percentuali. Con gli occhi di una NBA moderna, la monodimensionalità del gioco offensivo di Brook è chiaramente un plus fino all’avvento dell’ondata che travolgerà la Lega da lì a poco. Se ne facciamo una questione meramente di zona occupata al momento del rilascio della palla, dal 2008 al 2012 il range di tiro del centro dei Nets è di 2.14 metri.

Nell’aprile 2012, un ragazzetto cresciuto dalle parti di Brooklyn – che all’anagrafe fa Shawn Corey Carter – annuncia il trasferimento dal New Jersey alla sua zona natale, nonostante possieda solo lo 0,7% delle quote azionarie della franchigia. Il volto e la fama di Jay-Z fanno il resto.
Con la “rivoluzione russa” di Mikhail Prokhorov, Lopez rischia di essere scambiato a favore dell’amore cestistico del magnate russo: Dwight Howard.
Urge una luuuuuuunga pausa scenica.
Resta nei nuovi Nets, il Barclays lo riabbraccia come il vero franchise player sul quale fare perno per ritornare ai fasti di un tempo. Le sue prestazioni convincono, però, una fetta di addetti ai lavori sempre minori. L’evoluzione a cui va incontro la Lega non è materia di interesse del nostro maniaco di fumetti.
Nella stagione 2012-13 – annata in cui il centro da Stanford è All Star – la percentuale delle sue scelte offensive va in una sola direzione: il 99.9% dei suoi tiri arriva con i piedi dentro l’arco. L’andamento sarà simile per i successivi 3 anni, arrivando ad un massimo di 14 tiri (su 1.157 stagionali) da 3 punti nella stagione 2015-16.

La prima tripla NBA arriva in una sconfitta 93-98 a Detroit, datata 1/10/2015. Per farvi capire la portata dell’evento: 2.163 giorni dopo l’ingresso nella NBA, dopo aver giocato 15.000 minuti e dopo quasi 400 partite.

Dopo la negativa esperienza targata Ryan Hollins, Sean Marks decide di affidare l’ennesimo anno di re-building post mercato scellerato a tale Kenny Atkinson, già vice degli Hawks e dei cugini Knicks.

Kenny Atkinson è l’uomo della svolta e merita una parentesi tutta sua. La vita cestistica di Brook Lopez vive una fase a.A. (ante Atkinson) e p.A. (post Atkinson). Da giocatore cambia pelle 16 volte, tra CBA, Spagna, Olanda, Francia e Germania, con una breve e sfortunata parentesi alla Partenope Napoli. Atkinson rappresenta quello spartiacque decisivo all’interno di una sceneggiatura, quell’imprevisto che cambia l’ordine delle cose. La definizione “cervo in tangenziale” che spesso veniva attribuita alla situazione di Lopez non era troppo distante dalla realtà e, per venir fuori da quel limbo cestistico, occorre un personaggio inaspettato.

LIFE #2

Nell’estate 2016, Brook conosce coach Atkinson, una persona che conosce veramente il gioco.
I rookie delle panchine hanno bisogno di tempistiche leggermente minori per ambientarsi in un mondo che hanno esplorato da un oblò un po’ più piccolo. Le esperienze da vice sotto la guida tecnica di Mike D’Antoni prima e Mike Budenholzer poi, hanno aiutato il nuovo HC dei Nets a comprendere a fondo l’evoluzione che affronteremo tra qualche minuto. Senza necessariamente scendere in dettagli di cui si è discusso in maniera sostanziosa negli ultimi anni, coach Atkinson cambia la mentalità e il ventaglio di soluzioni di un giocatore con un telaio non del tutto moderno. Un’estate di duro lavoro – chiaramente diversa rispetto a quella spesa seguendo gli insegnamenti di Hakeem The Dream – che cambia il focus del gioco di Lopez.

Nella stagione 2016-17, Lopez predica senza mezzi termini in mezzo al deserto: degli acerbi Dinwiddie, Kilpatrick e Hollis-Jefferson danno quel che hanno, Lin e Bogdanovic quella dose di esperienza che però non permette ai Nets di risalire da un pozzo il cui fondo è a un passo. Le 20 vittorie e le 62 sconfitte non sono un bellissimo biglietto da visita per coach Atkinson. I numeri più positivi non riguardano né il numero di spettatori nel modernissimo Barclays Center (15.125 la media di presenze, valide per il 28esimo posto in classifica nell’annuale attendance report, NdR), né i miglioramenti del nuovo set di giovanissimi presenti nel roster. I numeri migliori arrivano proprio dall’evoluzione del gioco di Brook Lopez. Per i semplici parziali: tira 387 volte da 3 punti (+373 rispetto alla stagione precedente), chiude con il 34.6% e fa crollare la percentuale di tiri presi da 2 punti dal 98.8% del 2015-16 al 67% del 2016-17.

La qualità tecnica del tiro resta ancora grezza nel suo ultimo anno in quel di Brooklyn ma i numeri vanno in una direzione completamente opposta rispetto alle prime 8 stagioni. Nei suoi primi otto anni in NBA, infatti, Lopez fa registrare 3/31 da 3 punti (9.6%), dedicando al tiro dalla lunga distanza solo lo 0.4% della sua attenzione. Tradotto in termini numerici, saranno solo 31 i tiri da 3 rispetto ad un totale di 7.407 presi nelle prime 636 partite giocate tra i pro. Numeri da capogiro se si tiene conto dell’incidenza del tiro in-the-paint che ha caratterizzato la sua prima parte di carriera. Passare da un tiro relativamente remunerativo come può essere un tiro con i piedi nel pitturato ad un tiro da 3 punti, altamente remunerativo ma non proprio nelle corde del creativo Brook, non è così semplice. La classica dimostrazione di “Hard work pays off”.

Nella nostra personalissima casella di 3PA% che finora abbiamo considerato, durante la Nets Era di Lopez, i numeri sono incredibilmente in salita: nel 2008-09 l’incidenza del tiro da 3 era pari al 2%; il fondo si tocca nel 2011-12 con uno 0% dovuto anche ad un infortunio e alle poche partite disputate; dal 2012 in poi, si risale la china molto velocemente e in quattro anni si passa dal 4% al 33%. I singoli numeri non ci raccontano tanto se presi singolarmente. L’evoluzione di Brook sta anche nella repentinità del suo cambiamento.
Quando il tiro da 3 punti diventa una vera e propria arma in faretra, Lopez dimentica completamente la soluzione meno efficace statisticamente parlando. Se ne facciamo una questione di shooting distance, i tiri dal midrange (>5 metri) passano dal 15.2% al 2.9% in un solo anno. Paragonare il 2.9% dei tiri da una distanza maggiore di 5m e il 33% dai 7.25m significa comprendere l’evoluzione moderna del giocatore. Lo stile McHale è inconfondibile: o si tira dallo smile o si tira da 3. Soluzioni intermedie non sono gradite.

http://www.theshotmag.it/wp-content/uploads/2018/11/Broooooook.mp4

Testare il cambiamento su una sola stagione sopra le righe è una mossa azzardata, quasi come quella di Asso contro il Marsigliese: il bluff può essere presagio di fortuna ma anche di sfortuna.
Nel 2017 le strade di Lopez e dei Nets si separano, dopo una cavalcata durata 9 anni – e soprattutto dopo 95.062.137$ sganciati. Il front-office di Brooklyn ufficializza la trade che porta D-Lo, Mozgov e i diritti di Kyle Kuzma sulla costa est, mentre Brook Lopez cambia clima-vita e si trasferisce in California, sponda Lakers. Ha un ultimo anno di contratto – non proprio a due spicci, considerando i 22.642.350 milioni che gli restano da incassare – ma i Lakers sono in una situazione simil-Nets: progettualità ad un livello intermedio, possibilità di esplodere ancora lontane. Nella breve e (non) intensa esperienza angelena, i numeri confermano la parabola del cambiamento: in 74 partite, su 793 tiri dal campo ci sono la bellezza di 325 tiri da 3 punti, chiudendo la stagione con il 34.5%. Il record 35-47 dei purple-and-yellow non aiuta ma lo score annuale di Lopez è sorprendete: il 41% dei suoi tiri arrivano con i piedi behind the arch e la distanza tra tiri da 2 tiri da 3 (rispettivamente 325 vs 468) è sempre più ridotta. Brook Lopez è un nuovo giocatore.

L’ultimo step della Life #2 del più grande fan di Star Wars è rappresentato dai futuristici Milwaukee Bucks. La sfida che ha accettato nel Wisconsin è tanto interessante quanto relativamente complessa. Firma un contratto annuale da 3.382.000$ e si aggiunge ad un pacchetto lunghi assai atipico, formato da John Henson e Thon Maker. I numeri parlano chiaro e sanciscono definitivamente un cambiamento di rotta.

Stavolta il tiro da 2 è al secondo posto, con una promozione a “prima arma” il tiro dalla lunga distanza.

In 14 partite giocate finora, Brook ha tirato 130 volte: 98 volte da 3 punti (con 41 bersagli) e solo 32 volte con i piedi dentro al perimetro. Il rapporto 3P-2P in questo momento è 75.4-24.6: per la prima volta nella sua carriera, tira più da 3 che da 2. E non si tira neanche male da 3: Lopez viaggia con il 41.8% dalla lunga distanza, piazzandosi al quinto posto della graduatoria dei tiratori che hanno realizzato più 3s: Curry con 62, Kemba con 52, Redick con 48, Middleton con 47 e poi c’è Bro-Lo con 41.
Anche in termini di tentativi, Lopez non scherza mica: è 12esimo in questa particolare classifica, davanti a shooter del calibro di Klay, Irving, Matthews, Lowry, Trae Young, Eric Gordon e Devin Booker.

Le shot charts ci aiutano a capire quanto e come sia cambiato il gioco del talento da Stanford. La prima (a sinistra) rappresenta
tutti i tentativi di un rookie dei New Jersey Nets, annata 2008-2009; la seconda (a destra) rappresenta la mappa dei tiri in maglia Bucks Esattamente 10 anni dopo, la tipologia di tiri scelti è completamente diversa (con un campione minimo rappresentato da solo 14 partite. NdR).

Non sono le uniche, però, a far capire anche visivamente lo shooting trend di Brook Lopez. La mappatura delle sue zone di tiro evidenziano delle preferenze piuttosto nette: il 57% combinato dagli angoli, il 27/60 dalle zone laterali e la scelta di evitare qualsiasi long-two raccontano di un giocatore che non ha cambiato telaio ma ha cambiato decisamente motore. Il 15/21 dal pitturato, da quei famosi 3 piedi analizzati in precedenza, non costituisce il core di quei 12.5 punti di media nei 26.6 minuti che gli concede ogni sera coach Budenholzer. Nelle shot chart, però, non vi è traccia della distanza, del range di tiro di Lopez. In più di qualche occasione, Brook si è preso licenze che possiamo definire “curryane”, mandando a bersaglio quelli che oltreoceano chiamano deep three.

THE EVOLUTION

L’evoluzione numerica e tattica di Bro-Lo è il risultato differito di un trend che ha sconvolto The Game. Dire, in maniera quasi fredda, che nella stagione 2015 la media di tiri da 3 di una squadra era di 24 tentativi dall’arco, mentre nel 2005 era solo di 16 e ancor prima, nel lontanissimo 1975, era solo di 3 conclusioni, è abbastanza riduttivo. La classe di lunghi-tiratori si sta allargando notevolmente, seguendo una tendenza che già da anni sta perseguendo la direzione della spotless basketball.
I numeri – mai fonti di verità assolute ma ottimi indicatori di trend – sono piuttosto eloquenti: i giocatori classificati nei report delle squadre con la lettera C (Center), nella stagione 2017-18 hanno realizzato 1.479 triple, più del doppio dell’anno prima e più delle somma delle quattro annate precedenti.
Per gli amanti del vintage: nei primi 17 anni dell’era del tiro da 3, sono stati presi da tutti i giocatori che facevano parte della Lega meno tiri.

Nella passata stagione, gli unici reduci che resistono ad un basket che non avrà ancora grande futuro sono stati Steven Adams, DeAndre Jordan, Hassan Whiteside e Rudy Gobert.

Chi è che, allora, fa parte di questa categorie moderna? Abbiamo provato a confrontare i numeri dei centri con una 3s attitude abbastanza spiccata. Abbiamo considerato la percentuale da 3 punti, i tentativi dall’arco e proprio l’attitude, ovvero sia la percentuale di incidenza dei tentativi dalla lunga distanza nel computo totale dei tiri presi dal campo.

 

Ma quanto può tirare Brook Lopez? Quanto può durare realisticamente questo trend?

Delle semplici proporzioni ci portano a due risposte, una più verosimile, un’altra un po’ paradossale. Partiamo proprio dall’ultima. Se considerassimo una full season – ovvero sia da 82 partite giocate – il lungo dei Milwaukee Bucks potrebbe arrivare a tirare 574 tiri da 3 punti. Un numero impressionante se pensiamo che lo scorso anno Harden ha tirato 722 volte, Lillard 629, George 609, Gordon 608, Walker 601 e Lowry 596. Lopez, in un universo parallelo ma con questa tendenza costante, sarebbe il settimo giocatore con più tentativi da 3 punti.
Se invece, in maniera più realistica, consideriamo una stagione da 64 gare (media in carriera), il numero di 3s attempt sarebbe di 466. In quel caso, sarebbe il numero 20 del ranking, con il primo “modern C” che sarebbe staccato di 20 posizioni (Markkanen con 401 è il quarantesimo, Kevin Love il 71esimo). Numeri da capogiro che dipingono un quadro che in 10 è passato da astratto a realistico, da Kandinskij a Courbet in meno di un decennio.

Starà piangendo, da un lato. Starà piangendo perché il Maestro Stan Lee abita una dimensione diversa dalla sua, diversa dal nuovo supereroe che è diventato Brook Lopez. Dall’altro, però, il ragazzo che preferiva i disegni alla TV e i fumetti ai videogame, ora non è più un personaggio fantastico, frutto di una creatività che riguarda solo una delle sue più grandi passioni. Il suo amico Jim Calafiore potrebbe prendere ispirazione da una storia che racconta, per l’ennesima volta, della bellezza di un gioco in costante evoluzione.

Del resto, Dart Fener nell’episodio II “L’attacco dei cloni” ci insegna che “la vita sembra più facile quando riesci ad aggiustare qualcosa”. Questa deve essere stata la fonte di ispirazione di Brook Lopez. Anzi, Brook Lop3z.

* Nel 2017, LA viene colpita da quella che gli angeleni hanno rinominato The Skirball Fire, uno degli incedi più grandi dell’ultimo decennio. Lopez, un Laker di passaggio, abitava con il suo fedele Poupin a Bel Air Crest, una delle zone più colpite dalle fiamme. Brook ha temuto a tal punto per la propria incolumità che è scappato con il gatto fino a El Segundo, facendosi accompagnare da un autista. Non sapendo dove “appoggiare” il fido scudiero, ha deciso di raddoppiare la paga del chauffeur se si fosse spinto fino a casa dei suoi genitori, a Fresno, per accompagnare Poupin in una casa sicura.

 

Tags: brook lopezMilwaukee Bucks
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