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Playoff Takeaways 2018 Edition

Alessandro Ravasio by Alessandro Ravasio
6 Settembre, 2019
Reading Time: 18 mins read
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I Playoff Nba sono il periodo saliente della stagione. Dopo 82 partite di Regular Season, le migliori 16 squadre si affrontano tra di loro a un livello di conoscenza tale per cui i punti deboli di ogni squadra – magari tenuti nascosti durante la stagione – vengono scoperti e attaccati sistematicamente. I Playoff sono il momento in cui si vede la reale stoffa di una squadra: le giovani promesse posso ascendere al livello di stelle, le grandi certezze possono schiantarsi fragorosamente. Tutto in un paio di mesi. Tutto in serie al meglio delle sette partite.

Le 16 squadre partecipanti sono state divise in quattro categorie in base a come questi Playoff hanno plasmato e plasmeranno il prossimo futuro delle franchigie.

Le Delusioni

Toronto Raptors

La più grande delusione è certamente Toronto. Arrivati alla Postseason dopo la stagione più vincente della franchigia (59 vittorie) e il fattore campo fino alle Finali di Conference, i Raptors erano certamente i più favoriti ad Est per arrivare alle Finals. Dopo un primo turno piuttosto tranquillo contro Washington, il primo banco di prova era la peggior Cleveland degli ultimi quattro anni. Invece, le certezze costruite nell’ultima stagione sono crollate sotto i colpi di Lebron e di un redivivo supporting cast. Lo sweep con cui Lowry e compagni sono tornati a casa è forse troppo ingiusto, dopotutto due delle quattro partite si sono concluse sul filo di lana e non sono andate a Toronto per volontà del Re di Cleveland.

Tra le grandi delusioni per Toronto c’è DeRozan che contro i Cavaliers non è mai stato mentalmente nella serie – e in generale nei Playoff con un Plus-Minus di -6.5 – dando tanto adito ai sostenitori dell’incapacità della stella di Toronto di alzare il livello quando la palla si fa più pesante. Nemmeno la straordinaria panchina ha però brillato durante questi Playoff. Complice l’infortunio di VanVleet, la second unit dei Raptors ha steccato, non dando il contributo che era risultato decisivo nelle precedenti 82 partite. Dopo il licenziamento di Casey, il roster potrebbe subire delle modifiche importanti. A partire proprio da DeMar DeRozan, il cui contratto – 111 milioni fino al 2021 – non è però così appetibile visti i difetti del giocatore, dal tiro da tre (che è comunque migliorato) alla sua incapacità di essere leader di squadra. Da monitorare anche la situazione Ibaka, il cui declino fisico sta condizionando gravemente il suo apporto in campo.

Portland Trail Blazers

L’altra grande delusione di questa Postseason sono i Trail Blazers. Il terzo posto a Ovest li vedeva subito dietro a Houston e Golden State, ma hanno trovato nei Pelicans degli avversari che ne hanno evidenziato tutti i limiti. Portland è una squadra costruita male e che ancora sta pagando le spese folli dell’estate 2016, Evan Turner e Myers Leonard su tutti. L’inaspettata cavalcata ai Playoff di due anni fa aveva convinto e/o costretto la dirigenza a pagare più del loro valore alcuni giocatori di ruolo, togliendo lo spazio salariale per migliorare la squadra. Già firmare Nurkic, anche se dopo questi Playoff non è sicuro che Portland voglia tenerlo, manderà la squadra in piena Luxury, impedendo praticamente qualsiasi altra mossa in entrata. In questi giorni si vociferava di uno scambio per uno tra Lillard – fresco di elezione al primo quintetto All Nba – e McCollum, che ridimensionerebbe molto le aspettative per il prossimo anno. Gli altri membri del roster non sono assets appetibili sul mercato. Turner ha un contratto che soltanto una squadra in pieno rebuilding potrebbe accettare, ma solo se corredata di prime scelte che Portland non ha, o cha anche se le avesse non sarebbe troppo disposta a cederle. Portland, a meno di una rivoluzione estiva che passi dalle loro due stelle, sembra destinata da una aurea mediocritas, la peggior posizione possibile per una franchigia.

Washington Wizards

Mettere una squadra arrivata ai Playoff con l’ottavo seed ed uscita al primo turno tra le delusioni può essere forse eccessivo. Tuttavia, viste le premesse dello scorso anno, la stagione di Washington è stata una tra le maggiori delusioni dell’anno. Doveva essere la stagione della consacrazione a superstar di John Wall, della sua ascesa nella conversazione per l’Mvp, invece è stata la stagione che ha fatto pensare che lui possa essere scambiato. Nei mesi in cui è rimasto fermo per infortunio, la squadra ha giocato decisamente meglio e, per dirla con le parole di Beal, everybody eat. Lo spogliatoio di Washington è apparso decisamente spaccato ed ha isolato quello che era il suo leader. Gortat non ha fatto mistero di volersene andare già da tempo mentre Beal dopo la prima convocazione all’All Star Game vuole prendersi in mano la squadra e mai come quest’anno il rapporto tra lui e Wall è sembrato così teso. Anche i Payoff hanno confermato questa sensazione: Wall è un oggetto estraneo a questa squadra. L’estensione contrattuale firmata la scorsa estate però lo rende molto difficile da scambiare visto che la squadra che lo dovrebbe accogliere dovrebbe provarsi di un pezzo pregiato. Tuttavia se sano e concentrato, due grandi se nella carriera dell’ex Kentucky, Wall può essere tranquillamente tra le prime 5 guardie della Lega. Washington non ha grandi margini di miglioramento visto che il salary cap è tra i più alti della Nba grazie ai contratti di Mahinmi e Porter. Quest’ultimo si è rivelato tra le poche note positive – assieme alla crescita di Oubre Jr. – della stagione capitolina: il ricco contratto firmato in estate non ha fatto scendere il suo rendimento, tuttavia resta un ottimo terzo violino, difficilmente potrà essere il secondo o addirittura primo violino di una squadra che lotta per il titolo. L’aria che tira in casa Wizards è da fine ciclo e l’unico modo per provare a migliorare la squadra, o rinnovarla, sarà attraverso una cessione eccellente.

NEXT: CHI RISCHIA DI NON TORNARCI

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Tags: NBA Playoffs 2018
Alessandro Ravasio

Alessandro Ravasio

Fiero tifoso dei Grizzlies, si è innamorato della pallacanestro dopo aver visto il semigancio mancino di Zach Randolph. Uno dei momenti più felici della sua vita è stato vedere Tony Allen urlare "First Team All Defense" davanti a tutta la Oracle Arena

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