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Si può pensare di mettere un criterio ai numeri ritirati in NBA?

Francesco Sparta by Francesco Sparta
6 Settembre, 2019
Reading Time: 10 mins read
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Uno degli elementi più affascinanti sulla storia della pallacanestro riguarda i numeri ritirati in NBA, ovvero il riconoscimento dato a quei giocatori che sono stati capaci di scrivere capitoli importanti nella storia di una franchigia. Recentemente al TD Garden di Boston c’è stato il ritiro della maglia di Paul Pierce, il cui banner si è andato a sommare agli altri che già riempiono il soffitto dell’arena. Quella di The Truth è stata la ventiduesima maglia ritirata dai Boston Celtics e, a questo proposito,  i due commentatori Flavio Tranquillo e Davide Pessina hanno scherzosamente ipotizzato in diretta la necessità per la franchigia di usare tra non molto numeri a tre cifre.

Qualche giorno dopo questa vicenda c’è stata un’altra notizia che ha riguardato una maglia ritirata. Infatti Lance Nance Jr, figlio d’arte passato dai Los Angeles Lakers ai Cleveland Cavaliers, ha ottenuto il permesso da suo padre di indossare il numero ritirato dalla franchigia in suo onore nel 1995.

Questi due episodi sono solo gli ultimi di una lunga serie. Ad oggi infatti non esiste un vero e proprio criterio per decidere chi sia meritevole di tale onoreficienza e, nella maggior parte dei casi, si tende ad applicare il senso comune o comunque il lato emozionale basato su quanto dato dal giocatore in attività. Per questo motivo non si può dire che ci sia un un parametro universalmente riconosciuto per valutare se un giocatore merita o meno il ritiro della maglia. E proprio per questo ci sono stati alcuni casi piuttosto curiosi.

Tanto per iniziare infatti si può citare il caso di Tracy McGrady, a cui, nonostante la recente nomina nella Hall of Fame, non è mai stata ritirata la maglia da nessuna delle franchigie con cui ha giocato. Caso opposto, Zach Randolph ha già ricevuto adesso – che è ancora in attività – la notizia che i Memphis Grizzlies lo omaggeranno nel momento in cui smetterà di giocare. Altro episodio degno di menzione è quello che riguarda i Miami Heat, i quali hanno deciso di ritirare la maglia numero 23 di Michael Jordan senza che The Airness abbia mai disputato un solo minuto con la squadra di South Beach. La decisione è stata presa direttamente da Pat Riley, presidente della squadra che ha voluto celebrare “il contributo universale di Jordan al gioco della pallacanestro”. E proprio gli Heat sono tra i più “fantasiosi” nel ritiro delle maglie, visto che la franchigia ha scelto di issare anche un banner per la maglia numero 13 nel 2005 dedicandola a Dan Marino, leggenda di Miami… ma in NFL.

Proseguendo la lista di altri casi particolari, possiamo trovare quello di Pete Maravich con la sua maglia numero 7 ritirata dai New Orleans Pelicans senza che lui abbia mai giocato per loro. Infatti, se è vero da un lato che la sua carriera è iniziata in Louisiana con i New Orleans Jazz, bisogna anche ricordare che quella franchigia si è trasferita in Utah e che gli attuali Pelicans non hanno nulla a che fare con la carriera di Pistol Pete. La scelta della franchigia è stata quella di ringraziare un giocatore che ha dato tanto per la crescita della pallacanestro in uno stato dove solitamente ci si nutre a base di pane, pescegatti e football. E proprio Maravich, insieme a Wilt Chamberlain, è l’unico giocatore ad avere la maglia ritirata da tre franchigie differenti. Infatti, se il banner di Pistol Pete è visibile nelle arene di Pelicans, Jazz e Hawks, quello del grande Wilt compare nelle città di Philadelphia, Oakland e Los Angeles.

Altro caso interessante è quello che riguarda i Boston Celtics, i quali hanno un banner con scritto “Loscy” in onore di Jim Loscutoff dopo che questi aveva preferito vedere il proprio nickname al posto del numero 18 sul tetto dell’arena. Oltre a Loscy poi i Celtics sono anche una delle sei squadre che ha deciso di omaggiare il proprio commentatore con un banner che ha un microfono disegnato sopra.

Tuttavia non ci sono solo casi curiosi, ma anche tragici. Infatti ci sono giocatori (Reggie Lewis-Boston Celtics, Malik Sealy-Minnesota Timberwolves, Bobby Phill-Charlotte Hornets) la cui maglia è stata ritirata dopo che questi sono venuti a mancare per tragiche circostanze mentre erano ancora in attività.

Tutte queste piccole storie sono solo alcune delle tante che orbitano intorno ai numeri ritirati in NBA. Il problema è che, a volte, capita di avere la sensazione che questa pratica venga usata (abusata?) per mantenere vivo l’interesse dei tifosi verso la squadra durante una stagione negativa. Forse è solo frutto del caso, o solo una fortunosa coincidenza, ma Celtics a parte quest’anno hanno ritirato una maglia squadre che navigano nei bassifondi o che hanno una scarsa affluenza nell’arena (Derek Harper-Dallas Mavericks, Pete Maravich-Atlanta Hawks, Richard Hamilton-Detroit Pistons). Il dubbio è che sempre più squadre stiano iniziando a ritirare maglie con una certa faciloneria o solo in seguito ad alcune fredde logiche di marketing.

Immaginando di voler limitare questo fenomeno e essere sicuri di ritirare la maglia solo a quei giocatori che realmente hanno segnato la storia del gioco e della franchigia, si potrebbe immaginare di usare un sistema rigido e razionale. Ma quali potrebbero essere i principi che lo regolerebbero?

Per poter rispondere a questa domanda serve per prima cosa capire quali possano essere i motivi validi che portano a prendere una decisione del genere. Innanzitutto si potrebbe considerare solo quei giocatori che hanno dato un contributo universale al gioco del basket e, per farlo, si potrebbero scegliere solamente quei giocatori che sono entrati nella Basketball Hall of Fame. Ad oggi si tratta di 124 giocatori (ABA esclusa), e di questi solo 86 hanno ad oggi la maglia ritirata almeno da una squadra.

Oltre a considerare questo elemento poi serve aggiungere anche un secondo principio legato a coloro che hanno dato un contributo fondamentale nella storia di uno specifico team. Riuscire a capire chi è stato fondamentale nella storia di una squadra è una cosa piuttosto difficile, anche perché spesso questo varia a seconda della storia e dei successi ottenuti dalla franchigia.

Ecco quindi che potrebbe essere un metodo migliore quello di considerare quanto tempo un giocatore è rimasto nella stessa squadra. Questo porterebbe a considerare – ad esempio – solamente quei giocatori rimasti almeno dieci stagioni con la stessa maglia. Un periodo di tempo così grande si tradurrebbe, in altre parole, in una carriera spesa principalmente con la stessa organizzazione. Dei 124 giocatori sopracitati che fanno parte della Hall of Fame, solo 56 hanno militato almeno dieci anni nella stessa squadra. E di questi 56, sono solo cinque (Gary Payton-Oklahoma City Thunder, Phil Jackson-New York Knicks, Vern Mikkelsen-Los Angeles Lakers, Paul Arizin-Golden State Warriors, Cliff-Hagan-Atlanta Hawks) quelli che non hanno la maglia ritirata dalla loro franchigia. Tra questi cinque casi poi bisogna puntualizzare che, per quanto riguarda Gary Payton, è stato il giocatore stesso a chiedere che la sua maglia non venisse ritirata perché personalmente legato alla vecchia città (Seattle) e non alla nuova (Oklahoma City).

Considerando questo criterio di selezione quindi ci sarebbero 56 giocatori che rientrerebbero in questi criteri per il ritiro della maglia e, tra l’altro, nessuno di loro la vedrebbe ritirata da due franchigie diverse. Ci si può permettere di dire quindi che questo metodo è sicuramente accettabile, in quanto quasi la totalità di coloro che già oggi rispettano i due parametri hanno la magia ritirata.

Dando poi un’occhiata ai possibili futuri candidati, i nomi sarebbero quelli di LeBron James, Kevin Garnett, Dwyane Wade, Dirk Nowitzki, dei veterani di San Antonio e del trio di Golden State. Tuttavia The King, se venissero applicati questi parametri, avrebbe diritto solamente al ritiro della maglia a Cleveland ma non a Miami, dove la sua permanenza è stata “appena” di quattro anni. Stesso discorso per Kevin Garnett, legittimo Hall of Famer e uomo immagine della storia dei Minnesota Timberwolves, ma rimasto per troppo poco tempo ai Boston Celtics.

Il problema di questo criterio è, come si può notare, quello di essere piuttosto scioccante in quanto porterebbe a diversi “non-ritiri” per giocatori che hanno comunque scritto pagine importanti di storia di una squadra. Un esempio su tutti può essere quello di Shaquille O’Neal, vincitore di titoli MVP e anelli a Los Angeles e Miami ma mai rimasto nella stessa città per più di sei anni. Altri casi si possono riscontrare tra le cosiddette squadre “Originals”, ovvero quei team che hanno fondato la NBA e partecipato ai primissimi campionati a cavallo tra gli anni quaranta e cinquanta. Ad esempio, i Boston Celtics si troverebbero a rimuovere secondo questo criterio i banner dedicati a Ed Macauley, Dennis Johnson, Cedric Maxwell, Reggie Lewis e – poiché non ancora Hall of Famer – anche quello recentissimo di Paul Pierce. Stesso discorso vale per un’altra storica franchigia come i New York Knicks, i quali dovrebbero rimuovere i banner di Dick Barnett, Earl Monroe, Dick McGuire e Dave DeBusschere. Come se non bastasse, sarebbero ben dodici le squadre a non avere neanche un giocatore con entrambi i valori validi: Brooklyn Nets, Charlotte Hornets, Cleveland Cavaliers (in attesa di LeBron), Dallas Mavericks (in attesa di Dirk Nowitzki), Los Angeles Clippers, Memphis Grizzlies, Milwaukee Bucks, Minnesota Timberwolves, New Orleans Pelicans, Orlando Magic, Phoenix Suns e Toronto Raptors.

La cosa che si nota subito è che, in questo modo, ci sarebbero addirittura 121 maglie che tornerebbero disponibili e giocatori del calibro di Wilt Chamberlain che passerebbe dall’avere tre banner a zero. Nonostante questa severa logica, nessun tifoso o addetto ai lavori si sognerebbe mai di negare l’impatto dei vari Chamberlain, O’Neal e tanti altri alla storia del gioco o della singola franchigia. E’ impossibile non riconoscere la loro grandezza. Ecco quindi che una possibile soluzione per questi giocatori potrebbe essere quella che già oggi è usata dagli Orlando Magic, i quali hanno creato una Hall of Fame interna riservata ai propri giocatori del passato. Proprio recentemente la squadra della Florida del Nord ha inserito Tracy McGrady in questo pantheon virtuale in virtù degli anni spesi da T-Mac nella squadra. Perchè celebrare i propri campioni è cosa buona e giusta, ma di vedere sui soffitti delle arene i nomi di Bob Gross o Bruce Bowen (con tutto il rispetto) si può anche fare a meno.

Per consultare come cambierebbe il numero maglie ritirate con questo metodo, si può cliccare QUI per vedere i nomi di tutte le franchigie, tutti gli Hall of Famer e tutti i giocatori che hanno militato almeno dieci stagioni con la propria squadra verificando cosa cambierebbe con la situazione attuale.

Tags: Gary PaytonKevin GarnettLeBron JamesPaul PiercePete MaravichShaquille O'NealTracy McGradyWilt Chamberlain
Francesco Sparta

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