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Mario Hezonja: a che punto siamo?

Francesco Manzi by Francesco Manzi
6 Settembre, 2019
Reading Time: 5 mins read
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Nel 2015 Mario Hezonja entrava in NBA con una spropositata dose di hype. Arrivava dal Barcellona, dopo che in allenamento aveva riprodotto tutte le schiacciate del vittorioso Zach LaVine allo Slam Dunk Contest di New York ed era stato scelto come quinta pick assoluta per gli Orlando Magic. I primi attimi in NBA del croato sembravano confermare tutto questo: in poco più di un minuto e mezzo, 8 punti con due triple (al Barça era salito agli onori della cronaca per un 8/8 da dietro l’arco in una vittoria di 48 punti su Manresa) che dovevano essere il suo marchio di fabbrica. Poi lo scontro con la realtà: nei successivi stralci di gara, qualche errore, due palle perse, panchina.

Nei primi due anni nella Lega, Hezonja ha rappresentato un elemento piuttosto marginale in un roster di fascia bassa come quello dei Magic: mai oltre le ultime cinque posizioni nella Eastern Conference, non trovando troppo spazio, salvo saltuariamente in caso di infortuni, e tanto meno mettendosi in mostra per qualche aspetto del suo gioco particolare. Cosa dunque è andato storto?

Orlando in tre anni ha cambiato due allenatori: prima Scott Skiles, poi Frank Vogel. In questa stagione Hezonja ha trovato più spazio rispetto alle precedenti due per via degli infortuni che hanno colpito i Magic: Nikola Vucevic, poi quello del rookie Jonathan Isaac, ma infine soprattutto quello di Aaron Gordon gli hanno aperto le porte del quintetto per ben 23 volte (e potrebbero aumentare nelle prossime settimane pro tanking). Nella maggior parte dei casi nel ruolo, inedito per lui, di ala grande.

Nelle prime due stagioni in NBA, il croato aveva infatti giocato il 73% dei suoi minuti da ala piccola. Probabilmente il suo ruolo naturale, quello che ricopriva anche in Spagna. Durante quella odierna, il suo utilizzo da AP si è ridotto al 37%, con l’incremento invece al 63 di quello da AG . La scelta di Vogel potrebbe essere spiegata semplicemente in questo modo: i Magic sono tra le peggiori squadre perimetrali dell’intera NBA. Nelle prime partite della stagione, quando sorpresero tutti portandosi su un record di 8-4, erano la seconda miglior formazione da dietro l’arco, ma se escludessimo quelle 12 gare, sarebbero la 25°.

Hezonja era entrato in NBA come tiratore affidabile e gode erroneamente ancora di questa fama.

L’evoluzione di Gordon a pedina maggiormente perimetrale (quest’anno si prende quasi 6 triple di media segnandone il 35%), ha portato automaticamente a sostituirlo con un altro giocatore in possesso di tiro da fuori.

E qui sorge il primo problema: Sebbene fosse arrivato al Draft con la fama di essere un ottimo tiratore, Hezonja non lo è mai stato. Dopo il picco del 62% dall’arco nel periodo d’oro dei Magic di ottobre, ci sono state cadute come il 22% nel mese di marzo attualmente in corso. Il croato allora era reduce da tre stagioni in Spagna con il 39% di media dalla lunga distanza, ma non è mai riuscito a traslare questo aspetto del proprio gioco negli States.

Hezonja oggi preferisce girellare a ritmi lenti sul perimetro, magari posizionarsi in angolo, e aspettare uno scarico piuttosto che scattare e tirare sfruttando i blocchi dei compagni. Il 41% dei suoi tiri sono catch and shoot, ma solo il 10% delle sue giocate avvengono in uscita dai blocchi contro il 34% di situazioni di spot-up. Il dato può essere relativo, ma il suo linguaggio del corpo è un ulteriore indizio della scarsa voglia (e infatti nelle hustle plays è tra gli ultimi in squadra), più che capacità, di aumentare i giri. Quando invece l’atteggiamento è diverso, come la gara contro Miami di inizio febbraio, può sicuramente mettere le difese avversarie in grande difficoltà.

Se giocare contro ali grandi da un lato è uno svantaggio in difesa, dall’altro il mismatch può essere sfruttato come in questo caso: la rapidità di piedi di Hezonja non può essere contenuta da Olynyk

 

Il secondo punto debole di Hezonja è la difesa: gioca in un ruolo, quello di ala, diventato ormai ibrido. Sicuramente il suo posto nella Lega dovrebbe essere più quello di scorer che di difensore – non sarà mai il 3&D che qualsiasi squadra NBA cerca – ma, se in attacco è “solo” molto altalenante, nella propria metà campo è una costante negativa.

Nel corso degli anni, Hezonja ha costruito un fisico che sarebbe perfetto per giocare da ala piccola in NBA. Nell’ultima stagione, la massa muscolare è notevolmente aumentata senza intaccare la sua rapidità, ma con lo spostamento in questa stagione ad ala grande le problematiche sono aumentate. L’ex Barcellona non è abbastanza alto o massiccio per marcare i lunghi avversari, in particolare in post, e a questo si aggiunge anche una scarsa attenzione e attitudine difensiva: spesso è sufficiente un blocco per far saltare la sua marcatura e lasciare completamente smarcato quello che dovrebbe essere il suo uomo. Per fare un paragone esclusivamente basato sul fisico, Hezonja è quasi identico a Klay Thompson. I risultati poi sono diametralmente opposti:

In questa situazione sono proprio i mezzi fisici a mancare, Hezonja non ha la lunghezza per contrastare il tiro di Markkanen vicino a canestro

 

I cambi difensivi portano Hezonja in post contro Koufos: una situazione già di svantaggio, ma lui non ci prova neanche a opporre resistenza (e la partita era iniziata da 20 secondi…)

 

La situazione non migliora quando, più raramente, deve vedersela con esterni veloci. Hezonja non ha l’intensità per rincorrere un avversario che si muove bene senza palla, se non, e non accade spesso, quando si galvanizza per una giocata, molte volte una schiacciata, riuscita precedentemente.

Appena Bogdanovic accelera, guadagna un paio di metri per un tiro facile a causa della poca intensità di Hezonja

 

Si tratta di un giocatore molto emotivo ed era una delle poche cose certe che si conoscevano di lui la notte del Draft. L’emotività non è un aspetto negativo di un giocatore, ma vivere di momenti alla lunga crea delle difficoltà. Ancor di più se questi momenti sono sempre più rari nel corso degli anni. Gli alt, se vogliamo la spavalderia o la voglia di dare spettacolo, i momenti di talento puro che Hezonja metteva in mostra al Barcellona, occupano ora solo una piccola parte delle sue prestazioni. In questi tre anni di NBA, quante giocate di Hezonja ricordate? E’ capace di segnare 28 punti con 8/12 da tre punti (a gennaio contro Detroit) e nella stessa partita rendersi protagonista di questo video, oppure proseguire le successive due settimane con un totale di 4/19 dalla lunga distanza.

In 4 vs 1…

 

Uno degli aspetti più positivi di Hezonja, forse il più positivo, è però la sua carta d’identità: ha compiuto da poche settimane 23 anni ed ha già alle spalle quasi tre stagioni di NBA, anche se poco fortunate. Orlando, qualche giorno dopo l’inizio della regular season, aveva già deciso di non sfruttare l’opzione sul suo contratto da rookie, valida per 5.2 milioni di dollari il prossimo anno, rendendolo di fatto free agent senza restrizioni la prossima estate.

Non è un bust, non può essere considerato tale dopo così poco tempo, passato oltretutto in una franchigia che non ha fatto miglioramenti in questi tre anni. Quasi sicuramente ci sarà in estate un altro GM, con niente da perdere, che lo metterà sotto contratto a cifre modeste e gli darà una seconda chance per rilanciarsi, per far vedere che qualcosa può dare, che quella scelta nel 2015 non fu frutto soltanto dell’hype generato nei mesi precedenti. Perché il talento c’era e c’è ancora, è innegabile, ma probabilmente manca qualcosa in termini di concentrazione e dedizione.

Finché Hezonja non correggerà almeno qualcuno dei suoi (tanti) difetti di oggi, rimarrà sempre il ragazzo impavido che nei primi minuti in NBA segnò 8 punti e in quelli immediatamente successivi commise una serie di errori consecutivi che portarono coach Skiles a panchinarlo.

Tags: Frank VogelMario HezonjanbaOrlando MagicScott Skiles
Francesco Manzi

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